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Search-ME - Erickson 1 DSA
Paola Ruffini, presidente della sezione dell’Associazione Italiana Dislessia di Teramo, racconta com’è la scuola a distanza dal suo punto di vista di mamma di un ragazzo con DSA
Agrodolce. È questo il sapore che caratterizza le nostre giornate di quarantena. Sono successe cose straordinarie, ma la realtà resta comunque molto faticosa e sempre più spesso avvertiamo il bisogno di tornare al passato e alla normalità. Sperimentiamo insomma un momento pieno di contraddizioni, dove non mancano gli alti e bassi. La vita è un miscuglio di ingredienti che impregnano i nostri rapporti domestici, quotidiani, scolastici e che immancabilmente convivono. Non è facile per nessuno! Alle prese con una esistenza cambiata troppo velocemente che si vorrebbe con un colpo d’ala rimuovere. Il lavoro si ferma, le relazioni strette si allontanano, la scuola si avvicina alle famiglie con nuove modalità, è infatti a distanza. Sì, la scuola! Da tanto sognavi di avere una scuola al passo con i tempi, che privilegiasse la tecnologica e la creatività! Una scuola che riuscisse ad ispirare una crescente passione per l’apprendimento. Lo studio diventa infatti una specie di importante mezzo salvifico per il momento tanto irreale che stiamo vivendo! Ma non è banale, né semplice con Giorgio, un figlio dislessico, disgrafico, disortografico e discalculico. Però assisti a un piccolo miracolo: dopo quattro giorni dall’interruzione ufficiale, la scuola di tuo figlio si attiva, si impegna, riparte, è vicina! Ci sentiamo fortunati, per certi aspetti anche privilegiati. Si realizza quello che hai sempre auspicato per lui: l’utilizzo della tecnologia, verso cui l’hai spinto da quando era piccolo per superare le sue difficoltà; la presenza attiva del genitore, la collaborazione scuola-famiglia. Non è forse questa la rete educativa che tanto sostenevi? La famosa corresponsabilità che pattuiscono i genitori e insegnanti a inizio anno? I primi tempi con la Didattica a Distanza: l’impegno e l’entusiasmo Giorgio , gli insegnanti si mettono in discussione e con loro, noi genitori. Ora si impara tutti, tutti insieme! Si studiano cose nuove, i docenti, gli alunni, le famiglie. Oltre ai contenuti si acquisiscono competenze, per alcuni è tempo di perfezionarle, per altri di utilizzarle. E ci si comprende, tutti! O quasi. Nella scuola, come si sa, ci sono sempre anche mediocri insegnanti e cattivi allievi. Comunque ciascuno fa quel che può, alcuni danno il massimo. Alle prese con una modalità scolastica nuova. I tempi si dilatano, i ragazzi appaiono euforici, gli insegnanti soddisfatti per il lavoro svolto, i genitori si sentono parte attiva nella scuola. E osservi lui, tuo figlio, felice di assistere ad una lezione live, di rivedere i compagni. Lo guardi, è attento a seguire le lezioni per imparare a caricare compiti, scansionare documenti e utilizzare il calendario digitale. E lo osservi ancora mentre ascolta l’audio della sua prof che legge un passo dell’Iliade e che da questo prende spunto per assegnare uno storytelling. Giorgio ha affrontato i suoi timori e li ha scritti, riuscendo a trovare soluzioni creative per superarli. Con sguardo premuroso e discreto lo osservi mentre segue lezioni, tutorial, video e ascolta audio preparati dai suoi insegnanti, realizza lavoretti geometrici per la festa del papà, prepara le slides per un ricerca di gruppo. Lo accompagni inevitabilmente nell’aiuto compiti e nell’utilizzo delle nuove tecnologie didattiche. All’inizio il tuo sostegno è assiduo, ora con gioia lo vedi camminare quasi da solo. Ti adoperi, trovi il programma compatibile con la piattaforma utilizzata dalla scuola per supportare la sua disgrafia e disortografia. Trovi il digitalizzatore vocale! La prof più tecnologica ti suggerisce il sintetizzatore vocale incorporato. Tutti impegnati e lui impara. Tutti allievi che assolvono al meglio il loro compito! E poi c’è il prof di sostegno che attiva un corso per confrontarsi con i ragazzi sulle difficoltà di questa didattica distante che vuole però, essere più vicina. Lo fa titolandolo “Spazio di incontro, condivisione ed altre frivolezze”. La Didattica a Distanza dopo il primo mese: la stanchezza e la privazione di tempo libero È trascorso un mese, siamo tutti stanchi però, Giorgio per primo. E ripensi alle frivolezze del prof, alla necessità estrema di una pausa che noi e Giorgio rivendichiamo ai professori che vorrebbero andare avanti con i compiti anche durante le vacanze. Mio marito, mio figlio ed io invece decidiamo che per Pasqua ci si ferma. Si respira. Riassaporiamo appieno la genitorialità che in questi giorni è stata messa da parte e che tanto ci è mancata. Ci si accorge che il tempo di dare a Giorgio altri stimoli oltre alla scuola si è interrotto. Anche a casa abbiamo dovuto reinventarci, riorganizzarci con la nuova quotidianità. E ricordiamo i tempi in cui la sua tutor lo accompagnava nei compiti con risate e confidenze e ci permetteva di fare la mamma ed il papà, di giocare con lui, di coccolarlo, di fargli scoprire le cose che gli piacciono. Nei giorni di quarantena abbiamo avuto poco tempo per questo! E dopo la pausa pasquale comprendi che è giunto il momento di entrare nella “Fase due” della scuola e della famiglia. Se fino ad ora questa situazione eccezionale e non prevista ci ha resi tutti troppo impegnati, disponibili alle esigenze di una scuola che cercava di andare avanti, ci ha coinvolto senza porre limiti….. Adesso vorremmo tornare a una sorta di normalità seppure da reclusi. Non vorremmo più le videolezioni di pomeriggio. Ci piacerebbe che la scuola tornasse ad essere confinata ai suoi tempi naturali. Ci rendiamo conto delle difficoltà che impongono di estendere l’orario: gli insegnanti impegnati in più classi e le famiglie che hanno più figli ed un solo Pc. Però siamo stanchi, non ne possiamo più. Noi e Giorgio, il pomeriggio vorremmo fare altro: vedere un museo virtuale, fare ginnastica e ridere insieme, ascoltare un audio libro, giocare con il cane, cucinare… Intanto ho deciso di non assistere più alle lezioni live delle materie in cui ha più difficoltà. Alcuni insegnanti dedicano intere lezioni a correggere i compiti, facendo leggere gli esercizi assegnati. Mi accorgo che Giorgio si sente escluso ed annoiato e come lui altri ragazzi. E allora ti vien voglia di chiamare l’insegnante per ricordare che la scuola è anche un momento di socialità e di didattica partecipata ed inclusiva. In questo tempo abbiamo dimenticato tante cose, abbiamo dimenticato che Giorgio, come i suoi compagni, ha 11 anni e che della scuola amava anche le chiacchiere con i prof, gli scherzi con i compagni e la ricreazione. Ora si è in qualche modo costretti ad essere tutti seri, troppo seri! Nella “Fase due”, dopo che la scuola ha a distanza ha superato la fase di rodaggio, dovremmo impegnarci di più a ritrovare un’armonia nelle relazioni. Un primo bilancio della Didattica a Distanza, tra luci e ombre Di quest’esperienza vedo luci ed ombre. Credo che in questi tempi convulsi di scuola digitale, i docenti abbiano potuto comprendere meglio la fatica che i ragazzi con DSA e le loro famiglie affrontano da sempre. In questi giorni, infatti, tutti si sono impegnati ad accompagnare gli studenti a utilizzare una didattica diversa, nuova. Molti ragazzi e famiglie, però, non ce l’hanno fatta. Alcuni per mancanza di tempo, altri perché poco avvezzi alla tecnologia, altri ancora perché stanno convivendo con dolori familiari. La didattica anche quella a distanza, continua a delegare molto ai genitori che sono diversi per estrazione sociale e culturale, e, così facendo, rischia di amplificare le differenze e di allontanare invece di avvicinare, di escludere invece di includere. La scuola è di tutti! Un diritto da rivendicare per i nostri ragazzi con DSA e per i tanti studenti a cui, oggi non vengono garantiti integrazione e sostegno. Mi rendo conto che adesso è un momento particolarmente critico, ma dobbiamo provarci lo stesso.
