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I mini gialli dei dettati 2
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Metodo Montessori e anziani fragili Didattica
Giulia Mauri, Anna Pepitone e Federica Benetto, tre insegnanti che hanno concluso il percorso di formazione “Expert Teacher”, raccontano come è stata per loro l’esperienza del Master e quale valore aggiunto rappresenta per la loro professione
Nella scuola italiana, da tempo non esiste più un unico profilo di docente, che si occupa quasi esclusivamente dei processi di insegnamento e apprendimento. Sono infatti tante, nella scuola di oggi, le sfide da affrontare, per le quali sono necessarie competenze, conoscenze specifiche ed esperienza.  Il Master «Expert Teacher» organizzato da Erickson, in collaborazione con l’Università Telematica degli Studi IUL di Firenze, si propone di formare insegnanti in grado di gestire il cambiamento, sia dal punto di vista didattico che dal punto di vista organizzativo e professionale, con percorsi dedicati sia agli insegnanti di scuola primaria e secondaria, che ai coordinatori, insegnanti ed educatori di nido e di servizi per la prima infanzia.  Come funziona il Master? Si tratta di un Master di I livello/corso di alta formazione, della durata di un anno accademico, fruibile in modalità e-learning, con una tesi finale che viene discussa in presenza, e il rilascio finale di 60 crediti formativi universitari (CFU). Il Master “Expert Teacher” propone tre percorsi diversi: Esperto nei processi educativo-didattici sistema integrato 0-6Intende formare coordinatori, educatori e insegnanti esperti nel sistema integrato di educazione e di istruzione 0-6 Esperto in didattica innovativa e inclusivaIntende formare docenti esperti nella didattica per competenze, nelle metodologie innovative (anche con l'utilizzo degli strumenti digitali) e nella promozione di una cultura inclusiva. Esperto in organizzazione scolasticaIntende formare docenti esperti nella progettazione, nel monitoraggio e nella valutazione dei percorsi di acquisizione di competenze trasversali degli studenti, in particolare in sinergia con agenzie formative, famiglie e altri soggetti del territorio, e dei percorsi PCTO (per il secondo ciclo) con un focus specifico sulle competenze dell’orientamento formativo. Che tipo di esperienza è quella del Master, che utilità e ricadute può avere rispetto al lavoro e in che modo può rappresentare un valore aggiunto rispetto al proprio bagaglio professionale? Abbiamo intervistato tre insegnanti che hanno concluso il percorso di formazione “Expert Teacher”. Ecco quello che ci hanno raccontato.   Giulia Mauri Insegna da sette anni in una scuola secondaria di primo grado in provincia di Milano. Perché ha scelto di iscriversi al Master Expert Teacher, in particolare a quello per il profilo “Esperto in didattica innovativa e inclusiva”? «Avevo visto la presentazione di questo master sul sito Erickson, che seguo perché sono affezionata alla vostra offerta formativa, e mi sembrava valida, molto completa e dettagliata. In particolare, avevo notato che il Master metteva a fuoco tematiche come l’apprendimento cooperativo, la gestione della classe, l’educazione emotiva, tutte competenze indispensabili per noi insegnanti che all’università non vengono insegnate, perché ci si concentra molto sui contenuti ma poco sulle metodologie». Quali sono gli aspetti del master che ha apprezzato di più? «Ho apprezzato molto il fatto che gli insegnamenti abbiano una forte applicabilità nella pratica d’aula. Il limite di tanti corsi di formazione che vengono proposti è che vertono tanto sulla teoria ma poco sulla pratica. I corsi Erickson invece sono molto concreti, per così dire, e consentono di applicare in classe quanto si è appreso. Ho apprezzato anche la ricchezza dei materiali forniti e la prontezza di risposta dei tutor a ogni esigenza». Ci fa un esempio di insegnamento concreto, che ha avuto un’applicabilità diretta per la sua didattica? «Gli organizzatori grafici erano un elemento che non utilizzavo nella didattica, prima di frequentare il master. Ho visto che sono molto utili per lo studio, perché li costruiamo insieme con i ragazzi e facilitano il ragionamento e la discussione. Inoltre, anche grazie al loro aspetto accattivante, favoriscono la memorizzazione dei contenuti e rimangono più impressi».   