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La formulazione condivisa del caso in psicoterapia

Un intervento centrale e distintivo delle principali forme di terapia cognitivo comportamentale: quali sono le procedure per arrivarci?

Che cos’è la formulazione del caso

La formulazione del caso può essere, come la lettera rubata del racconto di Edgar Allan Poe, qualcosa che tutti cerchiamo e non troviamo perché sotto i nostri occhi, quella chiave del processo terapeutico delle terapie cognitivo comportamentali che è sfuggito alle indagini più attente, anche se è visibile per tutti sul caminetto.
Il nostro libro La formulazione del caso in trapia cognitivo comportamentale - Gestire il processo terapeutico e l’alleanza di lavoro rappresenta un tentativo di ripensare la funzione di questo strumento terapeutico. 

L’idea è che negli approcci cognitivi, i clinici si sono dedicati a indagare le credenze irrazionali e le distorsioni cognitive, a volte al prezzo di sottovalutare la condivisione esplicita della formulazione del caso, dandola per scontata. 

La formulazione condivisa del caso clinico rappresenta invece l’intervento centrale e distintivo delle principali forme di terapia cognitivo comportamentale perché è intrinsecamente legata ai principi fondamentali di questa terapia.

Nel nostro libro descriviamo concretamente le procedure di formulazione condivisa del caso, ripercorrendo lo sviluppo storico delle principali forme di terapia cognitivo comportamentale per mostrare il modo in cui la formulazione condivisa del caso emerge come una caratteristica veramente unificante e distintiva di questo approccio; infine esploriamo l'uso della formulazione del caso in alcuni approcci relazionali e psicodinamici, discutendone le somiglianze e le differenze con la terapia cognitivo comportamentale.

L’obiettivo è quello di qualificare gli approcci cognitivo comportamentali come trattamenti in cui - per definizione - il processo terapeutico avviene con la piena e continua condivisione consapevole del processo tra paziente e terapeuta, a differenza di altri modelli in cui il processo terapeutico non avviene stabilendo questa piena condivisione fin dall'inizio ma concependolo come un obiettivo da raggiungere e un risultato finale del trattamento. Quest'ultimo aspetto comporta l'esplorazione di stati mentali e modelli relazionali che non sono immediatamente accessibili alla coscienza, come accade nelle terapie psicodinamiche o cercando significati personali ed esistenziali che risultano elaborati compiutamente solo alla fine di un lungo processo esplorativo.

I tre aspetti della formulazione del caso

I punti della formulazione del caso che sono oggetto di questa condivisione incessante sono tre.

  1. La formulazione esplicita e condivisa di un modello esplicativo della sofferenza emotiva;

  2. La formulazione esplicita e condivisa del razionale della strategia di trattamento proposta al paziente; 

  3. Il monitoraggio del progresso terapeutico e azione retroattiva di questo monitoraggio sulla strategia di trattamento strategia, che permette, quando necessario:

    • La riformulazione del caso;

    • La rinegoziazione degli obiettivi della terapia;

    • Il cambiamento della proposta di trattamento secondo la nuova formulazione e il nuovo razionale.

Formulazione condivisa del caso e alleanza terapeutica

La formulazione condivisa del caso può offrire agli approcci cognitivo comportamentali una terminologia specifica per trattare i cosiddetti fattori comuni e i processi terapeutici aspecifici, cioè la gestione dell'alleanza e della relazione terapeutiche. Non è un caso che nei modelli psicodinamici e costruttivisti la cognizione sia concepita in maniera così inseparabile dall'esperienza relazionale al punto da far considerare quest’ultima come il vero mediatore significativo del cambiamento terapeutico. Invece negli approcci cognitivo comportamentali, l'alleanza e la relazione sono importanti precondizioni del processo terapeutico ma non sono l'unità di analisi per il processo di cambiamento. 

Struttura e contenuti del libro

I capitoli del volume La formulazione del caso in trapia cognitivo comportamentale - Gestire il processo terapeutico e l’alleanza di lavoro sviluppano il programma delineato fin qui; la maggior parte dei capitoli sono scritti dai tre curatori Giovanni Maria Ruggiero, Gabriele Caselli e Sandra Sassaroli e trattano la formulazione del caso sia nell’orientamento terapeutico cognitivo comportamentali che non, mentre altri capitoli sono commenti critici sugli assunti principali del libro forniti da esperti in specifici orientamenti terapeutici. 

Il capitolo 1 tratta l'emersione della formulazione condivisa del caso nella terapia cognitivo comportamentale di Beck e nell'approccio comportamentale di Victor Meyer. I commenti a questo capitolo sono scritti da Arthur Freeman che descrive il processo di concettualizzazione in undici passi, Steven Hollon che spiega come i terapeuti cognitivi gestiscono la relazione con i pazienti in un modo che è interamente guidato dalla concettualizzazione cognitiva e Angelo Saliani, ClaudiaPerdighe, Barbara Barcaccia e Francesco Mancini che introducono il ruolo degli scopi nella formulazione del caso cognitivo comportamentale. 

Il capitolo 2 si occupa dell'uso della formulazione condivisa del caso nel comportamentismo e in particolare tratta il concetto di formulazione del caso in Meyer (1957) e poi in Turkat (1985, 1986). Il commento a questo capitolo è scritto da Peter Sturmey, un importante studioso della tradizione comportamentale.

Il capitolo 3 è scritto dai curatori in collaborazione con Diego Sarracino, e discute come nella terapia emotiva razionale comportamentale (rational emotive behavior therapy, REBT) di Albert Ellis il terapeuta utilizza tre specifici passi della procedura di base ABC DEF della REBT, cioè la connessione B-C, il razionale del D e la negoziazione dell’F per formulare i problemi del paziente, regolare il processo terapeutico e gestire l'alleanza terapeutica. RaymondDiGiuseppe e Kristene Doyle e Wouter Backx, che sono tra i maggiori eredi del lavoro di Albert Ellis, commentano questa ipotesi.

