Le nuove Indicazioni della scuola dell’infanzia e del primo ciclo d’istruzione

Le nuove Indicazioni della scuola dell’infanzia e del primo ciclo d’istruzione

1. Il lavoro della Commissione

L’11 marzo 2025 sono state pubblicate le nuove Indicazioni nazionali relative alla scuola dell’infanzia e al primo ciclo di istruzione. Il testo è stato messo a punto da una Commissione nominata dal Ministro nel 2024, coordinata sul piano scientifico dalla docente di Didattica e Pedagogia speciale, Loredana Perla, dell’Università degli Studi di Bari, coautrice, insieme a Ernesto Galli della Loggia, di un volumetto dal titolo Insegnare l’Italia. Una proposta per la scuola dell’obbligo. Il saggio, uscito nel 2023, è molto critico nei confronti delle attuali Indicazioni del novembre 2012.

La Commissione «madre» era composta, oltre che dalla coordinatrice e da un vice, da altri sei componenti. Hanno poi operato specifiche sottocommissioni disciplinari, formate da uno o più coordinatori e da un numero variabili di esperti.

Per la scuola dell’infanzia, l’elaborazione delle varie parti è stata affidata a una dirigente scolastica e a due insegnanti. Complessivamente la bozza diffusa nel marzo 2025 ha visto all’opera circa 115 persone.

Nella Premessa si accenna alle modalità con cui la Commissione ha operato, che si è avvalsa anche di una serie di confronti con tipologie di «esperti» dell’area didattico-pedagogica; dell’area disciplinare; di esponenti dell’associazionismo professionale e del Ministero dell’Istruzione e del Merito (MIM). 

Si dà conto, inoltre, di attività preliminari svolte dalla Commissione, finalizzate a far sì che i gruppi relativi allo studio delle singole discipline fossero messi nella condizione di operare in modo uniforme.

Nello specifico, si è trattato di tre momenti da cui sono scaturiti altrettanti dossier.

  • Primo Studio. Mappatura ricognitiva sinottica dei documenti nazionali che delineano gli indirizzi curricolari scolastici in ciascun paese dell’Unione Europea, allo scopo di non limitare la riflessione al solo ambito italiano.

  • Secondo Studio. Analisi dei «notevoli cambiamenti intervenuti in ambito educativo, economico e sociale» che si è sviluppata attraverso momenti d’incontro con le formazioni sociali intermedie maggiormente interessate alla riflessione nella e sulla scuola, allo scopo di individuare esigenze e ipotesi di revisione dei percorsi formativi considerate cruciali da insegnanti, alunni, genitori e dirigenti scolastici, dalle società scientifiche e dal «sistema paese».

  • Terzo Studio. Rassegna dei nodi cruciali emergenti dalla ricerca e dal dibattito pedagogico e non solo sullo stato dell’arte e sulle possibili prospettive migliorative delle Indicazioni Nazionali per il curricolo e dei percorsi formativi ordinamentali scolastici attuali, da cui è stata tratta la Premessa culturale generale delle Nuove Indicazioni.

Questi studi sono stati messi a disposizione dei gruppi disciplinari insieme ad altri materiali utili per la partenza dei lavori, avvenuta per tutti il 1° agosto 2024.

Il testo definitivo porta il seguente titolo: Nuove Indicazioni 2025. Scuola dell’infanzia e Primo ciclo di istruzione. Materiali per il dibattito pubblico.

Si tratta, dunque, di una bozza che rappresenta una prima tappa in vista di ulteriori sviluppi.

La consultazione rivolta al mondo della scuola, promossa dal MIM tra il mese di marzo e di aprile del 2025, tramite un apposito questionario, è stata giudicata più fittizia che reale. In ogni caso, le future Indicazioni entreranno in vigore dall’anno scolastico 2026-2027. Ci saranno sicuramente altri momenti di confronto.

2. L’articolazione della Premessa

La Premessa delle nuove Indicazioni si compone di due sezioni:

  • Persona Scuola famiglia;

  • Scuola e nuovo umanesimo.

L’articolazione delle due parti è schematizzata nella Figura 1.

 

FIG. 1 Articolazione della Premessa.

 

La prima parte, Persona Scuola Famiglia, comprende una sintetica introduzione, incentrata sull’idea di persona, principio che fonda l’intero testo e da due paragrafi, dedicati rispettivamente a un nuovo patto di alleanza tra scuole e famiglie e al profilo dell’insegnante, inteso nella sua magistralità.

Seguono poi:

  • Finalità della scuola dell’infanzia e del primo ciclo

  • Profilo dello studente

  • L’organizzazione del curricolo.

La presentazione dei campi di esperienza nella scuola dell’infanzia e, a seguire, delle discipline nella scuola primaria e secondaria di primo grado è preceduta da una parte dal titolo: Indicazioni nazionali per la scuola dell’infanzia, che comprende i seguenti paragrafi:

  • La centralità della scuola dell’infanzia

  • Una visione concreta di infanzia

  • Di fronte alle sfide del nostro tempo

  • Accoglienza e ambientamento

  • Il gioco

  • I campi di esperienza

  • La professionalità dell’insegnante di scuola dell’infanzia

Il passaggio dalla scuola dell’infanzia alla primaria comprende un «profilo in uscita», contenuto nel paragrafo Dalla scuola dell’infanzia alla scuola primaria, articolato in una ventina di competenze, che la bambina e il bambino «cinquenne» dovrebbero aver acquisito nei cinque campi di esperienza, nel corso dei tre anni di frequenza.

Si passa poi direttamente alla descrizione delle singole discipline della scuola primaria e secondaria di primo grado senza ulteriori considerazioni (Si veda Tabella 1).

