La legislazione dell’Unione Europea

La legislazione dell’Unione Europea

1. Il quadro di riferimento

L’Unione Europea (UE) nasce ufficialmente con il Trattato di Maastricht, firmato nella cittadina olandese il 7 febbraio 1992 ed entrato in vigore il 1° novembre del 1993. In ordine di importanza, dopo il Trattato dell’Unione Europea (TUE), segue il Trattato di Lisbona, iniziato come progetto costituzionale alla fine del 2001 con la presidenza dell’UE di Romano Prodi ed entrato in vigore il 1° dicembre 2009. Quello di Lisbona viene rinominato Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE), mentre la parola «Comunità» viene sostituita, in tutto il testo, dal termine «Unione».

Il Trattato di Lisbona conferisce all’UE una personalità giuridica propria e, in quanto tale, ha un ordinamento a sé stante distinto da quello internazionale. Inoltre, il diritto UE produce un effetto diretto o indiretto sui provvedimenti legislativi degli Stati membri ed entra a far parte del sistema giuridico di ciascun paese.

Anche in ambito europeo le fonti del diritto ubbidiscono a una struttura gerarchica: esiste, cioè, un ordine verticale di atti giuridici in base al quale quelli di livello più basso sono soggetti ai provvedimenti di un ordine superiore.

Il vertice della gerarchia delle norme UE è ordinato dal diritto primario, riconducibile:

  • ai trattati costitutivi dell’Unione (il trattato sull’Unione europea e trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE)) e i loro protocolli);

  • alla Carta dei diritti fondamentali (articolo 6 del trattato sull’Unione europea);

  • ai principi generali stabiliti dalla Corte di giustizia dell’Unione europea.

Seguono gli accordi internazionali con paesi terzi o con organizzazioni internazionali. Tali accordi sono separati dal diritto primario e formano una categoria unica.

A un livello inferiore, le norme sono regolate dal diritto secondario, che comprende tutti gli atti legislativi e non adottati dalle istituzioni dell’Unione che permettono a essa di esercitare i suoi poteri (regolamenti, direttive, decisioni, raccomandazioni, ecc.).

In sintesi, l’ordinamento giuridico dell’UE si articola in norme di:

  • diritto primario (trattati e principi generali stabiliti dalla Corte di Giustizia dell’UE);

  • diritto secondariooderivato (conforme agli atti del diritto primario).

L'Unione europea ha istituito un sistema completo di atti giuridici e di procedimenti, affidando alla Corte di Giustizia dell’UE il controllo della legittimità di tali atti. Come già sottolineato, i trattati e i principi generali si trovano al vertice della gerarchia delle norme e sono considerati diritto primario.

A seguito dell’entrata in vigore del trattato di Lisbona il 1° dicembre 2009, lo stesso valore è riconosciuto alla Carta dei diritti fondamentali, che sancisce i diritti individuali, civili, politici, economici e sociali delle cittadine e dei cittadini dell’Unione europea.

Nel 1999, il Consiglio europeo ha ritenuto che fosse opportuno riunire in una Carta i diritti fondamentali riconosciuti a livello dell’Unione, per dare loro maggiore visibilità. La Carta è stata proclamata ufficialmente a Nizza nel dicembre 2000 dal Parlamento europeo, dal Consiglio dellìUnione europea e dalla Commissione. È diventata giuridicamente vincolante con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona nel dicembre 2009, e ora ha lo stesso effetto giuridico dei trattati dell’Unione.

Comprende un preambolo introduttivo e 54 articoli, suddivisi in sette capi: dignità; libertà; uguaglianza; solidarietà; cittadinanza; giustizia. L’ultimo capo, il settimo, si occupa di disposizioni generali.

La Corte di giustizia ha ribadito, sin dalla sua istituzione, che il diritto dell’UE ha il primato assoluto su quello nazionale degli Stati membri, e che ciò deve essere tenuto in considerazione dai tribunali nazionali nelle loro decisioni.

2. Il diritto primario

Il diritto dell’Unione europea (diritto comunitario) è l’insieme delle norme giuridiche relative all’organizzazione delle istituzioni dell’Unione e ai rapporti che essa intrattiene con gli Stati membri. L’ordinamento giuridico dell’UE è parte integrante della realtà politica e sociale dei Paesi che ne fanno parte. Sulla base dei trattati e dei provvedimenti che l’Unione ogni anno approva, vengono adottate molte decisioni, che concorrono in modo determinante a formare il contesto in cui si collocano gli Stati membri e i loro cittadini. 

