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Facilitare testi è la mia passione, e io non cambio lavoro

Carlo Scataglini racconta la sua professione di insegnante di sostegno, il lavoro di facilitazione dei testi iniziato alla fine degli anni Novanta e i 25 anni di collaborazione con Erickson raggiunti quest’anno: un traguardo che vogliamo festeggiare insieme a lui

Se si prova a digitare in Google “libri di Carlo Scataglini”, esce una carrellata di copertine che non si finisce più di scorrere: libri di didattica semplificata, libri di narrativa per l’infanzia, giochi, testi per il recupero e il sostegno, libri di compiti per le vacanze, libri di metodologia, libri di narrativa per tutti. Molti dei testi che ha scritto nemmeno compaiono, perché nel frattempo sono finiti fuori commercio.

Ma chi è Carlo Scataglini, per quei pochi che ancora non lo conoscono? Un insegnante di sostegno aquilano innamorato del suo lavoro, un formatore attivo e appassionato e un autore molto prolifico assieme al quale Erickson taglia quest’anno il traguardo dei 25 anni di collaborazione.

Se sei un insegnante di sostegno, non puoi non averlo mai sentito nominare, perché Carlo Scataglini è stato il pioniere italiano della facilitazione dei libri di testo per alunni e alunne con Bisogni Educativi Speciali in un tempo in cui la facilitazione era un metodo ancora non riconosciuto a livello pedagogico. Già allora Carlo Scataglini “semplificava libri”, come Mr. Wolf di Pulp Fiction risolveva problemi.Lo abbiamo raggiunto in videochiamata per ripercorrere con lui la storia della sua collaborazione ultraventennale con Erickson. 

Carlo, la storia della tua collaborazione con Erickson inizia nel ‘97. Come avvenne il primo contatto con la nostra casa editrice?

«Nel ‘97 facevo l’insegnante di sostegno già da una decina d’anni. C’era stato un evento a l’Aquila, un seminario per dirigenti scolastici in cui mi ero intrufolato, io ero un cliente Erickson della prima ora, quando i libri non erano ancora a colori e la Erickson stava a Trento in via Buonarroti, vicino alla stazione. C’era Dario [Ianes, co-fondatore Erickson, ndr] e ci eravamo messi a chiacchierare dei libri Erickson. Io avevo scritto un articolo sulla facilitazione che Erickson aveva pubblicato sulla rivista “Difficoltà di apprendimento”. Nella nostra chiacchierata, Dario disse che c’erano molti libri di metodologia ma che mancava qualcosa sui libri di testo, una cosa pratica che potesse essere utile agli insegnanti di sostegno. Mi misi al lavoro e l’anno dopo uscì “Adattamento dei libri di testo”, il mio primo libro con Erickson, scritto in collaborazione con Annalisa Giustini.»

Fu un grande successo?

«Mica tanto! [ride, ndr]. Dario mi disse che lui sperava andasse meglio. Gli proposi di fare un libro già semplificato, di storia, con il programma delle elementari, che poi andava bene anche alle medie, perché allora i programmi erano uguali. Dario mi diede fiducia e nel ‘99 uscì “Storia facile”, e come uscì andò subito in ristampa. Pensa che questo libro viene utilizzato ancora oggi, a distanza di tanti anni e ad esso hanno fatto seguito testi singoli di storia, geografia e scienze facili per ogni classe della scuola primaria e secondaria di primo grado.»


Cosa significa fare facilitazione? E che differenza c’è con la semplificazione? Tra l’altro, un argomento di cui verrai a parlare qui da noi, a breve.