Anna PepitoneVicentina trapiantata a Vieste (Foggia), è stata insegnante di inglese alla scuola secondaria di secondo grado e da qualche anno si occupa di interventi didattici mirati per i disturbi del comportamento. Della sua esperienza con il master “Expert Teacher”, parla così: «Il master è stato molto impegnativo dal punto di vista didattico. Per me ha rappresentato un anno di crescita, soprattutto da un punto di vista interiore. Mi ha dato alcune conferme, come la conferma del fatto che l’approccio umanistico nella didattica è fondamentale e che deve essere prevalente rispetto all’approccio tecnico-specialistico. Mi ha insegnato molte cose: la prima è stata la cura dell’altro. Prendersi cura dell’altro è la base del lavorare insieme. Nel nostro gruppo di corsisti, non ci conoscevamo come colleghi, ma abbiamo imparato un po’ alla volta a prenderci cura dell’altro. Nella quarta palestra del master, in particolare, una palestra che aveva come tema la valutazione nella scuola delle competenze, ho sperimentato l’accudimento da parte dei miei compagni, ossia sono stata accompagnata verso l’autorealizzazione in un ambito in cui sapevo molto poco, e alla fine mi sono sentita competente e soddisfatta».   Federica Benetto È stata insegnante di sostegno per 8 anni alla scuola primaria, in provincia di Torino, e da poco è passata all’insegnamento curricolare.  Perché ha deciso di fare l’esperienza del master? «Sentivo il bisogno di formarmi di più su inclusione e didattica innovativa, soprattutto in vista del cambio di incarico a scuola. In passato avevo fatto altri corsi con Erickson e avevo piacere di aggiornarmi e ampliare la mia formazione». Quali sono gli aspetti del master che ha apprezzato maggiormente? «Ho apprezzato la formazione e la competenza dei docenti, le conoscenze che sono riusciti a trasmetterci e il fatto di avere a disposizione tanto materiale da consultare.L’approccio utilizzato, nonostante il master si sia svolto soltanto online, mi ha dato la possibilità di dialogare e lavorare in gruppo con altri studenti, uno scambio che è stato motivante e arricchente.Per me è stato utile anche sperimentare la valutazione formativa, in cui i giudizi sono stati sostituiti da un feedback descrittivo, il che mi ha dato la possibilità di vivere in prima persona quello che gli alunni sperimentano a scuola. In che modo quello che ha imparato le è utile nel suo lavoro a scuola? «Non ho ancora potuto mettere in pratica le conoscenze che ho acquisito perché poco dopo la conclusione del master sono andata in maternità, ma appena rientrerò avrò modo di applicare al lavoro in classe le conoscenze e le abilità che ho sviluppato». .article-header{ align-items: center !important; } .author-profile-pic{ height: auto !important; } @media (max-width: 576px){ .me-text ul li { font-size: 19px !important; line-height: 28px !important; } .me-text ol li { font-size: 19px !important; line-height: 28px !important; } } .me-text ul li { font-size: 22px; line-height: 34px; } .me-text ol li { font-size: 22px; line-height: 34px; } @media (max-width: 768px){ .me-text div { flex-direction: column !important; }
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Metodo Montessori e anziani fragili ADHD DOP e altri disturbi del comportamento
Come fissare regole efficaci e adeguate per i bambini con difficoltà comportamentali nella prima infanzia
Le difficoltà comportamentali sono spesso solo un piccolo frammento delle sfide che affrontano giornalmente bambini con disturbi nella regolazione del comportamento, mentre sono più significative le ricadute determinate dalle esperienze negative sulla costruzione di se stessi: percezione di inadeguatezza ed esclusione, bassa autostima, identificazione con ruoli negativi. Fin dalla scuola dell’infanzia le caratteristiche di iperattività, impulsività e disattenzione possono interferire con un sereno adattamento al contesto e creare condizioni di disagio.  La situazione può migliorare però quando il bambino coglie la possibilità di autodeterminarsi in un ambiente sufficientemente fermo e supportivo. La strada maestra per promuovere una crescita armonica è la costruzione di un ambiente inclusivo nel quale ognuno abbia il proprio spazio e possa sentirsi valorizzato con una progettazione personalizzata e calibrata. Naturalmente per poter convivere con sensibilità e caratteri molto diversi all’interno del contesto scolastico è necessario stabilire delle regole.  