Il Trattato di Maastricht, firmato il 7 dicembre 1992, o Trattato sull’Unione Europea (TUE) e il Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE o Trattato di Lisbona) vengono indicati come «diritto costituzionale europeo» e hanno identico valore giuridico.

Gli strumenti di cui le istituzioni europee possono avvalersi sono enumerati nell’art. 288 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione europea. Si tratta dei cosiddetti «atti tipici», in quanto predeterminati dal Trattato stesso.

In ambito scolastico, come in altri settori, risulta sempre più urgente e opportuna una buona conoscenza del quadro giuridico dell’UE. Infatti, le scelte dei singoli paesi membri dell’Unione dipendono anche dagli orientamenti impartiti dagli organismi che fanno capo a Bruxelles e Strasburgo.

Ai sensi dell’art. 296, 2 c. del TFUE, gli atti giuridici sono motivati e fanno riferimento alle proposte, iniziative, raccomandazioni, richieste e pareri previsti dai trattati. La motivazione è una formalità sostanziale dell’atto, pena l’invalidità dell’atto stesso. Gli atti legislativi sono pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea (GUUE) ed entrano in vigore alla data da essi stabilita.

Il principio gerarchico delle fonti prevede che:

  • le fonti di grado superiore non possono essere modificate da quelle di livello inferiore;

  • le fonti di grado inferiore devono rispettare quanto stabilito da quelle di grado superiore.

Nel caso di fonti di pari grado, prevale quella approvata nel tempo più recente.

Il diritto primario deriva principalmente dai trattati istitutivi, in primis il Trattato di Maastricht e il Trattato di Lisbona. In essi viene definita la ripartizione delle competenze tra l’Unione e gli Stati membri.

Il diritto primario (detto anche fonte primaria) comprende:

  • i trattati istitutivi;

  • i trattati modificativi;

  • i trattati di adesione;

  • protocolli allegati a tali trattati;

  • trattati complementari, che apportano modifiche settoriali ai trattati istitutivi;

  • la Carta dei diritti fondamentali.

I Trattati possono essere modificati conformemente a una procedura di revisione ordinaria o semplificata.

Nel primo caso, il governo di qualsiasi Stato membro, il Parlamento europeo o la Commissione possono sottoporre al Consiglio progetti intesi a modificare i trattati con la finalità di accrescere o di ridurre le competenze attribuite all’UE nei trattati medesimi.

La procedura di revisione semplificata prevede che il governo di uno Stato membro, il Parlamento europeo o la Commissione possano sottoporre al Consiglio europeo progetti intesi a modificare in tutto o in parte le disposizioni della parte terza del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE) relative alle politiche e azioni interne dell'Unione.

3. Il diritto secondario o derivato

Per realizzare gli obiettivi stabiliti nei trattati l’Unione europea adotta diversi tipi di atti giuridici appartenenti al diritto secondario: alcuni sono vincolanti, altri no. Si tratta di atti tipici previsti dall’art. 288 del Trattato di Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE). Alcuni si applicano in tutti i Paesi dell’UE, altri solo in alcuni di questi.

Gli strumenti vincolanti più frequentemente utilizzati ai fini dell’assolvimento dei compiti dei diversi organismi sopra richiamati sono i seguenti: 

  • le Direttive, provvedimenti legislativi che stabiliscono uno o più obiettivi a cui lo Stato cui sono rivolte è tenuto a sottostare. Spetta tuttavia a ogni singola realtà definire le disposizioni di recepimento, anche se la Direttiva deve essere inserita nell’ordinamento giuridico nazionale. La Direttiva vincola lo Stato membro per quanto riguarda il risultato da raggiungere; è compito però del singolo Stato decidere in merito alla forma e ai mezzi per rendere efficace il contenuto della direttiva stessa. Con le direttive cosiddette «dettagliate» o «particolareggiate» il contenuto delle stesse è molto più vincolante per lo Stato che ha quindi minor libertà di adattamento sul proprio territorio del contenuto della direttiva stessa;

