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I mini gialli dei dettati 2
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Metodo Montessori e anziani fragili Didattica
La creazione di un clima scolastico positivo è il presupposto per soddisfare i bisogni di alunne, alunni e insegnanti e promuovere lo sviluppo di competenze
La scuola è un ambiente in cui bambine, bambini e adolescenti possono da una parte sviluppare le competenze necessarie per affrontare le sfide sociali, lavorative, personali della vita fuori dalla scuola, e dall’altra soddisfare i bisogni di appartenenza, accudimento e riconoscimento del proprio valore. Ciò presuppone un clima scolastico positivo e la promozione del benessere socio-emotivo di insegnanti, bambine, bambini e adolescenti, entrambi presupposti necessari per l’apprendimento. Daniela Lucangeli sottolinea che ciò che impariamo si fissa nel cervello insieme alle emozioni: “se un bambino impara con curiosità e gioia, la lezione si inciderà nella memoria insieme alla curiosità e alla gioia. Se impara con noia, paura, ansia, si attiverà l’alert: la risposta della mente trasmetterà il messaggio «Scappa da qui, perché ti fa male». Un clima scolastico positivo è una di quelle cose difficili da definire e misurare, ma tutti, genitori compresi, lo riconoscono quando lo vedono. Lo stato delle strutture scolastiche, il tono delle conversazioni nei corridoi, il modo in cui alunni e alunne interagiscono tra di loro, l'entusiasmo del personale scolastico sono alcuni dei segnali indicativi del clima scolastico. Il clima scolastico influenza il benessere socio-emotivo di alunni e alunni. Per misurare il clima scolastico e il benessere di studenti e studentesse, OCSE PISA usa indicatori che si riferiscono al contesto scolastico, in particolare il clima collaborativo: studenti e studentesse ottengono punteggi più alti in lettura quando c’è cooperazione tra compagni. In Italia, il 48% dei quindicenni ha riferito che i propri compagni di scuola collaborano tra di loro (media OCSE: 62%). Gli altri indicatori misurati da OCSE PISA includono: sentirsi solo/a a scuola (nel 2018 circa il 12% dei quindicenni italiani ha dichiarato di sentirsi solo a scuola), essere vittima di bullismo (in Italia il 24% dei quindicenni ha dichiarato di essere vittima di bullismo almeno qualche volta al mese), saltare giorni di scuola e arrivare in ritardo (il 21% ha saltato una giornata di scuola nelle due settimane precedenti PISA e il 48% è arrivato in ritardo). OCSE PISA usa inoltre degli indicatori del benessere di studenti e studentesse, che non si riferiscono specificamente al contesto scolastico. Questi indicatori sono comunque rilevanti perché gli adolescenti trascorrono gran parte del loro tempo a scuola e i loro compagni e compagne giocano un ruolo preminente nella loro vita sociale. In Italia il 67% degli studenti e studentesse ha dichiarato nel 2018 di essere soddisfatto della propria vita e il 91% ha riferito di sentirsi felice qualche volta o sempre).  Nella maggior parte dei Paesi, i quindicenni sono più propensi a segnalare sentimenti positivi quando hanno dichiarato un più forte senso di appartenenza a scuola e una maggiore cooperazione. In quasi tutti i sistemi educativi, anche in Italia, le ragazze hanno espresso unapaura di falliremaggiore rispetto ai ragazzi. Nella maggior parte dei sistemi scolastici, chi ha espresso una maggiore paura di fallire ha ottenuto punteggi più alti in lettura, ma ha riferito una minore soddisfazione per la vita, rispetto a chi ha espresso una minore preoccupazione