Ma come fare in modo che queste regole vengano rispettate? Le regole aiutano a ridimensionare il senso di onnipotenza tipico di questa età e forniscono un senso di protezione: i bambini necessitano di sapere quali sono i limiti prestabiliti all’interno dei quali possono muoversi e per loro è importante sentire che l’adulto ha il controllo della situazione. Talvolta però i bambini non rispettano le regole perché non le hanno ancora comprese, altre volte invece perché il comportamento è più veloce del pensiero. Già nel momento in cui le regole vengono stabilite è importante che abbiano determinate caratteristiche per rendere possibile ai bambini capire come rispettarle e agli educatori come farle rispettare.  Le regole dovrebbero quindi essere: chiare e visibili: devono essere comprensibili, espresse in positivo e orientate a comportamenti concreti; poche e monitorate in modo sistematico;  fisse e adeguate: se i limiti cambiano costantemente, il bambino si sente disorientato, così come se non rispondono alle sue esigenze; buone: anche le regole possono avere un’anima, impersonate il valore di ogni regola. Intervenire in ciascuno di questi casi senza farsi sopraffare dalle emozioni del momento può non essere facile, ma vengono in aiuto i consigli degli esperti: Non demordete! A volte dobbiamo avere fiducia e insistere con pazienza, perché i piccoli imparano anche con la ripetizione. Rimanete calmi e fermi! I bambini riconoscono nella forza di volontà dell’adulto un modo per rafforzare la loro. Curate i messaggi non verbali! Monitorate i vostri messaggi non verbali per assicurarvi che la regola arrivi ai bambini in modo chiaro e contenitivo. Siate coesi e coerenti! Confrontatevi all’interno del vostro gruppo di lavoro e stabilite regole condivise.
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Search-ME - Erickson 1 BES
Cosa fare (e non fare) quando un alunno con Disturbo del Comportamento ha una crisi di rabbia
Con il termine «Disturbi del Comportamento» ci riferiamo allacondizione di bambini che mostrano comportamenti aggressivi,difficoltà a regolare le proprie emozioni e scarso rispetto delle regole date dagli insegnanti e dai genitori.Alcuni bambini sviluppano questa sintomatologia a causa diuna mancata regolazione delle emozioni di base, spesso associata a marcate difficoltà nelle capacità attentive; altri tendono amostrare le loro maggiori difficoltà nell’ambito del rispetto delleregole e sono caratterizzati anche da deficit nelle capacità empatiche.Prendersi cura di bambini DOP può essere molto difficile estancante, ma al contempo anche fonte di grande soddisfazione,gioia e affetto nella relazione.  Il bisogno fondamentale che questi bambini ci esprimono è quello di essere valorizzati. Un bambino o una bambina DOP manifesta una crisi di rabbia perché vive le emozioni, soprattutto paura e rabbia, in modo totalizzante. Ad esempio, la paura di non farcela a gestire un compito, o la rabbia derivante da un rifiuto da parte di un compagno, generano emozioni molto intense e gli rendono difficile assumere l’atteggiamento più funzionale per affrontare queste tempeste emotive. Sintonizzare le emozioni Il bambino che ha spesso crisi di rabbia soffre molto in tutti quei momenti di disregolazione. Se riuscisse a regolarsi lo farebbe. Sicuramente, quindi, non lo fa apposta. Provare a sintonizzarsi sulla sua sofferenza può aiutare a mantenere l’autocontrollo necessario ad affrontare la situazione in classe. Come farlo? Provate a pensare a un episodio nella vostra vita in cui siete stati sopraffatti da un’emozione: non avete sofferto? Non avreste voluto semplicemente che qualcuno vi stesse accanto? Dare sfogo all’energia Un’emozione intensa attiva il corpo: è energia che cerca sfogo. Promuovete modalità funzionali di espressione della rabbia, che aiutino a scaricare l’energia: correre sul posto, stringere una pallina antistress, accartocciare uno o più fogli, scarabocchiare liberamente. Saper aspettare Se il bambino è troppo «su di giri» dal punto di vista emotivo sarà inutile cercare di attivare in lui meccanismi di autoregolazione basati su strategie cognitive e dialogo. Sarà utile, piuttosto, lasciare che sfoghi in parte questa energia e, quando sarà più calmo, parlarci e capire le motivazioni della crisi e/o fornire strumenti e indicazioni più «cognitive». Cercare di parlare con lui quando l’emozione è al picco sarebbe come cercare di comunicare da terra con qualcuno che si trova su un aeroplano: potremo urlare o sbraitare quanto vogliamo, ma lui non potrà sentirci. La rabbia non è per sempre Inoltre, ricordate che le emozioni, per quanto intense o prolungate, sono temporanee: non possono durare per sempre. Per come funziona la fisiologia delle emozioni umane, le crisi di rabbia si attenueranno naturalmente in circa cinque-dieci minuti.