 

Tabella 1

I campi di esperienza e le discipline del curricolo 3-14 anni delle nuove Indicazioni

SCUOLA DELL’INFANZIA

PRIMO CICLO DI ISTRUZIONE

CAMPI DI ESPERIENZA

DISCIPLINE

Il sé e l’altro

Il corpo e il movimento

Immagini, suoni e colori

I discorsi e le parole

La conoscenza del mondo

Italiano

Latino per l’educazione linguistica (LEL)

Lingua inglese

Seconda lingua comunitaria

Storia

Geografia

Istruzione integrata STEM

Matematica

Tecnologia

Scienze

Musica

Strumento musicale

Arte e immagine

Educazione motoria-Educazione fisica

 

 

 

3. Persona Scuola Famiglia

L’identità personale

Le Indicazioni 2025 si aprono con tre parole chiave: «persona, scuola, famiglia». Quelle del 2012 recavano un preambolo simile: «cultura, scuola, persona».

L’idea di persona dà forma all’incipit del nuovo testo e viene ricondotta ai principi fondamentali affermati negli articoli 2 e 3 della nostra Costituzione (si veda Tabella 2).

 

Tabella 2

Gli articoli 2 e 3 della Costituzione

Articolo 2

Articolo 3

La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica economica e sociale.

Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.

È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e la effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.

 

Il testo inizia con una citazione di una delle figure più importanti della cultura cattolica italiana, Giorgio La Pira, il quale ha sostenuto che «La Costituzione mette al centro la persona e concepisce lo Stato per l’uomo e non l’uomo per lo Stato».

La Pira è uno degli esponenti più visionari del cattolicesimo italiano, legato a una concezione del mondo che abbracciava tutti i continenti. Nel 1955 convocò a Firenze i sindaci delle capitali del pianeta, tra cui USA, URSS e Cina, i quali al termine del convegno firmarono un atto di pace. L’11 novembre 1965 incontrò ad Hanoi il leader comunista, Ho Chi Minh, per cercare di avviare un negoziato di pace tra le truppe americane e quelle vietnamite. Le cose, purtroppo, andarono diversamente e fu una delle guerre più catastrofiche del secondo Novecento.

Giorgio La Pira era un uomo che cercava di risolvere i problemi dell’intero pianeta, non era certo legato a una visione particolaristica o solo occidentale.

La scuola, fondata sulla Costituzione, si legge nelle Indicazioni 2025,

 

pone le persone degli allievi1 al centro delle sue azioni e ne promuove i talenti attraverso la formazione integrale e armonica di tutte le dimensioni: cognitive, affettive, relazionali, corporee, estetiche, etiche, spirituali.

 

La persona, dunque, «è una realtà che si costituisce attraverso la possibilità di dire io»; in particolare, la scuola contribuisce a formare, unitamente alla famiglia, l’identità personale e culturale dell’alunna/o, della studentessa e dello studente.

La costruzione dell’identità ha rappresentato una delle finalità della scuola, a partire dagli Orientamenti della scuola dell’infanzia del 1991. Tale prospettiva si afferma in quel testo,

 

richiede e sollecita il radicamento nel bambino dei necessari atteggiamenti di sicurezza, stima di sé, fiducia nelle proprie capacità, motivazione alla curiosità; richiede inoltre l’apprendimento a vivere in modo equilibrato e positivo i propri stati affettivi, ad esprimere e controllare i propri sentimenti e le proprie emozioni, nonché a rendersi sensibile a quelli degli altri.

 

L’identità, dunque, si costruisce nella relazione con gli altri. Questo principio è sottolineato anche nelle Indicazioni 2025 in modo inequivocabile in un passaggio iniziale del testo nel quale si afferma che l’identità

 

non può essere naturalmente disgiunta dalla relazione. Non si può avere consapevolezza di sé al di fuori della differenza con gli altri io e con il mondo. Ogni identità si oppone necessariamente ad una alterità ma l’incontro fra un io e un tu è un bisogno strutturale. E il privilegio della nostra civiltà è nel confronto. L’altro, infatti, non limita la persona ma è costitutivo del suo svilupparsi e completarsi.

 

Ritroviamo questo concetto esplicitato negli Orientamenti della scuola dell’infanzia del 1991 nel paragrafo relativo alla conquista dell’autonomia, in cui si afferma che il bambino deve rendersi disponibile

 

all’interazione costruttiva con il diverso da sé e con il nuovo, aprendosi alla scoperta, all’interiorizzazione ed al rispetto pratico dei valori universalmente condivisibili, quali la libertà, il rispetto di sé, degli altri e dell’ambiente, la solidarietà, la giustizia e l’impegno ad agire per il bene comune.

 

La comunità e la collettività devono predisporsi a creare le condizioni dello sviluppo della persona, senza mai sostituirsi a essa. Come si afferma nelle Indicazioni-2012, l’identità vuol dire sentirsi rassicurati «nella molteplicità del proprio fare e sentire» e imparare a conoscersi e a essere riconosciuti come «persona unica e irripetibile».

 

La partecipazione

Il rapporto identità-relazione trova il suo completamento nella dimensione partecipativa della studentessa e dello studente, ossia

 

nell’apertura intenzionale su tutta la realtà, una realtà non scelta, ma all’interno della quale è possibile costruire il proprio progetto di umanità. Di qui la fondamentale azione della scuola nel promuovere l’identità personale, culturale, relazionale e partecipativa della persona umana.

 

In una società democratica, la partecipazione rappresenta l’elemento fondamentale dell’impegno richiesto a ognuno di noi per promuovere una costante affermazione di una cittadinanza attiva, costruttiva e solidale. Essa è, inoltre, il perno su cui poggia la stabilità del tessuto democratico di un paese, riconosciuto peraltro nella Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia, ratificata dalla Svizzera nel 1997. All’articolo 12, infatti, si afferma che ogni bambino ha il diritto di esprimere liberamente la propria opinione su ogni questione e decisione che lo concerne (si veda Figura 2).

 

FIG. 2 Articolo 12 della Convenzione ONU (1997) sui diritti del fanciullo.

 Risulta quindi importante comprendere come questo diritto a essere ascoltati e a partecipare alle decisioni che li concernono possa essere espresso nella quotidianità scolastica dei bambini e dei giovani.