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Search-ME - Erickson 2 DSA
Un’analisi di quello che è successo a livello educativo e relazionale negli ultimi mesi con tanti suggerimenti su “cosa fare” per fronteggiare al meglio la situazione che stiamo vivendo
Questo breve contributo nasce da un recente webinar che ho realizzato per l’Associazione Italiana Dislessia dopo qualche settimana dall’inizio del lockdown, nel quale si è cercato di dare risposte alle molte domande delle famiglie, che si sono trovate in pochi giorni immerse in una situazione di profondi cambiamenti. Ad oggi la situazione sembra migliorata, ma molte delle riflessioni di quella giornata sono ancora attuali e probabilmente lo saranno anche nei prossimi mesi con l’inizio del nuovo anno scolastico. Il tema principale riguarda i rapidi e spesso inaspettati cambiamenti nelle relazioni didattiche ed in generale nelle relazioni educative, tra genitori e figli, che un evento come il COVID 19 ha determinato. Ovviamente non si può capire tutto questo senza prima aver analizzato quelli che sono i cambiamenti individuali che si determinano in situazioni di quarantena. In letteratura sono stati pubblicati vari studi che si possono trovare su siti istituzionali delle varie associazioni scientifiche e degli ordini professionali, oltre che del Governo. In generale quello che emerge è l’attivazione di un quadro tipico di risposta ad uno stress acuto, in particolare si notano un aumento degli stati di ansia e tensione (come attivazione di uno stato di allerta generalizzata verso un pericolo), alterazioni dei ritmi sonno/veglia, peggioramento della dieta e riduzione dell’attività motoria. A questo spesso si aggiunge un abbassamento del tono dell’umore, un aumento della conflittualità familiare, del nervosismo e dell’aggressività spesso determinati da un disadattamento alle nuove routine. Le abitudini delle famiglie prima e dopo il Covid Vorrei subito fare una riflessione proprio sul confronto tra i ritmi pregressi e le nuove abitudini dello stare chiusi in casa. Prima di questo periodo i genitori non avevano mai passato tanto tempo con i propri figli, se non in periodi di vacanza determinati e con molti meno stressor, nella “vita di prima” i bambini passavano almeno il 50% del tempo a scuola, poi nel pomeriggio spesso con nonni, baby sitter o vari servizi doposcuola (questo soprattutto per chi aveva necessità particolari), in alternativa c’erano le attività sportive o associazionistiche e ricreative. Da un giorno all’altro i bambini si ritrovano costantemente a casa, con ritmi e tempi totalmente variati, con genitori che lavorano da casa o devono continuare a lavorare fuori perché svolgono attività necessarie, ma non ci sono più i nonni, i baby sitter e tutto il resto, solo questo basterebbe a destabilizzare chiunque. Purtroppo, non è finita, a tutto ciò si somma la paura del virus, che diventa anch’essa un fantasma indefinito aumentando lo stato d’ansia e di stress. In tutto questo si inserisce anche la didattica a distanza che esplode nelle scuole con una prima fase che amo definire come una “rincorsa alla digitalizzazione”, dove vengono caricati contenuti su contenuti, su registri elettronici e piattaforme di tutti i tipi, determinando un ulteriore fattore di stress per genitori e figli. Mentre i ragazzini della scuola secondaria di secondo grado riescono a rispondere con una qualche autonomia, credo sia difficile pensare che un bambino della scuola primaria ma anche secondaria di primo grado possa connettersi, scaricare, stampare, linkare, caricare, salvare, ecc.., senza che vi sia un adulto con lui, inoltre va considerato che anche i genitori, non sempre sono sufficientemente alfabetizzati digitalmente, né tutte le famiglie hanno a disposizione tecnologie adeguate, soprattutto le famiglie numerose che devono anche condividere l’unico pc, tablet o smartphone. Spesso questi genitori devono passare anche 4/5 ore al giorno con i figli per la didattica, questo diventa un tempo condiviso ma molto frustrante che invece di migliorare il rapporto lo carica di ulteriori tensioni. Va detto che anche per i docenti i cambiamenti sono stati importanti e la scuola non sempre era già attrezzata digitalmente, quel che si sta osservando oggi è un progressivo miglioramento delle capacità di coordinamento tra docenti e dell’utilizzo delle nuove tecnologie, oltre che un rallentamento della rincorsa e un maggior utilizzo delle lezioni in live. Oltre a tutto quanto già detto, non si poteva neppure uscire al parco per fare una passeggiata, non si poteva andare in bicicletta o tirar due calci a un pallone per scaricarsi un po’ e soprattutto non lo si potrà fare neppure ora con gli amici. La mancanza degli amici diventa un’emergenza educativa Proprio quest’ultima situazione, cioè la mancanza del gruppo dei pari, si sta rivelando una delle emergenze educative più importanti e spesso sottostimata dall’attualità della cronaca. La scuola non è solo un insieme di contenuti, ma un contenitore di relazioni umane, tra pari e con gli adulti di riferimento. Per tutti i bambini queste relazioni sono fonte di apprendimenti tanto importanti quanto e forse più delle materie curriculari. Questi apprendimenti sono chiamati in vari modi: life skills, social skills, competenze trasversali, ecc… Sono tutte quelle abilità che si apprendono in maniera non strutturata nei gruppi, come: la tolleranza alla frustrazione, la gestione delle emozioni, l’imitazione di modelli adeguati socialmente. Sono importanti per tutti i bambini, ma in particolare per quelli che presentano Bisogni Educativi Speciali e che per le loro caratteristiche hanno più difficoltà a generalizzare queste competenze. In casa manca anche il ruolo inibitorio del gruppo sociale e ciò, associato alla maggior familiarizzazione delle figure genitoriali e alla frustrazione che l’attività didattica può determinare, fa spesso aumentare i comportamenti oppositivi e provocatori, determinando un ciclo disadattivo che mina pesantemente la resilienza di queste famiglie. Come far fronte all’isolamento sociale e relazionale Ma di fronte ad una situazione di questo genere cosa possiamo fare? Direi che questa domanda riassume in sé tutti i dubbi e le preoccupazioni che ho raccolto in diretta dalle famiglie che si sono confrontate con me in quella giornata. La mia più che una risposta vuole essere un piccolo compendio che, lungi dall’essere esaustivo, può fornire tanti piccoli attrezzi da utilizzare nelle varie situazioni della nostra vita domestica, suggerimenti che possono valere per tutti i bambini, ma in particolare saranno utili per tutte quelle situazioni speciali a cui abbiamo accennato. Come intuibile da quanto si è detto una delle prime cose da fare è ricostruire delle routine regolari; ciò crea un ambiente prevedibile e controllabile per tutti con meno incognite e quindi meno ansie. Si devono regolarizzare in primis i ritmi sonno/veglia e gli orari dei pasti, così come sarebbero auspicabili gli orari delle lezioni live al mattino per spingere ad una maggiore motivazione al risveglio e inserire anche attività motorie. Si può costruire insieme un planning settimanale che tenga conto di tutte le necessità e incombenze di genitori e figli, che preveda anche tempi di gioco e divertimento e che possa diventare per tutti la mappa della giornata. Il tempo condiviso deve essere anche gradevole e non solo didattico, vanno previsti dei momenti di gioco magari motorio o di società, così come le stesse incombenze domestiche possono diventare un momento di apprendimento divertente e creativo (cucinare o fare le pulizie). Rallentare non deve essere un problema ma un’opportunità di aprire momenti di confronto e di elaborazione dei vissuti (sia con la scuola che con la famiglia) anche sul periodo che stiamo vivendo. Sforziamoci di creare un ambiente rassicurante, normalizziamo e non incrementiamo pensieri catastrofici, diamo informazioni corrette ma senza enfatizzare i pericoli, ricordiamoci che al di là delle parole i bambini osservano i nostri comportamenti. In questo senso consiglio di regolarizzare per tutti i tempi di esposizione all’informazione dei mass media e di ridurli a pochi momenti della giornata. Un tema molto sentito sembra essere anche il calo del livello di motivazione con la didattica a distanza e l’aumento dell’oppositività nella gestione dei bambini. Come dicevamo, al di là dei fattori specifici di questa situazione, si possono mettere in capo varie strategie per aumentare la collaborazione. Nei bambini più piccoli si possono utilizzare delle tecniche di token economy con giochi a punti e premi. Spesso la conflittualità è dovuta anche a metodi didattici diversi tra genitori e insegnanti, in questo caso, sebbene a volte sia stato necessario nella prima fase, il genitore non deve sostituirsi all’insegnante ma collaborare con esso ed utilizzare le stesse metodologie, meglio ancora se l’insegnante stesso riesce con lezioni live a verificare gli apprendimenti specifici. Per gli adolescenti, che con la perdita del gruppo sociale possono sentire ancora più pesantemente le conseguenze dell’isolamento, è importante evitare un muro contro muro, ma prevedere delle contrattazioni e delle mediazioni rispettose oltre che dei tempi di studio anche dei loro tempi privati e dell’uso dei social network. Infine, noi psicologi per anni ci siamo giustamente preoccupati delle dipendenze da uso di internet, che hanno generato nuove forme di fobia sociale e peggiorato tutti quei soggetti che per vari motivi presentano difficoltà di integrazione e socializzazione. I rischi, come sottolineato precedentemente, rimangono, ma le tecnologie non vanno demonizzate, ma gestite, perché com’è sempre accaduto nella nostra storia, divengono parte del nostro sviluppo e della nostra evoluzione, l’importante è conoscerle e non subirle passivamente. Ma come stiamo vedendo con la didattica a distanza, i device possono diventare strumenti potenti per tante esperienze positive, in particolare per molti ragazzi sono stati l’unico strumento per rimanere in contatto con i pari. Possiamo sfruttarli anche per momenti di socializzazione non troppo strutturata per i più piccoli, creando in accordo con la scuola dei gruppi di peer education, o semplicemente con altre famiglie, si possono organizzare dei momenti per fare giocare e ridere insieme i bambini. Mantenere il sorriso in un bambino è una delle forme più forti di resilienza che possiamo mai avere.
