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I mini gialli dei dettati 2
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Search-ME - Erickson 1 Lavoro sociale
Intervista a Jonathan Scourfield, docente di Lavoro Sociale alla Cardiff University
Può sembrare una questione ovvia, ma diverse ricerche mostrano che nei servizi per i minori e le famiglie, gli operatori tendono a coinvolgere soprattutto le madri. I motivi che portano a questa situazione sono diversi, a partire dal fatto che la cura dei figli viene spesso concepita come una prerogativa femminile. Invece, nei percorsi di tutela, il coinvolgimento dei padri è indispensabile nell’interesse dei minori. Professor Scourfield, qual è la relazione che si instaura tra padre e figlio? «Sono ormai numerosi gli studi che hanno indagato la relazione tra le modalità dell’essere padre e gli esiti sui figli e il loro sviluppo, in una duplice direzione: da un lato una “buona” paternità è associata a un benessere emotivo del figlio che perdura sino all’età adulta; dall’altro, vi sono alcuni esiti critici legati alla paternità.  Ad esempio, alcune ricerche dimostrano come figli di padri con percorsi di criminalità abbiano una più alta probabilità di compiere reati». L’influenza dei padri sul benessere dei figli è l’argomentazione fondamentale per promuoverne e sostenerne la partecipazione. Come comportarsi quando il padre può avere un’influenza negativa? «In questi casi è fondamentale un’attenta valutazione. Sarebbe un errore, infatti, escluderlo definitivamente e a priori dalla riflessione. Nonostante questi padri pongano i propri figli in situazioni di rischio, potrebbero avere anche il potenziale per il cambiamento. I padri dovrebbero quindi essere coinvolti nei piani di cura dei figli: le indagini mostrano che sono davvero poche le situazioni in cui la completa separazione dei bambini dai propri padri corrisponde all’interesse del minore». Perché i padri vengono poco coinvolti nei percorsi di tutela dei propri figli? «Non esiste un’unica risposta. L’ostilità e la riluttanza volte a mascherarne la vulnerabilità, una concezione della cura come qualcosa che attiene alla dimensione femminile (concezione presente nei uomini quanto negli operatori), sono solo alcuni dei fattori che ostacolano la partecipazione dei padri. Esiste quindi ampio spazio per migliorare il lavoro con i padri, per fare davvero la differenza nella vita dei bambini e dei ragazzi, ma ci dev’essere la consapevolezza che i servizi hanno ancora una lunga strada da percorrere, partire dalle fondamenta della cultura delle organizzazioni basata primariamente sul coinvolgimento delle madri».
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Search-ME - Erickson 2 Anziani
Come mediare tra dignità, relazioni, cure efficaci
Un segmento importante dei servizi rivolti alle persone anziane è entrato in crisi: la tragedia del Covid-19 ha lasciato segni molto pesanti nell’organizzazione delle residenze, segni che non potranno essere cancellati con interventi di superficie. È quindi necessario prevedere profonde modificazioni dell’organizzazione dell’assistenza a chi è vecchio e fragile, perché queste strutture possano continuare a servire il paese in un settore delicatissimo della convivenza nelle comunità. Lo scopo principale è rispettare la dignità di ogni persona, indipendentemente dall’età, conservare gli equilibri all’interno delle famiglie (le relazioni), essere contenitori di cure adeguate alle specifiche esigenze di chi soffre per le malattie, la perdita dell’autosufficienza, le fragilità sia di ordine somatico che psicosociale. La dignità dell’anziano Un punto fondamentale riguarda la dignità del singolo anziano; viene collocata al primo posto in questo breve elenco, perché il rispetto della persona in tutte le sue dinamiche è premessa indiscutibile a qualsiasi progetto concreto. Nessun motivo organizzativo, nessuna contingenza, per quanto temporanea, potrà permettere di avvicinare l’anziano come un insieme di bisogni, invece che come contenitore vivo di volontà, di speranze, di relazioni, talvolta anche di povertà e di disperazione. Il rispetto della complessità - caratteristica fondante dell’umano - non premette approcci segmentari; la dignità dell’anziano non dipende dalla volontà degli altri, ma è un valore indiscutibile, legato all’essenza di essere persona. Quindi non è mai contrattabile; o viene accettata come premessa o non è lecito instaurare alcun rapporto. La presa in carico della persona Il secondo