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10 scelte da compiere per trasformare la scuola

La scuola che costruiremo dopo l’emergenza coronavirus

Il durissimo periodo di chiusura forzata di tutte le agenzie educative e delle Istituzioni scolastiche a causa dell’emergenza sanitaria da Sars-Covid19 ha messo in luce, ancora più evidentemente di prima, molti limiti della Scuola pubblica. Problemi endemici che la Scuola trascina da anni e che non riesce spesso né ad affrontare, né tanto meno a risolvere.

Ognuno in questi mesi ha dovuto interrogarsi sul suo rapporto con la Scuola, che si fosse docente, dirigente o semplicemente familiare di un alunno.

Tutti quanti noi ci siamo trovati di fronte all’evidenza che il ruolo della scuola ha nello sviluppo educativo, culturale e sociale per le nuove generazioni; un’evidenza troppo spesso data per scontata, ma che in realtà anche in questa situazione ha mostrato grandi differenze sul territorio nazionale.

Da questo ripensamento del proprio rapporto con la scuola nasce l’esigenza per il personale che a scuola opera, e spesso di scuola vive, di pianificare il proprio punto di “ripartenza” per il prossimo anno scolastico. Da insegnanti, dirigenti, assistenti educatori o personale ATA, il ripensamento della scuola che vorremo costruire ci costringerà a prendere decisioni rispetto a molte polarità.

Tra queste ho provato ad elencarne alcune che ritengo più urgenti e importanti delle altre. Ovviamente non si tratta di scegliere sempre in maniera radicale bianco o nero, tutto o niente. Ogni capo delle polarità è collegato da un filo ideale all’altro estremo; dove collocarci, quanto vicini a ciascuna polarità è frutto della nostra scelta e della mediazione con il contesto scolastico in cui lavoriamo o del contesto sociale in cui viviamo.

10 polarità da tenere in considerazione

  1. Complessità – Semplicità
  2. Equità – Disuguaglianza
  3. Comunità – Istituzionalizzazione
  4. Sicurezza – Rischio
  5. Dentro – Fuori
  6. Tanti – Pochi
  7. Digitale – Tradizionale
  8. Individuale – Collaborativa
  9. Disciplinare – Globale
  10. Relazioni – Controllo

Complessità – Semplicità

La crisi ci ha messo irrimediabilmente di fronte alla complessità dei fenomeni del mondo. Il 20 aprile 2020 Edgar Morin rilasciava un’intervista a Le Monde in cui metteva in risalto la complessità, i legami economici, sociali, culturali che legano l’intero mondo nella crisi sanitaria che stiamo vivendo.

In quella stessa idea c’è un rimando ad una scuola che deve educare alla complessità, all’interazione tra cause e effetti e tra le discipline.

La scelta è tra l’affrontare direttamente la complessità del quotidiano che stiamo vivendo, facendone oggetto di scuola e di studio, di approfondimento, oppure fare una scelta di semplicità, di ripresa da dove si era interrotto, senza che questo fenomeno vada a toccare le strutture formative della scuola.

Equità o disuguaglianza

Nel momento in cui pensiamo a come ripartire a settembre (o in una visione più ampia a come trasformare la scuola) la scelta tra equità e disuguaglianza è una scelta fondamentale. Certo su carta nessuno sceglierebbe mai la disuguaglianza, ma la crisi ha mostrato a tutti come in realtà la scuola italiana sia ancora poco equa, come anche le migliori misure prese nello stato di necessità abbiano provocato e in alcuni casi allargato disuguaglianze educative già presenti.

Quanto mettiamo al centro della nostra azione trasformativa la riduzione delle disuguaglianze nel nostro Istituto?

Come le monitoriamo, quali strumenti e facilitatori pensiamo per affrontarle e, speriamo, diminuirle?

Comunità – Istituzionalizzazione

Una scuola di comunità o una scuola istituzionale? Anche questa è una scelta complessa. Aprirsi alla comunità, al territorio, alle collaborazioni con Associazioni, agenzie educative, Cooperative, aziende del territorio richiede una volontà educativa e una capacità di gestione amministrativa e burocratica non indifferente.

