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I mini gialli dei dettati 2
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Metodo Montessori e anziani fragili Didattica
Che cos’è la pragmatica della conversazione e come svilupparla affinché sia di aiuto nella relazione con gli altri
Prima di spiegare cosa si intende per “pragmatica della conversazione” è necessario fare un distinguo tra comunicazione e linguaggio. La comunicazione è processo di codifica e decodifica di segnali finalizzato allo scambio di informazioni e idee fra i partecipanti; mentre il linguaggio è riferito specificatamente all’uso articolato delle parole, cioè a un codice convenzionale e socialmente condiviso che consente di rappresentare concetti mediante l’uso di simboli governati da regole. La comunicazione, potremmo quindi dire, funge da base solida per l’utilizzo di un linguaggio fruibile in modo efficace a scopi sociali e conversazionali.  Mettendo ora insieme i pezzi, ne risulta che la pragmatica del linguaggio consiste nell’uso del linguaggio a scopo comunicativo, si costituisce come un aspetto sostanziale dell’interazione reciproca in cui si uniscono fattori sociali, emozionali, cognitivi e linguistici. La pragmatica si occupa quindi di un linguaggio declinato nel contesto e nell’ambito di appartenenza culturale degli interlocutori sulla base di strategie gestite tra i soggetti. In sintesi, come giustamente afferma Claudia Caffi: «saper usare una lingua significa saper stare al mondo». La pragmatica comprende tre aree cruciali strettamente connesse ai concetti di scambio e reciprocità: La capacità di utilizzare enunciati per esprimere intenzionalità al fine di ottenere un certo scopo. La capacità di formulare giudizi e fare supposizioni in merito ai bisogni e alle abilità dell’ascoltatore, al fine di regolare lo stile o il contenuto del discorso a seconda delle esigenze dell’ascoltatore e/o della situazione. La capacità di applicare le regole del discorso al fine di partecipare a scambi conversazionali cooperativi. Tutte queste abilità e capacità si esercitano nella pratica della conversazione. Ma cosa fa di uno scambio di enunciati una conversazione efficace? Grice (1995) individua quattro ingredienti fondamentali per la strutturazione di una conversazione: Quantità: essere informativi senza essere prolissi. Qualità: essere veritieri senza ricorrere alla menzogna per colmare vuoti di conoscenza. Pertinenza: riferire informazioni pertinenti con l’argomento e la situazione senza perdersi in divagazioni. Chiarezza: le informazioni comunicate devono essere chiare e comprensibili per l’ascoltatore. Pragmatica, però, come abbiamo detto, non è soltanto uso delle parole e della sua grammatica, è anche intersoggettività e aspetti paralinguistici, ovvero informazioni non linguistiche che accompagnano il discorso; intendiamo quindi, ad esempio, il linguaggio del corpo che permea il messaggio di informazioni riguardo all’atteggiamento e allo stato emotivo del parlante. Essere attivi o inattivi, parlare o restare silenziosi sono tutti comportamenti con il medesimo valore di messaggio. Tutto ciò, e le capacità sottostanti per realizzare tale complessità mentre si dialoga, sembra correlato alla possibilità dell’individuo di inferire gli stati mentali dell’altro, per trarre conclusioni utili allo svolgersi delle comunicazioni verbali e non. La conversazione, quindi, incarna il valore della complessità e per essere efficace richiede di allenare specifiche abilità e di porre attenzione ai processi implicati nell’uso del linguaggio.