motivo conduttore nella logica di una residenza che voglia realizzare un servizio è la funzione di presa in carico della persona, in modo che la famiglia possa essere sollevata dal compito di strutturare l’assistenza per chi non è in grado di organizzarsi da solo. Le residenze per anziani devono svolgere una funzione di sostituzione per compiti che la famiglia non sa eseguire; ciò riguarda sia aspetti di aspetti di assistenza al soma, sia di assistenza psicologica. La famiglia non è più capace, oltre un certo grado di complessità, di svolgere una funzione adeguata; la struttura residenziale sa invece come accompagnare il malato e la sua famiglia, garantendo una vicinanza tecnicamente valida nei momenti di crisi e, allo stesso tempo, garantendo una qualità della vita che permetta all’ospite di vivere senza stress e senza sofferenze e alla sua famiglia di osservarne serenamente le giornate, senza perdite e senza dolore. La cura Il terzo motivo è la cura. La residenza deve garantire una cura adeguata, che si sviluppa in interventi specifici, che derivano da una visione complessiva dei bisogni dell’ospite. Cura inizia con una valutazione accurata e ripetuta dei principali motivi di sofferenza; poi cura significa farsi carico delle principali malattie ed evitare i momenti di solitudine che possono rende insostenibile una giornata. Cura è occuparsi dell’ospite e del suo caregiver, impegnandosi anche a rimarginare le ferite psicologiche, incominciando dai frequentemente diffusi sensi di colpa. Cura è essere vicini a chi soffre, con gentilezza, generosità, intelligenza, cultura professionale: doti che il personale delle RSA ha saputo mostrare al massimo nel corso della recente drammatica pandemia.
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Search-ME - Erickson 3 Lavoro sociale
Chi è? Quali sono le sue competenze? In quali ambiti opera? Facciamo il punto sulle caratteristiche di questa figura professionale.
L’Esperto/a in Europrogettazione è un/una professionista specializzato/a nel campo della progettazione, gestione e valutazione di progetti finanziati dai fondi europei, come ad esempio i fondi strutturali e di investimento europei (ESI) e il programma di ricerca e innovazione dell'Unione europea Horizon Europe. Dunque, ha un’alta qualificazione e specializzazione: svolge un ruolo chiave nella realizzazione di progetti finanziati dall'Unione europea, aiutando le organizzazioni a ottenere finanziamenti e a gestire con successo questo tipo di progetti. Quali sono le competenze dell’Esperto/a in Europrogettazione? In quali ambiti opera e/o può operare? Perché la sua figura è necessaria e importante? Quali approcci e metodologie applica? Quali sono gli elementi fondamentali per la sua formazione e aggiornamento professionale? La proposta formativa Erickson Esperto/a in Europrogettazione In che modo il titolo di Esperto/a in Europrogettazione può aiutare il/la professionista nel mondo del lavoro /o nell’ambito in cui opera?     Quali sono le competenze dell’Esperto/a in Europrogettazione? Questa figura professionale possiede una conoscenza approfondita dei programmi e delle politiche dell'Unione europea, nonché delle procedure amministrative e finanziarie per la gestione dei finanziamenti europei. Nello specifico, attraverso le sue competenze, è in grado di identificare le opportunità di finanziamento europeo per le organizzazioni pubbliche e private; elaborare proposte progettuali coerenti con le politiche e le priorità dell'Unione europea; definire budget e piani di finanziamento dettagliati, compresi gli aspetti amministrativi e finanziari della gestione del progetto; coordinare e gestire il progetto, assicurandosi che sia implementato in modo efficace e che venga rispettato il calendario; monitorare e valutare l'efficacia di tale progetto preparando report e documenti di rendicontazione.   