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«Chat inclusive»: l’inclusione ai tempi di Whatsapp

Un insegnante di sostegno, un compito in classe annunciato all’ultimo minuto, un alunno che potrebbe trovarsi in difficoltà e un dilemma da risolvere. Un racconto di fantasia, ma realistico, per conoscere un po’ più da vicino il mondo del sostegno scolastico

Questo racconto è frutto della mia fantasia. Gli avvenimenti narrati e i personaggi non fanno riferimento a fatti reali o a persone esistenti. Questa storia, inoltre, non intende assegnare ad alcuno il titolo di cattivo o di buon insegnante, né tantomeno separare gli insegnanti disciplinari e di sostegno in due categorie distinte. L’inclusione è un obiettivo irrinunciabile al quale tutti devono concorrere.

Mi capita spesso di pensare: “Meno male che c’è WhatsApp!”. 

Nella scuola secondaria non ci sono riunioni settimanali di programmazione come invece avviene alla primaria... chissà poi perché! È un bel problema questo per noi insegnanti di sostegno, in realtà lo è per tutti. 

Una volta, per comunicare con i colleghi, si aspettava fuori dalla porta nel cambio dell’ora. Si spiegava il problema camminando lungo il corridoio fino all’aula dell’ora successiva. Era quindi indispensabile possedere grande capacità di sintesi. Quasi sempre, però, rimaneva in sospeso la decisione da prendere perché, giunti a destinazione, si interrompeva bruscamente il ragionamento in corso. 

L’avvento dei distributori del caffè ha un po’ cambiato le cose. Le comunicazioni, non più in movimento ma stanziali col bicchierino del caffè in mano, non sortivano comunque effetti diversi. Rimanevano sempre in sospeso le decisioni e spesso i colloqui si concludevano con un salomonico “Decidi tu, chi meglio di te conosce il problema!” che il collega pronunciava, delegando ogni responsabilità in merito. 

Queste abitudini dei docenti della secondaria sono state soppiantate negli ultimi anni da un mezzo comunicativo molto più efficace: le chat. 
Quindi, per questo motivo, penso: “Meno male che c’è WhatsApp!”.

Fatto questo preambolo, inizio a raccontare... 
È venerdì sera. Arriva un messaggio sul mio cellulare. Guardo il display.  

È il mio collega di matematica: Te l’hanno detto i ragazzi?
Rispondo: Cosa?
LUI: Domani compito in classe. 
Io: No! Non lo sapevo. INTANTO PENSO: E che, i ragazzi me lo dovevano dire?
LUI: Problema sul cilindro e domande di teoria. A Piero fai ripassare le formule.
CHIEDO: Hai detto domani? 
LUI: Sì, alla prima ora.
Io: Ho capito. INTANTO PENSO: E quando lo faccio ripassare, stanotte?
LUI: Ok, ci vediamo domani.
Io: No, domani è sabato… ho il giorno libero.
LUI: Ah, giusto! INTANTO DI SICURO PENSA: E già. Gli insegnanti di sostegno... il sabato, liberi tutti!

Rifletto. A cosa mi serve, a quest’ora, sapere che domani c’è il compito in classe? Solo a farmi salire l’ansia e a mandarmi di traverso la cena! 
E adesso che faccio? Sono quasi le nove. 
Riprendo il telefono e scrivo di nuovo al prof di matematica: Senti, ma non puoi spostarlo a lunedì il compito?
Scrivo ancora: Sarebbe la soluzione migliore. Potrebbe ripassare un po’ meglio. Piero, dico.
Insisto: Il problema è che non sono sicuro che lui sappia che c’è il compito. Magari i genitori ci rimangono male che non li abbiamo avvisati. 
Ribadisco: Comunque per Piero rimandare il compito a lunedì è la cosa migliore.
Finalmente lui risponde: Lunedì non ci sono. Ho preso un giorno di permesso.

Sprofondato nella poltrona, resto da solo con i miei pensieri. Sono le nove e mezza e sento il peso della decisione da prendere. Faccio un lungo respiro e passo al vaglio alcune ipotesi. 

La prima è di insistere col prof di matematica per spostare il compito, ma so che è più facile fermare un treno in corsa che il mio collega quando ha pronte le fotocopie da consegnare il giorno della verifica. 
La seconda ipotesi è chiamare i genitori di Piero e dire che domani ci sarà il compito, ma che io non sarò a scuola.  Nella mia telefonata, però, potrebbero leggere il suggerimento di tenerlo a casa per poi recuperare il compito in un altro giorno in cui ci sarei anch’io. Il solo pensiero mi fa rabbrividire. 
Terza ipotesi: coinvolgere nella questione la coordinatrice del sostegno. Ci penso solo per un attimo, poi lascio perdere. Lei ne parlerebbe con il dirigente e un problema tra colleghi diventerebbe un affare di Stato. 

Devo chiedere aiuto a qualcuno che mi sappia dare il consiglio giusto. Mi viene in mente una collega, in pensione dall’anno scorso. Insegnava proprio matematica e aveva deciso negli ultimi tre anni di servizio di fare l’insegnante di sostegno. Una specie di carriera capovolta, perché in genere dal sostegno si passa alla disciplina. Era un’insegnante fantastica, io la chiamavo SUPERPROF. Qualcuno le chiedeva: “Ma cosa ti è venuto in mente? Passare sul sostegno a fine carriera!”. Lei spiegava che siamo tutti insegnanti e che quindi tutti siamo “sostegno”, sempre. Qualcuno capiva la profondità del suo pensiero, qualcun altro invece pensava che, vicina alla pensione, avesse scelto di occuparsi di un solo alunno anziché di una classe intera. Quando la SUPERPROF percepiva questo pensiero, diceva sorridendo all’interlocutore: “Non di uno solo, mio caro, ma di ciascuno!”. 