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Search-ME - Erickson 3 DSA
Otto suggerimenti per i genitori di ragazzi con DSA da parte di Giovanna Fola, docente di scuola primaria e formatrice AID, Associazione Italiana Dislessia
Con l’emergenza sanitaria ci siamo trovati improvvisamente ad affrontare un cambiamento epocale, che sicuramente lascerà profonde tracce nelle vite personali e nella memoria collettiva. Anche il mondo dell’istruzione non poteva rimanere indenne al nuovo corso degli eventi e ha dovuto trasformarsi radicalmente: la scuola è entrata nelle pareti domestiche come mai era successo; anzi, la casa è divenuta scuola. Attraverso la didattica a distanza si è potuto continuare a “fare scuola” nonostante il distanziamento sociale. Ma cosa significa per un ragazzo con DSA fare scuola a casa? Quali implicazioni ne derivano per la vita familiare? Cosa può o deve fare un genitore di un alunno dislessico alle prese con la didattica a distanza? Questo nuovo modo di far scuola ha in sé molte potenzialità, ma nello stesso tempo nasconde elementi di criticità che possono diventare ulteriori ostacoli nel percorso degli alunni con DSA. Di conseguenza si rende necessaria nella progettazione e nella realizzazione delle attività a distanza un’attenzione particolare alle peculiarità di questi studenti. È quanto ribadito anche dalla nota 388 del 17 marzo 2020 del Dipartimento per il sistema educativo di istruzione e di formazione, che richiama al rispetto del PDP e all’utilizzo degli strumenti compensativi e dispensativi. Il PDP nella didattica a distanza Eppure, nonostante le indicazioni ministeriali, vi sono famiglie che si trovano di fronte al problema della mancata applicazione del PDP nella didattica a distanza. Cosa fare quindi? La non attuazione delle indicazioni previste dal PDP è una problematica sperimentata dai genitori dei ragazzi con DSA anche nella didattica tradizionale, ma credo che nel quadro delle attività a distanza meriti un’attenzione particolare, alla luce della quale si può individuare una possibile via di soluzione. I PDP sono stati predisposti dai consigli di classe nei primi mesi di scuola, quando la didattica a distanza era un’idea futuristica che nella prassi quotidiana era riservata a un numero esiguo di studenti. Improvvisamente è diventata l’unica via per fare scuola, sebbene l’istituzione scolastica e la società in genere non fossero pronti per farlo. Docenti e genitori si sono trovati a gestire l’emergenza, così come è accaduto in ogni settore delle nostre vite. La didattica a distanza è partita faticosamente, mossa principalmente dalla buona volontà dei singoli docenti. Questa lunga premessa è necessaria per comprendere il contesto in cui si pone il problema dell’adeguamento della nuova didattica ai bisogni e alle caratteristiche dei ragazzi, problema che coinvolge sia gli insegnanti sia le famiglie. Da un lato ci sono gli insegnanti, che sperimentano strumenti senza riuscire a vederne l’efficacia in modo diretto e immediato; dall’altro c’è lo studente, e i genitori al suo fianco, che deve riorganizzare il proprio percorso all’interno di un ambiente di apprendimento domestico, estremamente diverso da quello cui era abituato. Purtroppo, nessuno degli attori coinvolti è in grado di conoscere e capire a fondo la realtà che l’altro sta vivendo. È questo un pericolo sempre presente tra scuola e famiglia, in ogni situazione e per tutti, ma lo è maggiormente quando la relazione educativa verte attorno alla figura di un alunno con DSA. Ho sperimentato tale difficoltà in prima persona, come madre di una ragazza dislessica da un lato e docente di scuola primaria dall’altro. Tra le mura domestiche ho vissuto le sofferenze e le fatiche dei genitori: il disorientamento dinnanzi a un figlio così diverso dall’immagine ideale che mi ero costruita; i sensi di colpa; l’inadeguatezza nella relazione parentale; le ansie per i risultati scolastici e soprattutto per il suo benessere emotivo; il dolore per il rifiuto di una diversità che sembra così pesante da portarsi appresso; le preoccupazioni per il futuro; le ore passate a svolgere i compiti o meglio a provare mille strategie per convincere la figliola a farli! Eppure tutti gli sforzi miei, di mia figlia e della famiglia intera arrivavano solo parzialmente sui banchi di scuola, dove il tutto finiva condensato in un asettico numero. Tra le mura scolastiche, d’altra parte, ho sperimentato le difficoltà di un docente: l’impotenza dinnanzi a genitori che non vogliono vedere e capire le fatiche del figlio; l’insoddisfazione e il senso di inadeguatezza quando, nonostante tutti i possibili tentativi, non riesci a trovare la strada per favorire l’apprendimento di quel particolare alunno; il disagio per una relazione faticosa; i problemi nella gestione del gruppo classe che schernisce la diversità; le ore passate a completare documenti che sembrano inutili pratiche burocratiche. Eppure, anche come insegnante, mi è capitato di pensare che tutti i miei sforzi non fossero serviti e soprattutto non fossero stati capiti dai miei interlocutori, alunni e genitori. Nella didattica a distanza il divario scuola - famiglia aumenta, giacché il processo di insegnamento – apprendimento e la relazione educativa devono passare solo attraverso gli strumenti tecnologici, con i limiti che ne derivano. L’alleanza educativa scuola - famiglia Di fronte al pericolo di un contrasto c’è solo una via di soluzione: l’alleanza educativa scuola – famiglia. Se questa era essenziale prima, ora diventa vitale per permettere una reale conoscenza e comprensione reciproca. Nella didattica a distanza la relazione docente – alunno/ genitore deve essere implementata, pur con le caratteristiche che la contraddistinguono. È necessario creare e mantenere un dialogo continuo per favorire un confronto proficuo ed evitare fraintendimenti o errori spiacevoli. Qui non si tratta solo del rispetto del PDP, che resta comunque fondamentale; stiamo provando sul campo la più grande sperimentazione con la quale il sistema scolastico italiano si sia mai cimentato. In tale contesto può accadere che l’insegnante utilizzi metodologie inadeguate per l’alunno con DSA, che non rispondono ai suoi bisogni e magari in contrasto con quanto previsto dal documento ufficiale firmato all’inizio dell’anno scolastico. I genitori devono segnalare il problema contattando il docente. I colloqui in presenza non sono possibili, ma si può inviare una mail al diretto interessato e/o agli indirizzi istituzionali reperibili sui siti degli Istituti stessi, al referente DSA o al Dirigente Scolastico. Naturalmente è importante farlo con spirito di collaborazione e rispetto del ruolo del docente. Non servono accuse o suggerimenti didattici ma informazioni chiare sulla base delle quali trovare soluzioni innovative e funzionali, condivise dalle parti. Affinché il dialogo risulti efficace deve essere ispirato da un atteggiamento di reciproca comprensione e di rispetto delle fatiche e delle difficoltà dell’altro, alunno, genitore o insegnante che sia. In questi frangenti siamo tutti in battaglia e possiamo farcela solo se puntiamo all’unione ed alla collaborazione. Il “genitore - insegnante” I problemi dei genitori con la didattica a distanza non si esauriscono nella relazione con i docenti. Resta infatti un nodo ben più urgente e cruciale: la relazione genitore – figlio che, nel caso dei ragazzi con DSA, è spesso messa a dura prova proprio sul terreno del rendimento scolastico e lo è maggiormente nell’epoca del coronavirus. Ci siamo trovati improvvisamente rinchiusi nelle nostre case a vivere fianco a fianco senza sosta, costretti a riorganizzare ritmi e spazi (oltre che PC, contesi tra gli utenti della famiglia) alla ricerca di nuovi equilibri. In alcune situazioni abbiamo perso importanti risorse che ci supportavano nel lavoro genitoriale. Cosa fare? Probabilmente molte mamme come me si saranno sentite rivestite della mansione di insegnanti. Avranno iniziato a seguire pedissequamente il gruppo whatsapp della classe, a controllare il registro elettronico e ogni possibile piattaforma alla ricerca spasmodica dei compiti, a mettersi sedute a fianco del bimbo/ragazzo per lo svolgimento delle attività richieste. Tale atteggiamento però nasconde un grave rischio: metterci al posto del figliolo e limitarne l’indipendenza. Il compito fondamentale dei genitori, invece, è quello di aiutare i figli a crescere. Nel caso di un ragazzo con DSA significa dargli la possibilità e gli stimoli per fare da solo, per diventare autonomo, anche nelle questioni scolastiche. È vero che questi figli richiedono attenzioni e strategie particolari, ma dobbiamo capire quando l’aiuto sia veramente efficace e come darlo senza annullare l’altro. La presenza del genitore a fianco dei piccoli è quasi indispensabile; tuttavia, con il passare del tempo, deve gradualmente ridursi per evitare di diventare lo strumento compensativo per eccellenza. Ci sono poi momenti di grandi cambiamenti, come l’attuale, che richiedono particolare attenzione. Per questo