La partecipazione degli allievi aiuta a rafforzare il senso di appartenenza alla scuola favorendo un clima scolastico sano. Inoltre, motivare i giovani a partecipare a iniziative a scuola significa attivare gli allievi nella loro comunità locale a favore di piccoli cambiamenti positivi, ma collettivi.

Questo compito non può essere svolto in solitudine né dalla famiglia né dalla scuola. Genitori e insegnanti, in ragione delle differenti valenze educative che rappresentano, sono sempre più chiamati a stringere alleanze e intese per riuscire a vincere le contraddizioni della società in cui i giovani vivono.

 

4. Il Patto educativo di corresponsabilità

All’introduzione (vedi Figura 1), segue il paragrafo Scuole e famiglie in un nuovo patto di alleanza, incentrato sulla corresponsabilità educativa tra le funzioni della scuola e i compiti della famiglia.

«Fare scuola» oggi, viene sottolineato,

 

richiede, infatti, di rinnovare con convinzione profonda e partecipazione piena il patto di corresponsabilità fra genitori e insegnanti. Grazie a un prezioso dispositivo normativo già esistente – il patto di corresponsabilità - è possibile progettare occasioni di conoscenza reciproca, di incontro e dialogo fra studenti, insegnanti, genitori: ad intra, nella comunità scolastica, e ad extra, nella comunità territoriale.

 

Il patto educativo di corresponsabilità tra scuola e famiglia, come rappresentato nella Figura 3, deve estendersi all’intera comunità territoriale.

 

FIG. 3 La collaborazione tra famiglia e scuola dentro la comunità di appartenenza.

 

Va spiegato a bambini e preadolescenti, si sottolinea nel testo, e preadolescenti, che

 

la nostra Repubblica ha posto la scuola al centro del suo progetto di Paese e che la scuola è un bene sociale comune di inestimabile rilevanza, da tutelare e valorizzare, a cominciare dalle parole usate per parlarne. […] Dileggiare una scuola, sporcarne le pareti, distruggerne gli arredi, offendere un insegnante, non sono solo azioni eticamente riprovevoli, da condannare e stigmatizzare anche con la richiesta di risponderne da parte delle famiglie, ma sono i segni preoccupanti di un cedimento valoriale del rispetto e della fiducia dovuti all’istituzione culturale più importante del nostro Paese e alle persone – dirigenti e insegnanti – che hanno scelto di spendere la propria vita in queste istituzioni al servizio delle nuove generazioni.

 

Non solo all’alunno, ma anche al maestro è dovuto il massimo rispetto (maxima debetur magistro reverentia).

5. Insegnante professionista, e anche Maestro

Il testo, nella parte rubricata come Persona Scuola Famiglia, si chiude con un breve paragrafo incentrato sul profilo dell’insegnante. Si ricorda che maestro viene da magis, «di più», e che il docente è la persona che sollecita il desiderio di imparare dell’allievo. Costituisce, pertanto, la figura di riferimento del percorso di crescita educativa e culturale dell’alunno.

 

L’allievo, infatti, non sceglie di desiderare di imparare, sceglie il modello che sa stimolarlo in tale direzione. E il ‘modello’ è l’esempio di un maestro, esempio fondamentale affinché il desiderio dell’allievo non resti allo stato di pura tensione psicologica ma si orienti verso degli oggetti definiti che sono le esperienze e i contenuti del curricolo.

 

Viene sottolineata la dimensione educativa della funzione docente, riconoscibile nello stile dialogico con il quale l’insegnante si rapporta con gli alunni e i genitori. La scuola, in un’epoca segnata «dall’evaporazione del padre» e da una crescente fragilità da parte della famiglia di esercitare un’autorevole potestà genitoriale, diventa sempre più un luogo in cui si devono affrontare problemi relazionali tra i genitori stessi.

Nelle Indicazioni per il curricolo del 2012, i docenti sono tratteggiati in un modo straordinariamente completo. Nel curricolo relativo alla scuola dell’infanzia, si afferma quanto segue:

 

La presenza di insegnanti motivati, preparati, attenti alle specificità dei bambini e dei gruppi di cui si prendono cura, è un indispensabile fattore di qualità per la costruzione di un ambiente educativo accogliente, sicuro, ben organizzato, capace di suscitare la fiducia dei dei genitori e della comunità. Lo stile educativo dei docenti si ispira a criteri di ascolto, accompagnamento, interazione partecipata, mediazione comunicativa, con una continua capacità di osservazione del bambino, di presa in carico del suo ”mondo”, di lettura delle sue scoperte, di sostegno e incoraggiamento all’evoluzione dei suoi apprendimenti verso forme di conoscenza sempre più autonome e consapevoli.

 

Questo profilo, che si arricchisce attraverso il lavoro collaborativo, la riflessione sulle prassi didattiche, il rapporto competente con i saperi, può essere esteso ai docenti di tutti i gradi scolastici successivi.

Gli alunni manifestano, ieri come oggi, bisogni di sicurezza, di affetto, di aiuto che il «buon maestro» deve saper soddisfare. Di qui l’impegno, insegnanti e genitori, scuole e famiglie, di praticare l’esercizio quotidiano della valorizzazione reciproca.

6. Scuola e nuovo umanesimo

La seconda parte della Premessa Generale reca il seguente titolo Scuola e nuovo umanesimo. Nell’introduzione a una serie di punti più circoscritti, si afferma che

 

Finalità principale della scuola è l’acquisizione delle conoscenze e delle abilità fondamentali per sviluppare le competenze culturali di base nella prospettiva dello sviluppo integrale della persona e dei suoi talenti. Il concetto di talento è intrinsecamente legato al potenziale cognitivo di ogni alunno che, se stimolato da un ambiente in grado di valorizzarne le potenzialità, può conseguire esiti positivi anche nelle situazioni di maggiore fragilità.

