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Fare Didattica a Distanza alla scuola primaria è un’impresa

Le riflessioni di Maria Enrica Bianchi e Cristina Fabbri, docenti e formatrici AID, su cambiamenti e difficoltà incontrati dagli insegnanti della scuola primaria con la didattica a distanza

La scelta di adottare la didattica a distanza, da quando si sono sospese le attività in presenza tradizionali e con i docenti ormai a casa, è stata una scelta obbligata per molte istituzioni scolastiche della primaria e in molti casi, forse, ci si è lanciati a ragionare sugli strumenti che si potevano mettere in campo e si è dato meno spazio a una progettazione ordinata e condivisa di quali potevano essere le reali risorse professionali e progettuali per dare a ogni singola comunità educante una rotta sicura da seguire. Insomma c’è stata molto buona volontà, non sempre canalizzata e orientata in modo corretto.

Docenti, studenti, alunni e dirigenti scolastici si sono trovati nella condizione di dover necessariamente imparare ad utilizzare strumenti nuovi, con modalità semisconosciute (se tralasciamo le pratiche di flipped classroom non così diffuse nella scuola primaria) in una relazione priva di contatto e di feedback immediati così come si era abituati. Questo primo momento di “acquisizione” non è stato supportato da una vera progettazione che ha condotto, in alcuni casi, al proliferarsi di richieste di chiarimenti e di rinnovamenti che hanno contribuito alla creazione di confusione e disordine.

«La scuola dei miei figli, nonostante la buona volontà delle maestre, ci ha travolti in un caos in cui noi genitori non ci riuscivamo ad orientare: più piattaforme, in certe classi videolezioni ad oltranza, tanto che ormai avevamo la maestra in salotto e in cucina nelle ore più improbabili, in altre silenzio assoluto; tant’è che ci chiedevamo se le maestre stavano bene. Una sensazione di confusione che ha anche travolto i bambini costretti ad affrontare argomenti mai spiegati e complessi e noi genitori che giorno dopo giorno ci rendevamo conto che non li sapevamo aiutare perché non siamo capaci di insegnare, non è il nostro mestiere. Per fortuna dopo una pausa di riflessione in cui gli insegnanti con la dirigente hanno preso in mano la situazione e hanno dedicato energie e risorse a riprogettare, la situazione è molto migliorata» ci riporta una mamma.

Il racconto della mamma descrive un aspetto da non sottovalutare: il fatto che non ci siano orari e luoghi precisi, stabiliti istituzionalmente, come avveniva normalmente non può condurre ad una continua sollecitazione alle famiglie senza organizzazione.
Le istituzioni scolastiche, nelle loro autonomia, possono scegliere la modalità organizzativa che più ritengono opportuna: si può decidere di effettuare un’ora di video-lezione al giorno, 4 in una settimana, non avere momenti di lezione live, inviare le attività da svolgere giorno per giorno o fornire una programmazione settimanale a inizio settimana.

Non ci sono scelte giuste o sbagliate a priori, ma modalità migliori per quella situazione scolastica che risiede in un determinato contesto socio-culturale, ma anche fisico-ambientale.
Al termine dell’intervento la mamma afferma: «Gli insegnanti con la dirigente hanno preso in mano la situazione e hanno dedicato energie e risorse a riprogettare; la situazione è molto migliorata».
Questo è il punto fondamentale: analizzare il proprio contesto e prendere decisioni sulla base delle quali viene fatta una progettazione, il più precisa possibile.

Conseguentemente non ci può più essere il dubbio se insegnare o meno con la didattica a distanza, ma solo il diritto dei docenti di scegliere le modalità con cui esercitarla.

La scuola non si può orientare per una DAD soggettiva dei singoli docenti; infatti la normativa (DPCM del 4 marzo 2020) ci ricorda con forza che “i dirigenti scolastici attivano, per tutta la durata della sospensione delle attività didattiche nelle scuole, modalità di didattica a distanza (…)”. Non ci sono quindi dubbi che la scuola, con le corrette modalità, deve attivarsi deve rispondere alle esigenze degli allievi di apprendere e formarsi anche in un periodo così triste e inusuale per la nostra società abituata a crescere e istruirsi in presenza.
I docenti si sono trovati anche a leggere la paura di molti genitori nel non riuscire a restare al passo con i ritmi dettati dai docenti, la difficoltà di molte famiglie con più figli che devono collegarsi, magari nelle stesse ore e in diverse piattaforme, dovendo scegliere chi privilegiare, la preoccupazione per le attività scolastiche dei ragazzi presenti in casa che si accavallano con lo smart-working del genitore che deve continuare a lavorare da casa o le difficoltà delle famiglie che spesso non hanno risorse tecnologiche sufficienti ed efficienti. Inoltre le esigenze della scuola e della didattica si sono scontrate con fatica con la povertà e il disagio sociale.