è necessario continuare ad esercitare una sorta di vigilanza attiva anche nei confronti dei più grandi per capire se e come intervenire per supportare il ragazzo senza però limitarne l’indipendenza. È importante in ogni caso che il genitore non si identifichi con l’insegnante e non si dimentichi del suo ruolo primario, per non incorrere nel rischio di rovinare la relazione parentale in nome dei risultati scolastici. Purtroppo nell’emergenza sanitaria è la situazione stessa che ci pone nelle condizioni di una nostra maggior presenza nella vita scolastica dei figli, ormai ridotta all’ambito domestico. Tuttavia non dobbiamo mai perdere di vista il fine ultimo: la crescita, l’autonomia. Alla luce di ciò possiamo orientare e guidare i nostri figli. Come è possibile farlo concretamente senza sostituirci a loro? Ecco una serie di suggerimenti. Otto suggerimenti per i genitori per affiancare i figli con DSA nel lavoro a casa Organizzare gli spazi Cerca di individuare un luogo tranquillo e riservato dove il bambino/ ragazzo possa seguire le lezioni e svolgere i compiti, attrezzandolo con tutti i materiali necessari. È importante che lo studente abbia uno spazio in cui “sentirsi a scuola”. Pianificare le attività I ragazzi con DSA faticano spesso a organizzare e gestire il tempo. Nell’attuale situazione sono saltate alcune importanti routine e ce ne sono di nuove. Pertanto è molto utile aiutare il ragazzo a pianificare le lezioni e gli impegni relativi ai compiti, senza però dimenticare lo spazio per le attività extra scolastiche. Organizzare i compiti Suddividete i compiti, prevedendo tempi adeguati di esecuzione inframezzati da pause. “Affiancare discretamente” Con i bambini più piccoli o in casi particolari potrebbe essere utile un intervento facilitatore del genitore per fornire un supporto rispetto alle abilità rese deficitarie dal disturbo. In generale è importante controllare la comprensione delle consegne. Se necessario, fate voi la prima lettura o rileggete se il bambino sembra non aver capito. Inoltre, esistono molte risorse online utili per favorire l’apprendimento in tutte le aree disciplinari e per tutte le fasce di età. Questi strumenti ben si adattano alle caratteristiche dei ragazzi con DSA, fornendo input a livello sia uditivo sia visivo. È possibile trovare informazioni al riguardo sul sito dell’AID in un’apposita sezione dedicata alla didattica a distanza. Stimolare l’uso degli strumenti compensativi informatici L’uso del PC è importante per un alunno con DSA, ma è talvolta considerato dai ragazzi stessi come un simbolo della loro diversità e pertanto rifiutato. In questo momento storico, invece, il PC è condiviso da tutti. Che occasione per motivare i nostri figli ad usarlo! Usare gli indici testuali nelle attività di studio Lo studio è un’attività complessa che necessita l’acquisizione di uno specifico metodo, il cui insegnamento è competenza della scuola. Tuttavia il genitore può aiutare il ragazzo ad osservare gli indici testuali (titoli in grassetto, sottolineature, scritte colorate, figure con didascalie) per cogliere le parole chiave da utilizzare poi per la costruzione di una mappa. Quest’ultima attività può essere inizialmente svolta insieme al bambino, con carta e penna o con gli appositi software. Controllare il lavoro Stimolate vostro figlio a rivedere il proprio lavoro per correggere eventuali errori, anche mediante l’utilizzo della sintesi vocale e del correttore ortografico. Valorizzare i progressi Cercate sempre i progressi, i miglioramenti, che vostro figlio compie nel suo lavoro. Sentirsi riconosciuto ed apprezzato lo aiuterà ad accrescere l’autostima e la fiducia in sé stesso. Così facendo possiamo aiutare i ragazzi nei compiti, mantenendo però una sana relazione genitore – figlio. In essa è fondamentale un atteggiamento di ascolto e dialogo, a maggior ragione in questa situazione dove molte certezze sono venute meno. Parliamo con i nostri figli, cercando di capirne vissuti e sentimenti e trascorriamo con loro del tempo di qualità. Costretti fianco a fianco in casa, possiamo permetterci di giocare, leggere storie appassionanti o guardare programmi televisivi insieme, commentando e riflettendo sul significato di quanto vediamo e soprattutto di quanto stiamo vivendo. L’essere genitori è la certezza rimasta che ci permette di traghettare noi e le nostre famiglie al di là della crisi e delle difficoltà verso nuove speranze.
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Search-ME - Erickson 4 DSA
La dislessia è un disturbo specifico dell’apprendimento che comporta un’elaborazione dell’input linguistico scritto differente da quella rilevabile nella maggioranza delle persone. Tuttavia i problemi maggiori che le persone dislessiche si trovano ad affrontare non dipendono tanto dalla loro neurodiversità, quanto dallo stigma sociale che ruota attorno alle differenze di identità e comportamento individuali. Nello specifico, la poca empatia che talvolta la società mostra nei confronti della dislessia (e che si riflette nella penuria di politiche di intervento adeguate) può essere attribuita alla mancata conoscenza di questa diversità e a una serie di valori culturali che il mondo contemporaneo attribuisce alle abilità di lettura e scrittura. Tracciare i confini della dislessia Uno dei problemi principali emersi durante la prima edizione della Virtual International Dyslexia Conference degli scorsi 29 e 30 luglio (Dyslexia Institute UK) riguarda il concetto stesso di ‘dislessia’. Ancora oggi molte persone associano questo disturbo dell’apprendimento unicamente alle difficoltà di lettura, quando in realtà esso condiziona innumerevoli altre capacità, quali la scrittura, l’organizzazione di un testo scritto od orale, la gestione del tempo, la memoria a breve termine e il recupero lessicale. Un altro errore comune è la sovrapposizione dei concetti di ‘dislessia’ e di ‘visual stress’. Quest’ultimo consiste in una serie di distorsioni percettive, tra cui la sensazione che le parole si muovano sul foglio come onde o che alcune lettere non si trovino sullo stesso piano delle altre, ma riguarda in effetti solo una parte della popolazione dislessica (circa il 50% dei soggetti, secondo le stime più alte). La ‘naturalità’ delle abilità di letto-scrittura Ancora nel secolo scorso, in alcuni ambiti professionali, era abitudine verificare che la calligrafia di un candidato rispondesse a determinati canoni prima di decidersi a favore della sua assunzione. Questo fatto ci spinge a riflettere su quanto le abilità di letto-scrittura siano rivestite, quantomeno in Occidente, di significati simbolici che vanno ben al di là della loro funzione e che coinvolgono i concetti di ‘cittadinanza’, ‘identità’, ‘professionalità’, ‘educazione’ e ‘classe sociale’. Nonostante l’essere umano abbia iniziato a rappresentare graficamente i suoni della lingua diverse migliaia di anni fa, è solo negli ultimi cento che la scrittura è divenuta un requisito fondamentale per tutti i cittadini. Inoltre la codifica e decodifica del testo scritto non sono facoltà processate da un’unica area cerebrale, e questo sarebbe uno dei motivi per cui la dislessia può manifestarsi con modalità tra loro molto diverse. Queste considerazioni fanno sorgere numerosi dubbi circa il fatto che quelle di letto-scrittura siano abilità ‘naturali’ nell’essere umano, e in un certo senso pongono sotto una nuova luce anche una differenza cognitiva come la dislessia. A questo proposito è interessante l’opinione di alcuni studiosi secondo cui il fatto che la percentuale di persone dislessiche rimanga costante nel tempo dimostrerebbe che la neurodiversità è per gli esseri umani un benefit evolutivo di cui ancora non sappiamo valutare la portata. La ricerca di un modello descrittivo Una tematica che emerge sempre più spesso tra coloro che operano nell’ambito della dislessia è quello del confronto tra il modello medico e il modello sociale. Si tratta di due descrizioni del disturbo dislessico tra loro complementari e che forniscono elementi utili alla comprensione di questa differenza cognitiva. Tuttavia, secondo alcuni esperti, entrambe le prospettive presenterebbero dei punti deboli che andrebbero emendati. Il modello medico ha ad esempio il pregio di fornire diagnosi precise, ma rischia spesso di restituire un’immagine immobile del soggetto, il quale fin dai primi anni di scuola viene dispensato da alcune attività e non viene motivato a trovare delle strategie compensative per il superamento degli ostacoli. Il modello sociale ha invece il pregio di motivare il soggetto ad evolvere e a trovare soluzioni alternative per il proprio successo scolastico e lavorativo, ma secondo alcuni il concetto di ‘accessibilità’, inizialmente creato per favorire la mobilità delle persone con disabilità fisica, sarebbe poco adatto alla descrizione dei disturbi dell’apprendimento. Dislessia ed esclusione sociale Purtroppo la dislessia è ancora oggi correlata ad alcune problematiche sociali di grande rilevanza, quali la disoccupazione, la detenzione carceraria, la