di fallire. Infine, la maggior parte dei quindicenni dei Paesi OCSE ha una mentalità di crescita, cioè ritiene che le loro abilità e la loro intelligenza possa svilupparsi nel tempo (il 59% degli italiani; media OCSE 63%). Nei Paesi OCSE, la mentalità di crescita è stata associata positivamente alla motivazione ad affrontare compiti, all'autoefficacia, alla definizione di obiettivi di apprendimento e alla percezione del valore della scuola; è stata associata negativamente alla paura di fallire. Il benessere degli insegnanti è sicuramente un fattore che influenza la loro soddisfazione lavorativa e l'entusiasmo per il loro lavoro. È correlato alla motivazione, ha un impatto i termini di qualità e rendimento, ed è un fattore chiave che influenza la motivazione e i risultati di studenti e studentesse.  I risultati PISA 2018 evidenziano che studenti e studentesse ottengono punteggi più alti in lettura quando percepiscono il loro insegnante come entusiasta e interessato alla materia. Circa il 74% degli studenti e studentesse italiane è d'accordo o molto d'accordo sul fatto che il loro insegnante mostri piacere nel fare lezione. Il benessere riguarda diversi aspetti della professione di insegnante: il carico di lavoro, le condizioni di lavoro, il senso di sicurezza, il supporto di colleghi, colleghe e dell’istituzione, gli aspetti relazionali con studenti e studentesse, con i genitori e altri soggetti coinvolti nella scuola e, naturalmente, l'apprezzamento della comunità più ampia. Se questi aspetti sono fonte di esperienze negative, l’insegnante può trovarsi in uno stato di esaurimento fisico ed emotivo, di stress e di burnout, e la loro salute mentale e fisica può risentirne. Diversi studi evidenziano lo stress come uno dei fattori che rendono particolarmente difficile la professione di insegnante. Un’analisi di Eurydice del 2021 rivela che in tutta Europa molti insegnanti soffrono di stress sul lavoro (in Italia circa il 35% degli insegnanti della scuola secondaria di I grado, contro una media UE del 47%). L'evidenza sembra indicare che i livelli di stress sono più bassi quando gli insegnanti lavorano in ambienti scolastici che percepiscono come collaborativi, quando si sentono sicuri di sé nel motivare gli studenti e nel gestire il loro comportamento e quando sentono di avere autonomia nel loro lavoro.  Non sono ancora disponibili i dati sull’impatto della pandemia e delle interruzioni scolastiche sul clima scolastico ed il benessere di insegnanti, studenti e studentesse. È ipotizzabile che abbia avuto un impatto negativo.  A Didattiche.2022 parleremo ampiamente di come creare un clima scolastico positivo e promuovere benessere a scuola. Fonti Lucangeli D., Cinque lezioni leggere sull’emozione di apprendere, Trento, Erickson, 2019 OECD, Pisa 2018 Results Combined Executive Summaries Volume I, II & III, OECD 2019 OECD PISA 2018 Nota Paese Italia European Commission/EACEA/Eurydice, 2021. Teachers in Europe: Careers, Development and Well-being. Eurydice report. Luxembourg: Publications Office of the European Union.
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Metodo Montessori e anziani fragili Emozioni
Daniela Lucangeli approfondisce il tema della speranza dal punto di vista della psicologia spiegando quanto sia prezioso il suo ruolo, in particolare in questo periodo di pandemia
