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I mini gialli dei dettati 2
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Search-ME - Erickson 1 BES DSA e ADHD
Una mamma di due studenti con Disturbi Specifici di Apprendimento, attiva anche nell'Associazione Italiana Dislessia, racconta l’impatto delle misure anti-Covid sulla vita scolastica dei ragazzi
Il rientro a scuola in epoca COVID, almeno all’inizio, è stato un piacere per i ragazzi che, dopo mesi di didattica a distanza (Dad) e di connessioni che non funzionavano, hanno ritrovato le relazioni con i compagni e amici. Sembra sia quasi tutto roseo e divertente se osserviamo la situazione dal punto di vista dei ragazzi nei primi giorni di scuola. Soprattutto chi comincia un’esperienza nuova, alla scuola secondaria, sia di primo che di secondo grado, è pieno di curiosità, voglia di conoscere persone nuove, avere nuove relazioni, fare nuove esperienze. Per tutti gli altri c’è la gioia di ritrovare i compagni e ambienti a loro familiari. La quotidianità di queste prime settimane tuttavia non nasconde alcuni disagi, a volte anche importanti. Un esempio fra tutti: la mancanza del personale docente, da cui deriva un orario che cambia in continuazione e un grande turn-over di docenti supplenti. E poi, lezioni rese pesanti dal contesto, anche se si tratta di misure doverose: portare la mascherina, rispettare il distanziamento interpersonale, talvolta trascorrere la ricreazione in classe per non rompere la “bolla protetta” dal punto di vista sanitario all’interno dell’aula. Tutto impedisce la socializzazione spontanea, la comunicazione e un ritmo normale della lezione dopo mesi di DAD. Sembra, tra l’altro, che i ragazzi abbiano perso l’abitudine a mantenere l’attenzione necessaria a seguire ciò che spiegano i docenti. Gli studenti più fragili, non tutti, forse, hanno perso anche la motivazione. La scuola ai tempi del “COVID” suscita anche timori. Sia da parte della famiglia, che da parte del corpo docente. L’ansia da contagio per il genitore porta a non razionalizzare le situazioni, e spesso a creare falsi allarmismi nonostante le linee guida siano sufficientemente chiare rispetto le procedure da seguire per le segnalazioni da COVID. Il docente a sua volta, può trovarsi spaventato ad affrontare la classe. Per paura del contagio rischia di trincerarsi dietro a una didattica frontale rigida. Tutti questi elementi contribuiscono a creare tensione, rendendo difficile il ritorno a scuola con serenità. Anche l’avvio dell’anno accademico nel mondo universitario è stato difficile: le lezioni, per la maggior parte a distanza, sono un grosso limite specie per quei ragazzi con DSA che sono in grado di capitalizzare il loro apprendimento attraverso le relazioni e l’empatia delle lezioni in presenza. In questi casi la lezione a distanza diventa un limite, in particolare quando subentra la difficoltà di attenzione, aggravata dal dover guardare il monitor senza interscambio di relazione e conoscenza personale. In alcune università si è fatto addirittura un passo indietro, forse per mancanza di risorse legate al lavoro agile … svolto da casa, la conseguenza è stata che sono stati tagliati i servizi degli uffici DSA e Disabilità riducendoli a dei meri call center. Ciò che è importante tutelare, soprattutto oggi, sono i diritti degli studenti con DSA nella didattica integrata. A volte sembra che i nostri ragazzi si perdano, diventino invisibili; per esempio quando ci si confronta sulle problematiche tecniche di come svolgere le verifiche on line. Ho potuto notare che l’attenzione degli insegnanti verso i disturbi specifici dell’apprendimento spesso non è centrale: la preoccupazione del docenti è tutta sugli aspetti procedurali di verifica, ma perdono di vista per esempio la cura dell’aspetto grafico, schematico, del testo che renderebbe più facilmente leggibile e comprensibile la consegna. In buona sostanza c’è sempre tanto lavoro da fare. Cambiano le situazioni, ma al primo posto dev’esserci sempre l’impegno dei docenti di mettere in atto una didattica mirata, innovativa, inclusiva e davvero efficace, insomma una didattica che arrivi veramente a tutti gli studenti.
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Search-ME - Erickson 2 DSA
Paola Ruffini, presidente della sezione dell’Associazione Italiana Dislessia di Teramo, racconta com’è la scuola a distanza dal suo punto di vista di mamma di un ragazzo con DSA
Agrodolce. È questo il sapore che caratterizza le nostre giornate di quarantena. Sono successe cose straordinarie, ma la realtà resta comunque molto faticosa e sempre più spesso avvertiamo il bisogno di tornare al passato e alla normalità. Sperimentiamo insomma un momento pieno di contraddizioni, dove non mancano gli alti e bassi. La vita è un miscuglio di ingredienti che impregnano i nostri rapporti domestici, quotidiani, scolastici e che immancabilmente convivono. Non è facile per nessuno! Alle prese con una esistenza cambiata troppo velocemente che si vorrebbe con un colpo d’ala rimuovere. Il lavoro si ferma, le relazioni strette si allontanano, la scuola si avvicina alle famiglie con nuove modalità, è infatti a distanza. Sì, la scuola! Da tanto sognavi di avere una scuola al passo con i tempi, che privilegiasse la tecnologica e la creatività! Una scuola che riuscisse ad ispirare una crescente passione per l’apprendimento. Lo studio diventa infatti una specie di importante mezzo salvifico per il momento tanto irreale che stiamo vivendo! Ma non è banale, né semplice con Giorgio, un figlio dislessico, disgrafico, disortografico e discalculico. Però assisti a un piccolo miracolo: dopo quattro giorni dall’interruzione ufficiale, la scuola di tuo figlio si attiva, si impegna, riparte, è vicina! Ci sentiamo fortunati, per certi aspetti anche privilegiati. Si realizza quello che hai sempre auspicato per lui: l’utilizzo della tecnologia, verso cui l’hai spinto da quando era piccolo per superare le sue difficoltà; la presenza attiva del genitore, la collaborazione scuola-famiglia. Non è forse questa la rete educativa che tanto sostenevi? La famosa