  • i Regolamenti, atti legislativi vincolanti, che devono essere applicati nell’ambito dell’intera Unione europea da ciascun Stato membro. Il regolamento ha portata generale, è obbligatorio in tutti i suoi elementi ed è direttamente applicabile negli Stati membri: ha cioè efficacia diretta senza che vi sia necessità che lo Stato lo recepisca nel proprio ordinamento con apposito atto normativo. Dunque, le norme contenute in un regolamento entrano in vigore e cominciano a produrre direttamente i loro effetti giuridici senza bisogno di misure di recepimento da parte degli Stati membri nel loro ordinamento giuridico interno (cosiddette norme «self-executing»);

  • le Decisioni, atti vincolanti per i destinatari ai quali il dispositivo è rivolto. Sono obbligatorie in tutti i loro elementi. Gli Stati membri sono tenuti ad adeguarsi a esse, ma non hanno libertà di scegliere, come nel caso delle direttive, forme e mezzi di recezione, essendo già tutto ciò contemplato nelle decisioni medesime. Se la decisione si rivolge a singoli individui, è direttamente efficace al pari di un atto amministrativo (ad esempio, se la Commissione infligge con una decisione un’ammenda a un’impresa per violazione delle regole sulla concorrenza, questa è direttamente efficace, salvo il diritto dell’impresa al ricorso in via giurisdizionale al Tribunale UE).

4. Gli strumenti non vincolanti

Le istituzioni comunitarie, oltre agli atti dotati di efficacia vincolante, emanano poi ulteriori atti normativi che, pur non essendo vincolanti, possono avere importanti ricadute sulle politiche dei Paesi membri. I due strumenti giuridici di questa tipologia giuridica più frequentemente utilizzati sono le Raccomandazioni e i Pareri.

  • Le Raccomandazioni sono provvedimenti non vincolanti con i quali il Parlamento e il Consiglio invitano i Paesi membri a seguire determinati indirizzi. Sebbene non abbiano conseguenze legali, possono offrire indicazioni sull’interpretazione e sul contenuto del diritto dell’UE. Hanno il preciso scopo di obbligare il destinatario a tenere un determinato comportamento considerato più rispondente alle esigenze comuni.

    Il parere tende a fissare il punto di vista dell’istituzione che lo emette in ordine a una specifica questione.

    È il caso della Raccomandazione del 22 maggio 2018, relativa alle otto competenze chiave per l’apprendimento permanente. Essendo l’istruzione una materia di competenza non esclusiva delle politiche dell’UE, il Parlamento e il Consiglio emanano spesso raccomandazioni che il nostro Paese tiene in particolare evidenza. La Commissione europea formula raccomandazioni su argomenti di ampia portata, compresi quelli relativi alla dimensione europea dell’istruzione: competenze chiave per l’apprendimento permanente, qualifiche professionali, educazione nella fascia 0-6 anni, integrazione degli alunni con disabilità, ecc. Anche il Parlamento europeo, il Consiglio e la Banca centrale europea emettono raccomandazioni.

  • I Pareri sono dispositivi che consentono alle istituzioni comunitarie di manifestare orientamenti senza imporre obblighi per i destinatari; il parere tende a fissare il punto di vista dell’istituzione che lo emette in ordine a una specifica questione. 

In sintesi, le Raccomandazioni e i Pareri sono atti non vincolanti che possono essere adottati da tutte le istituzioni comunitarie, anche se un ruolo preminente in materia è attribuito alla Commissione. Le due fonti non sono facilmente distinguibili tra loro. In linea generale, mentre le Raccomandazioni sono normalmente dirette agli Stati membri e contengono l’invito a conformarsi a un certo comportamento, i Pareri costituiscono l’atto con cui le stesse istituzioni comunitarie fanno conoscere il loro punto di vista su di una determinata materia.

Le istituzioni dell’Unione emanano inoltre:

  • le Strategie, programmi a lungo termine, come la Strategia Europa 2020 nella quale si afferma che l’Europa deve promuovere una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva;

  • le Comunicazioni: la necessità di una comunicazione efficace ha la sua base giuridica nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, che assicura a tutti i cittadini di essere informati circa le problematiche relative alle scelte dell’Unione. La Carta, come già sottolineato, è stata resa vincolante dal Trattato di Lisbona e ha lo stesso valore giuridico dei trattati. L’UE ha la responsabilità di comunicare le proprie decisioni e attività ai cittadini dell'Unione e alle altre parti interessate.