Durante l’autunno del 2020, mentre cercavo di fare un po’ di luce sulla «mente che sente» in relazione al periodo di pandemia, mi è arrivata una lettera meravigliosa da un signore di nome Giovanni, che mi ha spinta ad approfondire il tema della speranza. «Cara Prof., io sono un anziano disabile, non mentale. Da sempre sono in carrozzina, anzi credo di essere nato con questo mio prolungamento. Non ho mai camminato. L’esperienza del camminare non ce l’ho, eppure io ho fatto tanta strada. Non ho avuto figli ma sono stato maestro per 35 anni e ho accompagnato ogni mio allievo a essere se stesso, a imparare a fare da solo. Oggi purtroppo, ahimè per età, sono solo un osservatore alla finestra. Vedo la vita passare, la vedo inciampare e la vedo perdersi. Allora io, cara Daniela, le regalo la mia analisi: il malessere, il dolore della mente di cui lei parla, io lo conosco bene. L’ho temuto, ne sono scappato tante volte, l’ho affrontato e riaffrontato, ho lottato e ho vinto. Sotto e ancora più sotto, alle fondamenta di questo dolore sta la mancanza di speranza. È lì che si deve cercare la causa del vuoto di luce che ci sta disorientando tutti. Accenda un po’ di consapevolezza nuova sulla speranza!» Ho accolto volentieri l’invito accorato di Giovanni e ho cercato di indagare sull’argomento. Molte sapienze si sono occupate della spes, la parola latina per chiamare la speranza. Nella ricerca scientifica non c’è, invece, una definizione univoca del concetto di speranza. C’è anzi una sorta di diatriba: che cos’è la speranza? Perché noi la proviamo? È un’emozione? Diremmo che ci assomiglia, in effetti; eppure gli studi che se ne occupano da un punto di vista neurofisiologico dicono che non si tratta di una vera e propria emozione, perché non ha le caratteristiche tipiche di attivazione neurofisiologica. Potremmo in un certo senso dire che i sentimenti (come l’amore o l’amicizia) indicano uno stato del sentire che si prolunga per tanto tempo nella nostra vita, mentre le emozioni uno stato del sentire istantaneo. Potrebbe sembrare, allora, che la speranza sia un sentimento. Ma anche ammettendo che sia così, questa classificazione è davvero sufficiente? Negli anni Novanta anche Charles Richard Snyder, esponente degli studi di Psicologia positiva, ha cercato (forse per primo) di fare un po’ di ordine negli studi sulla speranza, lavorando alla Theory of hope. Secondo questo ricercatore, la speranza appartiene al costrutto della motivazione, il che equivale a dire che la speranza è una molla che ci spinge ad agire, ma non come se noi fossimo passivi: ci attrae a sé in maniera proattiva. Secondo Snyder, le due qualità principali della speranza sono l’agentività (io sono agente della mia speranza) e il potere di procedere: io non soltanto agisco per raggiungere la speranza di qualcosa, ma so cambiare strada se vedo che mi sto allontanando dall’obiettivo, perché non posso perdere la speranza. Dopo esserci domandati che cosa sia, dobbiamo chiederci: come ci fa sentire la speranza? Mary, una bambina di sette anni, risponde con queste parole: «Quando le speranze mi finiscono capita che piango di tristezza, ma quando ritornano capita che mi sento guarita». Noi, in sintesi, assumendo un punto di vista psiconeurobiologico, possiamo rispondere affermando che chi spera è più resistente alla frustrazione, è più resiliente, prova meno stress, ha maggiore flessibilità psichica e comportamentale, ha maggiore adattabilità, ha maggiori capacità prosociali ed è più facilmente benvoluto dagli altri, oltre a piacere a se stesso…
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Metodo Montessori e anziani fragili Didattica
Fattori pratici come l’ambiente in cui si scrive, gli strumenti utilizzati e la postura possono favorire oppure rendere più difficile l’atto della scrittura.