In quali ambiti opera e/o può operare? Il suo coinvolgimento riguarda molteplici settori e progetti, a seconda delle opportunità di finanziamento disponibili e delle esigenze delle organizzazioni che richiedono il suo supporto. I principali ambiti in cui può essere previsto il suo ingaggio sono i seguenti:  Ricerca e innovazione: l'Unione europea finanzia numerose attività di ricerca e innovazione attraverso il programma Horizon Europe. In questo ambito, l'esperto/a in europrogettazione può collaborare con università, istituti di ricerca, aziende e altre organizzazioni per identificare le opportunità di finanziamento e sviluppare proposte progettuali per la realizzazione di progetti di ricerca e sviluppo. Ambiente e sviluppo sostenibile: l'Unione europea promuove progetti per la tutela dell'ambiente e la promozione dello sviluppo sostenibile attraverso i suoi programmi di finanziamento. L'esperto/a in europrogettazione può collaborare con organizzazioni attive nel settore ambientale, come ad esempio associazioni di volontariato, enti pubblici, organizzazioni non governative e imprese, per elaborare proposte progettuali e gestire i finanziamenti ottenuti. Sviluppo locale e coesione territoriale: l'Unione europea promuove il sostegno allo sviluppo economico e sociale delle regioni dell'UE attraverso i suoi fondi strutturali e di investimento. In questo ambito, l'esperto/a in europrogettazione può collaborare con autorità locali, camere di commercio, consorzi di imprese e altre organizzazioni per identificare le opportunità di finanziamento e sviluppare progetti volti al miglioramento delle infrastrutture e dei servizi locali. Istruzione e formazione: l'Unione europea finanzia attività di istruzione e formazione attraverso il programma Erasmus+. In questo ambito, l'esperto/a in europrogettazione può collaborare con istituti di formazione, scuole, università e altre organizzazioni per sviluppare progetti volti a promuovere la mobilità degli studenti, la formazione professionale e lo scambio di buone pratiche.   Perché la sua figura è necessaria e importante? È una figura necessaria perché i finanziamenti europei rappresentano un'opportunità significativa per molte organizzazioni, ma richiedono un elevato livello di competenza e conoscenza per essere ottenuti e gestiti in modo efficace. Infatti, l’esperto/a in europrogettazione ha una conoscenza specializzata e approfondita dei programmi europei, delle procedure di finanziamento e delle modalità di gestione dei progetti, perciò può fornire un importante supporto tecnico perché le procedure e le attività richieste dall’Unione europea in questo senso sono complesse (es. preparazione dei report di monitoraggio, la gestione dei costi e la redazione di documenti amministrativi). ‘Esperto/a in Europrogettazione può essere considerata una garanzia di successo: i finanziamenti europei sono molto competitivi e il tasso di successo nella presentazione di proposte progettuali è spesso basso, quindi le competenze dell’esperto/a in europrogettazione possono aumentare significativamente le probabilità di successo di un'organizzazione nella presentazione di una proposta progettuale competitiva e nella gestione efficace del progetto dopo che esso è stato finanziato. Infine, le organizzazioni che collaborano con questo esperto/a possono accedere a un'ampia gamma di opportunità di finanziamento europeo, che altrimenti potrebbero essere al di fuori della loro portata. Ciò significa che possono espandere le loro attività e aumentare la loro capacità di raggiungere gli obiettivi che si prefiggono.   Quali approcci e metodologie applica? L'esperto/a in Europrogettazione che si forma con Erickson applica un approccio che garantisce una progettazione e gestione efficace dei progetti finanziati dall'Unione europea: il Logical Framework Approach (LFA), un approccio strutturato alla progettazione dei progetti, basato sull'identificazione dei problemi, degli obiettivi, delle attività e dei risultati. Questa figura utilizza spesso il LFA per definire in modo chiaro gli obiettivi e le attività del progetto e per garantire la coerenza tra di essi. L'utilizzo di un approccio strutturato e sistematico è in grado di garantire il successo del progetto e la sostenibilità dei risultati ottenuti.   Quali sono gli elementi fondamentali per la sua formazione e aggiornamento professionale? La formazione e l'aggiornamento professionale costituiscono elementi fondamentali perché permettono di mantenere le competenze necessarie per affrontare le sfide sempre nuove e complesse che caratterizzano questo contesto di lavoro. In particolare è importante che l’esperto/a in europrogettazione abbia accesso ad un aggiornamento continuo sui programmi europei, le loro modalità di finanziamento, i criteri di selezione dei progetti e le normative europee che regolano la progettazione, la gestione e la valutazione dei progetti finanziati dall'Unione europea.   