corresponsabilità che pattuiscono i genitori e insegnanti a inizio anno? I primi tempi con la Didattica a Distanza: l’impegno e l’entusiasmo Giorgio , gli insegnanti si mettono in discussione e con loro, noi genitori. Ora si impara tutti, tutti insieme! Si studiano cose nuove, i docenti, gli alunni, le famiglie. Oltre ai contenuti si acquisiscono competenze, per alcuni è tempo di perfezionarle, per altri di utilizzarle. E ci si comprende, tutti! O quasi. Nella scuola, come si sa, ci sono sempre anche mediocri insegnanti e cattivi allievi. Comunque ciascuno fa quel che può, alcuni danno il massimo. Alle prese con una modalità scolastica nuova. I tempi si dilatano, i ragazzi appaiono euforici, gli insegnanti soddisfatti per il lavoro svolto, i genitori si sentono parte attiva nella scuola. E osservi lui, tuo figlio, felice di assistere ad una lezione live, di rivedere i compagni. Lo guardi, è attento a seguire le lezioni per imparare a caricare compiti, scansionare documenti e utilizzare il calendario digitale. E lo osservi ancora mentre ascolta l’audio della sua prof che legge un passo dell’Iliade e che da questo prende spunto per assegnare uno storytelling. Giorgio ha affrontato i suoi timori e li ha scritti, riuscendo a trovare soluzioni creative per superarli. Con sguardo premuroso e discreto lo osservi mentre segue lezioni, tutorial, video e ascolta audio preparati dai suoi insegnanti, realizza lavoretti geometrici per la festa del papà, prepara le slides per un ricerca di gruppo. Lo accompagni inevitabilmente nell’aiuto compiti e nell’utilizzo delle nuove tecnologie didattiche. All’inizio il tuo sostegno è assiduo, ora con gioia lo vedi camminare quasi da solo. Ti adoperi, trovi il programma compatibile con la piattaforma utilizzata dalla scuola per supportare la sua disgrafia e disortografia. Trovi il digitalizzatore vocale! La prof più tecnologica ti suggerisce il sintetizzatore vocale incorporato. Tutti impegnati e lui impara. Tutti allievi che assolvono al meglio il loro compito! E poi c’è il prof di sostegno che attiva un corso per confrontarsi con i ragazzi sulle difficoltà di questa didattica distante che vuole però, essere più vicina. Lo fa titolandolo “Spazio di incontro, condivisione ed altre frivolezze”. La Didattica a Distanza dopo il primo mese: la stanchezza e la privazione di tempo libero È trascorso un mese, siamo tutti stanchi però, Giorgio per primo. E ripensi alle frivolezze del prof, alla necessità estrema di una pausa che noi e Giorgio rivendichiamo ai professori che vorrebbero andare avanti con i compiti anche durante le vacanze. Mio marito, mio figlio ed io invece decidiamo che per Pasqua ci si ferma. Si respira. Riassaporiamo appieno la genitorialità che in questi giorni è stata messa da parte e che tanto ci è mancata. Ci si accorge che il tempo di dare a Giorgio altri stimoli oltre alla scuola si è interrotto. Anche a casa abbiamo dovuto reinventarci, riorganizzarci con la nuova quotidianità. E ricordiamo i tempi in cui la sua tutor lo accompagnava nei compiti con risate e confidenze e ci permetteva di fare la mamma ed il papà, di giocare con lui, di coccolarlo, di fargli scoprire le cose che gli piacciono. Nei giorni di quarantena abbiamo avuto poco tempo per questo! E dopo la pausa pasquale comprendi che è giunto il momento di entrare nella “Fase due” della scuola e della famiglia. Se fino ad ora questa situazione eccezionale e non prevista ci ha resi tutti troppo impegnati, disponibili alle esigenze di una scuola che cercava di andare avanti, ci ha coinvolto senza porre limiti….. Adesso vorremmo tornare a una sorta di normalità seppure da reclusi. Non vorremmo più le videolezioni di pomeriggio. Ci piacerebbe che la scuola tornasse ad essere confinata ai suoi tempi naturali. Ci rendiamo conto delle difficoltà che impongono di estendere l’orario: gli insegnanti impegnati in più classi e le famiglie che hanno più figli ed un solo Pc. Però siamo stanchi, non ne possiamo più. Noi e Giorgio, il pomeriggio vorremmo fare altro: vedere un museo virtuale, fare ginnastica e ridere insieme, ascoltare un audio libro, giocare con il cane, cucinare… Intanto ho deciso di non assistere più alle lezioni live delle materie in cui ha più difficoltà. Alcuni insegnanti dedicano intere lezioni a correggere i compiti, facendo leggere gli esercizi assegnati. Mi accorgo che Giorgio si sente escluso ed annoiato e come lui altri ragazzi. E allora ti vien voglia di chiamare l’insegnante per ricordare che la scuola è anche un momento di socialità e di didattica partecipata ed inclusiva. In questo tempo abbiamo dimenticato tante cose, abbiamo dimenticato che Giorgio, come i suoi compagni, ha 11 anni e che della scuola amava anche le chiacchiere con i prof, gli scherzi con i compagni e la ricreazione. Ora si è in qualche modo costretti ad essere tutti seri, troppo seri! Nella “Fase due”, dopo che la scuola ha a distanza ha superato la fase di rodaggio, dovremmo impegnarci di più a ritrovare un’armonia nelle relazioni. Un primo bilancio della Didattica a Distanza, tra luci e ombre Di quest’esperienza vedo luci ed ombre. Credo che in questi tempi convulsi di scuola digitale, i docenti abbiano potuto comprendere meglio la fatica che i ragazzi con DSA e le loro famiglie affrontano da sempre. In questi giorni, infatti, tutti si sono impegnati ad accompagnare gli studenti a utilizzare una didattica diversa, nuova. Molti ragazzi e famiglie, però, non ce l’hanno fatta. Alcuni per mancanza di tempo, altri perché poco avvezzi alla tecnologia, altri ancora perché stanno convivendo con dolori familiari. La didattica anche quella a distanza, continua a delegare molto ai genitori che sono diversi per estrazione sociale e culturale, e, così facendo, rischia di amplificare le differenze e di allontanare invece di avvicinare, di escludere invece di includere. La scuola è di tutti! Un diritto da rivendicare per i nostri ragazzi con DSA e per i tanti studenti a cui, oggi non vengono garantiti integrazione e sostegno. Mi rendo conto che adesso è un momento particolarmente critico, ma dobbiamo provarci lo stesso.