Capire dove porsi su questa linea per attivare le risorse è un compito gravoso, non semplice per un’istituzione come la scuola alla quale per molto tempo è stato chiesto di essere quasi autosufficiente, specie nei Licei e in molte scuole secondarie.

Sicurezza – Rischio

Questa è forse la domanda delle domande in questo periodo. Il rischio zero è impossibile da ottenere in una scuola, tantomeno nella fascia 0-8 anni dove la distanza fisica e le prassi didattiche ed educative richiedono necessariamente il contatto e rendono impossibile il mantenimento della distanza.

Scegliere il limite tra sicurezza e rischio in questo caso determina anche il tipo di didattica che vorremo proporre in classe

Lo vediamo bene dalle simulazioni e delle idee che emergono in queste settimane. Classi trasformate in call center, separazioni individuali, impostazioni di aula strettamente trasmissive. La scelta tra questa impostazione e una più modulare dipende proprio dal grado di rischio che si ammette per la scuola. Non è una scelta che dipende dal singolo insegnante, ovviamente, ma è la scelta che i diversi gruppi di lavoro nazionali e locali hanno di fronte per dare le linee guida sulla riapertura.

Dentro – fuori

Come ripensare gli spazi dentro la scuola, come utilizzare veramente in termini didattici, di apertura della didattica a nuove metodologie gli spazi della scuola nel rispetto delle normative vigenti? Come utilizzare al meglio il contesto extrascolastico, non solo gli spazi spesso limitati dei cortili scolastici, ma il territorio naturale e antropizzato che circonda la scuola? A livello internazionale e anche nazionale sono da anni attivi circuiti di scuola che si sono aperte al ripensamento degli spazi educativi, rispetto sempre ad un ripensamento generale dell’approccio educativo e didattico da proporre agli alunni.

La sola risposta all’urgenza sanitaria non è sufficiente al ripensamento degli spazi didattici; per trasformare realmente la scuola deve esistere un pensiero, una visione più profonda di revisione del rapporto con l’ambiente naturale o con il contesto urbano e antropizzato esterno alla scuola visto come fonte di crescita di competenza e come ambiente naturale di sviluppo per l’alunno.

Tanti – pochi

Può essere questa finalmente l’occasione per affrontare uno dei principali problemi della scuola italiana e cioè il sovraffollamento delle classi in ogni ordine e grado? Possiamo realisticamente dire che il problema delle cosiddette classi pollaio non ha nulla a che vedere con il coronavirus, ma è un problema strutturale della scuola italiana dovuto a sciagurate e continue diminuzioni dei finanziamenti e dei budget per l’Istruzione Pubblica?

Vogliamo approfittare della necessità di essere in meno in una classe per trasformare realmente la scuola in un luogo in cui ci siano spazi più appropriati di relazione, scambio di pensiero, movimento che non costringano fin dai tre anni alla condivisione continua e stabile di 25 e più alunni?

Se non si affronta questo problema probabilmente gran parte delle trasformazioni non saranno possibili. In una ristrettezza di spazio e sovraffollamento di persone, il modello didattico vincente è probabilmente la didattica frontale trasmissiva o, la sua evoluzione, la lezione in streaming.

Digitale – tradizionale

La recente esperienza ha messo tutti quanti di fronte all’utilizzo di risorse e strumenti digitali per fare scuola. Tanto rapidamente questo è stato introdotto, tanto rapidamente una levata di scudi si è alzata per difendere la scuola tradizionale dalle nuove “barbarie del digitale”.

È evidente che la scuola non può essere digitale (chi ha mai proposto questo?), ma della recente esperienza siamo così sicuri di dover buttare via tutto il carico di esperienza e lavoro sviluppato con e grazie al digitale? Capire che parte di digitale ci può essere utile in una scuola anche in presenza è fondamentale.