Una tendenza generale che si è osservata nella scuola primaria italiana, a partire dall’introduzione dei nuovi programmi del 1985, è un graduale disinvestimento sugli aspetti formali e strumentali della scrittura, a favore dei suoi aspetti linguistici e di contenuto. L’atto motorio della scrittura ha cessato in molti contesti di essere un esplicito oggetto di insegnamento, trascurando le regole calligrafiche. La conseguenza è che il gesto grafico, appreso spontaneamente, diventa spesso faticoso e fissa degli automatismi errati che richiedono, per essere superati, una ri-educazione, cioè una sorta di decondizionamento. Sul fronte opposto, i dati mostrano che, escludendo i casi patologici, quasi tutti i bambini in fase iniziale di apprendimento scolastico possono imparare a scrivere senza particolari difficoltà esecutive, a fronte di un idoneo insegnamento. Fattori pratici come l’ambiente in cui si esegue il compito, gli strumenti utilizzati e la postura possono favorire oppure portare a un affaticamento e a una distorsione della grafia.  Qual è l’ambiente ideale per scrivere? Specialisti della visione evidenziano come le abilità visive possano rimanere integre oppure deteriorarsi a causa di posture o impugnature scorrette o di un’illuminazione insufficiente. L’uso di una superficie leggermente inclinata comporta un miglioramento di vari aspetti morfologici della scrittura e offre un angolo visivo più favorevole; inoltre, promuove un generale miglioramento della postura, una maggiore stabilità nella prensione della penna e maggiori possibilità di movimento per l’avambraccio. Inoltre la posizione della testa dovrebbe consentire una distanza tra l’occhio e il foglio di circa 30 cm. Tale distanza dovrebbe essere ottimizzata sulla base delle dimensioni del bambino ed è facilmente definibile utilizzando come riferimento la lunghezza dell’avambraccio del bambino stesso con il pugno chiuso, con il gomito del braccio scrivente appoggiato al tavolo in linea con la spalla e il mento poggiato sul pugno. Dove deve stare il foglio? Anche la posizione del foglio è un parametro in grado di influenzare la postura complessiva, il movimento degli arti superiori, la prensione della penna e la libertà di eseguire alcuni tratti. Il foglio dovrebbe essere posto direttamente di fronte al tronco o leggermente spostato sul lato della mano dominante, in modo che la mano possa scorrere liberamente e che la visione sia sgombra. Il foglio dovrebbe essere ruotato di qualche grado in senso antiorario per i destrimani e in senso orario per i mancini, mentre vanno evitate angolazioni estreme. Anche l’utilizzo di fogli troppo grandi impone al bambino di allungarsi eccessivamente per raggiungerne la sommità, per cui sono da preferire fogli più piccoli. Come ci si siede? La postura seduta dovrebbe seguire dalla regola dei tre angoli retti: quello dell’anca, tra la colonna vertebrale e il femore, quello del ginocchio e quello della caviglia, con la pianta del piede ben poggiata a terra. Durante la scrittura il busto dovrebbe inclinarsi leggermente in avanti, staccando la schiena dallo schienale e scaricando una parte del peso della parte superiore del corpo sul piano di lavoro. Tale leggera inclinazione consente agli avambracci di poggiare sul piano di lavoro, facilitando i movimenti di spalla, polso e dita della mano scrivente. La mano che non scrive dovrebbe invece essere poggiata sul foglio, allo scopo di stabilizzarlo. Come si impugna la penna? Per quanto riguarda la prensione dello strumento grafico, la forma ottimale è considerata la prensione a tre dita dinamica in sella palmare. In questa tipologia di prensione, pollice, indice e medio si combinano assieme, permettendo la flessione e l’estensione coordinata delle articolazioni delle dita nell’esecuzione dei movimenti fini, mentre anulare e mignolo forniscono stabilità alla mano. Le dita dovrebbero essere rilassate e tutte le articolazioni parzialmente flesse, reggendo la penna a circa 2 cm dalla punta e con il fusto adagiato al centro della sella palmare. In tale posizione i tre polpastrelli si trovano ciascuno su un lato diverso della penna, formando una figura triangolare: il mantenimento di tale impugnatura è quindi facilitato dall’uso di matite e penne a fusto triangolare. Particolare attenzione va comunque prestata nel caso di bambini con problemi di disprassia o impaccio motorio, in cui l’efficacia della prensione utilizzata può avere un impatto rilevante sul processo della scrittura.