Mai come in questo momento la differenza dei risultati ottenuti dipende dalla collaborazione scuola-famiglia, non solo dalle azioni definite nel “Patto di corresponsabilità educativa”, ma qualcosa che va oltre. Mai come in questo momento la scuola deve ascoltare le esigenze delle famiglie e, in base a queste, deve progettare.

Buona prassi, ad esempio, prima di prendere decisioni organizzative, potrebbe esser quella di chiedere il parere dei genitori, attraverso domande dirette, di facile comprensione, che facciano riferimento ad aspetti concreti e reali, mediante applicazioni in grado di raccogliere i dati semplicemente collegandosi ad un link e compilando, anche attraverso il cellulare, i campi del modulo. La scuola, prima di attivarsi, deve essere certa che questo periodo di allontanamento non crei maggiori disuguaglianze sociali di quelle già presenti, deve esser certa di arrivare a tutti i propri studenti, nessuno escluso.

Infatti la prima constatazione che ha messo in grande difficoltà i docenti è stato proprio il rendersi conto che la scuola primaria sarebbe stata la prima a “perdere” tanti allievi, che in presenza era possibile seguire, perché per cause di forza maggiore “disconnessi”.
Infatti la scuola a distanza rischia di essere più discriminatoria: nel senso che favorisce chi dispone di attrezzature migliori, di un accesso a Internet veloce e di migliori e maggiori aiuti.

Sicuramente ci siamo trovati a dover mettere da parte pratiche didattiche professionali consolidate, che usavano terminologie e linguaggi condivisi e conosciuti, e a dover improvvisare, a volte in solitudine, un metodo di lavoro nuovo. Mentre sarebbe stato importante che ogni scuola per prima cosa trovasse una base comune di principi didattici e metodologici in cui recuperando competenze e conoscenze fosse possibile inserire nuovi strumenti tecnologici e informatici.
Infatti in molti casi si sono utilizzati materiali tradizionali, in fretta e furia riadattati, ma certo non ideati per forme di didattica a distanza. Certamente questa esperienza porterà a mettere a punto strumenti nuovi, non solo tecnologici, che possano essere in sintonia con metodologie innovative.
Era quindi indispensabile che ciascuna istituzione scolastica pianificasse le azioni di didattica a distanza che voleva intraprendere, ma ad oggi non tutte le scuole hanno affrontato in maniera coordinata e strutturata il problema.

«ll mio problema non è stato offrire lezioni a distanza, nella mia scuola usavamo già la didattica capovolta ed eravamo molto avanti nelle proposte tecnologiche, tant’è che in tre giorni, grazie anche al lavoro degli animatori digitali, eravamo pronti, ma io mi sentivo a disagio perché non capivo quanto i bambini mi seguissero, se fossi riuscita a coinvolgerli e mi mancava la relazione fisica, solo pian piano sono arrivata a una migliore interazione e a ritrovare un rapporto “vero” con i ragazzi ci racconta una docente».

E purtroppo la scuola primaria è sicuramente la più penalizzata dalla didattica a distanza. Infatti la metodologia in questo ordine di scuola è centrata sulla relazione interpersonale diretta e spesso non può essere surrogata da una didattica online, fra l’altro, in alcuni casi, improvvisata. Ma la scuola primaria ha una grande risorsa: la possibilità di mettere in campo dei tempi più lunghi e distesi che in questa pausa forzata possono in qualche modo essere recuperati. Un altro ambizioso obiettivo sarà quello di ricostruire le relazioni sociali e interpersonali perse come reale mezzo, con tutte le forme di didattica, che implementano l’apprendimento.
La riscoperta dell’importanza della scuola, come istituzione educante e forma di aggregazione sociale è un dato importante: sarebbe importante utilizzare questo tempo per studiare e approfondire la forza che hanno le modalità diverse di apprendimento utilizzate ora, ma all’interno di luoghi fisici sostenuti da relazioni interpersonali immediate e dirette.

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