«Sì, in aprile vengo in Erickson a fare una giornata di formazione [“Facilitazione e semplificazione dei contenuti didattici”, sabato 9 aprile]. Facilitazione e semplificazione sono due processi che avvengono quasi sempre assieme, lavorando in classe per livelli. La semplificazione consiste nel ridurre le difficoltà, nel togliere qualcosa: raccolgo le informazioni, tengo le principali, butto le altre. La facilitazione è l’aggiunta di qualcosa, come un glossario, un’immagine, uno schema, sono degli strumenti in più che do. Il vero elemento inclusivo è la facilitazione, perché quella non serve solo all’alunno o all’alunna con disabilità, ma torna utile pure agli altri compagni di classe. Entrambi i processi sono importanti per far lavorare in classe i bambini con difficoltà, affrontando gli stessi argomenti che affrontano i compagni. Il senso di appartenenza alla classe è fondamentale. L’inclusione, in pratica, consiste nel far lavorare i ragazzi con difficoltà insieme agli altri, facendo le stesse attività, non solo nel farli stare in aula insieme agli altri.»

Come è cambiato nel tempo il lavoro di adattamento dei libri di testo?

«All’inizio l’adattamento era concepito come un lavoro che l’insegnante di sostegno si faceva da solo a casa, portando in classe i materiali per l’alunno che seguiva. Ora l’adattamento si fa a scuola con il contributo degli alunni, anche a livello laboratoriale. Noi con Erickson abbiamo fatto un lavoro pionieristico, con i libri di facilitazione. All’inizio la facilitazione era una cosa di nicchia, in alcuni casi era anche criticata perché veniva considerata una banalizzazione. Con il tempo, il nostro lavoro è penetrato nella quotidianità didattica e pedagogica. Oggi la facilitazione è vista come l’applicazione di tecniche che rendono possibile l’inclusione e noi siamo riconosciuti come quelli che hanno aperto una strada. Il nostro approccio, a mio avviso, ha avuto e avrà in futuro un ruolo determinante per spostare il tiro da una didattica trasmissiva legata solo ai contenuti, che ormai non può funzionare, ad una maggiormente costruttiva che parte dagli alunni e dalle alunne, dalle loro risorse, dai loro interessi e dai loro desideri.
Abbiamo trovato la maniera di incidere sull’editoria scolastica, abbiamo fatto scuola. Per scherzarci anche un po’ su, possiamo dire di essere come la Settimana Enigmistica, vantiamo numerosi tentativi di imitazione.»

Come si fa a facilitare senza banalizzare?

«Guarda, è una paura che qualche volta ho avuto, come quando abbiamo iniziato il progetto della collana “I classici facili ” con “Il Piccolo Principe” in versione facilitata. Avevo paura di sciupare quel capolavoro. Invece siamo riusciti a non banalizzare, proponendo la storia in un modo che potesse funzionare. La qualità del libro è alta ed è accompagnata dalla versione audiolibro. Ora con la collana dei classici facili siamo arrivati al nono titolo, è stata apprezzata moltissimo, alcuni titoli sono stati tradotti anche in Brasile e in Turchia. In più tutti i libri di questa collana sono stati tradotti in simboli con il linguaggio della Comunicazione Aumentativa e Alternativa, una cosa bellissima.»

Quanti libri hai scritto per Erickson, che non sono riuscita a contarli?

«Eh, sono più di ottanta, li tengo tutti qui [si gira e mostra lo scaffale alle sue spalle, ndr]. Ne ho una copia per ciascuno. Ci tengo a sottolineare che dietro ogni singolo libro c’è il lavoro di almeno 10-15 persone: quello del progettista, del redattore, dell’illustratore, del grafico, del fotocompositore e di tante altre persone. Un’altra cosa che ci tengo a dire è che non c’è stata una sola volta, in tutti questi anni, in cui ho proposto un libro che non sia uscito migliorato dal lavoro di tutte le persone di Erickson.»

Tra tutti i libri che hai fatto, qual è quello a cui sei più legato?