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Metodo Montessori e anziani fragili Didattica
Entrambi i principi contribuiscono a costruire una educazione inclusiva, ma nessuno dei due è sufficiente da solo.
I principi di normalità e di specialità hanno contribuito e contribuiscono entrambi a costruire il pensiero e le pratiche dell’educazione inclusiva. Il primo mette l’accento sull’uguaglianza di valore fra tuttə ə bambinə e ə ragazzə e il loro pari diritto a un’educazione di qualità. Sottolinea inoltre il valore di luoghi formativi che accolgano tuttə in un contesto democratico e garantiscano la partecipazione a un curricolo comune.  Il principio di specialità porta invece a guardare l’unicità di ognunə e a dare un’attenzione particolare a bambinə e ragazzə che per qualche ragione (marginalizzazione o vulnerabilità) faticano a godere pienamente dell’offerta formativa e rischiano dei fallimenti.Questo principio evidenzia l’importanza di costruire un’offerta formativa plurale che permetta di intervenire in modo mirato per limitare l’impatto di marginalizzazione e vulnerabilità ed evitare degli insuccessi in ambito formativo. Entrambi i principi sono forze che contribuiscono a migliorare l’educazione inclusiva. Allo stesso tempo, nessuno dei due è sufficiente da solo. Entrambi sono parziali ed entrambi implicano dei rischi. Attraverso il dispositivo della dialogica della speciale normalità, proponiamo di pensarli insieme. Mettere in dialogo normalità e specialità ci permette in primo luogo di individuare un terreno comune, di intersezione che supera una loro contrapposizione dicotomica. Riconoscere l’unicità di ogni soggetto che apprende porta la specialità nel campo della normalità e spinge allo sviluppo di un’offerta formativa normale che si faccia plurale nel rispetto di quelle molteplici singolarità. Questa non è però una soluzione statica: richiede di essere costantemente monitorata e sviluppata, ponendosi alcune domande che richiamano i rischi che uno sbilanciamento verso la normalità o verso la specialità comporta. Come riconoscere l’unicità di ognunə evitando l’appiattimento ingiusto di tutte le differenze come se fossero uguali, ma anche forme di etichettamento e stigmatizzazione per situazioni di marginalità e vulnerabilità?  Come dare vita a un’offerta formativa plurale che unisca senza omologare o standardizzare, ma al contempo garantisca interventi di supporto a marginalità e vulnerabilità senza isolare e delegare?  In questo senso, la speciale normalità contribuisce a costruire uno spazio dialogico in cui i due principi di normalità e specialità possono continuamente correggersi e contaminarsi, potenziando il loro valore per lo sviluppo di un’educazione inclusiva e limitando i rispettivi rischi.
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Metodo Montessori e anziani fragili Didattica inclusiva
Un clima sereno in classe deriva dal saper attuare strategie efficaci per l’inclusione, guidando i processi di crescita di ciascun alunno.
Stranamente si scrive poco su un problema concretissimo, che rimane cruciale per la gran parte degli insegnanti: la gestione della classe. Questa espressione è diffusissima nella scuola, anche se è certamente riduttiva: lo scopo non è rendere accettabile l’esistente, ma attivare e guidare dei processi di trasformazione e di crescita. Il ruolo dell’educatore consiste infatti nel creare le condizioni perché l’alunno realizzi le sue potenzialità e apprenda dapprima in modo guidato e poi in modo sempre più autonomo.  Tuttavia gestire una classe quando si comprende la grande eterogeneità delle alunne e degli alunni che si hanno di fronte non è mai un compito semplice.  È assolutamente necessario cogliere e fronteggiare i problemi del singolo, senza però mai perdere il controllo del gruppo. Il valore inclusivo della didattica consiste nel miglioramento della sua qualità complessiva per tutti gli alunni, i quali in questo modo riescono a ottenere proposte maggiormente individualizzate o personalizzate. Una buona didattica inclusiva cerca infatti di riconoscere e comprendere le varie differenze degli alunni, di valorizzarle, innanzitutto non pensandole solo in accezione negativa ma anche per le loro valenze positive.  