La proposta formativa Erickson Esperto/a in Europrogettazione Il corso ha una durata di 18 ore e si svolge completamente online. È una proposta altamente mirata e operativa che adotta la metodologia del learning by doing, coinvolgendo i partecipanti in un project work in cui hanno l’opportunità di perfezionare le conoscenze in materia di progettazione europea a partire dall'analisi del programma di finanziamento e dei principali documenti. Attraverso la simulazione i partecipanti hanno la possibilità di sperimentarsi nella gestione delle principali fasi della progettazione con particolare riferimento alla definizione del quadro logico di intervento, della scheda progettuale e la definizione del budget di progetto. Per maggiori informazioni sulla proposta formativa Erickson scrivi a formazione@erickson.it   In che modo il titolo di Esperto/a in Europrogettazione può aiutare il/la professionista nel mondo del lavoro /o nell’ambito in cui opera? Il titolo di esperto/a in europrogettazione permette di dare credito alla conoscenza delle tecniche di progettazione e un approccio strategico ai finanziamenti dell’Unione europea tipiche di questa figura, sempre più richiesta nel mondo del lavoro. Infatti, le organizzazioni sono alla ricerca di figure di questo tipo che possono permettere di ottenere finanziamenti europei e che gestiscano con competenza ed efficienza i progetti strutturati e implementati grazie a questi finanziamenti. .cap-glossario{ top: -150px; position: relative; } .url-glossario{ z-index: 10; } .url-glossario li, .url-glossario li a {color: #b5161a; font-size: 1.2rem !important; text-decoration: none !important; font-weight: bold !important; } .url-glossario li a:hover {color:#122969; background: rgba(149,165,166,0.2); content: ''; -webkit-transition: -webkit-transform 0.3s; transition: transform 0.3s; -webkit-transform: scaleY(0.618) translateX(-100%); transform: scaleY(0.618) translateX(-100%);} .me-text ul li { font-size: 22px; line-height: 34px; } .me-text ol li { font-size: 22px; line-height: 34px; } @media (max-width: 576px){ .me-text ul li { font-size: 19px; line-height: 28px; } .me-text ol li { font-size: 19px; line-height: 28px; } }
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Metodo Montessori e anziani fragili Lavoro sociale
Il difficile intreccio tra personale sociale e personale sanitario negli apparati di welfare e la nuova sanità territoriale alla luce del PNRR: riflessioni dal convegno CARD-APSS di Trento
Si è parlato di assistenza territoriale, di stanziamenti del Pnrr, di reti di prossimità, di telemedicina e di nuova sanità, nel convegno “La nuova sanità territoriale alla luce del PNRR”, organizzato dalla Confederazione Associazioni Regionali di Distretto del Trentino Alto Adige (CARD) e dall’Azienda provinciale per i servizi sanitari (APSS) di Trento, svoltosi a Trento presso la sede delle Edizioni Centro Studi Erickson il 15 luglio 2023. Tra gli interventi dei relatori, in apertura Fabio Folgheraiter (Università Cattolica Sacro Cuore) ha proposto una riflessione sul significato profondo dell’integrazione sociosanitaria. «Se, da un lato, facciamo fatica a integrare minimamente il sociale e il sanitario entro gli apparati di welfare, dall’altro lato le persone, le famiglie, le comunità misurano tutto in termini di senso intero, di globalità percepita». «Le vite che noi serviamo professionalmente – ha continuato Folgheraiter - non ci giudicano per il nostro ordine, o per la razionalità delle nostre reticolazioni interne. Esse neppure se ne accorgono di queste nostre questioni, e a volte pure ci perdonano se esse forse si traducono in qualche involontaria inefficienza nella erogazione delle prestazioni. Le vite non ci perdonano invece, o soffrono, che le cure tecniche non rispettino il loro senso profondo. Per ‘i viventi’ il senso del loro vivere è tutto, e sempre lo vorrebbero vedere messo al primo posto». Nel video, l’intervento di Fabio Folgheraiter (Università Cattolica S. Cuore) al convegno CARD-APSS. Antonio Trimarchi, Responsabile del Centro Studi Nazionale di CARD Italia - Area delle Integrazioni, ha sottolineato a sua volta l’importanza dell’interconnessione tra sanità e sociale. «Dobbiamo capire che la sanità è un sottosistema del sociale. Non c’è salute senza salute sociale, non c’è salute senza salute mentale, non c’è salute senza salute ambientale». Nell’immagine, la rappresentazione del mondo della salute proposta da Antonio Trimarchi nel corso del convegno CARD-APSS Trento Durante il convegno si sono discusse potenzialità e criticità nell’applicazione del Decreto Ministeriale 77/2022 recante la definizione di modelli e standard per lo sviluppo dell'assistenza territoriale nel Servizio sanitario nazionale.