mancanza di fissa dimora. Nei Paesi anglosassoni si è infatti notato che la presenza di difficoltà nella letto-scrittura può condurre, nel caso in cui non sia sorretta da adeguate misure di sostegno fin dagli anni della scuola dell’obbligo, alla graduale esclusione dei soggetti dislessici dalla vita sociale e professionale. Le ricerche dimostrano però che vi sono alcuni campi (ad esempio quello dell’arte, della ricerca scientifica e dell’imprenditoria) in cui le persone dislessiche eccellono e rappresentano una percentuale molto alta della popolazione attiva. Questo è riconducibile al fatto che esse sono portatrici di una neurodiversità fondamentale per lo sviluppo sociale, se non addirittura per il cammino evolutivo dell’essere umano (vedi sopra). Tale diversità si può riassumere nella capacità di adattamento alle mutazioni dell’ambiente circostante, di esplorazione e scoperta di nuove frontiere, di assunzione di responsabilità dei rischi e di visione sul lungo periodo. La prospettiva olistico-globale, la capacità di adattamento e l’inventiva che i dislessici spesso dimostrano di possedere rischia però di essere frustrata da un sistema scolastico che privilegia l’efficienza e la capacità di introiettare e riprodurre informazioni e conoscenze già note. Per prevenire questo tipo di frustrazione e lo stress che ne deriva è fondamentale agire sia a livello di sostegno (support) che a livello di riconoscimento del disturbo (assessment). In entrambi i casi le tecnologie assistive possono essere di grande aiuto. Per quanto riguarda il sostegno, esistono ormai software e applicazioni di qualunque tipo; da questo punto di vista la sfida maggiore consiste nella creazione di supporti anche per le lingue minoritarie e per quelle non europee. Per quanto riguarda invece l’assessment del disturbo, sono ora disponibili alcune applicazioni molto semplici all’uso (come l’australiana Dyslexia Screening - Dyscreen) che permettono di stabilire con notevole accuratezza se un bambino (dagli 8 anni in su) presenta un problema di dislessia oppure no.
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Che cosa è emerso dalla Virtual International Dyslexia Conference
Il 29 e 30 luglio 2020 ha avuto luogo la prima edizione della Virtual International Dyslexia Conference, un evento organizzato dal Dyslexia Institute UK. La conferenza, promossa dall’Università di Manchester, si è svolta totalmente in modalità online a causa delle restrizioni dovute alla pandemia Covid-19. Durante la due giorni di convegno sono intervenuti specialisti nel campo della dislessia provenienti da tutto il mondo. Per ragioni ovvie, molti dei contributi afferivano al mondo anglosassone o quantomeno a quello anglofono, ma ciò non ha impedito di rilevare punti in comune con il contesto italiano e di trarre da questo confronto interessanti spunti di riflessione. Gli scopi della conferenza Lo scopo del simposio era di affrontare il tema della dislessia (ma anche della discalculia, della disgrafia e della disprassia) da una prospettiva che fosse tecnica ma allo stesso tempo empatica e solidale. In particolare, si è voluto tenere conto delle difficoltà pratiche che la persona si trova a dovere affrontare quotidianamente a causa della propria differenza cognitiva e proporre delle soluzioni volte a una maggiore inclusione sociale degli individui. I contributi hanno riguardato nella fattispecie 4 aree tematiche principali: 1) il mondo della scuola e dell’università, 2) la sanità, 3) il lavoro e le risorse umane e 4) le tecnologie assistive. Il fatto che si trattasse di una conferenza internazionale e che gli interventi testimoniassero di circostanze tra loro molto differenti ha permesso di osservare come la percezione della dislessia, della neurodiversità e le misure intraprese dalle istituzioni per favorire l’accessibilità ai servizi pubblici e privati risentano fortemente del contesto culturale, linguistico e politico-sociale in cui sono inserite. Al contempo però la giustapposizione di situazioni così lontane ha fatto emergere quanto siano simili tra loro le sfide che, in un mondo globalizzato come il nostro, la persona dislessica si trova a dovere affrontare quotidianamente. Ottenere un titolo di studio, trovare un lavoro adatto alla propria formazione e alle proprie competenze, riuscire a districarsi nel dedalo del sistema sanitario e di quello assistenziale: si tratta di processi che per la persona dislessica possono risultare estremamente stressanti se non traumatici. La pandemia globale del 2020 ha contribuito a portare alla luce questa situazione. Nel Regno Unito, ad esempio, in seguito all’avvento del coronavirus le domande di disoccupazione sono aumentate del 50%, e tra i richiedenti sono diverse migliaia coloro che presentano una qualche forma di dislessia. I numeri della dislessia La prima riflessione riguarda le cifre globali della dislessia. Sebbene le stime siano variabili, si ritiene che tra la popolazione alfabetizzata la percentuale di coloro che presentano una qualche difficoltà nel processo di letto-scrittura o nel calcolo possa raggiungere il 20%. Questo significa che circa una persona ogni 5 incontra delle difficoltà nelle operazioni di codifica e decodifica del messaggio scritto (ma anche di calcolo, pianificazione del discorso o comunicazione generica) che stanno a fondamento delle nostre società e dei nostri sistemi economici. Nella pratica queste persone si ritrovano quotidianamente ad affrontare ostacoli enormi nell’accesso alle informazioni riguardanti gli annunci di lavoro, le richieste di disoccupazione, gli sgravi fiscali, l’assistenza sanitaria, i contratti d’affitto e la compilazione dei documenti necessari per l’ottenimento dei sussidi o risorse a cui avrebbero diritto. Per capire quanto la presenza di questa differenza cognitiva possa condizionare e peggiorare il percorso di vita di un individuo, si consideri che la percentuale di dislessici aumenta vertiginosamente tra le persone senza impiego fisso, i senzatetto e i detenuti. Secondo le stime fornite durante la conferenza, nel Regno Unito e negli Stati Uniti all’incirca la metà della popolazione carceraria presenta una qualche forma di dislessia. La percezione della neurodiversità Un’altra questione emersa nel corso della conferenza è quella della percezione della neurodiversità e alle sue manifestazioni da parte delle diverse società e culture. Il valore attribuito collettivamente alle differenze cognitive individuali sta infatti alla base delle politiche di intervento promosse da un determinato Paese in ambito scolastico, lavorativo e assistenziale. Un esempio a questo proposito riguarda le tecnologie assistive. Alasdair King (direttore di Claro Software, azienda inglese leader nel settore) rileva come nella stessa Europa la ricerca relativa allo sviluppo di strumenti di supporto alla dislessia prenda direzioni diverse a seconda dei Paesi. Il Regno Unito ad esempio investe soprattutto nella creazione di software per il riconoscimento vocale (trasposizione del testo parlato in testo scritto) per studenti universitari. Invece altri Paesi indirizzano la propria ricerca tecnologica verso obiettivi diversi: in Svezia si sviluppano soprattutto software per il controllo dell’ortografia e dello spelling per gli studenti della scuola primaria e secondaria; in Danimarca invece vengono prodotti principalmente programmi di scrittura assistita e anticipazione del lessico in determinati campi semantici; in Belgio viene data particolare importanza alle abilità di lettura e agli e-book readers che traspongono il testo scritto in testo orale; in Francia il focus è sugli aspetti grafici del testo scritto, e viene quindi promossa la produzione di applicazioni per la ristrutturazione del layout in senso accessibile (colori, caratteri, spaziatura, evidenziazione ecc…). Infine vi è il caso della Germania, in cui si predilige la dispensazione degli studenti dislessici da diverse attività didattiche e l’avviamento di questi studenti a professioni che non implicano attività di letto-scrittura complesse. L’accessibilità glottodidattica Un’ultima importante riflessione riguarda lo sviluppo e la diffusione dei criteri per l’accessibilità glottodidattica. Dalla conferenza è emerso come molte delle indicazioni pratiche volte alla creazione di ambienti e materiali didattici più accessibili provengano o dalla ricerca universitaria o dall’esperienza sul campo di insegnanti e genitori illuminati. Questi ultimi hanno ricavato numerosi input dalle esperienze difficili e talvolta traumatiche dei propri studenti o dei propri figli e hanno scelto di condividere la propria esperienza e le proprie deduzioni. Ciò che però sembra mancare è un coinvolgimento maggiore da parte delle istituzioni intermedie, cioè le scuole e la classe insegnante. Uno degli obiettivi futuri di chi opera nell’ambito della dislessia e dei disturbi del linguaggio sarà sicuramente quello di sensibilizzare i docenti riguardo a queste tematiche e fornire strumenti pratici per la creazione di ambienti e materiali accessibili e inclusivi.
