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L’approccio centrato sulla persona rivoluziona la cura della demenza 1

L’approccio centrato sulla persona rivoluziona la cura della demenza

Un dialogo con il professor Rabih Chattat su come favorire il benessere di pazienti e caregiver

In occasione della Giornata Mondiale dell'Alzheimer, abbiamo avuto l'onore di intervistare Rabih Chattat, professore ordinario di psicologia clinica e docente di psicologia dell'invecchiamento e di metodi di intervento nel disagio dell'anziano presso l’Università degli studi di Bologna, uno dei massimi esperti nel campo delle demenze. È anche direttore scientifico e docente del master “Alzheimer, demenze e approccio centrato sulla persona”, organizzato da Erickson, in partenza il 26 ottobre prossimo.

Il professor Chattat è un convinto sostenitore dell'approccio centrato sulla persona nella cura delle demenze, un approccio che mette al centro la persona, anziché la malattia stessa.
In questa intervista, Rabih Chattat condivide la sua profonda conoscenza ed esperienza nel campo delle demenze, offrendo preziose riflessioni sull'importanza di comprendere le esigenze e i segnali delle persone con demenza e sottolineando il ruolo cruciale dell'educazione e del sostegno ai caregiver per migliorare la qualità di vita delle persone affette da questa malattia.

All’interno della sua attività di ricerca e di studio sul tema delle demenze, lei promuove un approccio centrato sulla persona. Può spiegarci sinteticamente in cosa consiste questo approccio e le ragioni per cui lo ritiene efficace e utile?

Nella demenza e in generale nelle malattie croniche e cronico-progressive, si tende a mettere al centro dell’attenzione la malattia, i suoi sintomi, i deficit e limitazioni ad essa correlati. Ciò comporta una modalità di lettura secondo la quale tutte le manifestazioni che si incontrano sono espressione della malattia e quindi sono sintomi da trattare o da gestire. In questa prospettiva viene di fatto annullato l’aspetto soggettivo e individuale e cioè l’esperienza che la persona stessa fa della sua condizione. A questa esperienza contribuiscono le limitazioni indotte dalla malattia, la storia della persona, la sua personalità, le modalità di adattamento oppure di gestione delle difficoltà che deve affrontare nella vita quotidiana, il contesto sia in termini di relazioni interpersonali sia sociali, compresi gli aspetti di stigma e di esclusione.

L’approccio centrato sulla persona cerca di comprendere l’esperienza che la persona fa della sua condizione e di proporre degli strumenti che possono aiutare a comprendere i bisogni delle persone con demenza, a riconoscere le loro difficoltà, a sviluppare interventi mirati alla valorizzazione delle capacità e a ridurre l’impatto degli elementi relazionali e contestuali che spesso esacerbano il malessere delle persone con demenza. In questa prospettiva è la persona la protagonista e non la malattia.

Per realizzare ciò occorre fare conoscere a tutti coloro che si occupano di persona con demenza la prospettiva della cura centrata sulla persona, sempre più accolta come concetto sia in ambito di lavoro di cura sia in ambito di ricerca e formazione. Mettere la persona al centro non significa solo prendersene cura ma ha l’obiettivo di supportare la persona a vivere bene la propria condizione.
La ricerca degli ultimi anni ha dimostrato che nella demenza, ma anche in altre condizioni di malattia, l’approccio centrato sulla persona migliora la qualità di vita delle persone con demenza, riduce la sofferenza e il distress determinato dalla condizione, riduce i problemi di comportamento, aiuta gli operatori a sentirsi competenti e capaci e miglioro anche la qualità di vita e il benessere dei familiari.
Tutto quanto descritto si riflette nel cambiamento del linguaggio che si è via via affermato nel rivolgersi alle persone. Attualmente utilizzare il termine demente è considerato dispregiativo in quanto mette al centro la malattia e le incapacità e tutti gli enti e gli organismi europei ed internazionali utilizzano la dicitura di persona che vive con la demenza proprio per sottolineare che la malattia non è il tutto ma rappresenta una parte della complessiva esperienza insieme a tutti quegli aspetti che formano un’unicità che è la persona.

Spesso le persone con demenza vengono identificate come destinatarie di interventi, soggetti su cui fare diagnosi e per cui immaginare un trattamento sanitario. All’interno del suo pensiero, ci sembra che emerga anche la necessità di leggere adeguatamente il comportamento della persona con demenza e comprenderne le ragioni. Può aiutarci a comprendere meglio su quale ragionamento si basa questa attenzione?

La demenza ha come caratteristica principale una perdita progressiva di abilità cognitiva. Questa perdita ha delle conseguenze sulla vita quotidiana e sulla capacità della persona interessata di comprendere e di interagire con il mondo circostante, di comunicare con gli altri e di comprendere le richieste. Queste difficoltà rappresentano una grande fonte di stress per la persona. Fare i conti con le perdite cognitive, interagire con i curanti formali e informali, la percezione di sé e della propria condizione, le relazioni con gli altri e la navigazione dell’ambiente circostante diventano tutti aspetti sfidanti per la persona con demenza. In una certa fase della malattia soddisfare alcuni bisogni anche semplici può diventare impossibile o molto difficile.
A tutte queste situazioni la persona cerca di fare fronte facendo dei tentativi che possono risultare insoddisfacenti o addirittura molto frustranti. Di fronte alla frustrazione, ai fallimenti e all’inefficacia dei tentativi messi in atto per soddisfare i bisogni o fare fronte alle difficoltà la persona mette in atto dei comportamenti e vive degli stati d’animo che sono una manifestazione del processo descritto prima.