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Metodo Montessori e anziani fragili Anziani
Un’analisi della situazione di fragilità psicologica vissuta dagli anziani nelle RSA in seguito all’adozione delle misure anti-Covid impone una riorganizzazione urgente per ristabilire le possibilità di contatto con i propri cari
Siamo immersi nella seconda ondata lunga di Covid-19 anche in Italia, pare prossimi alla terza, ed è comprensibile che tutte le attenzioni siano puntate sul contenimento della diffusione del contagio. Ma non possiamo permetterci di trascurare anche questa volta altri aspetti importanti per la vita delle persone, in primis le relazioni. Come ricorda l’OMS, la salute è “uno stato di totale benessere fisico, mentale e sociale, non solo assenza di malattie o infermità”. La tutela della salute fisica è centrale e, in questo periodo, si esprime soprattutto nell’ambito igienico-medico. L’applicazione dei protocolli sanitari di sicurezza è fondamentale e richiede la responsabilità di tutti i cittadini, a maggior ragione di autorità ed enti. Ridurre le morti e l’aggravarsi delle condizioni dei malati di coronavirus, così come gestire al meglio l’afflusso dei pazienti negli ospedali e abbattere le possibilità di contagio nelle residenze sanitarie, sono obiettivi indispensabili per affrontare le pesanti criticità della pandemia. L’arrivo del vaccino mette sicuramente in circolo speranze nuove e contribuisce a stemperare l’allarme nelle RSA, dove si stanno vaccinando operatori ed anziani. I danni psicologici provocati agli anziani nelle RSA dall’isolamento sociale Le misure adottate per tutelare la salute fisica non possono azzerare le altre dimensioni umane e oscurare gli ambiti di fragilità diversi da quelli emergenziali. Altrimenti la prevenzione rischia di esporci ad altrettanti danni psicologici che hanno diretti effetti sulla salute corporea e sullo stesso tessuto sociale. In particolare, «la grave preoccupazione delle strutture sociosanitarie è stata di limitare il contagio ma, nell’emergenza, non si è valutato bene gli effetti collaterali di queste misure su persone vulnerabili che sulla stabile relazione con i familiari o con i volontari o con gli stessi operatori basano tutta la loro vita» come ha sottolineato Fabio Folgheraiter, professore di metodologia del lavoro sociale all'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. La sopravvivenza stessa, così come la modalità di vivere tempi difficili come questi, chiama la nostra coscienza a una cura allargata, che non separi la nostra unità intrinseca di corpo-mente-anima. Nelle RSA gli ospiti stanno vivendo un periodo particolarmente doloroso per la riduzione degli spazi di relazione con i propri cari, soprattutto del contatto diretto, visivo e fisico. Chiamate e videochiamate sono validi strumenti di continuità relazionale, ma spesso sono inadeguate per la tipologia di persone accolte, per i pazienti incoscienti o particolari ostacoli fisici o psichici. Pratiche virtuose attuale nelle RSA per permettere il contatto tra familiari Potremmo aver di fronte mesi di oscillazioni dei contagi. Dovremmo rimodulare diritti e opportunità di supporto emotivo. Per questi motivi, supportati da intenzioni condivise ed esempi già realizzati, auspichiamo che vengano predisposti e diffusi in tutte le RSA dei protocolli che tengano conto della complessità dei bisogni delle persone non autosufficienti nelle RSA: trovare e istituire luoghi e tempi definiti e protetti per il contatto con i familiari. Sono già state sperimentate e attuate delle soluzioni concrete: ambienti predisposti per l’incontro a distanza, anche