 

La promozione delle risorse (talenti) dell’allievo non si limita a rendere performative le conoscenze, ma espande le opportunità di emancipazione personale affinché gli studenti, grazie alla scuola, possano trovare la loro realizzazione personale.

 

Cura di sé ed etica del rispetto

La libertà, si afferma nel testo,

 

è il valore caratteristico più importante dell’Occidente e della sua civiltà sin dalla sua nascita, avvenuta fra Atene, Roma e Gerusalemme. Ed è il cuore pulsante della nostra democrazia […].  Il contenuto originario della libertà si connota, dal punto di vista della formazione scolastica, come possibilità di autodeterminarsi nei diritti e nei doveri: principio universale che fa il paio col principio pedagogico dell’autogoverno, di matrice attivistica, che sottende gli approcci didattici contemporanei.

 

Le nuove Indicazioni privilegiano uno sguardo sul mondo della tradizione classica. Non vengono, ad esempio, citate le rivoluzioni americana e francese che hanno fatto della libertà, insieme all’uguaglianza e alla fraternità, il principio cardine di una nuova civiltà.

L’esperienza scolastica è fondamentale per conquistare l’autonomia e la capacità di agire, mettendosi al servizio della costruzione di una società pluralistica, aperta alle diversità e rispettosa delle differenti culture e convinzioni.

La formazione che si matura a scuola risulta determinante per comprendere che la libertà non è solo autodeterminazione individuale, ma un’elaborazione collettiva, che trova nel dialogo e nel confronto un fertile terreno di sviluppo.

L’educazione della libertà nello studente è resa possibile dalla capacità di discernimento, di autogoverno e del senso del limite, che, come afferma Massimo Recalcati, non la reprime e non mortifica, ma la rende davvero possibile. 

In questo modo, si sottolinea nel testo delle nuove Indicazioni, la scuola diventa il luogo in cui l’alunna/o si educa al rispetto,

 

valore civile fondamentale che si apprende in famiglia e si consolida a scuola, nell’esercizio quotidiano dell’incontro con l’universo degli adulti e dei pari. Ma il rispetto è anche il traguardo di sviluppo di una mente flessibile, generosa, non narcisistica, capace di filtrare e neutralizzare le tensioni della comunicazione perché in grado di pensare, insieme, identità e alterità, io e tu, entro il perimetro del ‘noi’.

 

Scuola che educa alle relazioni

La parola «rispetto» è oggi l’obiettivo di un’educazione finalizzata al riconoscimento delle differenze di genere. In questo paragrafo viene richiamato quanto sottolineato nelle Linee guida dell’educazione civica del settembre 2024. In esse si afferma l’importanza di sviluppare la cultura dei doveri che

 

rende necessario insegnare il rispetto verso le regole che sono poste per una società ordinata al fine di favorire la convivenza civile, per far prevalere il diritto e non l’arbitrio. Da qui l’importanza fondamentale della responsabilità individuale che non può essere sostituita dalla responsabilità sociale.

 

La scuola, la famiglia e le altre istituzioni del territorio hanno la responsabilità di supportare gli studenti in un percorso di crescita che li porta a diventare cittadini responsabili, autonomi, consapevoli e impegnati in una società sempre più complessa e in costante mutamento.

La pratica di comportamenti rispettosi costituisce il requisito di base per un’autentica «educazione del cuore» finalizzata a creare occasioni per esperienze e vissuti improntati a fiducia, empatia, tenerezza, incanto, gentilezza.

A questo proposito, si afferma nelle Indicazioni che

 

la letteratura, la musica, le arti, la scrittura autobiografica, il cinema, il teatro sono i grandi ‘alleati’ degli insegnanti per questo lavoro didattico che con le Nuove Indicazioni sarà diffuso in tutte le scuole.

 

Scuola che sa creare culture educative

In uno scenario mondiale in profondo mutamento, nelle nuove Indicazioni si afferma,

 

la scuola si trova a svolgere il ruolo di presidio dell’umanesimo e di luogo di elaborazione di culture educative attente a dimensioni quali la cura di sé e dell’ambiente, la creatività, l’immaginazione, il senso critico necessari a fronteggiare e governare l’universo in espansione delle tecnologie con istruzione qualitativamente elevata e ‘sapienza del cuore’.

 

Tali culture crescono nelle scuole che sanno trasformarsi in comunità educanti e professionali.

La scuola, comunità educante, si sottolinea nel testo, è un’organizzazione che apprende,

 

aperta al territorio e capace di tessere reti allargate di rapporti umani e professionali. Il personale sa condividere le risorse, scambia pratiche di lavoro e si aggiorna con costanza; fa ricerca ed è stimolato ad assumere funzioni di leadership o di middle management per il miglioramento dell’efficienza ed efficacia dell’istituto.

 

Vengono auspicate la flessibilità organizzativa, l’apertura alle istanze delle famiglie e degli enti territoriali e la promozione di processi inclusivi. Gli studenti, in particolare, devono poter lavorare in gruppo e disporre di ambienti laboratoriali e di atelier artistici. 

Le aule poi dovranno essere organizzate in aree di lavoro. Anche gli spazi esterni devono essere utilizzati come aule esterne, orti, piccoli giardini curati dagli stessi studenti.

 

Operositàcollegialità e serenità sono i tratti caratterizzanti le scuole ‘comunità educanti’: esempi contemporanei della grande tradizione dell’attivismo pedagogico.

 

Cura del pianeta e governo della tecnica

Nelle Indicazioni per il curricolo del 2012, nel paragrafo Per un nuovo umanesimo, si afferma che

 

le relazioni fra il microcosmo personale e il macrocosmo dell’umanità e del pianeta oggi devono essere intese in un duplice senso. Da un lato tutto ciò che accade nel mondo influenza la vita di ogni persona; dall’altro, ogni persona tiene nelle sue stesse mani una responsabilità unica e singolare nei confronti del futuro dell’umanità.

