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Psicoterapia perinatale: alcune criticità e specificità che il terapeuta deve tenere a mente

Come impostare un percorso psicoterapeutico efficace con le neo-mamme

Come terapeuti ci troviamo sempre più a rispondere alla domanda di cura di donne che stanno affrontando una gravidanza o la fase del postparto e della crescita del loro bambino e si sentono sofferenti, in ansia, talvolta in un tunnel, angosciate e impaurite dai loro sintomi.

Non basta essere psicoterapeute/i madri/padri per saper curare una donna che sta attraversando un momento di crisi in epoca perinatale. La comprensione e l’empatia che possono derivare “dall’esserci passate/i” non è sufficiente. Serve invece preparazione, studio, aggiornamento, supervisione perché in questo ambito è facile essere investiti dalle aspettative di cura e di aiuto di una donna che si sente disperata. È facile in questa situazione dimenticare le regole essenziali della psicoterapia che hanno a che fare con il setting e con la gestione delle potenti emozioni che circolano quando si entra nel mondo della perinatalità. Gravidanza, parto, postparto sollecitano infatti emozioni profonde e primitive, memorie esplicite ed implicite anche nei terapeuti che a loro volta sicuramente sono stati figli e in alcuni casi genitori.

È importante tenere conto che le donne che vengono a chiederci aiuto stanno attraversando un momento di snodo della loro vita, madri si diventa e ci si resta per sempre qualsiasi cosa accada….è un cambiamento di “paradigma” che avviene nella vita della donna che comporta grandi rimaneggiamenti biologici, emotivi, affettivi cognitivi, comportamentali e sociali. Vengono fortemente sollecitati i sistemi di attaccamento e accudimento risvegliando emozioni profonde legate a come la donna stessa è stata accudita.

Quando la donna si rivolge a noi in gravidanza dobbiamo tenere presente che si sta confrontando con l’emergere di emozioni, memorie, sensazioni che spesso si caratterizzano per la ambivalenza che sollecitano. L’ambivalenza è il sale delle vita affettiva e relazionale, le relazioni d’amore propongono sempre vissuti ambivalenti da gestire. La gestione dell’ambivalenza affettiva verso il feto prima e poi verso il bambino ci dà un primo indicatore di potenziali risorse e difficoltà in questa delicata fase di passaggio.

Quando invece ci troviamo in prossimità del parto e nel periodo ad esso successivo, è importante considerare che nella donna si attivano echi di vissuti inerenti la separazione e l’intimità fisica ed affettiva da costruire con un essere che è totalmente in balia di un adulto, da cui dipende per la sua sopravvivenza fisica ed affettiva. La responsabilità è enorme e per alcune l’essere prima due in un corpo solo (simbiosi gravidica) e poi separati fisicamente ma in simbiosi affettiva (simbiosi postparto) può essere destabilizzante dal punto di vista emotivo, affettivo. In questo senso durante la gravidanza e nel postparto anche le donne che pensavano di sentirsi “pronte” per la maternità sono spesso sorprese, o addirittura sopraffatte, dall'ondata di emozioni e ricordi stimolati dalla nascita e dai requisiti necessari per prendersi cura di un bambino.

Psicoterapia perinatale: un’opportunità di crescita

La psicoterapia nel periodo perinatale offre alle donne un'opportunità eccezionale per rivedere i “nodi” della propria storia. Questi nodi tendono a “venire al pettine“ nel passaggio evolutivo che è il diventare genitori. Si aprono delle “finestre” che danno una grande possibilità progressiva e di potenziale crescita personale. Mentre la storia di queste due vite si sviluppa e si interseca, siamo alla confluenza di ricordi e relazioni, vecchie e nuove, con tutte le opportunità di ripetizione o riparazione È un’occasione per comprendere meglio come si funziona, come ciò è legato alla propria storia di figli (storia di attaccamento) che si riattualizza attraverso l'attuale relazione con il nuovo bambino, partner, famiglia allargata e amici... Soprattutto quando la donna inizia a prendersi cura del suo bambino e tenta di autoregolarsi, la storia delle sue origini viene rappresentata e incarnata mentre i ricordi impliciti ed espliciti vengono rivelati nei suoi pensieri, sentimenti, nel comportamento e nel corpo, evidenziando le storie di attaccamento sicuro, ansioso, ambivalente, disorganizzato.