Il capitolo 4, scritto dai curatori in collaborazione con Andrea Bassanini, discute la formulazione del caso negli approcci cognitivo comportamentali più recenti focalizzati sui processi cognitivi. Nella Schema Therapy il caso è formulato in termini di modelli del sé che non sono puramente cognitivi e nei cosiddetti "modi" (modes) che sono modelli relazionali stereotipati e inflessibili. Nel modello di terapia metacognitiva la formulazione del caso si concentra sulla funzione della scelta esecutiva cosciente che può diventare disfunzionale a causa di distorsioni (bias) metacognitivi. Il modello della terapia di accettazione e impegno (Acceptance and Commitment Therapy, ACT) appartiene alla cosiddetta "terza onda" delle terapie cognitive e può essere concettualizzato come una reincarnazione della concezione funzionalista di Meyer della formulazione del caso in cui il compito terapeutico è focalizzato sulla valutazione e condivisione con il paziente del suo funzionamento mentale allo scopo di pianificare il trattamento. Infine, la CBT basata sul processo (Process Based Cognitive Behavioral Therapy, PB-CBT; Hayes e Hofman 2018) integra l'approccio cognitivo standard in un quadro processuale formulando il caso intorno a fondamentali processi biopsicosociali in situazioni specifiche con clienti specifici. AvigalSnir e Stefan Hofmann, Paolo Moderato e Kelly Wilson e Eckard Roediger, Nicola Marsigli e Gabriele Melli commentano questi modelli processuali che introducono un secondo livello metacognitivo di processo nell'attività mentale che permette la concettualizzazione delle difficoltà dei pazienti che sono meno in grado di distaccarsi criticamente dai loro contenuti cognitivi. 

Il capitolo 5, scritto dai curatori in collaborazione con Antonio Scarinci, è dedicato agli approcci costruttivisti. L'ipotesi centrale del capitolo è che, nei modelli costruttivisti, la condivisione della formulazione del caso è il risultato di un processo esplorativo e non una mossa iniziale che stabilisce le regole del gioco. I modelli più promettenti di questa tradizione sono la terapia metacognitiva e interpersonale (Metacognitive Interpersonal Therapy, MIT), che integra concetti interpersonali e metacognitivi, e la terapia focalizzata sul dilemma (Dilemma Focused Therapy). I commenti su questo capitolo sono scritti da molti clinici e teorici della tradizione costruttivista: Guillem Feixas e David Winter, Antonio Semerari e Antonino Carcione, Benedetto Farina, Maurizio Dodet, Fabio Monticelli,Raffaella Visini e Saverio Ruberti. Riassumendo, tutti questi teorici e clinici sembrano interessati ad esplorare il livello di attività mentale percettiva, non verbale, relazionale e traumatica, tutti aspetti basati sull'emotività e non controllati dal calcolo razionale e dalle facoltà volontarie.

Il capitolo 6 si occupa dei modelli di formulazione del caso che sottolineano il ruolo della relazione terapeutica, sia nel paradigma psicodinamico che costruttivista. Il possibile presupposto di questi modelli è che la formulazione del caso non può essere completamente condivisa all'inizio del trattamento, ma è piuttosto un risultato del processo terapeutico. Queste concezioni considerano la relazione terapeutica come l’unità di analisi fondamentale del disturbo e come il campo in cui agisce il meccanismo psicopatologico e viene applicato il processo terapeutico. La conseguenza è che i modelli relazionali condividono la formulazione del caso come risultato finale di un percorso esplorativo. Questa ipotesi è applicabile anche ai moderni modelli psicodinamici come la Control Mastery Theory (CMT). I commenti a questo capitolo sono scritti da Francesco Gazzillo e George Silberschatz, Marco Innamorati e Mariano Ruperthuz Honorato e Paolo Migone. Questi commenti sviluppano il tema degli stati mentali non razionali già esplorato nei capitoli precedenti, portandolo all'ulteriore livello degli stati inconsci dei modelli psicodinamici. 

Il capitolo 7 presenta il modello di formulazione del caso dei curatori di questo libro; esso esplora la possibilità di integrare nella formulazione del caso gli elementi della CBT, standard, evolutivi e processuali e si chiama Life Themes and Plans: Implications of Biased Beliefs Elicitation and Treatment (LIBET). Il disturbo emotivo è concettualizzato su due assi: 1) una valutazione negativa di eventi problematici e modelli relazionali, chiamati "temi di vita", appresi in esperienze e relazioni significative valutate come intollerabilmente dolorose e formulate in termini di credenze di sé, un concetto basato sia sui costrutti personali di Kelly che sulle credenze centrali di Beck; e (2) una gestione rigida e unidimensionale dei temi di vita ottenuta utilizzando strategie di coping evitanti, controllanti e/o impulsive chiamate "piani semi-adattivi", privilegiati anche a costo di rinunciare in misura significativa ad aree di sviluppo personale, relazionale, emozionale, cognitivo e comportamentale. Infine, c'è un terzo livello processuale che mantiene temi e piani disfunzionalmente attivi. Il capitolo è commentato dallo studioso costruttivista David Winter

Christiane Eichenberg (capitolo 8) discute gli sviluppi delle più recenti applicazioni tecnologiche alla formulazione e pianificazione del caso: le applicazioni elettroniche per la salute mentale. Infine, nella postfazione finale i tre curatori discutono brevemente come i presupposti fondamentali di questo libro possano essere influenzati e trarre profitto dalle osservazioni e dalle critiche presentate nei commenti.

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