Prendo il telefono e scrivo: SUPERPROF, come te la passi? Si sta bene senza scuola, eh?
LEI RISPONDE SUBITO: Ciao, ho gente a cena. Puoi aspettare fino a domani o posticipo l’antipasto di dieci minuti?
Io: Dieci minuti vanno benissimo. 
LEI, dopo un po’: Eccomi, ho acceso il timer sui dieci minuti. Dimmi: con chi hai litigato stavolta?
Io, le invio un messaggio vocale: Nessun litigio, ma sono incavolato. Domani ci sarà la verifica di geometria e io probabilmente ero l’unico a non saperlo fino a poco fa. Sono preoccupato per Piero che dovrà fare il compito. Io, tra l’altro, ho il giorno libero domani.  
LEI, sarcastica: Perché tu hai sempre problemi con i colleghi di matematica?
RISPONDO: Non sono io ad avere problemi. Il prof ha incaricato i ragazzi di avvisarmi del compito e loro non l’hanno fatto. 
LEI: Adesso cosa farai?
Io: Non lo so proprio. Tu che pensi?
LEI, mi manda un messaggio vocale: Penso che non sia così importante che tu non sia stato avvisato del compito. È molto più importante il fatto che tutti in classe sapessero questa cosa e tu fossi l’unico a non saperla. Questo vuol dire che sei fuori dalle comunicazioni di quella classe. Ti faccio una domanda: quando Piero è assente e tu entri in classe, qual è la prima cosa che ti dicono vedendoti i compagni e il collega della disciplina?
Rispondo: Mi avvisano che Piero non c’è, ovviamente. 
LEI, un altro messaggio vocale: Ecco, questo è il punto! Non è per niente ovvio che ti dicano subito così. Loro ti annunciano che Piero, il “tuo” alunno, è assente perché pensano che tu sia là solo per lui. Magari pensano pure che puoi andare a fare qualche sostituzione nelle altre classi, visto che non c’è Piero. 
Domando: E che colpa ne ho io?

LEI, ancora un messaggio vocale: Nessuna colpa, ma è evidente che non sei riuscito a convincerli che il sostegno non è per uno solo ma per tutta la classe. Sei tu che devi cambiare le cose ed essere veramente l’insegnante di tutti. E poi smettila di stare in trincea, dando l’impressione di giudicare i colleghi. I colleghi sono tuoi alleati e non la controparte per delle rivendicazioni sull’importanza del tuo lavoro. Il lavoro dell’insegnante di sostegno è fondamentale, così come quello di tutti gli insegnanti. Quindi basta pensare in termini di “NOI” e “LORO”. Dai il tuo contributo a tutta la classe, vivi serenamente il lavoro, trasmetti positività e le cose andranno sicuramente meglio!

Cambio discorso e ritorno sul problema di partenza: Senti, stavo pensando di rinunciare al giorno libero per aiutare Piero. Che ne dici?  
LEI, un altro vocale: Dico che allora non hai capito niente! Devi smettere di sentirti indispensabile! Prova a dare fiducia ai colleghi, a Piero e ai suoi compagni di classe. Se domani ti presenterai a scuola trasmetterai un messaggio negativo. Piero penserà che non è in grado di fare nulla senza di te. I suoi compagni avranno la conferma che quello è il “tuo” alunno e tu sei là per lui, perfino nel tuo giorno libero. Il collega di matematica, poi, si sentirà ancora più autorizzato a delegarti tutto ciò che riguarda Piero. Ascoltami, domani vai a fare una passeggiata in montagna e goditi il tuo giorno di riposo. Dieci minuti terminati. Torno dai miei ospiti. Ciao prof!

Mi sento sfinito! Guardo l’orologio, sono le dieci. Prendo il telecomando e accendo la TV, ma non c’è niente di interessante. Mi viene in mente che non ho cenato. Apro il frigo e prendo quello che serve per farmi un panino. 
Sento trillare il cellulare. È arrivato un messaggio. Mi impongo di non guardarlo. Adesso voglio pensare solo al mio panino. Lo preparo e lo mangio con calma.
Il telefono trilla di nuovo, un altro messaggio. Resisto e continuo a mangiare.
Quando ho finito, mi alzo e prendo il telefono. 
Ci sono 2 messaggi vocali. 
È Piero: Ciao prof.
Ancora Piero: Scusa se ti scoccio a quest’ora, ti volevo dire che oggi pomeriggio ho imparato le formule del cilindro e me le ricordo tutte. Domani il compito lo faccio benissimo!

Sorrido da solo, con il telefono in mano. 
Sorrido per tutte le mie ansie e per il problema su cui ho investito tante energie. 
Sorrido per il mio collega di matematica, per la sua dimenticanza e perfino per il cilindro e le sue formule.
Sorrido per le parole dure e sincere della SUPERPROF. 
Sorrido per la bellezza dei messaggi di Piero. 
Sorrido per quello che ho imparato stasera da un alunno della MIA classe.  
Sorrido... perché sono un insegnante e spesso il mio è un lavoro meraviglioso. 

Scrivo l’ultimo messaggio della giornata: Grande Piero! Sono sicuro, il compito andrà benissimo! Buonanotte. 

Poi, finalmente, spengo il telefono e vado a letto. 
Il mio ultimo pensiero della giornata: “Meno male che c’è WhatsApp!”.


Questo racconto è stato letto da Carlo Scataglini durante l’edizione 2023 del convegno “La Qualità dell’inclusione scolastica e sociale”. Guarda il video!

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