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I mini gialli dei dettati 2
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Search-ME - Erickson 1 Gioco
Come portare sempre di più il gioco nella vita quotidiana di ognuno di noi: i consigli dei ludomastri Carlo Carzan e Sonia Scalco
Giochiamo insieme? È una domanda che ogni genitore si sente spesso fare, un richiesta di tempo condiviso alla ricerca di esperienze comuni. Una domanda naturale se si pensa ai ritmi di vita odierni, a quanto sia difficile trovare del tempo di qualità da condividere, a quanto il gioco sia considerato una pratica da bambini e spesso semplicemente una perdita di tempo per gli adulti. I bambini invece sanno bene che il gioco è un mezzo fondamentale per creare vicinanza, giocare insieme significa condividere piacere ed emozioni, sfidare i partecipanti e cooperare per trovare soluzioni. Partire da questo presupposto significa avere consapevolezza che il gioco non può essere uno strumento a cui delegare la gestione del tempo dei figli, è invece un mezzo per educarli all’autonomia, alle regole, alle scelte, ma necessita in alcuni momenti della partecipazione attiva degli adulti.  Quella che proponiamo è una ricerca di equilibrio tra i momenti di gioco libero e improvvisato e quelli di gioco strutturato e più organizzato. Equilibrio tra accettare le scelte ludiche dei figli nel giocare da soli con autonomia, magari senza la presenza dell’adulto, e i momenti in cui giocare insieme con proposte definite, a cui ci dedichiamo in questo articolo.  L’obiettivo è quello di fare diventare il gioco parte integrante dell’educazione dei figli, in un sistema co-educativo che coinvolge tutti. Primo suggerimento: il rito del giocare insieme. É più semplice giocare con i propri figli quando questa attività assume il senso di un rituale, al pari della lettura della fiaba della buonanotte o di altri momenti che legano genitori e figli. Si può, ad esempio, giocare insieme mentre si è in auto, molti giochi con le parole permettono un coinvolgimento costante di tutti. Altra proposta è quella di organizzare ogni settimana una piccola olimpiade dei giochi, un pomeriggio si spengono schermi e telefoni, ogni partecipante sceglie un gioco in cui coinvolgere gli altri e inizia la sfida. Si può anche stabilire un momento particolare della giornata, dopo cena, per la merenda, sempre con grande attenzione a lasciare tempo ai bambini e ragazzi per il gioco libero ed autonomo. Il tempo del gioco insieme assume in questo modo un valore importante, crea una dimensione di complicità nella relazione tra genitori e figli, un momento personalizzato e non più casuale, che può essere facilmente riconosciuto da entrambi. Secondo suggerimento: conoscere i giochi. Quando si gioca insieme è importante che qualcuno conosca i giochi, le regole, sia in grado di coinvolgere gli altri. Questo ruolo, soprattutto per i bambini più piccoli, è generalmente delegato ai genitori, almeno inizialmente, poi poco per volta tutti saranno in grado di proporre giochi e idee ludiche per passare il tempo insieme. Il suggerimento è quello di fare un po’ di ricerca online o anche in un negozio specializzato, in funzione dei giochi che si desidera proporre. Ad esempio, il mondo dei giochi da tavolo si è decisamente trasformato negli ultimi 15 anni, oltre ai classici più conosciuti esistono prodotti di qualità elevata, che permettono un’esperienza ludica eccellente e legata all’età dei giocatori, dai due/tre anni in poi, sino agli adolescenti e adulti, c’è tanto da giocare. Anche se si volessero recuperare i giochi tradizionali, quelli da strada o da casa, dai quattro cantoni al classico gioco delle pulci, è sempre utile avere un’idea di cosa serve e di come proporlo ai bambini, esistono tantissimi libri con idee e magari spunti per costruire insieme i giochi, ma esiste anche la memoria, quella dei genitori o dei nonni. Terzo suggerimento: scegliere, vincere, perdere, accogliere. Imparare a giocare insieme significa anche entrare nella dimensione dell’ascolto e accettare le scelte degli altri. È un ascolto reciproco che riesce ad abbattere le barriere dell’età, senza mai far venire meno il rispetto dell’altro. Scegliere insieme come giocare è l’ideale punto di arrivo di un percorso educativo e relazionale tra genitori e figli. Non significa però essere sempre d’accordo sul gioco da provare insieme, a volte, trovare un compromesso, riuscire a provare un gioco senza pregiudizi, diventa parte integrante della condivisione ludica. Quest’ultima riflessione ci riporta all’idea che “giocare con i bambini” è una ricerca di un equilibrio tra adulto e bambino tra rispetto delle regole e capacità di accogliere l’altro. I genitori assumono il ruolo di giocatori e di allenatori, giocare con i figli non significa farli vincere sempre, accontentarli in ogni loro scelta di gioco, ma renderli consapevoli che, nell’accettare le vittorie e le sconfitte, esistono regole da rispettare.  Sono tre semplici suggerimenti, una porta socchiusa da aprire, per portare sempre di più il gioco nella vita quotidiana di ognuno di noi, perché aprirsi all’educazione giocosa non significa superficialità, ma rappresenta un modo profondo, partecipato e condiviso di essere genitori.