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Search-ME - Erickson 1 Test e strumenti di valutazione
Il progetto sulla Comprensione Orale - Test e Trattamento (CO-TT) spiegato da Cesare Cornoldi, che l’ha sviluppato assieme al gruppo di lavoro composto da Barbara Carretti, Nadia Caldarola e Chiara Tencati
Credo che nessuno metterebbe in dubbio l’importanza educativa di sviluppare delle buone abilità di comprensione del linguaggio sia scritto che orale. Infiniti sono i momenti in cui nella vita quotidiana (oltre che scolastica) in cui è essenziale avere una buona comprensione di ciò che si legge o di ciò che si ascolta. La Scuola pertanto si impegna con numerose attività volte a promuovere la comprensione del testo scritto. Sorprendentemente invece considera solo implicitamente la possibilità di lavorare sulla comprensione orale e raramente lo fa con attività strutturate, articolate e graduali. Questo è disdicevole sia per l’importanza che riveste in sé la comprensione orale, sia perché attraverso di essa si può promuovere anche la gemella comprensione scritta e, più in generale, la crescita intellettiva di una persona. Lo sapete che un programma televisivo di prima serata implica tipicamente un linguaggio della complessità corrispondente a quella di un cartonato per bambini di sei anni? Tecnicamente, si può parlare di comprensione orale anche di singole parole, brevi frasi, semplici conversazioni, ma a noi interessa la forma alta di comprensione orale che riguarda materiale più complesso. La comprensione orale di un testo fa riferimento alla capacità di un individuo di prestare attenzione ad un testo ascoltato e di comprenderlo. Durante il processo di comprensione il soggetto che ascolta un testo articolato (come può essere una spiegazione, una lezione, il commento parlato ad un filmato) mette in gioco processi simili a quelli implicati dalla comprensione scritta e costruisce una rappresentazione mentale relativa al significato del testo, risultato dell’integrazione delle proprie conoscenze sull’argomento con le informazioni nuove ricavate dall’ascolto. Interessanti studi recenti mostrano come la promozione della comprensione del testo possa avvenire attraverso percorsi di promozione centrati sulla comprensione orale (vedi ad esempio Clarke, Hulme, Snowling E Truelove, 2010). Queste esperienze di trattamento si basano su dati che evidenziano come il livello di prestazione in prove di comprensione del testo sia fortemente correlato a buone competenze in prove di comprensione da ascolto (vedi ad esempio Tistra, McMaster, van den Broek, Kendeou e Rapp, 2009) e che la comprensione da ascolto sia un buon predittore della comprensione del testo (vedi ad esempio Kendeou, van den Broek, Lynch e White, 2009). Il progetto sulla Comprensione Orale-Test e Trattamento (CO-TT) di Barbara Carretti, Nadia Caldarola, Chiara Tencati e Cesare Cornoldi, portato avanti anche grazie a un finanziamento dell’Università di Padova, si è sviluppato fra il 2009 e il 2012 ed è stato poi oggetto di diverse sperimentazioni, di cui la prima, più ampia e controllata, è stata illustrata in un lavoro comparso in una importante rivista internazionale e oggi largamente citato in tutto il mondo (Carretti, Caldarola, Tencati e Cornoldi, 2014). La valutazione della comprensione da ascolto nel progetto CO-TT Dalla breve rassegna della letteratura appare chiaro che la valutazione della comprensione da ascolto può offrire delle informazioni interessanti tanto per il clinico quanto per la scuola. Infatti, dal punto di vista clinico, la forte correlazione fra comprensione del testo e comprensione da ascolto suggerisce che quando non è possibile valutare la comprensione del testo o si sospetta che la valutazione possa non essere affidabile, l’utilizzo di una prova di comprensione da ascolto può offrire una buona stima delle abilità di comprensione del testo. Esemplare può essere il caso di studenti con una severa dislessia che non permette loro una lettura sufficientemente fluida del testo. In questo caso l’impiego di una prova di comprensione da ascolto potrebbe consentire di stimare le sue competenze di comprensione del testo. Ciò non è di secondaria importanza, tenendo conto che a questi studenti viene spesso consigliato come strumento compensativo l’uso della sintesi vocale che richiede, oltre a buone competenze metacognitive generalmente associate alla lettura, anche competenze di ascolto, entrambe non necessariamente adeguatamente sviluppate. Nel progetto CO-TT per le classi