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Search-ME - Erickson 3 Dislessia
Andrea Delogu, Giacomo Stella, Giampaolo Morelli, Beatrice Lambertini e molti altri raccontano le loro esperienze di vita con la dislessia in un nuovo podcast realizzato da Edizioni Erickson in collaborazione con l’Associazione Italiana Dislessia (AID)
Andrea Delogu a scuola faceva più fatica dei suoi compagni, e non capiva il perché. Oggi è conduttrice radiofonica, scrittrice e attrice. Giampaolo Morelli non riusciva a leggere ad alta voce davanti alla classe, perché le lettere iniziavano a ballare davanti ai suoi occhi e le mani a sudare freddo. Oggi è attore, sceneggiatore, scrittore e regista. Andrea Delogu e Giampaolo Morelli non sono i soli ad aver avuto problemi di apprendimento a scuola. Problemi che, come si è scoperto a un certo punto della loro vita, avevano a che fare con la dislessia e gli altri Disturbi Specifici dell’Apprendimento. Ne sanno qualcosa in proposito anche Filippo Barbera, che ha dovuto affrontare dislessia, disortografia, disgrafia e discalculia tutte insieme, e oggi fa il maestro alla scuola primaria. O Beatrice Lambertini, una ragazza bolognese che a vent’anni ha portato sul palco di XFactor una canzone autobiografica in cui parla della sua discalculia. Sono alcuni dei protagonisti di “A modo mio. Storie di vita e dislessia”, un nuovo podcast realizzato da Edizioni Erickson e Associazione Italiana Dislessia per approfondire la conoscenza della dislessia e degli altri DSA attraverso le storie di vita di persone che non si sono mai lasciate scoraggiare dai loro disturbi e sono riuscite, passo dopo passo, a raggiungere traguardi importanti. Nonostante i DSA o, forse, proprio grazie ai DSA. Il podcast è realizzato da Edizioni Erickson in collaborazione con Associazione Italiana Dislessia in occasione della Settimana Nazionale della Dislessia. La prima puntata raccoglie la testimonianza di Giacomo Stella – psicologo e fondatore di SOS Dislessia – che spiega dal punto di vista scientifico che cosa sono i DSA. Nella seconda puntata, Andrea Delogu ci racconta la sua esperienza con la dislessia e di come si è sentita grata quando, a vent’anni, le è arrivata la diagnosi. “A modo mio. Storie di vita e dislessia” è disponibile gratuitamente su Spreaker https://www.spreaker.com/show/a-modo-mio-storie-di-vita-e-dislessia e sulle principali piattaforme di streaming musicale (Spotify, Apple Music, Amazon Music…). Ogni settimana sarà possibile ascoltare una nuova puntata e conoscere nuove storie di dislessia attraverso le voci dei loro protagonisti.
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Search-ME - Erickson 4 DSA
Un’analisi di quello che è successo a livello educativo e relazionale negli ultimi mesi con tanti suggerimenti su “cosa fare” per fronteggiare al meglio la situazione che stiamo vivendo
Questo breve contributo nasce da un recente webinar che ho realizzato per l’Associazione Italiana Dislessia dopo qualche settimana dall’inizio del lockdown, nel quale si è cercato di dare risposte alle molte domande delle famiglie, che si sono trovate in pochi giorni immerse in una situazione di profondi cambiamenti. Ad oggi la situazione sembra migliorata, ma molte delle riflessioni di quella giornata sono ancora attuali e probabilmente lo saranno anche nei prossimi mesi con l’inizio del nuovo anno scolastico. Il tema principale riguarda i rapidi e spesso inaspettati cambiamenti nelle relazioni didattiche ed in generale nelle relazioni educative, tra genitori e figli, che un evento come il COVID 19 ha determinato. Ovviamente non si può capire tutto questo senza prima aver analizzato quelli che sono i cambiamenti individuali che si determinano in situazioni di quarantena. In letteratura sono stati pubblicati vari studi che si possono trovare su siti istituzionali delle varie associazioni scientifiche e degli ordini professionali, oltre che del Governo. In generale quello che emerge è l’attivazione di un quadro tipico di risposta ad uno stress acuto, in particolare si notano un aumento degli stati di ansia e tensione (come attivazione di uno stato di allerta generalizzata verso un pericolo), alterazioni dei ritmi sonno/veglia, peggioramento della dieta e riduzione dell’attività motoria. A questo spesso si aggiunge un abbassamento del tono dell’umore, un aumento della conflittualità familiare, del nervosismo e dell’aggressività spesso determinati da un disadattamento alle nuove routine. Le abitudini delle famiglie prima e dopo il Covid Vorrei subito fare una riflessione proprio sul confronto tra i ritmi pregressi e le nuove abitudini dello stare chiusi in casa. Prima di questo periodo i genitori non avevano mai passato tanto tempo con i propri figli, se non in periodi di vacanza determinati e con molti meno stressor, nella “vita di prima” i bambini passavano almeno il 50% del tempo a scuola, poi nel pomeriggio spesso con nonni, baby sitter o vari servizi doposcuola (questo soprattutto per chi aveva necessità particolari), in alternativa c’erano le attività sportive o associazionistiche e ricreative. Da un giorno all’altro i bambini si ritrovano costantemente a casa, con ritmi e tempi totalmente variati, con genitori che lavorano da casa o devono continuare a lavorare fuori perché svolgono attività necessarie, ma non ci sono più i nonni, i baby sitter e tutto il resto, solo questo basterebbe a destabilizzare chiunque. Purtroppo, non è finita, a tutto ciò si somma la paura del virus, che diventa anch’essa un fantasma indefinito aumentando lo stato d’ansia e di stress. In tutto questo si inserisce anche la didattica a distanza che esplode nelle scuole con una prima fase che amo definire come una “rincorsa alla digitalizzazione”, dove vengono caricati contenuti su contenuti, su registri elettronici e piattaforme di tutti i tipi, determinando un ulteriore fattore di stress per genitori e figli. Mentre i ragazzini della scuola secondaria di secondo grado riescono a rispondere con una qualche autonomia, credo sia difficile pensare che un bambino della scuola primaria ma anche secondaria di primo grado possa connettersi, scaricare, stampare, linkare, caricare, salvare, ecc.., senza che vi sia un adulto con lui, inoltre va considerato che anche i genitori, non sempre sono sufficientemente alfabetizzati digitalmente, né tutte le famiglie hanno a disposizione tecnologie adeguate, soprattutto le famiglie numerose che devono anche condividere l’unico pc, tablet o smartphone. Spesso questi genitori devono passare anche 4/5 ore