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Search-ME - Erickson 1 Difficoltà di linguaggio
Una psicologa e una logopedista ci spiegano come avviene l’apprendimento lessicale nei primi anni di vita del bambino
L’apprendimento della parola è il prodotto della mente attiva del bambino. I bambini si sforzano di imparare le parole che esprimono quello che hanno in mente. Qualsiasi linguaggio non sarà mai acquisito senza la partecipazione attiva in un mondo di persone, oggetti ed eventi (Bloom, 1993). La frase di Bloom ci ricorda che i bambini hanno bisogno di esperienze di interazione per imparare il significato delle parole e ci stimola a cercare strumenti operativi che sostengano il cammino del bambino verso un uso funzionale del linguaggio nel mondo reale. L’attività di accoppiamento rappresenta una fase di un processo più complesso. L’abbinamento, insegnato attraverso il «nome delle figure», espone il bambino all’ascolto della parola durante il compito. Per lo stesso motivo è importante nominare l’immagine anche nelle fasi di aiuto di fronte a una risposta corretta (ad esempio «Metti la casa»). Allenare la capacità di ascolto appare fondamentale per supportare l’abilità di rispondere come ascoltatore di fronte a parole pronunciate da altri nei contesti di vita e saperle quindi riconoscere e distinguere. L’acquisizione delle parole si manifesta con una progressione regolare, generalizzabile, che passa dalla prima parola prodotta intorno al primo anno di età fino a un consistente numero di vocaboli adoperati a sei anni (Ferreri, 2005). L’insegnamento del lessico deve tenere in considerazione l’estrema variazione delle conoscenze individuali, sembra che la correlazione tra ampiezza quantitativa e profondità qualitativa sia un fattore che influenza favorevolmente l’espansione della conoscenza lessicale. Nei bambini in fase di apprendimento del linguaggio un posto di rilievo è occupato dalle cosiddette formule di routine, che rappresentano circa un quarto della estensione del vocabolario individuale medio. Con «routine» ci si riferisce a espressioni costituite da uno o più vocaboli, relative ad azioni o eventi frequenti, come ad esempio «buonanotte» o «evviva», la cui acquisizione è determinata dalla forza della funzione pragmatica e dalla reiterazione di questo tipo di scambio comunicativo. La percentuale delle espressioni routinarie prodotte decresce con l’aumentare dell’età e parallelamente all’aumentare del numero complessivo di parole. Teniamo anche in considerazione che in tutte le lingue, i bambini sembrano inizialmente imparare i sostantivi più facilmente degli altri tipi di parole. Il processo di iniziale apprendimento delle parole cambia nel corso dello sviluppo: dall’espressione delle proprie intenzioni alla comprensione di quelle degli altri da altamente referenziale a conversazionale e narrativo. Un lavoro che stimola l’apprendimento e l’uso del lessico deve favorire la memorizzazione delle parole attraverso i concetti di categoria e funzione, caratteristiche che facilitano la rappresentazione. Focalizzare l’attenzione sui rapporti di senso tra le parole e sulla loro collocazione nell’ambito della sintassi sostiene la conoscenza di regole di funzionamento e lo sviluppo di un apprendimento capace di continuare ad autogenerarsi in base alle necessità comunicative. Un programma di incremento del lessico tiene in considerazione gli aspetti pragmatici del linguaggio e di conseguenza comprende un percorso di generalizzazione. L’uso delle conoscenze apprese in contesti diversi, nel gioco simbolico, in situazioni di richiesta e di condivisione, favorisce l’espansione delle conoscenze.
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Search-ME - Erickson 2 Difficoltà di linguaggio
Una risorsa fondamentale che riflette un’immagine sicura di sé e consente di creare un legame con l’interlocutore
Per fare dell’autoironia, anche e soprattutto di fronte ad altri, è necessario disporre di un’immagine di sé in cui criticità e potenzialità coesistono e si amalgamano in un ritratto epurato da pensieri disfunzionali e percezioni negative. L’autoironia, infatti, è alla base di un processo di conoscenza e di accettazione di se stessi che conduce alla definizione di un’immagine globale di sé capace di racchiudere fragilità e punti di forza. La pratica dell’autoironia è fondamentale anche nel trattamento dei pazienti con balbuzie. Questi ultimi, infatti, tendono a percepire la balbuzie nella propria vita come un ostacolo di enormi dimensioni, che finisce per oscurarli completamente. Essi si percepiscono come «balbuzienti» piuttosto che come «persone che balbettano». Questa differenza linguistica non è poi così sottile: è tanto profonda quanto la percezione, spesso piuttosto negativa, che un ragazzo che balbetta ha di sé. «I balbuzienti» tendono a identificarsi con il loro disturbo, come se la balbuzie fosse la cifra della loro essenza. «Le persone che balbettano», invece, percepiscono la balbuzie come una caratteristica che appartiene loro, come una tra le molte tessere del variopinto mosaico che li rappresenta. La pratica dell’ironia nel trattamento della balbuzie non è stata ampiamente indagata. Tuttavia, Manning ha sottolineato la funzione dello humour all’interno della terapia per la balbuzie come catalizzatore di un processo di cambiamento nella persona che balbetta, dal momento che esso «fornisce un certo grado di oggettività che ci consente di vedere noi stessi a partire da una nuova angolazione». Condividendo questo presupposto, Agius ha ideato un programma terapeutico per la persona che balbetta, lo Smart Intervention Strategy, in cui la giocosità della risata e lo scherzo costituiscono uno strumento di terapia volto a modificare la percezione di sé e l’attitudine ad affrontare le situazioni temute nella vita reale. L’esercizio dell’ironia, promuovendo un processo di accettazione di sé e di desensibilizzazione di quanto si teme, sostiene il mantenimento di un’attitudine positiva nei confronti delle proprie abilità comunicative e di se stessi come comunicatori. I concetti di humour, di ironia e di autoironia si distinguono come raffinate espressioni dell’uso sociale del linguaggio e come elementi strategici per una comunicazione efficace. La validità di questi strumenti è universale; usarli e dosarli con abilità consente di raggiungere in ogni contesto il proprio obiettivo comunicativo. In particolar modo, l’autoironia, con il suo duplice effetto di creare un legame con l’interlocutore e di riflettere un’immagine forte e sicura di sé, rappresenta sempre l’asso nella manica di un buon comunicatore.