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10 sfide da cogliere con la DaD da parte degli studenti, dal punto di vista di Cristina Fabbri e Carolina Tironi, formatrici Associazione Italiana Dislessia
.citazione-filosofica{text-align: left; font-size: 1rem !important; line-height: 1.3rem !important;} 1. RESPONSABILITÀ “Consideriamo che, anche per altro verso, c’è ragione di sperare che tutto ciò sia un bene.” (PLATONE, APOLOGIA DI SOCRATE) La costituzione italiana colloca lo studio tra i diritti fondamentali nel nostro Paese. L’articolo 34 ricorda che “La scuola è aperta a tutti”. Se da un lato quindi è dovere dello stato mettere tutti gli studenti nella condizione di avere accesso all’istruzione, dall’altro è dovere di ogni studente riconoscere il proprio ruolo di cittadino attivo. In un sistema sociale che sta cambiando, oggi gli studenti si trovano di fronte ad una nuova sfida: reinventare e reinventarsi per poter vivere la scuola in maniera efficace attraverso la didattica a distanza. Si rende necessario, quindi, riconoscere di trovarsi in un momento di complessità sociale in cui la storia non solo la si studia, ma la si sta vivendo direttamente. È molto probabile che le vicende che caratterizzano questo segmento storico, verranno studiate in futuro dai figli degli studenti di oggi. È importante che ogni studente si assuma le proprie responsabilità e provi ad affrontare con determinazione la sfida che la scuola lancia: adattarsi e crescere all’interno di un sistema rinnovato, la cui innovazione si costruisce giorno per giorno. Se è vero che oggi si stanno gettando le basi per la scuola di domani, è doveroso agire affinché la didattica a distanza si costituisca come una occasione di crescita, di apprendimento e di scambio. Diventa fondamentale fare in modo che questo nuovo modo di vivere la scuola non ne snaturi la funzione primaria, che si esprime nel dovere di contribuire alla crescita culturale, sociale e umana degli uomini e donne di domani. Si tratta di un obiettivo raggiungibile solo se docenti e studenti imparano a riconoscersi co-protagonisti di uno stesso percorso. Ma come si può agire il proprio senso di responsabilità all’interno della didattica a distanza? Prima di tutto tenendo presente che è prioritario rispettare la privacy di compagni e docenti. Conoscere le norme che regolano la sicurezza del web dovrebbe costituirsi come una condizione imprescindibile. La conoscenza dei rischi a cui gli scambi sul web possono condurre, rappresenta una necessità non solo nel pieno rispetto degli altri, ma anche come tutela di se stessi. La scelta di password con un ampio margine di sicurezza, l’utilizzo responsabile delle videocamere e dei microfoni, il rispetto del divieto a registrare se non autorizzati, rappresentano alcuni tra i principali atteggiamenti che sarebbe importante adottare. È innegabile infatti che nel momento in cui lo studente agisce il proprio ruolo in maniera responsabile, si pone nella condizione non solo di poter apprendere nella maniera più efficace, ma anche di offrire il proprio contributo concreto al miglioramento del sistema scolastico e quindi sociale. Uno studente responsabile è soprattutto un cittadino in grado di offrire e coltivare il meglio di sé. 2. APPROCCIO METACOGNITIVO “Conosciti, perché una volta che conosciamo noi stessi, possiamo imparare a prenderci cura di noi, altrimenti non succederà” (SOCRATE) “Imparare senza riflettere significa sprecare energia.” (CONFUCIO) La metacognizione, così come definita da Cesare Cornoldi, rappresenta l’insieme delle “idee che un individuo possiede sul proprio funzionamento mentale e che includono le impressioni, le intuizioni, le autopercezioni (…) e tutte le attività cognitive che presiedono a qualsiasi funzionamento cognitivo e che includono la previsione, la valutazione, la pianificazione, il monitoraggio”. Possedere un atteggiamento metacognitivo nei confronti dello studio significa quindi prestare attenzione alle specifiche modalità che caratterizzano i propri processi di apprendimento scolastico. Lo studente, adottando un approccio metacognitivo, è in grado di stabilire, ad esempio, se la lezione online ha un ritmo troppo incalzante per poter essere sostenuta, ed adottare, in tal caso, strategie specifiche per far fronte alle difficoltà di attenzione. Attraverso l’attenzione sistematica ai propri processi di apprendimento, lo studente è in grado anche di stabilire se le attività legate ai compiti per casa siano sostenibili in maniera autonoma o se si rende necessario il supporto di altri ausili. In tal caso, il riconoscimento delle proprie difficoltà può costituire un’ottima occasione di crescita personale in un’ottica di promozione dell’autonomia. Anche l’attenzione alla propria risposta emotiva nei confronti delle nuove esperienze scolastiche, ad esempio nel corso delle prove di verifica orali o scritte, può costituire un’occasione per imparare ad adottare strategie efficaci per migliorare la prestazione. Nella scuola secondaria di primo e secondo grado, infatti, diventa fondamentale sviluppare competenze personali che mettano lo studente nella condizione di “fare da solo”, sganciandosi, in maniera graduale, dal supporto metodologico e psicologico dell’adulto. Lo sviluppo delle abilità metacognitive può consentire allo studente, per esempio, di rendersi consapevole dell’eventuale complessità percepita, relativamente al carico di studio nelle differenti discipline e di stabilire un sistema di organizzazione che sia realmente funzionale alle proprie caratteristiche. 3. ORGANIZZAZIONE “Non è importante quanto sei occupato, trova il tempo per riflettere, pensare, dare e pianificare.” ( JIM ROHN) La parola organizzazione rappresenta la capacità di programmare le attività da svolgere e di pianificare il tempo necessario. La didattica a distanza può in parte aiutare la programmazione settimanale, perché gli eventi sono spesso collegati ad un calendario digitale, ma questo potrebbe anche non accadere. Un buon utilizzo del calendario digitale ha le stesse potenzialità del diario, ma aumentate nell’efficacia dalla possibilità di avere notifiche in mail degli eventi programmati, assegnando anche colori specifici a determinati eventi e promemoria delle varie azioni. È sempre utile avere un planning settimanale chiaro: possono esser utilizzate immagini o brevi frasi per descrivere ciò che deve esser svolto. Un planning organizzato e preciso riguarda anche l’aspetto “compito”, ovvero le richieste fatte: la quantità, la modalità di svolgimento, il materiale occorrente, le scadenze e le modalità di presentazione del prodotto. Una delle variabili importanti da considerare è il tempo: gli intervalli di lavoro dovrebbero permettere anche un momento per il recupero e per il rilassamento. A tal proposito il D.lgs n. 81 del 2008 stabilisce che chi lavora al computer ha diritto a 15 minuti di pausa ogni 2 ore continuative davanti al pc per tutelare la salute psico-fisica, soprattutto la vista e la postura. Nella didattica a distanza questo deve esser tenuto ben a mente tanto per i docenti quanto per gli studenti: entrambi, infatti, al di là della lezione live dovranno destinare altro tempo al pc, ad esempio, per la preparazione di materiale o per la ricerca di notizie. La questione “tempo” riguarda anche l’alternanza tra impegni scolastici ed extrascolastici: è bene ricordare che, nonostante si stia seguendo una didattica a distanza, i momenti di svago, di libertà personale in cui scegliere cosa fare, come farlo e per quanto tempo, non devono assolutamente mancare. 