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Covid-19 e anziani nelle RSA: oltre l’emergenza sanitaria, c’è quella psicologica

Un’analisi della situazione di fragilità psicologica vissuta dagli anziani nelle RSA in seguito all’adozione delle misure anti-Covid impone una riorganizzazione urgente per ristabilire le possibilità di contatto con i propri cari

Siamo immersi nella seconda ondata lunga di Covid-19 anche in Italia, pare prossimi alla terza, ed è comprensibile che tutte le attenzioni siano puntate sul contenimento della diffusione del contagio. Ma non possiamo permetterci di trascurare anche questa volta altri aspetti importanti per la vita delle persone, in primis le relazioni.

Come ricorda l’OMS, la salute è “uno stato di totale benessere fisico, mentale e sociale, non solo assenza di malattie o infermità”.
La tutela della salute fisica è centrale e, in questo periodo, si esprime soprattutto nell’ambito igienico-medico. L’applicazione dei protocolli sanitari di sicurezza è fondamentale e richiede la responsabilità di tutti i cittadini, a maggior ragione di autorità ed enti. Ridurre le morti e l’aggravarsi delle condizioni dei malati di coronavirus, così come gestire al meglio l’afflusso dei pazienti negli ospedali e abbattere le possibilità di contagio nelle residenze sanitarie, sono obiettivi indispensabili per affrontare le pesanti criticità della pandemia. L’arrivo del vaccino mette sicuramente in circolo speranze nuove e contribuisce a stemperare l’allarme nelle RSA, dove si stanno vaccinando operatori ed anziani.

I danni psicologici provocati agli anziani nelle RSA dall’isolamento sociale

Le misure adottate per tutelare la salute fisica non possono azzerare le altre dimensioni umane e oscurare gli ambiti di fragilità diversi da quelli emergenziali. Altrimenti la prevenzione rischia di esporci ad altrettanti danni psicologici che hanno diretti effetti sulla salute corporea e sullo stesso tessuto sociale.
In particolare, «la grave preoccupazione delle strutture sociosanitarie è stata di limitare il contagio ma, nell’emergenza, non si è valutato bene gli effetti collaterali di queste misure su persone vulnerabili che sulla stabile relazione con i familiari o con i volontari o con gli stessi operatori basano tutta la loro vita» come ha sottolineato Fabio Folgheraiter, professore di metodologia del lavoro sociale all'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.

La sopravvivenza stessa, così come la modalità di vivere tempi difficili come questi, chiama la nostra coscienza a una cura allargata, che non separi la nostra unità intrinseca di corpo-mente-anima.

Nelle RSA gli ospiti stanno vivendo un periodo particolarmente doloroso per la riduzione degli spazi di relazione con i propri cari, soprattutto del contatto diretto, visivo e fisico. Chiamate e videochiamate sono validi strumenti di continuità relazionale, ma spesso sono inadeguate per la tipologia di persone accolte, per i pazienti incoscienti o particolari ostacoli fisici o psichici.

Pratiche virtuose attuale nelle RSA per permettere il contatto tra familiari

Potremmo aver di fronte mesi di oscillazioni dei contagi. Dovremmo rimodulare diritti e opportunità di supporto emotivo.
Per questi motivi, supportati da intenzioni condivise ed esempi già realizzati, auspichiamo che vengano predisposti e diffusi in tutte le RSA dei protocolli che tengano conto della complessità dei bisogni delle persone non autosufficienti nelle RSA: trovare e istituire luoghi e tempi definiti e protetti per il contatto con i familiari. Sono già state sperimentate e attuate delle soluzioni concrete: ambienti predisposti per l’incontro a distanza, anche con barriere protettive in vetro e alluminio oppure in plexiglass a tutta altezza, o postazioni denominate “Emozioni dell’abbraccio”. Si tratta di stanze in cui ospiti e congiunti possono parlarsi, toccarsi grazie a dei guanti e stringersi grazie all’utilizzo di materiale plastico trasparente morbido, che permette di restare separati e protetti da possibili contagi.
Con questa tecnica gli anziani possono riabbracciare i propri cari e ricevere conforto in un momento così difficile. Anche solo rivedersi faccia a faccia e poter sentire le voci dal vivo provoca un calore umano difficile da creare attraverso gli strumenti tecnologici. E sappiamo che per stare bene, anche fisicamente, abbiamo bisogno di stati emotivi positivi e contatti relazionali, soprattutto se le persone non hanno risorse interne per compensarne la mancanza. Più ancora, una carezza o un abbraccio possono calmare e rigenerare le persone, come nient’altro è in grado di fare, soprattutto per persone dalle condizioni fisiche e psichiche fragili.

Sono molto apprezzabili gli sforzi degli operatori di accompagnare chiamate e videochiamate o inventarsi modi per condividere con i familiari la quotidianità o le occasioni speciali vissute dagli ospiti nella struttura.

Anche stimolare parenti e volontari o la comunità locale (es. le scuole) a entrare in contatto con gli anziani, tramite lettere di auguri o disegni, è un’iniziativa preziosa per mantenere i legami e il ricordo vivo della loro presenza nella società. La creatività e l’attenzione tenera sono caratteristiche che diventano ancora più importanti nelle condizioni attuali, soprattutto se messe in campo dagli operatori, che vivono anch’essi le loro fatiche personali e familiari.

La necessità di riorganizzare le RSA per permettere il contatto anche fisico tra ospiti e familiari

Le attività implementate spontaneamente in varie RSA non possono tuttavia sostituire i rapporti diretti tra gli ospiti e i loro cari con manifestazioni affettive anche corporee.
Dovrebbero andare in parallelo per permettere alle RSA di uscire dallo stato di isolamento istituzionalizzato e dalla rassegnazione alla distanza fisica tra ospiti e parenti.
Ė significativo evidenziare, come fa il presidente dell’Uneba Franco Massi, le grosse difficoltà di comprensione dei DPCM e della situazione generale da parte degli ospiti, che si sentono spesso abbandonati. Spesso non capiscono cosa sia il DPCM, faticano a rendersi conto di cosa stia succedendo davvero dentro e fuori dalle case di riposo a causa della pandemia. Solo si chiedono “Perché i miei figli non vengono a trovarmi? Perché li sento solo al telefono e non posso abbracciarli? Non mi vogliono più, non gli interessa di me?”. Alcuni vorrebbero essere portati a casa e non accettano la situazione, reggono con grande difficoltà al divieto di visita, si isolano e si deprimono, regrediscono anche cognitivamente.

Basta davvero poco per poter ridar loro la speranza e il sorriso. Ora le possibilità pratiche sono note e auspicate anche dal Ministero della Salute.
Occorre adoperarsi per trovare i fondi per la rimodulazione organizzativa e strutturale delle RSA, in sinergia con l'azienda sanitaria, la politica e tutte le parti coinvolte per dare sollievo ai nostri cari e alla situazione delicata in cui si trovano. Possiamo e dobbiamo farcela!

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