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Search-ME - Erickson 3 Difficoltà di linguaggio
L’analisi conversazionale all’interno del Communication and Pragmatic skill Training è un utile strumento per l’indagine delle competenze socio-comunicative e pragmatiche dell’età evolutiva
L’uso del linguaggio nel contesto consente al bambino di comprendere i significati che gli adulti o i coetanei veicolano nelle loro comunicazioni, esprimendole loro intenzioni attraverso una forma verbale e non verbale. La produzione di discorsi appropriati nel contesto consente ai bambini di esprimere le loro intenzioni comunicative in un gioco di costruzione reciproca di significati che si conclude con una comunicazione efficace tra i partecipanti a un’interazione comunicativa. Il corretto interagire sinergicamente di questi processi costituisce la competenza pragmatica del bambino che, lungi dall’essere un costrutto mono-componenziale, si costruisce attraverso lo sviluppo di componenti specifiche e in relazione al più generale sviluppo cognitivo, emotivo e sociale. Al fine di comprendere lo sviluppo di alcune di queste componenti in bambini prescolari e scolari, si è osservato, attraverso l’analisi conversazionale, cosa accade all’interno di una conversazione guidata tra un adulto e un bambino, tramite il Communication and Pragmatic skill Training. A differenza dei test attualmente disponibili, questo strumento consente di sondare le abilità socio-comunicative del soggetto in modo non strutturato, superando, in buona parte, le limitazioni che caratterizzano le tipologie di test che decontestualizzano eccessivamente tali abilità.  Infatti, l’avvio delle conversazioni avviene a partire dall’osservazione congiunta di tavole illustrate; bambino e adulto hanno poi la possibilità di introdurre un’ampissima gamma di argomenti, svincolandosi dall’immagine per aderire a un contesto che sia il più naturalistico possibile. Nell’analisi conversazionale ci si focalizza su tre diversi fenomeni comunicativi: cooperare, cambiare argomento e riparare fallimenti comunicativi.  Per «cooperazione» intendiamo la capacità dei partecipanti a una conversazione di condividere stati mentali, ovvero rappresentazioni mentali chiare delle loro intenzioni reciproche. Per «cambiamento» intendiamola possibilità di passare da un argomento a un altro all’interno dello stesso tema generale di conversazione. Indaghiamo le riparazioni, invece, facendo notare al bambino di non aver compreso quanto detto così che possa riparare il fallimento comunicativo. Le modalità di riparazione che abbiamo scelto sono l’aggiungere informazioni e il riformulare quanto detto su richiesta. Nello studio dei processi evolutivi della competenza pragmatica l’analisi conversazionale rappresenta certamente una modalità più ecologica di valutazione dell’interazione comunicativa tra un adulto e un bambino, o tra pari, soprattutto per quanto riguarda lo sviluppo dei singoli fenomeni comunicativi. Il Communication and Pragmatic skill Training è un programma di valutazione e trattamento dei deficit pragmatici ispirato alle più recenti teorie pragmatiche. Se la pragmatica è l’analisi del linguaggio «di tutti i giorni», per dirla con le parole di una mamma che riferiva delle difficoltà comunicative del figlio adolescente, il problema della pragmatica è quello di definire i meccanismi che stanno alla base della comunicazione e dei suoi disturbi che, sebbene si esprimano in bizzarrie a livello comportamentale, sono invece effetto della non integrazione dei meccanismi che permettono la comprensione delle intenzioni altrui e, dunque, la produzione di comunicazioni efficaci dato il contesto in cui queste nascono, si sviluppano e terminano. Elaborato sulla base dei principi della pragmatica e della linguistica cognitiva, il Communication and Pragmatic skill Training dispone di una serie di strumenti operativi che permettono una vasta gamma di applicazioni. Il programma nasce dalla profonda esigenza clinica di riuscire a identificare con esattezza la natura delle bizzarrie comunicative di un eloquio, di essere in grado di quantificare la presenza e l’assenza di determinati fenomeni comunicativi nella conversazione, oltre che il loro gradiente di adeguatezza/inadeguatezza, e di comprendere come strutturare in modo sistematico un progetto di intervento volto a raggiungere il miglior funzionamento adattativo possibile e capace di tenere in considerazione, singolarmente e globalmente, tutti i domini socio-comunicativi, in base alle relative priorità d’intervento.