Cercare di approfondire il contesto culturale di un panorama sociale e culturale che si sviluppa in maniera imprescindibile nel digitale è una riflessione profonda a cui non possiamo sottrarci in quanto educatori di nuove generazioni. Che cosa significa oggi digitale, quale digitale è utile per la mia idea di scuola, quali difficoltà strutturali posso superare grazie al digitale nella prima ripartenza, penso siano interrogativi doverosi nel ripensamento dei prossimi mesi.

Individuale – Collaborativa

La trasformazione della didattica (e della Scuola stessa) passa necessariamente dal collocamento su questa linea. Ovviamente nessuno dei due poli è da demonizzare, ci sono vantaggi e svantaggi in ambedue.

Tuttavia se ci immaginiamo una scuola maggiormente individuale (non necessariamente individualista) prediligeremo maggiormente spazi e tempi di lavoro separati, materiale strutturato, un approccio allo studio fortemente centrato sugli apprendimenti disciplinari e un uso del digitale fortemente indirizzato verso l’approfondimento e l’uso di strumento di produzione multimediale che rispondano al meglio al nostro stile di apprendimento. Al contrario una scuola maggiormente collaborativa sarà più orientata allo sviluppo di una didattica per competenze, all’uso di spazi di confronto e dialogo sia fisici sia digitali e all’apertura a molte forme di collaborazione tra scuole e extrascuola.

Disciplinare - Globale

Questa è un’altra domanda ineludibile per il futuro della scuola. L’impianto della scuola italiana è ancora fortemente disciplinare. Nonostante le Indicazioni Nazionali cerchino timidamente di superare il frazionamento disciplinare della scuola italiana, l’approccio è ancora strettamente centrato sull’approfondimento autonomo di ogni singola disciplina. Questo problema esplode drammaticamente nella scuola secondaria.

La riflessione su questo tema diventa ancora più urgente nel momento in cui c’è un ripensamento di orario scolastico con la riduzione, proposta, a quaranta minuti di lezione. Sembra sempre più urgente un approccio interdisciplinare a tematiche chiave.

Da un certo punto di vista la necessità di sviluppare competenze globali di consapevolezza, di decentramento culturale, di superamento dei rigidi confini delle discipline scolastiche possono essere un orizzonte a cui aspirare nel ripensamento delle pratiche didattiche, nel momento in cui necessariamente dobbiamo ripensare il curricolo e il nostro modo di fare scuola.

Relazioni – Controllo

Negli ultimi mesi abbiamo assistito ad estremi paradossali di controllo scolastico, di una didattica impostata esclusivamente sul controllo e su dinamiche di insegnamento-apprendimento in cui la fiducia reciproca è del tutto assente (gli occhi chiusi durante le videoconferenze online, le mani in vista nella webcam, ecc.). anche qui la polarità è evidente: che ruolo dare alle relazioni umane, allo sviluppo delle competenze emotive e relazionali che sono centrali e imprescindibili nell’apprendimento? Non sono un tema, come troppo spesso viene classificato, da bambini piccoli.

Lo sviluppo della competenza emotiva, così come quello di ogni singola competenza, avviene lungo tutto l’arco della vita, tantopiù nella fase di crescita dell’infanzia e dell’adolescenza.

Una scuola basata sul controllo che messaggio e che competenza sviluppa negli alunni? Quale è la strada giusta? Trasformare le emozioni nell’ennesima disciplina da inserire nel curricolo? Mettere al centro stili relazionali e atteggiamenti educativi nelle prassi didattiche? Dedicare specifici progetti alla crescita delle competenze emotive e relazionali e all’autonomia e autodeterminazione e presa di responsabilità da parte degli alunni fin dalla prima infanzia? O al contrario aumentare il controllo e la disciplina e l’eterodirezione?

Insieme per il futuro della scuola

Quando si discute di futuro della scuola, di trasformazione della scuola, penso che questi siano quesiti a cui dare risposta. È utile riflettere su ciò che mettiamo realmente in gioco quando pensiamo al futuro dell’Istruzione pubblica e inclusiva. Siamo in una condizione in cui necessariamente dobbiamo mettere in discussione il nostro modo di fare scuola, cerchiamo di non sprecare l’occasione banalizzando il dibattito solamente in una questione di centimetri tra i banchi.

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