al giorno con i figli per la didattica, questo diventa un tempo condiviso ma molto frustrante che invece di migliorare il rapporto lo carica di ulteriori tensioni. Va detto che anche per i docenti i cambiamenti sono stati importanti e la scuola non sempre era già attrezzata digitalmente, quel che si sta osservando oggi è un progressivo miglioramento delle capacità di coordinamento tra docenti e dell’utilizzo delle nuove tecnologie, oltre che un rallentamento della rincorsa e un maggior utilizzo delle lezioni in live. Oltre a tutto quanto già detto, non si poteva neppure uscire al parco per fare una passeggiata, non si poteva andare in bicicletta o tirar due calci a un pallone per scaricarsi un po’ e soprattutto non lo si potrà fare neppure ora con gli amici. La mancanza degli amici diventa un’emergenza educativa Proprio quest’ultima situazione, cioè la mancanza del gruppo dei pari, si sta rivelando una delle emergenze educative più importanti e spesso sottostimata dall’attualità della cronaca. La scuola non è solo un insieme di contenuti, ma un contenitore di relazioni umane, tra pari e con gli adulti di riferimento. Per tutti i bambini queste relazioni sono fonte di apprendimenti tanto importanti quanto e forse più delle materie curriculari. Questi apprendimenti sono chiamati in vari modi: life skills, social skills, competenze trasversali, ecc… Sono tutte quelle abilità che si apprendono in maniera non strutturata nei gruppi, come: la tolleranza alla frustrazione, la gestione delle emozioni, l’imitazione di modelli adeguati socialmente. Sono importanti per tutti i bambini, ma in particolare per quelli che presentano Bisogni Educativi Speciali e che per le loro caratteristiche hanno più difficoltà a generalizzare queste competenze. In casa manca anche il ruolo inibitorio del gruppo sociale e ciò, associato alla maggior familiarizzazione delle figure genitoriali e alla frustrazione che l’attività didattica può determinare, fa spesso aumentare i comportamenti oppositivi e provocatori, determinando un ciclo disadattivo che mina pesantemente la resilienza di queste famiglie. Come far fronte all’isolamento sociale e relazionale Ma di fronte ad una situazione di questo genere cosa possiamo fare? Direi che questa domanda riassume in sé tutti i dubbi e le preoccupazioni che ho raccolto in diretta dalle famiglie che si sono confrontate con me in quella giornata. La mia più che una risposta vuole essere un piccolo compendio che, lungi dall’essere esaustivo, può fornire tanti piccoli attrezzi da utilizzare nelle varie situazioni della nostra vita domestica, suggerimenti che possono valere per tutti i bambini, ma in particolare saranno utili per tutte quelle situazioni speciali a cui abbiamo accennato. Come intuibile da quanto si è detto una delle prime cose da fare è ricostruire delle routine regolari; ciò crea un ambiente prevedibile e controllabile per tutti con meno incognite e quindi meno ansie. Si devono regolarizzare in primis i ritmi sonno/veglia e gli orari dei pasti, così come sarebbero auspicabili gli orari delle lezioni live al mattino per spingere ad una maggiore motivazione al risveglio e inserire anche attività motorie. Si può costruire insieme un planning settimanale che tenga conto di tutte le necessità e incombenze di genitori e figli, che preveda anche tempi di gioco e divertimento e che possa diventare per tutti la mappa della giornata. Il tempo condiviso deve essere anche gradevole e non solo didattico, vanno previsti dei momenti di gioco magari motorio o di società, così come le stesse incombenze domestiche possono diventare un momento di apprendimento divertente e creativo (cucinare o fare le pulizie). Rallentare non deve essere un problema ma un’opportunità di aprire momenti di confronto e di elaborazione dei vissuti (sia con la scuola che con la famiglia) anche sul periodo che stiamo vivendo. Sforziamoci di creare un ambiente rassicurante, normalizziamo e non incrementiamo pensieri catastrofici, diamo informazioni corrette ma senza enfatizzare i pericoli, ricordiamoci che al di là delle parole i bambini osservano i nostri comportamenti. In questo senso consiglio di regolarizzare per tutti i tempi di esposizione all’informazione dei mass media e di ridurli a pochi momenti della giornata. Un tema molto sentito sembra essere anche il calo del livello di motivazione con la didattica a distanza e l’aumento dell’oppositività nella gestione dei bambini. Come dicevamo, al di là dei fattori specifici di questa situazione, si possono mettere in capo varie strategie per aumentare la collaborazione. Nei bambini più piccoli si possono utilizzare delle tecniche di token economy con giochi a punti e premi. Spesso la conflittualità è dovuta anche a metodi didattici diversi tra genitori e insegnanti, in questo caso, sebbene a volte sia stato necessario nella prima fase, il genitore non deve sostituirsi all’insegnante ma collaborare con esso ed utilizzare le stesse metodologie, meglio ancora se l’insegnante stesso riesce con lezioni live a verificare gli apprendimenti specifici. Per gli adolescenti, che con la perdita del gruppo sociale possono sentire ancora più pesantemente le conseguenze dell’isolamento, è importante evitare un muro contro muro, ma prevedere delle contrattazioni e delle mediazioni rispettose oltre che dei tempi di studio anche dei loro tempi privati e dell’uso dei social network. Infine, noi psicologi per anni ci siamo giustamente preoccupati delle dipendenze da uso di internet, che hanno generato nuove forme di fobia sociale e peggiorato tutti quei soggetti che per vari motivi presentano difficoltà di integrazione e socializzazione. I rischi, come sottolineato precedentemente, rimangono, ma le tecnologie non vanno demonizzate, ma gestite, perché com’è sempre accaduto nella nostra storia, divengono parte del nostro sviluppo e della nostra evoluzione, l’importante è conoscerle e non subirle passivamente. Ma come stiamo vedendo con la didattica a distanza, i device possono diventare strumenti potenti per tante esperienze positive, in particolare per molti ragazzi sono stati l’unico strumento per rimanere in contatto con i pari. Possiamo sfruttarli anche per momenti di socializzazione non troppo strutturata per i più piccoli, creando in accordo con la scuola dei gruppi di peer education, o semplicemente con altre famiglie, si possono organizzare dei momenti per fare giocare e ridere insieme i bambini. Mantenere il sorriso in un bambino è una delle forme più forti di resilienza che possiamo mai avere.