con barriere protettive in vetro e alluminio oppure in plexiglass a tutta altezza, o postazioni denominate “Emozioni dell’abbraccio”. Si tratta di stanze in cui ospiti e congiunti possono parlarsi, toccarsi grazie a dei guanti e stringersi grazie all’utilizzo di materiale plastico trasparente morbido, che permette di restare separati e protetti da possibili contagi. Con questa tecnica gli anziani possono riabbracciare i propri cari e ricevere conforto in un momento così difficile. Anche solo rivedersi faccia a faccia e poter sentire le voci dal vivo provoca un calore umano difficile da creare attraverso gli strumenti tecnologici. E sappiamo che per stare bene, anche fisicamente, abbiamo bisogno di stati emotivi positivi e contatti relazionali, soprattutto se le persone non hanno risorse interne per compensarne la mancanza. Più ancora, una carezza o un abbraccio possono calmare e rigenerare le persone, come nient’altro è in grado di fare, soprattutto per persone dalle condizioni fisiche e psichiche fragili. Sono molto apprezzabili gli sforzi degli operatori di accompagnare chiamate e videochiamate o inventarsi modi per condividere con i familiari la quotidianità o le occasioni speciali vissute dagli ospiti nella struttura. Anche stimolare parenti e volontari o la comunità locale (es. le scuole) a entrare in contatto con gli anziani, tramite lettere di auguri o disegni, è un’iniziativa preziosa per mantenere i legami e il ricordo vivo della loro presenza nella società. La creatività e l’attenzione tenera sono caratteristiche che diventano ancora più importanti nelle condizioni attuali, soprattutto se messe in campo dagli operatori, che vivono anch’essi le loro fatiche personali e familiari. La necessità di riorganizzare le RSA per permettere il contatto anche fisico tra ospiti e familiari Le attività implementate spontaneamente in varie RSA non possono tuttavia sostituire i rapporti diretti tra gli ospiti e i loro cari con manifestazioni affettive anche corporee. Dovrebbero andare in parallelo per permettere alle RSA di uscire dallo stato di isolamento istituzionalizzato e dalla rassegnazione alla distanza fisica tra ospiti e parenti. Ė significativo evidenziare, come fa il presidente dell’Uneba Franco Massi, le grosse difficoltà di comprensione dei DPCM e della situazione generale da parte degli ospiti, che si sentono spesso abbandonati. Spesso non capiscono cosa sia il DPCM, faticano a rendersi conto di cosa stia succedendo davvero dentro e fuori dalle case di riposo a causa della pandemia. Solo si chiedono “Perché i miei figli non vengono a trovarmi? Perché li sento solo al telefono e non posso abbracciarli? Non mi vogliono più, non gli interessa di me?”. Alcuni vorrebbero essere portati a casa e non accettano la situazione, reggono con grande difficoltà al divieto di visita, si isolano e si deprimono, regrediscono anche cognitivamente. Basta davvero poco per poter ridar loro la speranza e il sorriso. Ora le possibilità pratiche sono note e auspicate anche dal Ministero della Salute. Occorre adoperarsi per trovare i fondi per la rimodulazione organizzativa e strutturale delle RSA, in sinergia con l'azienda sanitaria, la politica e tutte le parti coinvolte per dare sollievo ai nostri cari e alla situazione delicata in cui si trovano. Possiamo e dobbiamo farcela!
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Search-ME - Erickson 4 Lavoro e organizzazioni
Ogni giorno alle prese con questioni organizzative, metodologiche, tecniche e relazionali, coordinatori e coordinatrici svolgono una funzione cruciale per il buon funzionamento dell’Organizzazione.