 

Ritroviamo un’affermazione analoga anche nelle Indicazioni-2025, in cui viene sottolineato che

 

la cura affettiva delle relazioni nei microcosmi delle aule non può dissociarsi dalla cura del pianeta Terra perché tutto ciò che accade nel mondo influenza la vita delle singole persone. E ogni persona, nel suo piccolo, tiene nelle sue mani una parte della responsabilità nei confronti del futuro del nostro pianeta.

 

Il cambiamento climatico e l’esaurimento delle risorse naturali richiedono la ricerca di un nuovo equilibrio tra sviluppo e conservazione. Di conseguenza, anche gli stili di vita devono improntarsi a sobrietà, misura e senso del limite.

Il vecchio continente poi è alle prese con fenomeni di portata mondiale, quali l’emigrazione e il riaccendersi di conflitti nel cuore dell’Europa. Questi nuovi scenari richiedono una nuova visione dell’educazione e dell’istruzione in grado di rimettere al centro da dimensione etica dell’essere umano.

 

Problemi nuovi, si afferma, chiedono pensieri visionari e un’attenzione massima per il ruolo che può svolgere l’istruzione per fronteggiare gli impatti di questi processi per la sopravvivenza della Terra e della stessa umanità.

 

In questo momento storico, la scuola è chiamata ad aiutare gli alunni a capire le trasformazioni in corso affinché posseggano gli strumenti per abitare un pianeta complesso, caratterizzato in misura crescente da molteplici interdipendenze tra locale e globale. Bambine e bambini, fin dalla scuola dell’infanzia, sono chiamati a recitare la loro parte.

 

Scuola che integra l’IA con prudenza e senso critico

L’irruzione delle tecnologie informatiche e la diffusione dei social stanno rapidamente cambiando le abitudini di vita degli adulti ma anche dei giovani e dei bambini. L’Intelligenza artificiale (IA) rappresenta l’ultima frontiera di questo epocale cambiamento.

La difesa dell’autonomia personale di fronte alla pervasività delle macchine, dei sistemi robotizzati e dell’intelligenza artificiale è una delle sfide più importanti della rivoluzione informatica in atto.

I temi dell’utilizzo delle procedure legate all’IA, i rischi per la privacy, la facile manipolazione dell’identità personale, l’uso di robot umanoidi, ecc., hanno reso il peso della dimensione etica centrale nelle linee guida, nelle norme e nei regolamenti sull’intelligenza artificiale sia in ambito nazionale che europeo.

 

Gli insegnanti, si afferma nelle Indicazioni 2025, hanno il dovere di conoscere e capire le potenzialità della IA. E in aula di spiegare le logiche di funzionamento di dispositivi e piattaforme. Nell’era dell’IA, la scuola dovrebbe formare un pensiero capace di valutare attentamente le technai facendone cogliere presupposti ed impensati. L’IA offre certamente grandi opportunità per l’istruzione a condizione che il suo uso sia guidato da chiari principi etici. Per conseguire il suo pieno potenziale, essa dovrebbe essere integrata in un contesto in cui le dimensioni umane e sociali dell’apprendimento siano rafforzate e non ‘sostituite’ e in cui prevalga una mediazione chiaramente orchestrata dalla persona dell’insegnante.

 

La scuola, le sue relazioni e i suoi saperi costituiscono un sicuro antidoto al rischio che l’IA e, più in generale, al pericolo rappresentato da un uso scorretto delle tecnologie digitali.

Fornire agli studenti le «attrezzature» in grado di prevenire tali rischi è un compito precipuo della scuola. Solo così potremo aiutarli a «presidiare il bene incommensurabile della loro libertà».

 

Scrivere è…vivere. E si apprende a scuola

 

Per la scuola delle Nuove Indicazioni la scrittura ha un significato profondamente umanistico e di supporto alla promozione degli apprendimenti di tutte le discipline. Carta e penna, lettura ad alta voce e piccole biblioteche d’aula devono convivere armoniosamente con assistenti virtuali e augmented learning. Nelle scuole del primo ciclo di istruzione la scrittura è fondamentale e va curata con particolare attenzione, a partire dall’apprendimento del corsivo e della calligrafia, perché agevola lo sviluppo della coordinazione oculo-manuale, allontana i bambini dagli schermi e permette di tutelare gli spazi vitali dell’esperienza concreta, ingrediente necessario, specie nella scuola primaria, per affinare pensiero e ragionamento.

 

La lingua scritta (leggere e scrivere) è una delle dimensioni più importanti del pensiero. Pertanto, la scrittura «è molto di più che una tecnologia della parola … È avviamento al pensiero riflessivo». Si tratta, dunque, di un processo che presuppone concentrazione e capacità di argomentazione. Per tali ragioni, assume una funzione centrale della formazione dell’alunno sin dalla scuola dell’infanzia e dai primi anni della primaria.

Nelle Indicazioni-2025 si invitano i docenti a educare i bambini a sviluppare consegne specifiche, in primis l’esercizio del riassunto, ritenuto «fondamentale per apprendere a scrivere e pensare». Scrivere, si sottolinea nel testo, «è un lavoro ma, se svolto bene nel primo ciclo, costituisce il miglior viatico per l’apprendimento a scuola e nella vita».

 

Scuola che sa essere inclusiva

Al tema dell’inclusione è dedicato un paragrafo più esteso rispetto a quelli sin qui esaminati. Viene ribadito che il nostro Paese, a quasi cinquant’anni dalla legge 517 del 1977, in materia di educazione degli alunni che presentano bisogni speciali, è all’avanguardia nel mondo. Sarebbe però fuorviante abbinare il processo inclusivo esclusivamente agli studenti con disabilità, con disturbi specifici di apprendimento (DSA) e con bisogni educativi speciali (BES).

L’idea di inclusione scolastica, infatti,

 

si basa, infatti, sul riconoscimento della rilevanza della piena partecipazione alla vita scolastica da parte di tutti i soggetti, non solo portatori di una qualche forma di disabilità. Peraltro il campo di intervento e di responsabilità delle comunità scolastiche si è spostato sull'intera area dei bisogni educativi speciali (BES) comprendente: svantaggio sociale e culturale, disturbi specifici di apprendimento e/o disturbi evolutivi specifici, difficoltà derivanti dalla non conoscenza della cultura e della lingua italiana perché appartenenti a culture diverse.