4. RICONOSCIMENTO DEI PROPRI PUNTI DI FORZA “Chi non ha mai sbagliato non ha mai fatto nulla.” (BARONE ROBERT BADEN-POWELL) Una volta riconosciute le caratteristiche legate ai propri processi di apprendimento, è altrettanto fondamentale saper riconoscere il proprio punti di forza. La scoperta delle proprie difficoltà, assume in questo senso, il medesimo valore attribuito all’errore da Postman: la ricerca dell’errore e la relativa scoperta ad esso legato, consente all’insegnante e allo studente di compiere un viaggio insieme. Il riconoscimento dell’errore deve quindi costituirsi come occasione di crescita e di scoperta di sé. Allo stesso tempo le difficoltà costituiscono lo strumento privilegiato per far emergere le risorse personali di ogni studente. L’errare, inteso come vagare può diventare l’occasione privilegiata per scoprire risorse personali che, eventualmente, non avevano mai avuto occasione di emergere. La didattica a distanza pone nuove sfide anche in questo senso. Lo studente può iniziare, ad esempio, a sperimentare sé stesso nell’utilizzo di strumenti digitali che velocizzino i processi di scrittura, lettura, ricerca, organizzazione e comprensione dei contenuti, scoprendosi in alcuni casi, più competente rispetto alle modalità tradizionali. La didattica a distanza può offrire l’occasione per scoprire e/o potenziare la propria capacità di prendere appunti in maniera accessibile, attraverso il foglio digitale e la costruzione simultanea di mappe concettuali personalizzate. Di fatto, la didattica a distanza impone a tutti gli studenti, e ai docenti, l’utilizzo del computer. Lo sviluppo delle competenze digitali, può incrementare fortemente il senso di autoefficacia percepito dagli studenti. In questo senso è fondamentale però, concedersi il tempo per imparare. Vi sono certamente studenti esperti nell’approccio al digitale e studenti meno esperti. Questi ultimi, possono e devono iniziare ad utilizzare i canali digitali con gradualità, concedendosi di scoprire gli strumenti con i quali si sentono più a proprio agio. 5. IMPARARE A RICONOSCERE LO STRUMENTO PIU’ ADATTO ALLE PROPRIE CARATTERISTICHE “Amo ascoltare. Ho imparato un gran numero di cose ascoltando attentamente. Molte persone non ascoltano mai.” (ERNEST HEMINGWAY) Ogni individuo ha accesso alle informazioni attraverso quattro canali sensoriali: visivo- verbale, visivo non verbale, cinestetico e uditivo. In ambito scolastico, ciò si traduce nell’attivazione di strategie di apprendimento differenti in base alle preferenze nell’utilizzo di determinati canali. Lo studente che predilige il canale visivo verbale, per esempio, mostra una preferenza per l’apprendimento tramite la lettura, mentre quello che predilige il canale uditivo si sentirà maggiormente a proprio agio nell’ascolto di una lezione o nella condivisione di gruppo. Il canale cinestetico sarà preferito dagli studenti che prediligono attività concrete e che per questo apprendono più facilmente nelle attività laboratoriali, mentre il canale visivo non verbale attiverà le abilità degli studenti che apprendono preferibilmente per immagini. Nella modalità a distanza, attraverso l’utilizzo del computer e delle risorse digitali, la didattica attiva, necessariamente, i canali visivo-verbale, non verbale e uditivo. È fondamentale che ogni studente presti attenzione alle situazioni che lo mettono maggiormente a proprio agio nei processi di apprendimento. Ad esempio, può accadere che alcuni studenti si trovino favoriti nell’ascolto di una video lezione in modalità offline, grazie anche all’eventuale possibilità di interrompere la spiegazione per ascoltarne nuovamente un segmento non compreso. Altri studenti, invece, potrebbero prediligere la spiegazione in diretta del docente, supportata da numerose immagini, ed altri ancora si troveranno a loro agio nelle attività di condivisione all’interno della classe virtuale. È probabile che lo studente riscontri una congruenza tra le preferenze sperimentate nella didattica a distanza e le proprie abitudini quotidiane. Ad esempio, gli adolescenti che amano in maniera particolare la visione di film, idealmente saranno i medesimi studenti che anche a scuola si sentono agevolati da proposte di insegnamento che includano immagini, spiegazioni, ritmo incalzante. Difficilmente uno studente che non ama leggere, per difficoltà legate ad una diagnosi specifica o semplicemente per cattiva abitudine, si sentirà motivato a studiare in autonomia, diversi capitoli assegnati. Considerando però, l’indiscutibile eterogeneità nell’applicazione della didattica a distanza nei differenti istituti scolastici, diventa fondamentale che laddove venga percepita una carenza metodologica o strumentale in relazione al proprio stile di apprendimento, lo studente si attivi in prima persona per colmarla. 6. POTENZIARE I PROCESSI DI APPRENDIMENTO ATTRAVERSO LE RISORSE DIGITALI E L’ESPERIENZA QUOTIDIANA “C'è vero progresso solo quando i vantaggi di una nuova tecnologia diventano per tutti.” ( HENRY FORD) L’esercizio della didattica impone ad ogni docente di considerare l’eterogeneità del contesto classe. Il sistema scolastico deve quindi prevedere una flessibilità metodologica che garantisca la libertà di apprendimento per ogni studente, attraverso l’attivazione di strategie d’insegnamento il più possibile variegate. Tale accorgimento dovrebbe trovare applicazione sia nel contesto tradizionale in presenza, che nella didattica a distanza. Tuttavia è innegabile che, talvolta, la possibilità di applicare una didattica che soddisfi le esigenze di tutti gli studenti, può risultare difficile, soprattutto in un momento di complessità come quello attuale in cui, di fatto, alcuni docenti si stanno sperimentando per la prima volta nell’insegnamento a distanza. Ecco perché si rende necessario che lo studente, attraverso l’attivazione delle proprie abilità metacognitive, inizi a cercare e sperimentare, anche in autonomia, modalità che gli possano consentire di integrare le informazioni ricevute. In che modo? Una strategia utile può essere quella di consultare le sitografie delle case editrici al fine di trovare materiali didattici di approfondimento consultabili senza vincoli di orario. Diverse case editrici mettono a disposizione, ad esempio, presentazioni in Power Point, mappe concettuali modificabili e risorse audio. Anche i canali digitali per il caricamento dei video, possono costituire una risorsa importante per approfondire alcuni argomenti in maniera più accattivante, attraverso la visione di videofilmati che spesso, grazie alla presenza di numerose immagini e di voci fuoricampo, riescono a spiegare chiaramente concetti complessi. L’utilizzo di software gratuiti per la costruzione di mappe concettuali, può risultare estremamente utile per organizzare le informazioni ricevute dal docente e integrarle con quelle apprese in autonomia attraverso altri canali. Alcuni di questi software consentono anche la possibilità di registrare la costruzione digitale della mappa, consentendo allo studente, ad esempio, di mostrare al proprio docente non solo il prodotto del proprio lavoro, ma anche il processo con il quale è stato realizzato. Un’altra risorsa molto utile è rappresentata dagli audiolibri, in cui un attore legge il testo integrale di un libro. Attualmente molte case editrici hanno messo a disposizione gratuitamente un gran numero di romanzi adatti alle differenti fasce di età. L’ascolto dell’audiolibro può compensare in maniera significativa le difficoltà di lettura, ad esempio negli studenti dislessici, favorendo l’arricchimento del patrimonio lessicale, esattamente come un libro tradizionale svolge la propria funzione per i normolettori. Resta inteso che una buona abitudine sarebbe quella di condividere sempre con i propri docenti, la tipologia e i contenuti dei materiali utilizzati in autonomia, al fine di collaborare attivamente per il raggiungimento degli obiettivi disciplinari. 7. PENSIERO DIVERGENTE “Non soffocare la tua ispirazione e la tua immaginazione, non diventare lo schiavo del tuo modello.” (VINCENT VAN GOGH) Creatività, innovazione, pensiero divergente, gioco. In un momento così particolare in cui le istituzioni scolastiche escono forzatamente dalle loro mura fatte di obblighi, regole e strutture statiche, la creatività e l’innovazione possono condurre ad un cambiamento epocale nella scuola. In un momento in cui le poche certezze riguardano il dover fare qualcosa (si attua comunque una didattica), ma non il come farla (le cinque ore di lezione frontale sono inevitabilmente presenti solo in rari casi), la creatività degli studenti può far la differenza. Se per i primi gradi di scuola è ancora la creatività del docente che stimola e indirizza quella degli alunni, negli anni successivi potrebbe verificarsi il contrario. Ogni studente può contribuire all’innovazione del sistema scuola proponendo nuove forme di organizzazione scolastica (non fare lezione le prime ore del mattino, ma nel primo pomeriggio), nuove modalità di condivisione (lavorando su lavagne condivise, su documenti condivisi e modificabili), nuove modalità di restituzione di ciò che si è appreso. Soprattutto relativamente alle modalità di restituzione gli studenti possono creare qualcosa di nuovo ricordando che per pensiero creativo si intende “la capacità dello studente di generare e applicare nuove idee in contesti specifici, vedere le situazioni esistenti in modo nuovo, identificare spiegazioni alternative e creare nuovi collegamenti che generano un risultato positivo”. Le ricerche dimostrano come la creatività abbia un’influenza positiva sugli apprendimenti in quanto presuppone una riorganizzazione delle conoscenze individuali che agevola a sua volta la memorizzazione dei concetti e quella flessibilità cognitiva necessaria per fronteggiare cambiamenti. Essere innovativi e cercare soluzioni nuove, promuove il senso di autoefficacia e la motivazione ad apprendere, nonché il senso di responsabilità e l’autonomia. 