Coordinare un’équipe di operatori psico-sociali significa affrontare quotidianamente molteplici sfide che si snodano tra questioni organizzative, metodologiche, tecniche e relazionali. L’intreccio di compiti e funzioni altamente differenziati determina un alto grado di complessità che richiede ai coordinatori di saper esprimere una vasta gamma di abilità diverse. A livello ufficiale, le competenze e le funzioni attese dai coordinatori che operano nei Servizi di welfare (ad esempio nei Servizi sociali, nelle RSA, nei Centri diurni o nelle Comunità educative) non sono sufficientemente definite, e spesso sono influenzate da diversi fattori, tra cui le forme di gestione, il background del professionista, i suoi principi e i valori di riferimento, il modello manageriale che incarna, anche se non è scontato che quest’ultimo sia sempre un riferimento sufficientemente chiaro. Le ricerche ci dicono che spesso, in Italia e all’estero, i coordinatori non si sentono specificatamente formati per svolgere questo ruolo. Un altro vissuto che può accomunare le loro esperienze è quello di sentirsi soli. La posizione all’interno del Servizio e l’essere parte dell’équipe con funzioni e responsabilità distinte da quelle degli altri membri può alimentare nei coordinatori la sensazione di sentirsi soli di fronte alle sfide quotidiane, di avere scarse occasioni di confronto e di supervisione, e talvolta anche poche persone a cui chiedere aiuto al bisogno. Nell’ambito dei Servizi di welfare, spesso i professionisti diventano coordinatori/coordinatrici affrontando una transizione complessa, ossia assumendo questo ruolo dopo aver ricoperto per diversi anni quello di educatore, psicologa, pedagogista o assistente sociale, nello stesso Servizio o altrove. Anche quando il passaggio da operatore a coordinatore assume le sembianze di un’evoluzione naturale della crescita professionale, il cambiamento non è semplice né automatico. Prendere consapevolezza del ruolo e delle funzioni di coordinamento e riuscire a interpretarli con un certo grado di efficienza e di comfort è un traguardo importante, frutto di un processo di conoscenza, costruzione e rivisitazione del proprio stile di coordinamento. Nei Servizi di welfare, la finalità generale dei coordinatori trova sintesi nell’idea di guidare l’équipe nel lavoro di cura con persone, gruppi e comunità in situazione di difficoltà, all’interno di articolati contesti organizzativi che anch’essi contribuiscono a creare, sullo sfondo di politiche sociali e socio-sanitarie di riferimento. In termini operativi, il coordinatore può declinare questa core mission in funzioni diverse, tra cui: facilitare il dialogo e la cooperazione tra i diversi livelli dell’Organizzazione: occupando una posizione intermedia tra il livello di policy making e quello di fieldwork practice, il coordinatore esprime funzioni di facilitazione, e talvolta di mediazione, per rispondere a una varietà di interessi in gioco; promuovere la collaborazione interprofessionale all’interno di équipe composte da professionisti con competenze, culture e mandati professionali diversi; accompagnare la riflessione sull’operatività favorendo negli operatori processi di apprendimento, di rinforzo e di riflessione critica sul proprio operato; gestire e monitorare i carichi di lavoro secondo criteri di qualità e sostenibilità; valutare e documentare il generato per supportare processi decisionali e creativi utili allo sviluppo dell’équipe e del Servizio; supportare attivamente il benessere degli operatori sociali, affinchè possano lavorare bene e sostenere serenamente nel tempo le fatiche delle professioni di aiuto. Per rispondere efficacemente a queste sfide, i coordinatori hanno bisogno di spazi di riflessione, formazione, supervisione e sostegno reciproco. Alcuni consigli di lettura Il manager di buona vita di Alberto Camuri Un testo prezioso per tutti coloro che vogliono orientare le proprie competenze manageriali verso un approccio relazionale, umano e sostenibile. L’autore, coniugando sapientemente le teorie manageriali con l’approccio relazionale, spiega come e perchè la cura delle relazioni umane sono l’ingrediente essenziale del successo delle organizzazioni. Il libro, arricchito con le testimonianze di Manager di buona vita, è consigliato a coloro che sono alla ricerca di un modello manageriale ispiratore, sfidante e non convenzionale. Il lavoro manageriale nei servizi alla persona di Francesca Biffi Cosa fa un coordinatore in una tipica settimana lavorativa? Il libro di Francesca Biffi offre una risposta reale a questa domanda. Attraverso un articolato processo di ricerca etnografica, l’autrice ha “fatto da ombra” a coordinatori e coordinatrici impegnati nei Servizi sociali pubblici e in quelli di Terzo Settore, registrando uno spaccato di vita professionale. Il testo riesce a rappresentare l’effervescenza dei Servizi di welfare, a testimoniare la complessità delle funzioni di coordinamento e a offrire chiavi di lettura sui processi decisionali e relazionali che stanno alla base delle pratiche di aiuto. E’ consigliato a coordinatori e aspiranti coordinatori che vogliono conoscere da vicino i tratti distintivi di un manager sociale.
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