della scuola primaria e della scuola secondaria di I grado è stata creata una serie di prove seguite da domande a scelta multipla. Inoltre, per la classe prima della Secondaria è stata inclusa una prova versione con video della prova. L’esaminatore legge il testo e invita lo studente a rispondere a domande a scelta multipla. Le domande vengono lette dall’esaminatore con l’invito allo studente di seguirle sulla scheda-domande. La prova può essere somministrata sia collettivamente che individualmente. Durante l’ascolto del brano l’esaminato non ha a disposizione né il testo né la scheda con le domande interessate. La durata complessiva di somministrazione è di circa 20 minuti. Ai fini di una semplice (e più prudente) lettura dei risultati e ad una più organica progettazione di interventi, abbiamo voluto far riferimento a quattro fasce fondamentali di prestazione (ricavate dagli esiti alle prove di alcune migliaia di alunni italiani) rispetto alle quali confrontare la prestazione degli alunni. Nella fascia di richiesta di intervento (RI) rientrano i punteggi ≤ 10° percentile; nella fascia di abilità da sostenere (AS) i punteggi compresi tra l’11° ed il 39° percentile; nella fascia di prestazione sufficiente (PS) quelli tra il 40° ed il 69° percentile, ed infine, la fascia di criterio completamente raggiunto (CCR) viene riferita ai punteggi ≥ 70° percentile. Il risultato degli studi sul potenziamento della comprensione del testo Alcuni anni orsono un panel di esperti nominati dall’Istituto di Scienze dell’Educazione (USA) ha revisionato gli studi focalizzati sul potenziamento della comprensione (Shanahan, Callison, Carriere, Duke, Pearson, Schatschneider, e Torgesen, 2010). L’obiettivo è stato quello di fornire delle raccomandazioni per la progettazione di training di comprensione esaminando il grado di evidenza dei risultati presenti in letteratura. Il grado di evidenza è stato valutato prendendo in considerazione la qualità metodologica di ogni singolo studio: maggiore è il rigore delle procedure adottate (assegnazione dei partecipanti, uso di prove con buone caratteristiche psicometriche, etc) maggiore è l’affidabilità dei risultati. A questa ricerca ne hanno fatto seguito altre che hanno offerto un ampio grado delle attività che possono potenziare la comprensione (per es. Artuso, Carretti e Palladino, 2019). In sintesi, gli studi di trattamento in generale mostrano che è possibile migliorare il livello di comprensione attraverso l’insegnamento di strategie centrate sull’importanza di: attivare delle informazioni pregresse del lettore; monitorare il livello di comprensione durante la lettura; individuare le informazioni rilevanti in un testo; fare inferenze, per collegare parti diverse del testo e informazioni già note con le nuove; elaborare profondamente il testo, usando strategie visive o verbali; Includere stimolazioni metacognitive; Prevedere attività sulle funzioni cognitive implicate. È importante sottolineare che queste procedure, oltre ad essere utili per studenti con problemi nella comprensione, possono diventare una comune modalità di approccio al testo anche all’interno della normale attività didattica per la promozione di più mature competenze di comprensione del testo. Le sessioni di intervento nel progetto CO-TT Il progetto CO-TT prevede, oltre alle prove di verifica, delle sessioni di intervento, con il consiglio di seguire una cadenza bisettimanale. Ogni sessione dura circa 1 ora; anche in questo caso si raccomanda che si mantenga il tempo di lavoro entro un’ora per fare in modo che gli studenti rimangano concentrati sulle attività. Nell’arco dell’ora si propongono, in piccole sotto-unità, attività che riguardano la metacognizione, la memoria di lavoro e la capacità di collegare le informazioni, tre aspetti cruciali per la comprensione orale. Per la metacognizione, le attività proposte sono centrate sullo sviluppo di conoscenze adeguate su cosa significa comprendere durante l’ascolto, sull’insegnamento di strategie utili nelle situazioni di ascolto e sulla sensibilità al testo, ovvero sulla capacità di riconoscere il genere testuale e di fare previsioni sul contenuto del testo. Per quanto riguarda la memoria di lavoro, sono state riprese classiche situazioni di cui è stata dimostrata la stretta connessione con la comprensione linguistica. Per l’area collegamenti, le attività proposte sono centrate inizialmente sull’abilità di fare dei collegamenti fra parti diverse dello stesso testo, fra testo e immagini e fra testi diversi.