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Search-ME - Erickson 5 DSA
Otto suggerimenti per i genitori di ragazzi con DSA da parte di Giovanna Fola, docente di scuola primaria e formatrice AID, Associazione Italiana Dislessia
Con l’emergenza sanitaria ci siamo trovati improvvisamente ad affrontare un cambiamento epocale, che sicuramente lascerà profonde tracce nelle vite personali e nella memoria collettiva. Anche il mondo dell’istruzione non poteva rimanere indenne al nuovo corso degli eventi e ha dovuto trasformarsi radicalmente: la scuola è entrata nelle pareti domestiche come mai era successo; anzi, la casa è divenuta scuola. Attraverso la didattica a distanza si è potuto continuare a “fare scuola” nonostante il distanziamento sociale. Ma cosa significa per un ragazzo con DSA fare scuola a casa? Quali implicazioni ne derivano per la vita familiare? Cosa può o deve fare un genitore di un alunno dislessico alle prese con la didattica a distanza? Questo nuovo modo di far scuola ha in sé molte potenzialità, ma nello stesso tempo nasconde elementi di criticità che possono diventare ulteriori ostacoli nel percorso degli alunni con DSA. Di conseguenza si rende necessaria nella progettazione e nella realizzazione delle attività a distanza un’attenzione particolare alle peculiarità di questi studenti. È quanto ribadito anche dalla nota 388 del 17 marzo 2020 del Dipartimento per il sistema educativo di istruzione e di formazione, che richiama al rispetto del PDP e all’utilizzo degli strumenti compensativi e dispensativi. Il PDP nella didattica a distanza Eppure, nonostante le indicazioni ministeriali, vi sono famiglie che si trovano di fronte al problema della mancata applicazione del PDP nella didattica a distanza. Cosa fare quindi? La non attuazione delle indicazioni previste dal PDP è una problematica sperimentata dai genitori dei ragazzi con DSA anche nella didattica tradizionale, ma credo che nel quadro delle attività a distanza meriti un’attenzione particolare, alla luce della quale si può individuare una possibile via di soluzione. I PDP sono stati predisposti dai consigli di classe nei primi mesi di scuola, quando la didattica a distanza era un’idea futuristica che nella prassi quotidiana era riservata a un numero esiguo di studenti. Improvvisamente è diventata l’unica via per fare scuola, sebbene l’istituzione scolastica e la società in genere non fossero pronti per farlo. Docenti e genitori si sono trovati a gestire l’emergenza, così come è accaduto in ogni settore delle nostre vite. La didattica a distanza è partita faticosamente, mossa principalmente dalla buona volontà dei singoli docenti. Questa lunga premessa è necessaria per comprendere il contesto in cui si pone il problema dell’adeguamento della nuova didattica ai bisogni e alle caratteristiche dei ragazzi, problema che coinvolge sia gli insegnanti sia le famiglie. Da un lato ci sono gli insegnanti, che sperimentano strumenti senza riuscire a vederne l’efficacia in modo diretto e immediato; dall’altro c’è lo studente, e i genitori al suo fianco, che deve riorganizzare il proprio percorso all’interno di un ambiente di apprendimento domestico, estremamente diverso da quello cui era abituato. Purtroppo, nessuno degli attori coinvolti è in grado di conoscere e capire a fondo la realtà che l’altro sta vivendo. È questo un pericolo sempre presente tra scuola e famiglia, in ogni situazione e per tutti, ma lo è maggiormente quando la relazione educativa verte attorno alla figura di un alunno con DSA. Ho sperimentato tale difficoltà in prima persona, come madre di una ragazza dislessica da un lato e docente di scuola primaria dall’altro. Tra le mura domestiche ho vissuto le sofferenze e le fatiche dei genitori: il disorientamento dinnanzi a un figlio così diverso dall’immagine ideale che mi ero costruita; i sensi di colpa; l’inadeguatezza nella relazione parentale; le ansie per i risultati scolastici e soprattutto per il suo benessere emotivo; il dolore per il rifiuto di una diversità che sembra così pesante da portarsi appresso; le preoccupazioni per il futuro; le ore passate a svolgere i compiti o meglio a provare mille strategie per convincere la figliola a farli! Eppure tutti gli sforzi miei, di mia figlia e della famiglia intera arrivavano solo parzialmente sui banchi di scuola, dove il tutto finiva condensato in un asettico numero. Tra le mura scolastiche, d’altra parte, ho sperimentato le difficoltà di un docente: l’impotenza dinnanzi a genitori che non vogliono vedere e capire le fatiche del figlio; l’insoddisfazione e il senso di inadeguatezza quando, nonostante tutti i possibili tentativi, non riesci a trovare la strada per favorire l’apprendimento di quel particolare alunno; il disagio per una relazione faticosa; i problemi nella gestione del gruppo classe che schernisce la diversità; le ore passate a completare documenti che sembrano inutili pratiche burocratiche. Eppure, anche come insegnante, mi è capitato di pensare che tutti i miei sforzi non fossero serviti e soprattutto non fossero stati capiti dai miei interlocutori, alunni e genitori. Nella didattica a distanza il divario scuola - famiglia aumenta, giacché il processo di insegnamento – apprendimento e la relazione educativa devono passare solo attraverso gli strumenti tecnologici, con i limiti che ne derivano. L’alleanza educativa scuola - famiglia Di fronte al pericolo di un contrasto c’è solo una via di soluzione: l’alleanza educativa scuola – famiglia. Se questa era essenziale prima, ora diventa vitale per permettere una reale conoscenza e comprensione reciproca. Nella didattica a distanza la relazione docente – alunno/ genitore deve essere implementata, pur con le caratteristiche che la contraddistinguono. È necessario creare e mantenere un dialogo continuo per favorire un confronto proficuo ed evitare fraintendimenti o errori spiacevoli. Qui non si tratta solo del rispetto del PDP, che resta comunque fondamentale; stiamo provando sul campo la più grande sperimentazione con la quale il sistema scolastico italiano si sia mai cimentato. In tale contesto può accadere che l’insegnante utilizzi metodologie inadeguate per l’alunno con DSA, che non rispondono ai suoi bisogni e magari in contrasto con quanto previsto dal documento ufficiale firmato all’inizio dell’anno scolastico. I genitori devono segnalare il problema contattando il docente. I colloqui in presenza non sono possibili, ma si può inviare una mail al diretto interessato e/o agli indirizzi istituzionali reperibili sui siti degli Istituti stessi, al referente DSA o al Dirigente Scolastico. Naturalmente è importante farlo con spirito di collaborazione e rispetto del ruolo del docente. Non servono accuse o suggerimenti didattici