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Search-ME - Erickson 4 Difficoltà di linguaggio
Una disamina dei principali vantaggi e punti di debolezza dell’utilizzo delle tecnologie di telecomunicazione nei servizi di riabilitazione a distanza
Un settore che ha conosciuto una grande espansione in tempi recenti è la teleriabilitazione, che possiamo definire come «la applicazione della tecnologia di telecomunicazione in supporto dei servizi di riabilitazione» (Russell, 2007). Essa si colloca tra le attività della telemedicina che possono fornire nuove modalità nell’erogazione delle prestazioni nei processi di cura e ridurre al minimo l’impatto della distanza. Si tratta di un’attività integrata, trasversale, che integra e sceglie tra le diverse risorse tecnologiche disponibili quelle più idonee a sviluppare un progetto riabilitativo mirato, con lo scopo di migliorare partecipazione, inclusione e qualità della vita del paziente. Ma quali sono i vantaggi della teleriabilitazione? E quali i suoi punti di debolezza? Qui di seguito ne proponiamo una breve disamina. I vantaggi della teleriabilitazione Dal punto di vista dei benefici, c’è da notare che, fin dagli inizi, la teleriabilitazione ha potuto offrire una ottima risposta a problemi «di accesso» e di comunicazione, consentendo di avvicinare le persone al di là della distanza. Ciò ha permesso sia all’utente di raggiungere e avere accesso a servizi di strutture specialistiche, sia al clinico di fornire un supporto migliore ai servizi e alle comunità locali. Ne sono derivati un minore isolamento delle persone in siti remoti ma anche favorevoli ricadute di educazione e formazione a distanza, sia per i clinici sia per le diverse figure intorno al paziente, dalla famiglia alla scuola. Con l’ulteriore vantaggio di poter iniziare tempestivamente gli interventi e di poterli erogare con intensità e per periodi di tempi anche prolungati. Come sottolineato soprattutto nella letteratura di oltreoceano, la teleriabilitazione consente anche l’erogazione di servizi a costo minore, specie se in modalità asincrona, alimentando in contemporanea un business in evoluzione esponenziale (Savard et al., 2003). Questi punti di forza hanno sostenuto lo sviluppo della teleriabilitazione fin dalle prime fasi, portando a rimuovere barriere nell’accesso a trattamenti riabilitativi tradizionali e consentendo un inizio tempestivo degli interventi, con obiettivi e intensità definite e possibilità di supervisione. I limiti ancora da superare Oltre a questi vantaggi, la teleriabilitazione presenta a tutt’oggi limiti e difficoltà, che non sono ancora stati superati. Tra questi, il principale è legato al fatto che una parte della popolazione non dispone di un accesso alla rete e , oppure ne ha un accesso inadeguato. Questo è un elemento ad alto impatto, che può configurare una discriminazione. Inoltre, trattandosi di riabilitazione basata su una tecnologia in continua evoluzione, per poter essere efficace richiede conoscenze tecnologiche aggiornate, in modo tale da scegliere e proporre consapevolmente tra le diverse opzioni quelle più adatte alla persona e al suo ambiente di vita (Schmeler et al., 2009). Sono necessari quindi un’idonea formazione del personale, la conoscenza e la disponibilità di strumenti e programmi aggiornati, e una organizzazione dei servizi riabilitativi che integri la modalità a distanza con quella in presenza. L’aggiornamento e l’evoluzione deve procedere costantemente sia sul versante clinico/riabilitativo sia sul versante tecnologico. Ciò richiede uno sforzo notevole sul piano organizzativo, gestionale, di aggiornamento tecnologico e di formazione del personale. Inoltre, il venir meno di un contatto di persona con il terapista, porta con sé potenziali conseguenze negative, sia dal punto di vista dell’efficacia del trattamento riabilitativo che dal punto di vista sociorelazionale. Come è ben chiaro a ogni riabilitatore, un intervento tecnicamente