 

Tale ampliamento coincide con una progettualità che coinvolge la scuola a più livelli. Il problema centrale è quello di ridurre le spinte all’esclusione, secondo direzioni volte a costruire condizioni didattiche innovative, in grado di rispondere a una molteplicità di domande educative. 

La prima è la personalizzazione che viene posta alla base di tutte le scelte educative e didattiche. Essa presuppone l’assunzione di una visione pedagogica che mira ad accompagnare in modo intenzionale l’allievo «a riconoscer-si capace, al di là della difficoltà, di sviluppare i suoi talenti».

In secondo luogo, vanno promossi contesti inclusivi.

Nelle Indicazioni si afferma che

 

nella ‘scuola sistema organizzativo’ tutto ha un peso: i modi di accogliere i bambini e i loro accompagnatori, di salutare, di abbracciare l’altro con sguardo sorridente e affabilità di modi. Hanno un peso i linguaggi del corpo, esattamente come lo hanno le parole pronunciate in aula durante una lezione. E ha un peso la matericità dell'organizzazione e dei suoi oggetti (la forma degli edifici, la disposizione dei locali, le ‘cose’ di uso quotidiano).

 

L’inclusione è realmente tale se coinvolge tutti gli attori della scuola e della più ampia comunità sociale: insegnanti, dirigenti, personale ATA, famiglie, enti del territorio, privato sociale, ecc.

Un terzo importante fattore di inclusione è rappresentato dal corretto utilizzo delle tecnologie informatiche. A questo proposito viene fatto un preciso riferimento all’Universal Design for Learning (UDL), che favorisce un apprendimento diversificato e offre esperienze di apprendimento personalizzato.

L’UDL, in generale, può essere definito come un metodo progettuale destinato a realizzare contesti inclusivi per tutte le attività umane, dall’abitare, agli oggetti d’uso, ai contesti di studio, di tempo libero, all’arredo urbano, all’organizzazione dei luoghi di cultura.

In campo più strettamente educativo, l’UDL si prefigge di fornire molteplici forme di rappresentazione delle informazioni (il che cosa dell’apprendimento), di azione riguardanti i processi di elaborazione delle conoscenze (il come) e di coinvolgimento emotivo nella significazione personale di quanto appreso (il perché dell’apprendimento).

Questo paragrafo si conclude con queste riflessioni.

 

Si tratta, insomma, di provarsi nell'azzardo di un colpo d'ali che è quello di realizzare, attraverso l’inclusione scolastica, i diritti e i doveri della persona: persona che diventa artefice, in ragione dell’esperienza scolastica e al di là della sua condizione di partenza, dell'evoluzione della propria coscienza consapevole.

 

Prima di entrare nel merito degli aspetti prettamente curricolari e disciplinari, vale a dire i campi di esperienza della scuola dell’infanzia e le discipline nel primo ciclo di istruzione, la Premessa delle Indicazioni-2025 si chiude con queste parti:

  • Finalità della scuola dell’infanzia e del primo ciclo

  • Profilo dello studente

  • L’organizzazione del curricolo.

Questi ultimi tre paragrafi saranno oggetto di un prossimo approfondimento.

7. Osservazioni critiche

Rispetto alla parte della Premessa, sinteticamente commentata in queste pagine, possiamo sviluppare alcune riflessioni critiche.

La prima. Il nuovo testo reca il seguente titolo: Nuove Indicazioni 2025. Scuola dell’infanzia e Primo ciclo di istruzione. Materiali per il dibattito pubblico. Le Indicazioni attuali del 2012 sono, invece, Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo di istruzione. Come si può notare, la differenza è notevole. Nel testo appena diffuso la parola «curricolo» è scomparsa. Soprattutto non si riporta la preposizione «per» il curricolo, che rappresenta il significato delle Indicazioni medesime.

Si vuole ritornare ai vecchi Programmi didattici con altre formule? Con il riconoscimento dell’autonomia didattica, organizzativa, di ricerca, sviluppo e sperimentazione, entrata in vigore esattamente 25 anni fa, la progettazione del curricolo è di competenza delle singole scuole. Le Indicazioni nazionali rappresentano un quadro di riferimento, prescrittivo per quanto concerne alcuni vincoli (competenze attese, obiettivi di apprendimento, profilo dello studente al termine del primo ciclo), ma la definizione del curricolo spetta al collegio dei docenti della comunità professionale delle scuole, sparse nelle numerosissime territorialità del Paese.

Rispetto ai Programmi, che conoscevano lunghe durate (quelli della scuola elementare del 1955 sono rimasti in vigore fino al 1985!) e si prefiggevano l’obiettivo di omologare l’insegnamento a livello nazionale, le Indicazioni sono dei «motori di ricerca» per le singole realtà scolastiche, sollecitate dalle Indicazioni stesse a predisporre curricoli il più possibile coerenti con le specifiche comunità.

L’attuale testo sembra, dunque, voler voltare pagina, segnando un «punto a capo», abbastanza incomprensibile. Le Indicazioni, infatti, per la loro natura, a differenza dei tradizionali Programmi didattici, devono essere aggiornate ai cambiamenti sempre più veloci che il mondo conosce, ma non necessariamente sostituite.

Siamo, dunque, in presenza di una nuova partenza, nella completa dimenticanza del percorso svolto nel decennio precedente, tracciando un’inspiegabile linea divisoria tra il lavoro svolto in questi anni e ciò che si intende sviluppare nel prossimo futuro. 

La seconda. Non c’è dubbio che la lettura di questi Materiali per il dibattito pubblico privilegi una prospettiva centrata su un’impostazione accademico-universitaria, con frequenti incidentali in latino, richiami ad autori classici, chiose a piè di pagina e dissertazioni di natura più filosofica che pedagogico-educativo. A tratti, il testo assomiglia più a un saggio che a un documento che deve orientare l’azione educativa e didattica degli insegnanti.