Alla luce di questo, per creare un’esperienza di apprendimento efficace in qualunque classe seppur molto eterogenea, l’insegnante deve essere capace di creare un’atmosfera motivata e favorevole. Per farlo è necessario essere sempre disponibili all’ascolto, sia attivo sia passivo, non solo per mettere a fuoco e risolvere problemi con i singoli alunni o con la classe, ma anche per fornire un modello nell’affrontare i problemi di relazione. Non c’è un solo modo per essere insegnanti convincenti ed efficaci: si può essere più aperti o riservati, ma l’importante è risultare, ed essere, sempre coerenti. L’autorevolezza deriva dalla sicurezza, dall’autostima e dal senso di efficacia che un insegnante riesce a conquistare, ma in buona misura deriva anche dalla coerenza tra comportamenti manifesti e convinzioni profonde, che si traduce poi in correttezza, anche professionale, nelle relazioni. Gli insegnanti possono quindi contare su una serie di strategie che coinvolgano tutti gli aspetti che compongono la complessità della relazione con il gruppo classe, al fine di una gestione serena ed efficace: Concordare le regole della classe e le relative sanzioni riparatorie. Perché la classe diventi una comunità democratica cooperativa metacognitiva si può cominciare con il concordare insieme le regole e le relative sanzioni. Agire in modo coerente. L’insegnante è un modello per gli alunni, e per questo si deve comportare con giustizia e agire di conseguenza. Condividere con i ragazzi le scelte educative e i criteri di valutazione degli apprendimenti. Coinvolgere i ragazzi nelle scelte educative permette di farli sentire parte attiva nella progettazione curricolare e favorisce la motivazione all’impegno; anche nella valutazione è importante concordare i criteri e le modalità di reperimento dei dati che saranno oggetto di giudizio. Insegnare le abilità sociali anche attraverso l’interdipendenza positiva dei ruoli. Una classe dove si sta bene è quella in cui ognuno ha ben chiari i compiti e i ruoli da giocare al suo interno; per questo è importante dedicare un tempo congruo all’organizzazione sociale della classe, dove ciascuno partecipa con ruoli diversi al benessere di tutti.
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Metodo Montessori e anziani fragili Didattica
Carenze e nodi ancora irrisolti del sistema italiano di inclusione scolastica
È attesa in questi giorni per la nuova regolamentazione riguardante la stabilizzazione degli insegnanti di sostegno specializzati presenti nelle attuali graduatorie provinciali di supplenza. Questa procedura dovrebbe funzionare su base regionale e risolvere definitivamente il problema degli insegnanti specializzati su posto di sostegno, replicando la stessa modalità (decreto “milleproroghe” - art. 5-ter del DL 228 del 30 dicembre 2021, recante “Disposizioni urgenti in materia di termini legislativi”, convertito, con modificazioni, dalla Legge n. 15 del 25 febbraio 2022) dei due ultimi anni in cui è stato stabilizzata una parte degli aspiranti inclusi nelle GPS sostegno. Ma è esattamente così? Dai dati del report ISTAT “L’inclusione scolastica degli alunni con disabilità”, relativi all’anno scolastico 2020/2021, risulta che il 33,6% degli insegnanti incaricati annualmente su posto di sostegno sarebbe senza la necessaria specializzazione. Una prima considerazione andrebbe fatta però rispetto alla ripartizione regionale dei posti attualmente disponibili nei corsi di Specializzazione per le attività di sostegno agli alunni con disabilità, i cosiddetti TFA. La “disponibilità” ad attivare corsi e il numero di specializzandi da formare è demandata alle singole università. Questo ha determinato una situazione in cui si è verificata una gigantesca sproporzione fra i posti messi a bando al sud e quelli messi a bando dalle università del nord. A fronte di 13.150 posti assegnati dalle università del sud, fanno da contraltare solo 5.324 posti alle nove regioni del nord (dati TFA VII ciclo, attualmente in svolgimento). Col risultato che, attualmente, diverse graduatorie del sud, specialmente in Campania e Sicilia, sono ormai sature e al nord continuano a mancare insegnanti specializzati. Per il prossimo anno è previsto un ulteriore ciclo di TFA che non sembrerebbe poter riequilibrare la situazione che, sostanzialmente, ha creato l’ennesima sacca di precariato al sud e non ha colmato la lacuna del nord. Per il dopo TFA nulla è ancora scritto, specie in mancanza di quel regolamento sulla Scuola di Alta Formazione che avrebbe dovuto vedere la luce a luglio ma che non ha ancora visto la luce; senza peraltro avere alcuna certezza rispetto alla formazione sui temi della disabilità e dell’inclusione scolastica. Ma, proprio in termini di inclusione scolastica, è lecito chiedersi se tutta questa attenzione alla quantità di insegnanti