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Metodo Montessori e anziani fragili Didattica
Il gioco è una palestra in cui bambini e ragazzi possono prepararsi alla vita di comunità: sviluppa la creatività mentre educa al rispetto delle regole.
«Smetti di giocare e pensa studiare».«Ora basta giocare, mettiamoci a lavorare».«Non puoi stare sempre a giocare, qui stiamo facendo cose serie». Sono solo tre dei tanti modi di dire che spesso relegano il gioco ad attività in contrapposizione con lo studio, il lavoro, la serietà dei comportamenti, per non parlare del sacrificio e della sofferenza che ancora troppi ritengono elementi fondamentali del processo di apprendimento. Qui proviamo a ribaltare il punto di vista, considerando prima di tutto il gioco come azione necessaria alla vita di un individuo, necessaria alla sua crescita. Il primo passo lo facciamo provando a creare una relazione tra gioco e scuola, nel senso della simulazione, della preparazione alla vita futura di ogni bambino o bambina, ragazzo o ragazza. La scuola dovrebbe essere un luogo protetto dove mettersi alla prova, dove sbagliare senza avere timore di commettere errori, dove la sofferenza e il sacrificio sono sostituiti dalla fatica felice della scoperta, dall’impegno provocato dalla curiosità, dalla motivazione a raggiungere piccoli e grandi obiettivi. Fermiamoci a riflettere sugli studi che da ben più di un secolo hanno esplorato il ruolo del gioco nella crescita di una persona. Il gioco è preparazione alla vita di comunità, educa alla creatività come al rispetto delle regole, permette di accettare gli errori, conoscere e superare i propri limiti, crea una sorta di «arena» protetta in cui mettersi alla prova. Ecco allora che scuola e gioco possono trovare strade convergenti, in cui far viaggiare fisicamente e mentalmente gli individui. È questo uno dei motivi fondamentali che ci ha portato a sperimentare il gioco nello spazio della classe, che ha spesso dato risultati eccellenti al pari di altri strumenti della didattica, ma che soprattutto riesce ad accompagnare i bambini e le bambine in un processo che valorizza se stessi e aumenta la motivazione rispetto alla volontà consapevole di apprendere. Un gioco per conoscersi  Di seguito proponiamo un gioco che può essere funzionale a più momenti, sia quando un nuovo gruppo inizia a formarsi e a conoscersi, ma anche quando il gruppo è già creato da tempo e permettono d’iniziare una mattina con un semplice gioco, di stemperare un eventuale disagio e di portare il gioco in classe. Mi chiamo… Partecipanti: gruppo classeMateriali: nessunoScopo del gioco: conoscersi, giocare, allenare la memoriaPreparazione: il conduttore dispone i partecipanti in cerchio e sceglie il primo giocatore. Gioco: All’avvio del gioco, il primo giocatore dice a voce alta il proprio nome e aggiunge un verso o un movimento. Il giocatore successivo, alla destra del primo, ripete nome e verso del precedente, poi aggiungere il proprio nome e un altro verso. Il terzo giocatore ripete nomi e versi dei primi due e aggiunge il suo. Si continua così sino alla fine del cerchio. All’inizio di un percorso, soprattutto con studenti già un po’ grandi, dai nove anni in su, è anche possibile riflettere insieme dopo avere giocato, su come si sentono, ma anche a cosa può servire un gioco come quello appena realizzato. Questo passaggio finale di debriefing ludico, attivato nelle giuste occasioni, rende più consapevoli gli alunni e le alunne, creando un contesto in cui si sentiranno costantemente parte attiva. @media (max-width: 576px){ .me-text ul li { font-size: 19px !important; line-height: 28px !important; } .me-text ol li { font-size: 19px !important; line-height: 28px !important; } } .me-text ul li { font-size: 22px; line-height: 34px; } .me-text ol li { font-size: 22px; line-height: 34px; }
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Search-ME - Erickson 2 Didattica