ma informazioni chiare sulla base delle quali trovare soluzioni innovative e funzionali, condivise dalle parti. Affinché il dialogo risulti efficace deve essere ispirato da un atteggiamento di reciproca comprensione e di rispetto delle fatiche e delle difficoltà dell’altro, alunno, genitore o insegnante che sia. In questi frangenti siamo tutti in battaglia e possiamo farcela solo se puntiamo all’unione ed alla collaborazione. Il “genitore - insegnante” I problemi dei genitori con la didattica a distanza non si esauriscono nella relazione con i docenti. Resta infatti un nodo ben più urgente e cruciale: la relazione genitore – figlio che, nel caso dei ragazzi con DSA, è spesso messa a dura prova proprio sul terreno del rendimento scolastico e lo è maggiormente nell’epoca del coronavirus. Ci siamo trovati improvvisamente rinchiusi nelle nostre case a vivere fianco a fianco senza sosta, costretti a riorganizzare ritmi e spazi (oltre che PC, contesi tra gli utenti della famiglia) alla ricerca di nuovi equilibri. In alcune situazioni abbiamo perso importanti risorse che ci supportavano nel lavoro genitoriale. Cosa fare? Probabilmente molte mamme come me si saranno sentite rivestite della mansione di insegnanti. Avranno iniziato a seguire pedissequamente il gruppo whatsapp della classe, a controllare il registro elettronico e ogni possibile piattaforma alla ricerca spasmodica dei compiti, a mettersi sedute a fianco del bimbo/ragazzo per lo svolgimento delle attività richieste. Tale atteggiamento però nasconde un grave rischio: metterci al posto del figliolo e limitarne l’indipendenza. Il compito fondamentale dei genitori, invece, è quello di aiutare i figli a crescere. Nel caso di un ragazzo con DSA significa dargli la possibilità e gli stimoli per fare da solo, per diventare autonomo, anche nelle questioni scolastiche. È vero che questi figli richiedono attenzioni e strategie particolari, ma dobbiamo capire quando l’aiuto sia veramente efficace e come darlo senza annullare l’altro. La presenza del genitore a fianco dei piccoli è quasi indispensabile; tuttavia, con il passare del tempo, deve gradualmente ridursi per evitare di diventare lo strumento compensativo per eccellenza. Ci sono poi momenti di grandi cambiamenti, come l’attuale, che richiedono particolare attenzione. Per questo è necessario continuare ad esercitare una sorta di vigilanza attiva anche nei confronti dei più grandi per capire se e come intervenire per supportare il ragazzo senza però limitarne l’indipendenza. È importante in ogni caso che il genitore non si identifichi con l’insegnante e non si dimentichi del suo ruolo primario, per non incorrere nel rischio di rovinare la relazione parentale in nome dei risultati scolastici. Purtroppo nell’emergenza sanitaria è la situazione stessa che ci pone nelle condizioni di una nostra maggior presenza nella vita scolastica dei figli, ormai ridotta all’ambito domestico. Tuttavia non dobbiamo mai perdere di vista il fine ultimo: la crescita, l’autonomia. Alla luce di ciò possiamo orientare e guidare i nostri figli. Come è possibile farlo concretamente senza sostituirci a loro? Ecco una serie di suggerimenti. Otto suggerimenti per i genitori per affiancare i figli con DSA nel lavoro a casa Organizzare gli spazi Cerca di individuare un luogo tranquillo e riservato dove il bambino/ ragazzo possa seguire le lezioni e svolgere i compiti, attrezzandolo con tutti i materiali necessari. È importante che lo studente abbia uno spazio in cui “sentirsi a scuola”. Pianificare le attività I ragazzi con DSA faticano spesso a organizzare e gestire il tempo. Nell’attuale situazione sono saltate alcune importanti routine e ce ne sono di nuove. Pertanto è molto utile aiutare il ragazzo a pianificare le lezioni e gli impegni relativi ai compiti, senza però dimenticare lo spazio per le attività extra scolastiche. Organizzare i compiti Suddividete i compiti, prevedendo tempi adeguati di esecuzione inframezzati da pause. “Affiancare discretamente” Con i bambini più piccoli o in casi particolari potrebbe essere utile un intervento facilitatore del genitore per fornire un supporto rispetto alle abilità rese deficitarie dal disturbo. In generale è importante controllare la comprensione delle consegne. Se necessario, fate voi la prima lettura o rileggete se il bambino sembra non aver capito. Inoltre, esistono molte risorse online utili per favorire l’apprendimento in tutte le aree disciplinari e per tutte le fasce di età. Questi strumenti ben si adattano alle caratteristiche dei ragazzi con DSA, fornendo input a livello sia uditivo sia visivo. È possibile trovare informazioni al riguardo sul sito dell’AID in un’apposita sezione dedicata alla didattica a distanza. Stimolare l’uso degli strumenti compensativi informatici L’uso del PC è importante per un alunno con DSA, ma è talvolta considerato dai ragazzi stessi come un simbolo della loro diversità e pertanto rifiutato. In questo momento storico, invece, il PC è condiviso da tutti. Che occasione per motivare i nostri figli ad usarlo! Usare gli indici testuali nelle attività di studio Lo studio è un’attività complessa che necessita l’acquisizione di uno specifico metodo, il cui insegnamento è competenza della scuola. Tuttavia il genitore può aiutare il ragazzo ad osservare gli indici testuali (titoli in grassetto, sottolineature, scritte colorate, figure con didascalie) per cogliere le parole chiave da utilizzare poi per la costruzione di una mappa. Quest’ultima attività può essere inizialmente svolta insieme al bambino, con carta e penna o con gli appositi software. Controllare il lavoro Stimolate vostro figlio a rivedere il proprio lavoro per correggere eventuali errori, anche mediante l’utilizzo della sintesi vocale e del correttore ortografico. Valorizzare i progressi Cercate sempre i progressi, i miglioramenti, che vostro figlio compie nel suo lavoro. Sentirsi riconosciuto ed apprezzato lo aiuterà ad accrescere l’autostima e la fiducia in sé stesso. Così facendo possiamo aiutare i ragazzi nei compiti, mantenendo però una sana relazione genitore – figlio. In essa è fondamentale un atteggiamento di ascolto e dialogo, a maggior ragione in questa situazione dove molte certezze sono venute meno. Parliamo con i nostri figli, cercando di capirne vissuti e sentimenti e trascorriamo con loro del tempo di qualità. Costretti fianco a fianco in casa, possiamo permetterci di giocare, leggere storie appassionanti o guardare programmi televisivi insieme, commentando e riflettendo sul significato di quanto vediamo e soprattutto di quanto stiamo vivendo. L’essere genitori è la certezza rimasta che ci permette di traghettare noi e le nostre famiglie al di là della crisi e delle difficoltà verso nuove speranze.