La stessa idea di persona, richiamata frequentemente nell’incipit del testo, pecca di genericismo, pur rifacendosi all’orientamento del personalismo cristiano che, nella prima metà del Novecento con Jacques Maritain, Emmanuel Mounier, Luigi Stefanini, ha occupato uno spazio di prim’ordine della filosofia e della pedagogia cattolica.

Invece, nelle vigenti Indicazioni-2012, nel paragrafo Centralità della persona, si afferma che «le finalità della scuola devono essere definite a partire dalla persona che apprende». Da tale sottolineatura discende una serie di prospettive legate alle dimensioni della personalità dello studente, dell’azione educativa dei docenti, dell’organizzazione della classe come gruppo e della promozione di legami cooperativi fra i suoi componenti. L’affermazione di principio è sovraordinante rispetto alle ricadute sullo stile di lavoro degli insegnanti nella gestione della classe e sul coinvolgimento degli alunni e della loro persona nelle esperienze di apprendimento.

Ma soprattutto l’idea di persona è strettamente legata alla promozione di una cittadinanza plurale, non identitaria. «La nostra scuola», si afferma nelle Indicazioni-2012, «deve formare cittadini italiani che siano allo stesso tempo cittadini dell’Europa e del mondo». 

La terza. Nel testo vengono fatti frequenti richiami ad autori e orientamenti educativi dell’attivismo pedagogico (Amos Comenio, Jean Jacques Rousseu, Maria Montessori), che hanno esaltato il protagonismo dell’alunno. Per quanto queste figure possano essere considerate giganti del moderno sapere pedagogico, esiste un filone di ricerca molto più attuale che, di fatto, sta ispirando le migliori prassi didattiche, che non viene minimamente menzionato. Penso a Jean Piaget per l’epistemologia delle discipline, a Jerome Bruner per quanto concerne la formatività del sapere, a Lev Vygostkij per la dimensione sociale dell’apprendimento, a Howard Gardner per la pluralità delle intelligenze e altri autori che si stanno occupando della didattica per competenze e delle tecnologie digitali, compresa l’intelligenza artificiale.

In ogni caso, anche i richiami agli autori classici sopra ricordati si scontrano con un’impostazione precettistica dell’insegnamento, fino a perdersi in minuzie e suggerimenti figli di una visione paternalistica alquanto soffocante.

Nell’insegnamento della storia si ritorna a evocare una didattica narrativa, negando agli alunni la possibilità di lavorare sulle fonti. Ma da decenni gli insegnanti sviluppano buone prassi didattiche lavorando con i bambini su fonti iconiche, fotografiche, materiali, ecc., a cominciare dal primo anno della primaria.

L’idea dell’insegnante come Maestro, dal latino magis, risulta soverchiante rispetto al decantato costruttivismo dell’allievo. Maestro, ha ricordato recentemente Italo Fiorin, coordinatore delle attività di formazione delle Indicazioni 2012, è sì riconducibile al «di più» di magis (magister), ma anche al «di meno» di minus (minister), cioè colui che si mette al servizio, che stabilisce un rapporto di vicinanza con gli studenti. La postura totalmente asimmetrica della figura dell’insegnante poteva andare bene in una scuola elitaria, in cui l’autorità del docente era definita per principio anche visivamente dalla cattedra e dalla predella. Oggi, l’insegnante, come in tutte le professioni, deve conquistare sul campo la propria autorevolezza e il proprio prestigio.

Come dice una bella poesia (È faticoso frequentare i bambini) di Janusz Korczak, «il difficile non è abbassarsi all’altezza dei bambini, ma innalzarsi alla loro altezza».

L’educazione consiste essenzialmente nell’educere (trarre fuori) e nell’educare (nutrire, alimentare).

È un fine gioco di asimmetria e simmetria, di magis e minus, di distanza e vicinanza, di distacco ed empatia, di unilateralità e reciprocità … In fondo, il gioco dell’educazione!

La quarta. Come ha avuto modo di sottolineare Massimo Baldacci, le future Indicazioni sostengono una visione «occidentocentrica». Nel testo, come già sottolineato, il carattere multiculturale della nostra società viene appena sfiorato, nonostante in Italia, al 31 dicembre 2024, gli stranieri fossero 5.253.658, circa il 9% della popolazione totale.

Nel sistema scolastico del Paese, nell’a.s. 2022-2023 gli alunni con cittadinanza non italiana (CNI) risultavano 914.860 con una distribuzione concentrata prevalentemente nelle regioni del Nord: la Lombardia ospita il 25,3% degli studenti stranieri presenti nel Paese, l’Emilia-Romagna il 18,4%. Inoltre, va ricordato che, in termini di provenienza, gli allievi CNI che frequentano le nostre scuole affondano le loro radici in circa 200 Paesi diversi.

Una delle dimensioni più significative riguarda il tema delle seconde (e terze) generazioni, che fanno registrare elevati indici di ritardo scolastico.

Infatti, nell’a.s. 2022/2023, il 26,4% degli studenti con cittadinanza non italiana si trovava in una condizione di ritardo, a fronte del 7,9% degli studenti italiani. Il divario si amplifica nelle scuole secondarie di secondo grado, dove il 48% degli studenti stranieri è in ritardo rispetto al 16% degli italiani.

Nelle Indicazioni-2025 questo aspetto della società e della scuola italiana viene confinato in una sorta di porto delle nebbie. Sappiamo, al contrario, che tale fenomeno, con misure e strategie differenti anche dalle nostre, viene seriamente affrontato in tutti i paesi dell’UE.