Alcuni spunti di riflessione per creare contesti in cui il gioco sia strumento di partecipazione attiva e di relazione tra bambini e tra bambini e adulti
C’è un gioco che ci piace fare spesso, è quello di trovare parole che si possono scomporre per poi spiegarne il significato in modo divergente. La parola animazione si presta in modo particolare a questa esperienza. Dividiamola in due parti, anima e azione e iniziamo la nostra ricerca. Anima è legata alla vita, all’essenza del nostro essere, ma proviamo a fare un passo avanti, cogliamo il verbo animare e andiamo a leggerne la sua definizione in un vocabolario: “Infondere l’anima, dare la vita…con riferimento all’arte, dare vivacità, calore, vivacizzare, movimentare, Incoraggiare, incitare”. Una parola, un mondo da esplorare. Non è da meno azione, che “indica l’agire, l’operare, in quanto manifestazione della volontà… spesso indica un gesto, con riferimento soprattutto al suo valore morale, mentre in altri casi indica movimento. Azione può significare potere, forza, soprattutto in riferimento a cose che hanno la capacità di produrre un effetto su altre.” Ora siamo pronti per completare il nostro gioco e ricomporre la parola con piccolo intervento, animazione diventa “anima in azione”, intesa come movimento della mente, del corpo, come condizione necessaria per la crescita di ogni individuo. Visto che però il processo educativo è sempre frutto di una relazione, spesso asimmetrica tra adulto e bambino, nel senso dell’animazione ecco che il ruolo di un educatore diventa quello di stimolo del gruppo o del singolo in senso maieutico, affinché possano dare il meglio di se stessi e crescere attraverso l’impegno concreto e le esperienze, affinché possano mettere l’anima in azione. L’animazione storicamente si è espressa attraverso «una pratica sociale finalizzata alla presa di coscienza e allo sviluppo del potenziale represso, rimosso o latente, di individui, piccoli gruppi e comunità», ma anche con percorsi di animazione teatrale e creativa, sino ad arrivare a un approccio maggiormente educativo e culturale, con strumenti ludici e di partecipazione attiva, che favoriscono lo sviluppo personale di bambini, ragazzi e anche adulti. Prendiamo spunto dal ruolo ricreativo dell’animazione per poi portarla dentro un contesto sicuramente molto strutturato, come quello del mondo scolastico. Il primo spunto di riflessione è legato al significato del gioco, necessario per comprendere come questo possa trasformare l’animazione culturale in animazione ludica. Secondo Bernard Suits “Il gioco è il tentativo volontario di superare ostacoli non necessari” e identifica nel gioco: Un obiettivo pre-lusorio: ogni gioco ha un suo obiettivo predefinito Delle regole costitutive: che limitano l’azione dei giocatori nel raggiungere lo scopo finale L’ attitudine ludica: il giocatore vuole seguire quelle regole costitutive volontariamente, nonostante questo possa limitare la sua libertà all’interno del gioco stesso. Ma per fare in modo che tutto ciò sia applicabile e che renda il gioco uno strumento realmente valido e partecipato è necessario avere consapevolezza di una condizione, che i giochi sono tutti una questione di divertimento. Come scrive Bernard de Koven “giocare bene, significa essere nella nostra condizione migliore. Pienamente coinvolti, del tutto presenti, anche se, al contempo, stiamo solo giocando”. Partendo da questi presupposti proviamo a riflettere sulla funzione sociale del gioco, come strumento di relazione tra pari, di relazione tra adulti e bambini, di partecipazione attiva di tutti i soggetti coinvolti nell’azione ludica; questo ci fa tornare al significato di animazione che avevamo prima esplorato, il gioco può essere inteso come collante delle nostre azioni maieutiche, attraverso un approccio metodologico ludico, trasformiamo il pensiero in azione, creando spazi protetti di esperienza. Tutto ciò si può realizzare anche a scuola, perché il gioco crea contesto di apprendimento, attraverso la produzione di dopamina favorisce nel cervello una maggiore