«Forse “ Il sostegno è un caos calmo ”, in cui racconto del mio lavoro di insegnante di sostegno. Questo libro è un atto d’amore per il mio lavoro, che faccio ormai da 35 anni, sempre con grande entusiasmo. È un libro che ha girato molto, su cui abbiamo costruito anche un reading teatrale.
Anche “ Marilù e i cinque sensi ”, è diventato uno spettacolo prodotto dal Teatro Stabile dell’Abruzzo e ha girato per due anni nelle scuole, grazie agli attori del teatro aquilano “Spazio rimediato”. Hanno tirato dentro anche me, ho fatto la parte dell’albero in alcune repliche.
Un altro libro a cui sono molto legato è quello che ho scritto subito dopo il terremoto in Abruzzo del 2009, “Le formiche sono più forti del terremoto”. In quell'occasione Erickson mi fu molto vicina, fui invitato al Salone del Libro di Torino e ricordo che la direttrice mi consegnò un regalo, per me fu un’emozione fortissima e quello resta un ricordo indelebile. Voi come colleghi Erickson mi faceste arrivare uno zaino pieno di libri per iniziare a costruirmi una nuova libreria. »

Chi lavora con Erickson non può non avere a che fare con il convegno sulla qualità dell’inclusione scolastica, detta anche “la Q”. Che ricordi hai, legati alla Q?

«Ah, io ho partecipato a tutte le edizioni della Q, dalla prima che era stata a Riva del Garda nel ‘97 fino a quella dell’anno scorso, la tredicesima. La Q è sempre stata un appuntamento importantissimo, è una fotografia sull’inclusione e sulla sua evoluzione nel tempo, un evento seriale che regala un grande senso di appartenenza a tutti i partecipanti. Ricordo che nel 2009 avevo letto cinque mie pagine in plenaria, di fronte a una platea di quasi 5mila persone. La mia lettura era stata carica di emozione, per via della cosa del terremoto. Subito dopo di me aveva parlato Edgar Morin, lui era andato davanti al microfono con un foglietto che sembrava uno scontrino della spesa e si era messo a parlare a braccio di come si ricostruisce qualcosa che è andato completamente distrutto. Penso che abbia inventato lì per lì l’intervento, cambiando quello che aveva in mente di fare. È stata una cosa molto bella, indimenticabile. La sera poi siamo andati a cena insieme.»

Dopo 25 anni insieme si festeggiano le nozze d’argento, quindi adesso è arrivato il momento: ci fai il discorso?

«Sono stato fortunato a incontrare Erickson, la considero una cosa che mi ha cambiato la vita. Mi è stata data tanta fiducia, abbiamo fatto un cammino importante insieme, ne sono felice. Ho avuto anche la possibilità di conoscere persone come Bauman, Morin, Gardner, Andrea Canevaro, Dario Ianes, Fabio Folgheraiter, è stata una cosa bellissima.»

Il sostegno è ancora un caos calmo? 

«Sì, lo è ancora, anche se si va sempre più verso la definizione di un ruolo che non è più quello di bàlia di un alunno, come era inteso all’inizio, ma di figura collaborativa di inclusione. Quanto più si riesce ad andare nella direzione di un coinvolgimento di tutte le professionalità rompendo la rigida e standardizzata suddivisione dei compiti, tanto più si fa una didattica inclusiva che va bene per tutti. Abbiamo fatto tanta strada da quello stanzino che in qualche caso veniva chiamato “Aula H” a oggi. Adesso si tratta di fare l’ultimo step: quello di far entrare a regime l’approccio collaborativo tra insegnanti che coinvolga anche gli studenti. Bisogna coinvolgere gli insegnanti di classe e gli assistenti all’autonomia delle persone disabili, una figura che sarebbe importante fosse incardinata nell’organizzazione scolastica.»

Dopo tanti anni, come vedi il tuo lavoro?

«Lo faccio sempre con grande entusiasmo, ogni anno si incontrano alunni e problematiche diverse, ogni giorno è diverso, ci si rimette in gioco sempre. Penso che sia un lavoro in cui è indispensabile l’empatia. Servono professionalità e competenze sulle strategie operative, ma senza l’empatia non si va da nessuna parte.»

Grazie, Carlo. E grazie di questi venticinque anni insieme. Un abbraccio e ci vediamo a Trento!

 

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