Proprio queste specificità perinatali offrono a noi terapeuti la possibilità, man mano che l’alleanza terapeutica si consolida e la terapia va avanti, di far cogliere la potente potenzialità trasformativa della terapia nel periodo perinatale e come ciò potrà avere un impatto sulla sua vita intima, ma anche sulla vita del bambino e sui rapporti di coppia genitoriale e coniugale e in generale sull’intera famiglia.

Questo aspetto può essere un elemento motivante da non sottovalutare se utilizzato nei giusti modi e tempi. Come terapeuti dobbiamo avere ben presente che in questa particolare fase di vita nella terapia “abbiamo il vento in poppa” e possiamo navigare nel mare della psicoterapia più agevolmente grazie alla forte permeabilità psichica che caratterizza questo periodo. Tale permeabilità è una risorsa, ma può proporci anche diverse criticità cliniche.

Psicoterapia perinatale: alcune criticità

Se è vero infatti che questo è un momento propizio per iniziare una psicoterapia, lavorare terapeuticamente con le donne nel periodo perinatale presenta difficoltà legate tra gli altri fattori al setting e alle caratteristiche psicologiche di chi poi sviluppa dei sintomi.

Il terapeuta può essere messo a dura prova da questo tipo di pazienti per l’alto livello di ansietà che spesso sfocia in vere e proprie crisi di panico o di angoscia, per le caratteristiche di perfezionismo che spesso caratterizzano le donne che stanno male nel periodo perinatale, e per l’aspetto luttuoso difficile da elaborare che connota il vissuto di alcune donne in questo passaggio evolutivo. Per le donne che durante questa fase di transizione stanno male il vissuto spesso è di fallimento e di non capacità, rispetto ad un’immagine di se come donna efficiente, capace organizzata e che ha “tutto sotto controllo”.

Spesso lo scollamento tra aspettative e realtà è ampio.

La donna che sta male nel periodo perinatale è spiazzata, è sopraffatta dall’emergere di una parte di sé poco conosciuta/misconosciuta incarnata dalla parte più fragile di sé che prende il sopravvento. Questa parte “fragile” di sé spesso è stata soffocata difensivamente dalla parte adultizzata, iper-razionale e rigida che lascia poco spazio alle proprie debolezze. Spesso sono donne con una spiccata propensione al perfezionismo, poco inclini a chiedere aiuto e ad accettarlo e questo può essere un ostacolo ad una solida alleanza di lavoro. Sarebbe invece importante una individuazione precoce del malessere ed una altrettanta sollecita presa in carico, che può iniziare a partire dalla gravidanza, quando il malessere si evidenzia già in questa fase. Invece spesso le donne arrivano dal clinico quando i sintomi sono diventati ingestibili e l’angoscia e l’ansia sono divenuti insostenibili. Questo può creare una situazione di urgenza/emergenza che può porre difficoltà ed indurre il clinico a sentirsi allarmato e sollecitato a fare, anziché poter prendersi il tempo per riflettere, contenere, capire. Il clinico deve poter tollerare la forte ansia/angoscia che talvolta circola nella relazione con queste pazienti. È importante ricordare che il nostro compito con queste donne è quello di aiutarle gradualmente ad entrare in contatto con le parti di sé e laddove si può, esplorandone insieme con cautela e gradualità la storia delle loro origini.

Il compito può essere arduo e le insidie si dispiegano al terapeuta dalla fase iniziale della presa in carico e durante il percorso psicoterapeutico. Questo ed altri aspetti di specificità e criticità suggeriscono al clinico di procedere con attenzione, competenza ed umiltà

In generale possiamo però dire che un approccio sensibile, empatico ma anche attento alle insidie tipiche del lavoro con queste pazienti, può offrire un immenso sostegno e sollievo a una neo mamma. Il rapporto con il terapeuta infatti modella, mette in parallelo e mette in atto il processo stesso che la madre deve intraprendere con il suo bambino: ricerca, sintonizzazione e coinvolgimento, in una relazione che fornisca sicurezza, coerenza, convalida, accettazione e crescita.

Con il reciproco coinvolgimento, nel qui e ora, di un terapeuta adeguatamente formato, la neomamma può esplorare e comprendere le sue risposte ai cambiamenti della gravidanza e del post parto e la sua storia relazionale, mentre viene supportata, incoraggiata e normalizzata nel soddisfare i bisogni relazionali suoi e del suo bambino.
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