disponibilità ad apprendere. Il gioco favorisce l’apprendimento di competenze e attraverso l'acquisizione di un metodo le mette alla prova. Il gioco favorisce l’apprendimento di saperi, attraverso la partecipazione attiva e la curiosità. Infine a completare la relazione tra gioco e scuola è il fatto che nell’animazione ludica una variabile importante è quella narrativa, in cui gioco e ambientazione si fondono per dare vita a mondi da esplorare, questa fusione può essere funzionale e utile ad un approccio legato alla didattica ludica; si potrebbe, ad esempio, creare un modulo ambientato nel mondo dei pirati, inserendo giochi rompighiaccio, giochi di movimento, giochi di parole, giochi cooperativi, giochi a squadre, giochi di osservazione, giochi di logica, giochi di memoria e tantissimo altro, ognuno pensato per l’acquisizione di competenze o saperi, creando un flusso di attività che possano rispondere ai nostri bisogni educativi e didattici, mettendo sempre l’anima in azione.
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Search-ME - Erickson 3 Gioco
Partendo dalla nota metafora di Gianni Rodari, un progetto ludico con tre attività da provare con bambini e ragazzi
Avete mai provato a gettare un sasso in uno stagno? E a lanciarlo con la giusta angolatura? Cosa accade? Immaginate. La metafora del sasso nello stagno è uno dei passaggi più rappresentativi di quel grandissimo inventore di storie che è stato Gianni Rodari. Si trova nella sua Grammatica della fantasia, miniera stracolma di giochi e idee per inventare storie, per entrare dentro le parole o sorridere delle connessioni più strane, per dare libertà al pensiero. L’idea che proponiamo qui è semplice: trasformare la metafora di Rodari in un progetto ludico, partendo dalle sue parole. «Un sasso gettato in uno stagno suscita onde concentriche che si allargano sulla sua superficie, coinvolgendo nel loro moto, a distanze diverse, con diversi effetti, la ninfea e la canna, la barchetta di carta e il galleggiante del pescatore. Oggetti che se ne stavano ciascuno per conto proprio, nella sua pace o nel suo sonno, sono come richiamati in vita, obbligati a reagire, a entrare in rapporto tra loro [...]. Non diversamente una parola, gettata nella mente a caso, produce onde di superficie e di profondità, provoca una serie infinita di reazioni a catena, coinvolgendo nella sua caduta suoni e immagini, analogie e ricordi, significati e sogni, in un movimento che interessa l’esperienza e la memoria, la fantasia e l’inconscio». Questo è il punto di partenza per la nascita di una storia, un’improvvisa origine creata da connessioni impreviste, un ricordo, un sapore, ma anche un gioco continuo di rimandi e di ricerche, basti pensare a tutto il lavoro di ricerca dell’OuLiPo, con Perec, Queneau e Calvino in prima linea È anche molto utile riflettere sul fatto che il nostro cervello si è evoluto in modo tale da essere sollecitato dalle narrazioni, dalle storie che in qualche modo riescono a coinvolgerci anche emotivamente. Ascoltare un semplice elenco di informazioni attiva principalmente le aree dove si elabora il significato delle parole, mentre quando le stesse informazioni sono narrate il nostro cervello si comporta come lo stagno di Rodari: crea un numero di connessioni maggiori e attiva anche le aree connesse alle emozioni. Tre attività da provare In questo percorso esperienziale e ludico proponiamo tre attività che abbiamo scelto attivando la procedura rodariana, cioè evocando nella nostra mente giochi, ricordi, emozioni che possano raccontare il sasso e lo stagno. Rimbalzello Iniziamo in modo letterale e scientifico con il «rimbalzello», un classico da fare all’aperto e dinanzi a uno specchio d’acqua. Si tratta del lancio che, invece di far affondare il sasso, lo fa rimbalzare più e più volte sull’acqua. Quante volte l’avete provato? Esiste anche un record del mondo di oltre 50 balzi. Una sfida che mette alla prova i partecipanti, sia verso se stessi che verso gli altri. Quanti rimbalzi