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Search-ME - Erickson 6 DSA
Dislessia, disgrafia, disortografia e discalculia, il punto sui disturbi specifici di apprendimento.
I disturbi specifici di apprendimento riguardano in Italia oltre 2 milioni di persone tra bambini, ragazzi e adulti. Secondo le recenti ricerche, dislessia, disortografia, disgrafia e discalculia riguardano circa il 3-4% degli alunni italiani. Questo significa che in una classe di 25 studenti è altamente probabile trovare un bambino o un ragazzo che manifesti una considerevole difficoltà negli ambiti della lettura, del calcolo e della scrittura. Proviamo a rispondere alla domande più frequenti: Quali e cosa sono i DSA? Qual è la diffusione dei DSA in Italia? Quali sono i possibili segnali premonitori di un DSA? È importante l’individuazione precoce dei DSA? Qual è l’età minima per la diagnosi? Quali figure professionali sono specializzate per valutare un DSA? Chi segnala eventuali difficoltà del bambino? Cosa può fare un insegnante? Al bambino con DSA serve l’insegnante di sostegno? Che cosa sono gli strumenti compensativi e le misure dispensative? Che strumenti può utilizzare un insegnante per l’individuazione precoce degli alunni con possibile DSA? Cosa può fare un genitore per capire se suo figlio ha un DSA?     Quali e cosa sono i DSA? I Disturbi evolutivi Specifici dell’Apprendimento (DSA) sono un gruppo di disturbi di origine neurobiologica delle abilità di base che interferiscono con il normale apprendimento della lettura, della scrittura e del calcolo. I DSA si distinguono: Dislessia: disturbo della lettura che si esprime a livello base della decodifica del testo (apprendimento della “tecnica” di lettura: trasformazione dei segni grafici nei suoni che compongono le parole) Disortografia: disturbo della scrittura che si esprime a livello della compitazione del testo (codifica fono-grafica e ortografia) Discalculia: disturbo delle abilità relative al mondo dei numeri e del calcolo  Disgrafia: disturbo della scrittura che si esprime a livello della grafia (aspetti grafo-motori)   Qual è la diffusione dei DSA in Italia? Secondo i dati della ricerca epidemiologica più recente e aggiornata in Italia, la prevalenza stimata dei DSA, rilevata su una popolazione scolastica del quarto anno della scuola primaria, oscilla tra il 3,1% e il 3,2%.  Ciò significa che al termine del primo anno della scuola primaria è possibile aspettarsi che almeno un bambino in ogni classe manifesterà difficoltà significative nell'apprendimento della letto-scrittura. Purtroppo solo l’1% di questi alunni con DSA è riconosciuto con una certificazione diagnostica, mentre il restante 2%, pur manifestando delle difficoltà non è stato identificato come DSA   Quali sono i possibili segnali premonitori di un DSA? Durante la scuola dell’infanzia, alcuni comportamenti e difficoltà in determinate aree possono essere considerati predittori di DSA, per esempio alcune difficoltà nell’orientamento spazio-temporale o nella coordinazione motoria. Mentre nei primi anni della scuola primaria, bambini che hanno difficoltà nell’organizzazione del lavoro o esauriscono rapidamente la loro capacità di concentrazione, possono manifestare un eventuale DSA, soprattutto se nel primo anno di scuola non compiono i progressi attesi.   È importante l’individuazione precoce dei DSA? Sì, perché l’osservazione precoce dello sviluppo delle abilità di apprendimento è fondamentale per contenere le manifestazioni disfunzionali del disturbo. Molte scuole dell’infanzia si sono già attivate in questo senso: a partire dall’ultimo anno si stanno diffondendo metodiche di osservazione scolastica che possono aiutare gli insegnanti nella progettazione didattica a supporto delle difficoltà.  In particolare a partire dall'ingresso alla Scuola Primaria è possibile osservare eventuali ritardi nel percorso di alfabetizzazione che potrebbero essere un indice di disturbo.   Qual è l’età minima per la diagnosi? Non prima della fine della classe seconda della scuola primaria.   Quali figure professionali sono specializzate per valutare un DSA? La valutazione e l’eventuale diagnosi di DSA può essere svolta da Psicologi e Neuropsicologi dello sviluppo esperti in Psicopatologia dell’apprendimento e Neuropsichiatri Infantili. In alcune regioni è possibile presentare alla scuola anche le diagnosi elaborate da privati, mentre in altre sono accettate solo quelle del Servizio Sanitario Nazionale (o enti convenzionati). Per meglio comprendere la specifica situazione di ogni regione far riferimento alla sezione Normativa locale sui DSA   Chi segnala eventuali difficoltà del bambino? Generalmente è l’insegnante che segnala eventuali difficoltà del bambino alla famiglia. In particolare se l’insegnante rileva difficoltà nel rendimento scolastico del bambino, con ritardo nell'apprendimento della letto-scrittura o carenze negli apprendimenti di fatti matematici, può inviare la famiglia a fare una visita specialistica in modo che le figure professionali pertinenti sottopongano il bambino a una serie di test finalizzati.   Cosa può fare un insegnante quando in classe prima della scuola primaria alcuni bambini manifestano un possibile rischio di DSA? Cercare di cambiare l’ottica con cui osservare le difficoltà. Nell’età evolutiva le differenze individuali nello sviluppo dei bambini sono molto ampie, e spesso in classe prima sono moltissimi bambini che hanno difficoltà di letto-scrittura, generalmente molti più di quelli che avranno un DSA.  