8. ALLEANZA DOCENTE-STUDENTE: RESTIAMO PROTAGONISTI DEL NOSTRO PERCORSO “L'insegnamento non è solo un freddo passaggio di informazioni, ma è una relazione tra due esseri umani, in cui uno è assetato di conoscenza e l'altro è votato a trasmettere tutto il proprio sapere, umano ed intellettuale.” (RUDOLF STEINER) “C'è un vantaggio reciproco, perché gli uomini, mentre insegnano, imparano.” LUCIO ANNEO SENECA Docenti e studenti, seppur a distanza, vivono diversamente la loro relazione e possono contribuire nel sostenere o nel limitare la profondità del legame. Le ricerche dimostrano quanto le emozioni siano importanti per l’apprendimento e influenzino il modo con cui si impara: le emozioni positive, infatti, aiutano a ricordare più facilmente rendendo alcune conoscenze indelebili nella mente; permettono di pianificare le attività da svolgere ponendo maggiore attenzione sulle varie fasi; incoraggiano la soluzione di problemi. Al contrario emozioni negative possono peggiorare l’attenzione e la memorizzazione e incidere sfavorevolmente sulla motivazione ad apprendere. La presenza di fiducia e di stima reciproca fra docente e studente agevola la presenza di emozioni positive e la creazione di relazioni sociali che sono alla base dell’apprendimento. Cosa porta alla creazione di fiducia e stima? È importante che il docente sia appassionato e ispirato: tali elementi conducono ad una maggiore conoscenza delle caratteristiche degli studenti e alla conseguente possibilità di fornire loro feedback efficaci. Gli studenti necessitano di feedback, soprattutto di quelli relativi ai processi affettivi che permettono di ridurre le distanze dal “punto in cui sono” al “punto in cui dovrei arrivare” attraverso la motivazione che consente di aumentare l’impegno; sostenendo i loro processi cognitivi e elogiando modalità personalizzate di riorganizzazione delle proprie conoscenze; mostrando la disponibilità ad ulteriori confronti; descrivendo il livello di comprensione dell’attività; suggerendo alternative possibili e nuove strade da percorrere ed infine manifestando senso dell’umorismo e un atteggiamento positivo ed ottimistico. 9. IL VALORE DELLA RELAZIONE: CONTINUARE A COLTIVARE LA RELAZIONE CON I COMPAGNI DI CLASSE “ Da bambina non avevo legami, e ciò mi turbava costantemente. Se solo avessi saputo che un giorno la mia diversità si sarebbe rivelata un dono, la mia infanzia sarebbe stata molto più facile” (BETTE MIDLER) Uno dei rischi che può indurre la didattica a distanza è quello di snaturare la componente relazionale che caratterizza uno dei capisaldi dell’ambiente scolastico. Non si può infatti prescindere dall’importanza delle relazioni sociali, anche a scuola. Laddove la didattica a distanza obbliga alla lontananza fisica, gli studenti dovrebbero poter coltivare anche l’interazione sociale, convertendo la prossemica, la comunicazione e la componente emotiva, in comportamenti che possano favorire gli scambi con i compagni e con gli insegnanti. Venendo a mancare la vicinanza fisica, l’impossibilità di manifestare e condividere le emozioni insite in ogni dinamica relazionale, rischia di rendere il contesto classe un ambiente in cui le informazioni seguono una traiettoria unilaterale in cui il docente spiega e lo studente ascolta o, semplicemente, sente. Le caratteristiche del contesto classe, inteso come gruppo, devono essere assolutamente mantenute al fine di sviluppare e consolidare le abilità relazionali. Anche Goleman (1995), citando Hatch e Gardner, ricorda l’importanza delle quattro componenti dell’intelligenza interpersonale: la capacità di organizzare gruppi, la capacità di negoziare soluzioni, la capacità di stabilire legami interpersonali e la capacità d’analisi della situazione sociale. “Prese nel loro insieme, tutte queste abilità costituiscono l’essenza stessa della brillantezza nei rapporti interpersonali” (Goleman, 1995, Intelligenza Emotiva, pag. 148). Ogni studente dovrebbe quindi assumersi la responsabilità, anche con il supporto dei propri docenti, di coltivare i rapporti interpersonali all’interno della classe in un’ottica di promozione del benessere scolastico e della crescita personale. Ma in che modo? In primo luogo sentendosi libero di esprimere a docenti e compagni le eventuali difficoltà che sta vivendo o le personali strategie messe in atto per far fronte alla situazione contingente. L’utilizzo responsabile e funzionale delle emoticon, che generalmente vengono utilizzate in contesti informali, soprattutto nella messaggistica con i telefoni cellulari o nei più comuni social, potrebbe costituire un mezzo per conferire un’identità emotiva ad alcuni interventi in chat, anche nel contesto classe virtuale. Anche l’attivazione della funzione “alza la mano” presente in alcune piattaforme, potrebbe essere utile per stabilire una disciplina di classe all’interno degli scambi comunicativi. Inoltre, in un momento in cui l’impatto psicologico legato alla situazione d’emergenza può determinare significative difficoltà di autogestione emotiva, la possibilità di confrontarsi con i compagni di classe, sulle emozioni e sensazioni che si stanno vivendo, può risultare non solo utile, ma, in alcuni casi, addirittura determinante per l’evoluzione della propria crescita personale e di quella di propri compagni. Non sentirsi soli e riconoscere l’eventuale solitudine dell’altro può e deve rappresentare lo stile di interazione privilegiato affinché anche la classe virtuale si configuri come un ambiente di apprendimento in grado di garantire il benessere di ogni studente. 10. CHE COSA POSSO OFFRIRE DI ME ALLA RIAPERTURA DELLA SCUOLA? “Il premio per una cosa bene fatta, è averla fatta.” (RALF WALDO EMERSON) “Io devo studiare sodo e preparare me stesso perché prima o poi verrà il mio momento.” ( ABRAMO LINCOL) La responsabilità sociale che ogni studente deve agire, in quanto cittadino, impone una riflessione sul che cosa possa e debba restituire alla scuola, una volta terminata l’emergenza. Quali abilità digitali ho sviluppato? Come ho migliorato il rapporto con i miei compagni e i miei docenti? Quali consapevolezze ho sviluppato rispetto al mio modo di apprendere? Sono diventato più autonomo? Che cosa ho scoperto rispetto al mio ruolo di studente all’interno del contesto classe e dell’istituzione scolastica in generale? Il saper dare risposta a queste domande può costituirsi come un’occasione preziosa affinché ogni studente, assumendosi il ruolo di protagonista, possa contribuire in prima persona al miglioramento e al cambiamento della scuola italiana. Sarà infatti importante tornare tra i banchi di scuola più consapevoli e responsabili dell’importanza dell’istituzione scolastica, del valore della cultura e della dimensione di socialità. C’è da considerare, inoltre, che lo sconvolgimento del sistema di istruzione ha messo in evidenza in maniera evidente il peso che le differenze individuali possono avere in una situazione sociale caratterizzata da un improvviso ed inaspettato cambiamento. Non tutti gli studenti, e non tutti i nuclei familiari, ad oggi, sono in grado di vivere la didattica a distanza con gli strumenti necessari, sia in termini di risorse digitali, personali, sociali e familiari. L’essere consapevoli che le differenze individuali impongono l’attivazione di atteggiamenti empatici e la messa in atto di strategie di apprendimento e di insegnamento flessibili e ragionate, può costituirsi come una irripetibile occasione di crescita per il nostro sistema scolastico. L’obiettivo della nuova scuola dovrebbe concentrarsi sull’urgenza di accorciare le distanze, nel pieno rispetto delle differenze individuali. Ad ogni studente, prezioso e unico, viene offerta l’occasione per dimostrare la propria responsabilità sociale al fine di favorire la costruzione di una scuola che sia realmente a misura di tutti.
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