Un ispettore pignolo potrebbe osservare che l’articolo al quale vi accingete a dare uno sguardo è fuorilegge, e non avrebbe tutti i torti. Infatti, nella direttiva in vigore sull’Educazione Civica (in seguito: EC) non si fa menzione di storia. Non se ne parla nelle Linee Guida, se non di sfuggita, e nessun parlamentare ha fatto cenno all’importanza del legame fra storia ed EC nel dibattito in occasione dell’approvazione della legge numero 92 del 20 agosto 2019 (come preciserebbe il nostro pignolo). In effetti, quella legge ha sancito la rottura di un matrimonio al quale eravamo assuefatti e ha espulso dalle nostre scuole quella espressione che faceva bella figura nelle pagelle di un tempo: Storia ed Educazione civica. Ma se la riprendo qui è perché, nel dibattito parlamentare, molti deputati hanno dichiarato di ispirarsi alla prima legge istitutiva dell’EC, promossa da Aldo Moro nel 1958. Un proposito così ammirevole — sia per la statura di quell’uomo politico sia, nel caso specifico, per la lungimiranza della sua legge — che difficilmente troverebbe una qualche opposizione nel nostro ispettore. Bene: in quell’antica proposta la storia c’era, e aveva un ruolo centrale nella formazione delle virtù civiche. Moro, allora ministro della Pubblica Istruzione, sostiene che è tempo di introdurre l’EC (o di reintrodurla, visto che la vecchia era quella del regime, apparentata a materie del tipo «mistica fascista»). Nel breve documento istitutivo, che troverete facilmente su internet, descrive questa disciplina. Parafrasando il suo scritto (lo stile pedagogico del tempo non è dei più gradevoli), possiamo dire che l’EC funziona su tre livelli: quello dell’istituzione, ossia della macchina preposta alla formazione, che deve insegnare la democrazia con l’esempio. In pratica: essendo democratica. Quello di tutte le discipline, ognuna delle quali deve mettere in rilievo il suo versante sociale: quindi che uso si fa di quel particolare sapere nella società, quali sono gli effetti e i problemi che produce (e così via). E, infine, quello della storia, una materia che — così si esprime Moro — è «circoncentrica» con l’EC. Ed è chiaro, tutto ciò di cui può parlare l’EC ha origine nella storia: diritti, norme, istituzioni, costituzioni, consuetudini, problemi, ecc. L’enciclopedia dell’EC è stata elaborata da umani e, quindi, come tutte le cose di questo mondo, dipende da interessi, mediazioni, lotte. Non è un testo sacro, concesso da Dio. Ma proprio qui sta la differenza pedagogica fra un’educazione civica storica e una che fa a meno di questa disciplina. Infatti, se la nostra enciclopedia è elaborata dagli uomini, allora la formazione consiste nel comprenderne il contenuto, valutarlo, discutere se sia giusto, sbagliato, modificabile. Capire — ad esempio — che i diritti vanno difesi, se ci sembra che siano validi e vadano conservati. Se, al contrario, la separiamo dalla storia, diventerà «la bibbia laica»: un testo di norme che il nostro cittadino deve limitarsi a rispettare (cito qui Mariastella Gelmini). Aldo Moro, però, va ancora oltre. Scrive che l’EC deve essere messa in rapporto «in particolar modo con la storia contemporanea». Facciamo attenzione alle date. Siamo nel 1958. Da quindici anni il fascismo è caduto. Da tredici è finita la guerra. Dodici anni prima è stata proclamata la Repubblica e la Costituzione ha appena dieci anni. Il legislatore vuole dirci che l’enciclopedia dell’EC italiana ha origini ben precise. Il suo sapere e le norme che dispone nascono in quel crogiolo di idee e di speranze che, nel Dopoguerra, vedono la nascita di uno Stato nuovo. Non servono a formare un cittadino qualsiasi, ma il cittadino di quel particolare Stato sorto dalle ceneri del vecchio, monarchico e fascista. E costruire l’EC su questo presupposto significa che il suo scopo è quello di riconsiderare queste origini della nostra comunità e ridiscuterle di volta in volta, di generazione in generazione. Parafrasando il celebre detto di Ernest Renan, di sottoporre al plebiscito quotidiano le ragioni per cui stiamo insieme in questa parte del mondo.
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