È quindi fondamentale, nella pratica quotidiana, aiutare tutti i bambini in un’ottica di prevenzione e non di “cura”, agevolando: i bambini che non avrebbero bisogno di un intervento specifico, ma che potrebbero comunque consolidare e meglio padroneggiare l’abilità i bambini che ne avrebbero invece bisogno perché hanno uno sviluppo tardivo delle abilità e che quindi arrivano sempre un po’ dopo gli altri e sono alla continua rincorsa dei compagni e soprattutto della didattica! i bambini che svilupperanno un DSA ma ancora non lo sappiamo con certezza tutti gli altri bambini che portano con sé un disturbo dell’apprendimento non specifico ma secondario ad altre patologie. Una didattica attenta ad alcuni aspetti fondamentali, in classe prima (e alla scuola dell’infanzia), permette a un bambino con DSA di sopravvivere al suo primo anno di scuola e di apprendere come gli altri. Dobbiamo quindi puntare molto su ciò che aiuta a ridurre le manifestazioni del disturbo, dato che non possiamo intervenire sulla causa perché costituzionale.   Al bambino con DSA serve l’insegnante di sostegno? No. Il bambino con DSA per definizione è un bambino intelligente, che però presenta specifiche cadute nelle abilità di lettura e/o scrittura e/o calcolo. Necessita quindi di particolari attenzioni didattiche, ma non dell’insegnante di sostegno. Il supporto di cui ha bisogno può essere attivato dall'insegnante di classe, dalla famiglia e indirettamente dai compagni attraverso metodiche che l’insegnante può adottare nella di gestione della classe, come l’apprendimento collaborativo.   Che cosa sono gli strumenti compensativi e le misure dispensative? Gli strumenti compensativi per i DSA sono strumenti didattici e tecnologici che sostituiscono o facilitano la prestazione richiesta nell'abilità deficitaria, tipica del disturbo. Si distinguono in  “specifici”: strumenti che supportano in modo diretto l’abilità deficitaria (lettura/ortografia/grafia/numero/calcolo), come, per esempio, la sintesi vocale, la calcolatrice, la videoscrittura con correttore ortografico, ecc.  “non specifici” o “funzionali”: strumenti che supportano aspetti deficitari di abilità “trasversali” quali memoria, attenzione, ecc. Tali strumenti sono, per esempio, la tavola pitagorica, le tabelle dei verbi, delle formule matematiche, della sequenza dei giorni/mesi… Le misure dispensative sono particolari interventi didattici che permettono agli alunni con DSA di non svolgere alcuni compiti o di esserne parzialmente esentati (lettura ad alta voce in classe, studio mnemonico delle tabelline, valutazione degli errori ortografici, ecc.).   Che strumenti può utilizzare un insegnante per l’individuazione precoce degli alunni con possibile DSA? Nei primi due anni della scuola primaria nelle scuole sono in uso delle buone pratiche di individuazione precoce delle difficoltà di apprendimento che si basano sull’utilizzo di prove scolastiche per l’osservazione e il monitoraggio dello sviluppo delle competenze di base relative alla lettura, alla scrittura e al calcolo. Questi strumenti possono essere somministrati in forma collettiva, cioè a tutta la classe e/o in forma individuale. Un modello di intervento e valutazione uniforme, rapido e standardizzato è quello offerto dalla piattaforma multimediale Giada, che consente di individuare precocemente eventuali difficoltà di apprendimento legate agli ambiti della letto-scrittura e del numero-calcolo. Di norma con la supervisione di un esperto (consulente scolastico) l’insegnante può farsi un’idea più precisa se il ritardo negli apprendimenti di un alunno può essere un possibile indice di disturbo specifico. Nei primi due anni di scolarizzazione sono frequenti casi di “falsi positivi”, cioè bambini che presentano un semplice ritardo negli apprendimenti senza sviluppare poi un DSA. Prima della segnalazione ai genitori occorre quindi prendere in considerazione anche altri elementi, tra cui i principali sono la familiarità per il disturbo e un pregresso disturbo del linguaggio   Cosa può fare un genitore per capire se suo figlio ha un DSA? Innanzitutto confrontarsi con gli insegnanti per valutare se le problematiche che si evidenziano a casa sono riscontrate anche a scuola. Se è così, in collaborazione con gli insegnanti, raccogliere i principali elementi significativi del possibile disturbo che si evidenziano nello svolgimento delle attività scolastiche (es. lettura lenta e/o scorretta, errori di ortografia, scrittura poco comprensibile e/o molto lenta, difficoltà nell’apprendimento delle tabelline e dei calcoli semplici, ecc.). A questo punto è importante rivolgersi al Servizio Sanitario del territorio o a uno specialista di disturbi dell’apprendimento che lavora privatamente. .cap-glossario{ top: -150px; position: relative; } .url-glossario li, .url-glossario li a {color: #b5161a; font-size: 1.2rem; text-decoration: none; font-weight: bold; } .url-glossario li a:hover {color:#122969; background: rgba(149,165,166,0.2); content: ''; -webkit-transition: -webkit-transform 0.3s; transition: transform 0.3s; -webkit-transform: scaleY(0.618) translateX(-100%); transform: scaleY(0.618) translateX(-100%);}
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