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Metodo Montessori e anziani fragili Didattica
Corporeità e dimensione ludica sono le chiavi per la costruzione di contesti educativi equi
Abbiamo ripetuto quanto il gioco sia il canale di comunicazione preferenziale per il bambino: è il suo modo di aprirsi agli altri e di trasformare il mondo. Ogni essere umano, qualunque sia la condizione socio-economica o il background culturale, conosce la dimensione del gioco: si tratta di un bisogno primario dell’uomo. Come insegna Huizinga: «Si possono negare quasi tutte le astrazioni: la giustizia, la bellezza, la verità, la bontà, lo spirito, Dio. Si può negare la serietà, ma non si può negare il gioco». Per questo acquisire competenze intorno al senso e al significato delle manifestazioni spontanee del gioco è un atto democratico, di apertura  verso ogni individuo: qualunque bambino, se accompagnato nell’esplorazione del proprio gioco, può maturare competenze e, soprattutto, riconoscere una dimensione di benessere per sé stesso, con gli altri.  Essere consapevoli delle qualità educative del gioco è una importante azione di contrasto alla povertà educativa che dovrebbe essere patrimonio di educatrici/educatori, insegnanti, operatori sociali e genitori.  Le Indicazioni nazionali ci dicono che «l’educazione alla cittadinanza viene promossa attraverso esperienze significative che consentano di apprendere il concreto prendersi cura di sé stessi, degli altri e dell’ambiente e che favoriscano forme di cooperazione e solidarietà» (Comitato scientifico nazionale per le indicazioni nazionali del Ministero dell’istruzione, 2012, p. 6). Che cosa meglio del gioco spontaneo e cooperativo si muove verso questa direzione già a partire dall’infanzia?  Se si parte fin da piccolissimi a valorizzare le specificità di ciascuno in un’ottica di possibile fioritura futura delle risorse di tutti, potremo dire che da educatori avremo contribuito a diminuire lo svantaggio sociale di partenza da cui alcuni bambini partono fin dalla nascita. In quest’ottica si può strutturare un intervento con approccio psicomotorio in un servizio 0-6 anni, nella convinzione che corporeità e dimensione ludica, capisaldi della filosofia psicomotoria, siano chiavi rivelatrici per la costruzione di contesti educativi equi. I contesti di deprivazione non solo materiale ma anche educativa possono essere causa di disagi di vario tipo nei bambini.  Lavorando in quartieri di marginalità ci è capitato di notare come alcuni educatori individuino molto precocemente fragilità particolari in bambini che vivono situazioni di povertà materiale ed educativa. Capita che i genitori di questi bambini vengano immediatamente indirizzati ai servizi sanitari del territorio per una prima valutazione neuro-psichiatrica. Si parla di bambini che nella maggior parte dei casi non verrebbero presi in carico dai servizi pubblici di neuropsichiatria a livello terapeutico è risaputo inoltre quanto i servizi di neuropsichiatria siano in grande sofferenza a livello nazionale con lunghissime liste d’attesa per la presa in carico. In situazione di deprivazione economica e socio-culturale la soluzione dovrebbe risiedere in offerta di stimoli educativi continuativi a questi bambini, prima che le fragilità si trasformino in disagi persistenti, a partire dalla scuola e aprendosi alle opportunità che sempre più il Terzo settore cerca di costruire sui territori. Parliamo ad esempio di bambini esposti a più di due lingue ma in una situazione non adeguatamente monitorata che generalmente mostrano immaturità dal punto di vista linguistico. Come psicomotricisti ci siamo molto interrogati su questo tema e dalla nostra prospettiva professionale riteniamo che un adeguato accompagnamento allo sguardo psicomotorio dentro la scuola possa sostenere educatrici ed educatori ad aumentare le risorse professionali per rispondere prontamente a bambini in difficoltà a causa di ipo-stimolazione a livello sociale, educativo, culturale. Quali sono quindi gli obiettivi della proposta psicomotoria a scuola? Accrescere competenze di educatrici ed