farà il sasso? Vince chi raggiunge il numero più alto. Il rimbalzello però è anche un gioco utile da approfondire perché si trasforma in un’esperienza scientifica da raccontare. È infatti l’approccio scientifico che ci spiega che l’acqua, se viene «colpita» da un oggetto a grande velocità, tende a comportarsi come un solido. Nel caso del sasso che rimbalza, però, oltre alla velocità è necessario che l’impatto crei un angolo tra i 20° e i 45°, altrimenti il sasso affonda, e naturalmente conta anche la forma e il peso. Tutte queste informazioni trasformano il gioco in esperimento, l’esperienza ludica diventa fondamentale perché attiva la curiosità, la ricerca e la narrazione scientifica. Tornando a Rodari, il sasso che rimbalza rappresenta la parola che si sposta da una mente all’altra, creando sia cerchi concentrici e connessioni in un cervello, che connessioni tra i vari cervelli. Stagno in casa La seconda attività che vi proponiamo è lo «stagno in casa», che associa ricerca e narrazione attraverso una rappresentazione fisica delle onde concentriche. Ogni partecipante prepara un grande foglio di carta su cui disegna un centro e intorno cinque cerchi concentrici ben distanziati. Si sceglie un oggetto comune a tutti da porre al centro del foglio, ad esempio un bicchiere, e si inizia la ricerca. L’obiettivo è quello di trovare, a casa, dei piccoli oggetti che possano essere collegati l’uno all’altro seguendo i cerchi: ad esempio si potrebbero prendere degli occhiali, che colleghiamo al bicchiere perché sono entrambi di vetro; l’oggetto successivo si deve collegare agli occhiali. Ogni oggetto deve stare sopra un solo cerchio, rispettando la sequenza. Le connessioni possono essere dettate dalla logica, ma possono anche attraversare momenti personali, ricordi, esperienze. Completata la ricerca si fa una foto allo stagno in casa e si passa alla narrazione e all’invenzione delle storie. Ogni partecipante condivide la propria immagine con gli altri, che potranno interpretarla e raccontare le connessioni che vedono, creando legami spesso diversi da quelli originari, con libertà d’invenzione e immaginazione. Alla fine il giocatore potrà, se vuole, raccontare la storia originaria delle sue connessioni. Catena di parole Per la terza proposta vi facciamo una domanda: che relazione c’è tra le parole storie e roseti? Prima di andare avanti, coprite la pagina per un minuto e cercate la soluzione. Bene ora siamo pronti per spiegare le regole della «catena di parole», un gioco legato al mondo dell’enigmistica. Ogni giocatore crea una sequenza di parole in modo che ognuna sia collegata alla successiva perché modifi cata attraverso un cambio lettera, un’aggiunta di lettera, una lettera in meno, un anagramma o altri cambi enigmistici. Successivamente fa vedere le parole agli altri giocatori, evidenziando la prima e l’ultima parola e mischiando le altre: lo scopo è quello di ricostruire la sequenza esatta, vince chi riesce per primo. Provate anche voi con queste parole: sasso, sconto, contro, scosto, mosso, scosso, scontro, masso, smosso, tronco. Le parole di ogni sequenza possono poi essere utilizzate per creare una storia, con il solo vincolo che devono comparire poco per volta, seguendo la successione esatta della catena. Tre diversi modi per osservare da punti di vista il sasso nello stagno: quello della scienza che diventa esperienza, gioco e narrazione; poi quello delle relazioni, dei ricordi, delle connessioni personali e della loro interpretazione; infine, quello più logico enigmistico, che può dare vita a una storia finale. Tre attività che hanno al centro le parole, i loro usi, la loro forza, e che, per finire, ci fanno pensare a una frase fondamentale di Gianni Rodari: «Tutti gli usi della parola a tutti non perché tutti siano artisti, ma perché nessuno sia schiavo». Questo articolo è tratto dalla rubrica “Gioco da maestro” pubblicata sul numero di novembre 2020 della rivista DIDA
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