La quinta. È strettamente correlata al punto precedente. Rispetto al fenomeno dell’immigrazione, il nostro Paese, fin dal 1990 con la Circolare ministeriale n. 205, ha promosso il principio interculturale delle persone con retroterra migratorio. Le Indicazioni-2025 sembrano privilegiare un’altra direzione, proponendo un modello assimilazionista che è risultato in molti Stati, Francia in primis, decisamente fallimentare. Se la storia è solo una questione dell’Occidente, tutte le altre storie da cui provengono i cittadini stranieri risultano inferiori e, quindi, non suscettibili di alcun interesse. È sufficiente che studino la nostra per integrarsi, perché da «noi» loro hanno tutto da imparare.

L’esaltazione poi della libertà propria della tradizione culturale greco-romana pare essere indifferente rispetto alle fortissime disuguaglianze presenti sia ad Atene che a Roma: schiavitù, esclusione delle donne, uccisione dei bambini «malformati», razzismo, assoggettamento coloniale, ecc.

Questa visione eurocentrica trova un prolungamento nel capitolo relativo alla Storia, in cui si sentenzia che «solo l’Occidente conosce la Storia», affermazione che tende a svalutare di fatto tutte le civiltà sviluppatesi in aree extra occidentali.

La sesta. L’identità italiana viene contrapposta alla «cittadinanza planetaria», figlia della visione interculturale di Edgar Morin, che ha ispirato le Indicazioni-2012.

Va sottolineato, però, che la parola «identità», se rapportata alla connotazione di una specifica realtà nazionale, può trasformarsi in un’arma a doppio taglio. La storia dei nazionalismi, che ha percorso l’intero Novecento e continua a diffondersi anche oggi, dovrebbe insegnarci qualcosa.

Il confine, infatti, tra identità nazionale e nazionalismo è molto labile. Pensiamo alle terribili vicende che hanno insanguinato le repubbliche della ex-Iugoslavia, allo «spazio russo» (russky mir) di Putin e della chiesa ortodossa di Mosca e a tante realtà che, anche in Europa, vorrebbero affermare una prospettiva di questo genere.

La storia ci insegna che i nazionalismi, si pensi a quello fascista per restare in Italia, sono sempre un mix di politica, religione, interessi economici che sfociano in una logica di dominio e di sopraffazione difficilmente estirpabili.

La settima. Nel paragrafo Scrivere è…vivere. E si apprende a scuola, si afferma che

 

Nelle scuole del primo ciclo di istruzione la scrittura è fondamentale e va curata con particolare attenzione, a partire dall’apprendimento del corsivo e della calligrafia, perché agevola lo sviluppo della coordinazione oculo-manuale, allontana i bambini dagli schermi e permette di tutelare gli spazi vitali dell’esperienza concreta, ingrediente necessario, specie nella scuola primaria, per affinare pensiero e ragionamento.

 

E ancora

 

Carta e penna, lettura ad alta voce e piccole biblioteche d’aula devono convivere armoniosamente con assistenti virtuali e augmented learning.

 

Dunque, calligrafia, corsivo, lettura ad alta voce sono aspetti della scrittura che vanno attentamente curati. Si tratta, però, di modalità che vengono decisamente sconsigliate per gli alunni con disturbi specifici di apprendimento e, più in generale, con difficoltà linguistiche.

L’Associazione Italiana Dislessia ha già denunciato questo passaggio delle Indicazioni che risulta in contrasto con quanto affermato nelle Linee guida del 2011 relative al diritto allo studio degli alunni con DSA, in cui sottolinea che «sarebbe auspicabile iniziare con lo stampato maiuscolo, la formula di scrittura percettivamente più semplice».

La lettura ad alta voce poi è compresa nelle misure dispensative che, oggi, dopo 15 anni dalla legge 170/2010 gli insegnanti in genere rispettano.

Non si vede la ragione per precisazioni di questa natura che rientrano, in ogni caso, nella libertà d’insegnamento del docente e che, scritte in un documento cardine come il testo delle Indicazioni, rischiano di essere fuorvianti.

L’ottava. Non riguarda tanto il paragrafo relativo all’inclusione scolastica dei Materiali per il dibattito, quanto le parole utilizzate da un illustre esponente della Commissione, Ernesto Galli della Loggia, il quale, in un editoriale sul Corriere della Sera del 13 gennaio 2025, ha scritto che la scuola italiana è «il regno della menzogna» dove sulla carta funziona ogni cosa e alla fine «tutti sono promossi».

La realtà, invece, secondo il noto editorialista, è ben diversa. Egli, a un certo punto, si addentra in quello che definisce il «mito dell’inclusione» utilizzando un linguaggio a dir poco irritante. Galli della Loggia sostiene che, in ossequio a tale mito,

 

nelle aule italiane, caso unico al mondo, convivono regolarmente, accanto agli allievi cosiddetti normali, ragazzi disabili anche gravi con il loro insegnante personale di sostegno (perlopiù digiuni di ogni nozione circa la loro disabilità), poi ragazzi con Bes (Bisogni educativi speciali: dislessici, disgrafici, oggi cresciuti a vista d’occhio anche per insistenza delle famiglie) […] e infine, sempre più numerosi, ragazzi stranieri incapaci di spiccicare una parola di italiano.

 

Si delinea una rappresentazione disastrosa del nostro sistema scolastico, che Galli della Loggia sembra implicitamente attribuire alla presenza delle fasce fragili della popolazione giovanile, per le quali, secondo l’autore (anche se non detto esplicitamente), dovrebbero essere individuate soluzioni alternative all’attuale modello inclusivo.

Il noto editorialista utilizza, peraltro, una formula comunicativa sentenziante, senza affrontare nessuno dei problemi posti, ad esempio, dai bambini stranieri nati in Italia, che sono la stragrande maggioranza, e senza accennare minimamente alle difficoltà che questi bambini, quando raggiungono l’adolescenza, incontrano nel processo di costruzione dell’identità personale.

La scuola è un luogo molto complesso. Ridurlo semplicemente a ciò che non funziona è irriconoscente per le tantissime prassi positive che vengono attuate, in tutte le realtà del paese, da docenti e dirigenti preparati, motivati e soprattutto apprezzati dalle persone delle comunità in cui operano.