educatori a scuola nel riconoscere segnali predittivi di possibile disagio educativo (scuola dell’infanzia). Accrescere la competenza di dialogo con il territorio per il sostegno di bambini ipo-stimolati: se stimolati correttamente, è possibile prevenire il futuro manifestarsi di disagi di vario tipo. Attivare uno sguardo particolare sul lavoro di raccordo tra scuola dell’infanzia e scuola primaria. Supportare il collegio nell’ottimizzare le risorse già presenti nel corpo docente. @media (max-width: 576px){ .me-text ul li { font-size: 19px !important; line-height: 28px !important; } .me-text ol li { font-size: 19px !important; line-height: 28px !important; } } .me-text ul li { font-size: 22px; line-height: 34px; } .me-text ol li { font-size: 22px; line-height: 34px; }
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Metodo Montessori e anziani fragili emozioni
I bambini devono sentirsi sostenuti e non in allerta, solo così possono imparare a gestire le loro emozioni e disporsi nel modo giusto ad apprendere
Sostenere i bambini in momenti difficili non significa solo adottare specifiche strategie e applicare modelli di comportamento particolari, ma anche offrire uno spazio relazionale empatico e rassicurante.  L’origine del senso di sicurezza dimora, infatti, in una relazione significativa e responsiva. Non si può pretendere che i bambini abbiano lo stesso controllo emotivo degli adulti, i quali dovrebbero mostrare loro come acquisirlo. I bambini osservano e imitano i grandi con cui si relazionano: nel corso della pandemia, ancor più delle parole, sono stati i gesti, gli atteggiamenti e i comportamenti dei punti di riferimento adulti a comunicare stabilità o, al contrario, tensione e agitazione. Nell’ambiente di casa, il bambino necessita di sentirsi protetto, amato e pensato; nell’ambiente scolastico, ha bisogno di sentirsi al sicuro, apprezzato nelle sue caratteristiche e immerso nelle condizioni adatte per imparare dalle esperienze, anche da quelle difficili.  È nella relazione che i docenti possono accorgersi delle esigenze dei bambini, ed è nella relazione che hanno la possibilità di insegnare loro a gestire le emozioni. Può accadere che anche l’insegnante si senta sopraffatto dalle proprie emozioni, il che non è un problema di per sé, anzi, potrebbe essere una straordinaria occasione per gli allievi di osservare strategie di autoregolazione efficaci. Un esempio potrebbe essere quello di prendere tempo evitando di reagire se molto arrabbiati, respirare profondamente per ritrovare la calma, dichiarare e nominare il proprio sentire. Può essere utile anche apprendere per se stessi e insegnare ai bambini semplici esercizi di respirazione e di rilassamento. Se ad esempio un bambino in una situazione spiacevole manifestasse una paura intensa, avesse un’esplosione di rabbia, fosse confuso e agitato, l’adulto potrebbe rispondere con gesti semplici come un sorriso genuino. Finché non sarà possibile nuovamente ridurre le distanze, è necessario sostituire i gesti di conforto con altri che rappresentino metaforicamente l’abbraccio, la consolazione e l’affetto. In momenti come quello che stiamo vivendo è necessario che i bambini ricevano spiegazioni chiare ed esaustive e indicazioni su come comportarsi: sapere cosa fare e quali sono i limiti li aiuta a sviluppare senso di padronanza, a non sentirsi in balia degli accadimenti e ad accrescere il senso di autoefficacia. Naturalmente non si tratta di applicare una ricetta in modo meccanico, bensì di far sentire ogni bambino accolto e visto nella manifestazione delle sue emozioni. La scuola è il terreno ideale per offrire a tutti in egual misura uno sguardo sul futuro speranzoso e ottimista, anche in una situazione complessa come l’attuale. L’adulto in questo contesto dev’essere la base sicura da cui il bambino potrà partire per esplorare la relazione con gli altri e il mondo.  È indispensabile, quindi, fare in modo che i bambini si sentano sostenuti e non in allerta, perché l’allarme non li aiuta a disporsi nella condizione giusta per apprendere.
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