5. Il rapporto tra l’ordinamento europeo e quello degli Stati membri

La dimensione costituzionale dei rapporti tra ordinamento europeo e quello degli Stati nazionali è riconducibile all’affermazione del principio della primauté (primato) del diritto comunitario. Il principio del primato (definito anche «preminenza» o «supremazia») del diritto dell’Unione si basa sull’idea che, ove insorga un conflitto tra un aspetto del diritto dell’Unione e un aspetto del diritto di uno Stato membro (diritto nazionale), prevale il diritto dell’Unione. Se così non fosse, gli Stati membri potrebbero semplicemente consentire al loro diritto nazionale di avere la precedenza sul diritto primario o derivato dell’Unione e il perseguimento delle politiche dell’Unione diverrebbe impraticabile.

Nei decenni la supremazia del diritto comunitario formulata dalla Corte di giustizia europea, fin dalla sua istituzione nel 1952, si è andata via via rafforzando, anche se tale cammino è risultato tutt’altro che agevole.

Infatti, benché i Trattati fondativi non avessero esplicitamente affrontato tale problematica, la Corte di giustizia europea non ebbe esitazioni a dichiarare la supremazia del diritto comunitario su tutto il diritto nazionale, compreso quello di rango costituzionale.

A questo proposito si precisa che la normativa comunitaria entra a far parte del nostro ordinamento sulla base di quanto affermato nell’art. 11 della Costituzione, nel quale, dopo l’affermazione che «l’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli», si sottolinea quanto segue:

 

l’Italia consente, in condizione di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.

 

Lo stesso principio è ribadito anche nell’art. 117 della Costituzione (che risale al 2001), nel quale si afferma:

 

la potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali.

 

Dunque, la natura sovraordinante del diritto europeo esige che nessuno Stato membro possa addurre ragioni di ordine interno, per giustificare il proprio inadempimento a un obbligo comunitario.

Questo principio suscitò inizialmente non poche reazioni da parte delle Corti nazionali, compresa la nostra Corte costituzionale, il massimo organo di garanzia costituzionale, prevista dalla Carta del 1948, ma attuata solo nel 1956 per una serie di dubbi da parte di diversi membri dell’Assemblea costituente.

In ogni caso, le limitazioni di sovranità consentite dall’art. 11 della Costituzione non possono comportare per gli organi comunitari il potere di violare «i princípi fondamentali dell’assetto costituzionale dello Stato». 

Per effetto dell’adesione del nostro Paese alla Comunità Europea prima e all’Unione Europea poi, il sistema giuridico italiano si compone quindi di norme derivanti da fonti del diritto italiano e di disposizioni derivanti da fonti del diritto comunitario (in special modo gli atti vincolanti, cioè i regolamenti, le direttive e le decisioni).
Sul punto è più volte intervenuta la nostra Corte Costituzionale, la quale ha affermato la prevalenza delle disposizioni di diritto comunitario su quelle incompatibili di diritto nazionale, e la necessaria disapplicazione da parte del giudice della fonte interna contrastante.

Il primato del diritto dell’UE sul diritto degli Stati membri è stato ribadito anche dalla sentenza del Giudice europeo dell’11 gennaio 2024 su una questione posta dalla Corte di Budapest, in cui si riafferma che tutte le istituzioni degli Stati membri sono tenute a dare pieno effetto alle norme dell’Unione.

Ne discende che, in forza del principio del primato del diritto dell’UE, il fatto che uno Stato membro invochi disposizioni di diritto nazionale, quand’anche di rango costituzionale, non può pregiudicare l’unità e l’efficacia del diritto dell’Unione medesima.

In ogni caso, va sottolineato che, nel rapporto tra norme europee e norme nazionali, soprattutto con riferimento alle Costituzioni degli Stati membri, nella Carta di Nizza (2000), che declina e tutela i diritti fondamentali dei cittadini appartenenti all’Unione europea, si afferma che

 

nessuna disposizione della presente Carta deve essere interpretata come limitativa o lesiva dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali riconosciuti, nel rispettivo ambito di applicazione, dal diritto dell'Unione, dal diritto internazionale, dalle convenzioni internazionali delle quali l'Unione o tutti gli Stati membri sono parti.

 

La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea costituisce uno strumento moderno e completo del diritto dell'Unione che promuove i diritti e le libertà delle persone di fronte ai cambiamenti nella società, al progresso sociale e agli sviluppi scientifici e tecnologici.