specializzati sul sostegno scolastico da inserire nei ranghi della scuola sia garanzia di migliore e più efficace inclusione. Le richieste di mobilità pervenute al Ministero dell’Istruzione ci dicono che circa 5.000 insegnanti specializzati all’anno chiedono di passare sulla propria classe di concorso abbandonando il sostegno didattico. È lecito pensare, come sostenuto da alcune associazioni, che la soluzione sia la creazione di una classe di concorso specifica sul sostegno? Sarebbe come dire che ho si ha la “vocazione” o nulla. Non è un problema da poco, sicuramente. Perché implica una straordinaria mobilità di questi docenti e pregiudica la famosa continuità didattica. Ma introdurre un obbligo non sana la questione, se non ci si interroga seriamente sulle cause del fenomeno. Scartata l’inevitabile quota di chi “utilizza” il sostegno come modo rapido per accedere alla stabilità lavorativa di una cattedra, probabilmente bisognerebbe cercare di comprendere più a fondo e più da vicino il fenomeno. La questione dell’inclusione scolastica degli alunni con disabilità è da sempre terreno di scontro ideologico e campagne mediatiche a fini più o meno scopertamente propagandistiche. Gli aspetti carenti nel modello italiano di inclusione scolastica Nel Dlgs. 66/17era indicato come un aspetto imprescindibile la valutazione della qualità dell’inclusione ma quel pilastro giuridico è rimasto sui suoi piedi di argilla senza ancora vedere la luce. Poco o nulla si discute, ad esempio, della validità del modello full inclusion di cui il sistema scolastico italiano si fa fiero portatore da anni, anche in un serio confronto con altri modelli europei. Poco o nulla si discute delle particolarità insite nei diversi gradi di istruzione, come se fare inclusione (ma anche, e soprattutto educazione socio-affettiva e implementazione delle soft-skills) alla scuola dell’infanzia necessiti dei medesimi spazi e tempi che alla scuola secondaria di primo o secondo grado, in cui il primato delle “didattica” pura e delle discipline pone in secondo piano la sfera delle competenze personali e i tempi necessari per costruire inclusione sono assai differenti (basti pensare all’assenza della programmazione settimanale nei cicli superiori rispetto alla primaria). Poco o nulla si dice di quanta differenza di competenze, spazi e materiali intercorra nel porre le basi dell’inclusione scolastica degli alunni con disabilità “lieve” rispetto a quelli con disabilità intellettiva media o grave, che è una realtà spesso sottaciuta nelle scuole, laddove si preferisce fare polemica ideologica sulle “aule di sostegno”, in ogni caso ancora largamente presenti e “felicemente” affollate. Per fare un esempio, basti pensare alle aule sensoriale attrezzate in cui effettuare "defaticamento sensoriale” pensate per alunni autistici (le cosiddette aule Snoezelen) che possono soffrire di lunghe permanenze in aule rumorose e sovraffollate. La questione viene sempre posta solo ad un livello quantitativo, nell’irreale convinzione che, aumentando a dismisura il numero degli insegnanti di sostegno (arrivati ormai all’incredibile soglia vicina al 25% del totale degli insegnanti secondo il Report dell’Ufficio Statistica del Ministero dell’Istruzione su dati del biennio 2019/2021) si risolva ogni spinoso nodo irrisolto del nostro sistema di inclusione scolastica. Basti pensare ad esempio all’incredibile fretta con cui lo scorso anno sono stati proposti e progettati i percorsi di 25 ore (sic!) sull’inclusione a tutti i docenti cosiddetti “curriculari” e su quale incredibile levata di scudi ci sia stata rispetto all’obbligatorietà o meno della frequenza di questi corsi. La formazione rappresenta il primo grandissimo vulnus del nostro sistema perché se, da un lato, gli insegnanti della scuola dell’infanzia e della primaria seguono un percorso di studi in cui sono inserite discipline di tipo psico-pedagogico necessariamente propedeutiche all’insegnamento, lo stesso non accade ai docenti di materia dei cicli superiori. Nell’ottica di una scuola dell’Inclusione di tutti e per tutti in cui solo per alcuni siano presenti competenze specifiche, la logica della delega e della quantità (intesa come numero di insegnanti di sostegno) prevale sulla logica dell’inclusione di qualità, per una scuola di tutti e tutte. In cui davvero la Scuola tutta si fa carico, con competenze di livello e strumenti adeguati dei Bisogni educativi di ciascuno studente. Per una vera Ecologia dell’Inclusione.
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