perfetto e proposto con i supporti più aggiornati sarà inefficace, se non controproducente, qualora non tenga conto della persona nella sua interezza, sia essa un bambino o un adulto. In particolare, la motivazione dell’utente deve essere costantemente sostenuta. Un cenno finale merita un altro aspetto strettamente connaturato alla teleriabilitazione: l’uso di tecnologie ICT e di programmi (specie se online) implica la presenza di una terza parte nel processo riabilitativo. La consapevolezza del loro ruolo e delle regole necessarie deve essere ben presente al riabilitatore, per poter utilizzare in sicurezza e a beneficio del paziente la tecnologia da loro offerta e supportata. Bibliografia Russell T.G. (2007), Physical rehabilitation using telemedicine, «Journal of Telemedicine and Telecare», vol. 13, n. 5, pp. 217-220. Savard L., Borstad A., Tkachuck J., Lauderdale D. e Conroy B. (2003), Tele-rehabilitation consultations for clients with neurologic diagnoses: cases from rural Minnesota and American Samoa, «NeuroRehabilitation», vol. 18, n. 2, pp. 93-102. Schmeler M.R., Schein R.M., McCue M. e Betz K. (2009), Telerehabilitation clinical and vocational applications for assistive technology: research, opportunities, and challenges, «Internal Journal of Telerehabilitation», vol. 1, n. 1, pp. 59-72. Questo articolo è stato elaborato a partire dal volume Teleriabilitazione nei disturbi di apprendimento a cura di Christina Bachmann, Chiara Gagliardi e Luigi Marotta.
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Search-ME - Erickson 5 Difficoltà di linguaggio
Gli ambiti in cui la teleriabilitazione si è dimostrata maggiormente efficace e le ulteriori possibilità di sviluppo offerte dal progresso tecnologico
Il grande sviluppo della teleriabilitazione è avvenuto negli ultimi anni, di pari passo all’evoluzione tecnologica, alla diffusione dei sistemi di comunicazione e al superamento, forse, di un iniziale scetticismo. Il numero dei pazienti trattati con questa modalità e oggetto di condivisione in pubblicazioni scientifiche è crescente, con un andamento esponenziale a partire dal 2007 (Peretti et al., 2017). Lo sviluppo della teleriabilitazione non è stato omogeneo tra le diverse nazioni, per motivazioni legate ad aspetti territoriali (presenza di aree rurali non facilmente accessibili che hanno spinto a cercare soluzioni adeguate), alla disponibilità di risorse tecnologiche (sia per chi fornisce il servizio sia per l’utente), di know-how (programmi e loro implementazione), di personale (formato, da formare e dedicato) e a variabili socio-economiche (possibili destinatari, costi di implementazione ed erogazione, condizioni del paese e bisogni prioritari) e culturali (alfabetizzazione, diffusione e disponibilità verso la tecnologia, ad esempio). Gli stati nordamericani hanno visto la massima diffusione della teleriabilitazione (e ne costituiscono la principale quota di mercato, tuttora in espansione), così come l’Australia (vasto territorio/ bassa densità abitativa), seguiti poi da tutti gli altri stati europei e del mondo. Le aree della riabilitazione Gli ambiti di applicazione, le condizioni cliniche e le età dei pazienti si sono rapidamente ampliati fino a coprire di fatto tutte le aree della riabilitazione. Agli interventi più strettamente neurologici, inizialmente prevalenti, si sono aggiunte la riabilitazione cardiologica, il follow-up dei pazienti con lesioni midollari, la riabilitazione del linguaggio, quella cognitiva e via via quella di altre condizioni cliniche, dall’autismo, a quadri sindromici, a condizioni psichiatriche. Le revisioni della letteratura basate sui primi lavori pubblicati (ad esempio, Kairy et al., 2009 consideravano 28 articoli) documentavano che i risultati ottenuti con la teleriabilitazione in ambiti diversi erano simili a quelli delle modalità tradizionali, con una buona adesione dei pazienti ai trattamenti. Pur confermando in linea generale l’efficacia dell’approccio «tele», la revisione e l’incremento dei dati disponibili in letteratura (le reviews recenti partono da centinaia di lavori sul tema) hanno in parte mitigato gli entusiasmi in tempi successivi — come sempre accade in ambito scientifico nel caso di proposte innovative e oggetto di grande interesse —, portando a precisazioni, specifiche e distinguo. Questo avviene anche alla luce della diversità delle soluzioni, dei contesti, degli strumenti e dei tipi di proposte (che quindi non sono facilmente replicabili e confrontabili tra loro, requisito cruciale per la validità scientifica). A oggi è dimostrata la maggiore efficacia della teleriabilitazione cardiologica (recupero della funzione cardiaca) e ortopedica (recupero dopo artroplastica del ginocchio). Per i pazienti con stroke ne è dimostrata l’efficacia sia in fase di ospedalizzazione (counselling, educazione sanitaria e sostegno per ansia e depressione) sia postdimissione, per la possibilità di far effettuare e monitorare esercizi e attività fisica, sostenere stili di vita più sani e un migliore adattamento socio-emozionale (trattamento di ansia e depressione). Una efficacia simile è riportata, in diversi quadri clinici (morbo di Parkinson, Alzheimer, quadri ortopedici…), sia per il miglioramento dell’aderenza alle cure, sia per il miglioramento di funzioni (fisiche, cognitive e di mobilità), sia per la soddisfazione del paziente e il miglioramento della qualità della vita. La teleriabilitazione logopedica Per quanto attiene alle patologie legate al linguaggio e all’uso di teleriabilitazione logopedica, sia per il linguaggio sia per l’eloquio (si veda la review di Molini-Avejonas et al., 2015) è riportata un’efficacia simile o superiore a quanto ottenuto con modalità tradizionali. Nei traumi cranici sono descritti miglioramenti nel funzionamento complessivo ed emozionale (Ownsworth et al., 2018). Un generale consensus, inoltre, si riscontra anche per la tecnologia legata ai giochi, il cui uso si è dimostrato efficace nel sostenere la motivazione dei pazienti in corso di trattamento, nonostante la presenza di alcune criticità. L’uso di piattaforme, programmi e app di tipo commerciale, ben accetta e ricercata dai pazienti, ma non sempre evidence-based, comporta una gamma sempre più ampia di offerte la cui efficacia deve essere dimostrata prima di poter essere proposta in contesto riabilitativo (e pubblicata); per questo una progettazione mirata e frutto di cooperazione trasversale fra clinici, ingegneri e informatici è in crescita, in clinica e nella letteratura recente. La rapidità di sviluppo della tecnologia, inoltre, richiede un continuo aggiornamento (tecnologico e del personale), e comporta quindi un riaggiustamento costante del punto di equilibrio tra lo strumento migliore per il quadro e i bisogni del paziente (più adatto, ma anche di provata efficacia), i costi (sempre minori per prodotti commerciali) e la preparazione del terapista (e della sua istituzione di riferimento). Bibliografia Peretti A., Amenta F., Tayebati S.K., Nittari G. e Mahdi S.S. (2017), Telerehabilitation: review of the state-of-the-art and areas of application, «JMIR Rehabilitation and Assistive Technologies», vol. 4, n. 2, e7. Kairy D., Lehoux P., Vincent C. e Visintin M. (2009), A systematic review of clinical outcomes, clinical process, healthcare utilization and costs associated with telerehabilitation, «Disability and Rehabilitation», vol. 31, n. 6, pp. 427-447. Molini-Avejonas D.R., Rondon-Melo S., Amato C.A. e Samelli A.G. (2015), A systematic review of the use of telehealth in speech, language and hearing sciences, «Journal of Telemedicine and Telecare», vol. 21, n. 7, pp. 367-376. Ownsworth T., Arnautovska U., Beadle E., Shum D.H.K. e Moyle W. (2018), Efficacy of telerehabilitation for adults with traumatic brain injury: A systematic review, «Journal of Head Trauma Rehabilitation», vol. 33, n. 4, pp. E33-E46.
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