Il comportamento rappresenta una espressione, una comunicazione della difficoltà. Può essere letto come una risposta ad una sollecitazione eccessiva in rapporto alla situazione di quella specifica persona, un tentativo di fare fronte alla situazione, l’espressione di un vissuto di paura o di rabbia ed altro ancora.

In base a ciò occorre considerare il comportamento nella sua caratteristica “significante” e cioè una comunicazione di una condizione non descrivibile con il linguaggio verbale e le cui determinanti sono diversi rispetto a quanto può essere supposto abitualmente.
L’obiettivo diventa quindi la ricerca di comprensione del comportamento attraverso la conoscenza della persona, della sua storia e delle modalità di presentazione del problema.
Per dare un esempio si può pensare al sentimento di noia e inutilità che può sperimentare una persona con demenza come conseguenza delle difficoltà di pianificazione, di organizzazione e di esecuzione di attività. La persona potrebbe mettere in atto dei comportamenti che possono essere disturbanti per gli altri (ma non sono disturbi) ma rappresentano un tentativo di usare il tempo oppure di rendersi utile (ma per gli altri non è utile). La comprensione del significato di ciò può suggerire di coinvolgere la persona in attività che possono avere un senso per lui in base alla sua storia e alla sua esperienza passata.
A conferma di tutto ciò la raccomandazione attuale per la gestione dei “disturbi psicologici e comportamentali” è quella di utilizzare come prima linea di approccio tecniche o interventi non farmacologici e solo nei casi difficili un supporto farmacologico.

Come è possibile comprendere bisogni e segnali quando il linguaggio di una persona con demenza è compromesso?

La comunicazione umana è fatta di una componente verbale e di una componente non verbale che è anche la parte preponderante della comunicazione.

Le persone con demenza perdono progressivamente le abilità verbali ma preservano quelle non verbali anche nelle fasi severe della malattia. Ciò implica la necessità di acquisire la competenza nel linguaggio non verbale.

Il comportamento motorio e verbale sono parte integrante della comunicazione non verbale cosi come l’espressione facciale e la posizione del corpo.
L’osservazione e la conoscenza della persona diventano quindi gli strumenti principali per la comprensione della persona con demenza. Occorre anche uno spostamento di paradigma e cioè un a priori che riconosce il valore comunicativo ed espressivo del comportamento e delle altre manifestazioni descritti prima.
Per comprendere un bisogno occorre considerare il fattore tempo (in quale momento della giornata), la sequenzialità degli avvenimenti, l’organizzazione della giornata, il tipo di attività nelle quali la persona è coinvolta. Inoltre occorre considerare che oltre ai bisogni di base (fisiologici) vi sono bisogni altrettanto importanti che sono stati descritti da Kitwood come ad esempio il bisogno di essere utile, di relazione, di partecipazione, di affetto ed altri ancora.
Attraverso una migliore conoscenza e una attenta osservazione è possibile comprendere i bisogni anche in assenza del linguaggio verbale.

Perché educare e sostenere i caregivers di una persona con demenza rappresenta un'azione fondamentale per migliorare la qualità di vita della persona?

Il familiare che si prende cura deve affrontare anche lui delle difficoltà significative e principalmente sotto due aspetti. Da una parte conoscere, comprendere e gestire i cambiamenti della persona con demenza correlati con la perdita di abilità. Questa difficoltà è espressa dal bisogno di comprendere il senso dei comportamenti nuovi che si manifestano e che non erano presenti prima. Perché ripete la stessa domanda, perché non fa più alcune attività e tante altre domande rappresentano il bisogno del familiare di acquisire nuove conoscenze.
Oltre a comprendere il familiare necessita anche di acquisire competenze nel sapere cosa fare per affrontare le nuove situazioni che si pongono.
Educare il familiare significa supportarlo nell’acquisizione di competenze adeguate per svolgere al meglio il suo ruolo di cura.
Dall’altra parte il familiare deve fare i conti con la sua sofferenza legata alla perdita dell’altro in particolare alla perdita psicologica in quanto la persona con demenza non è più la persona conosciuta in precedenza. Questa perdita è ambigua, è lui e non è più lui e adattarsi a questo cambiamento di una persona con la quale si hanno legami affettivi e una storia di convivenza non è facile.
Oltre a ciò il lavoro di cura comporta meno tempo per sé, per la propria vita, la necessità di rinunciare a molte attività. Frequentare amici diventa difficile, la vacanza è spesso impossibile, le attività sia quotidiane che lavorative sono impattate, il tempo di cura domina e riduce il tempo degli altri impegni.
La mancanza di conoscenza, di competenza e di cura di sé rende il lavoro di cura una fonte di sofferenza e disagio e influenza la relazione tra la persona con demenza e il familiare.
Vi sono ricerche recenti che sottolineano che la qualità delle relazioni tra caregiver e care-recipient hanno un impatto sul benessere della persona con demenza e sulla sua qualità di vita. 

Diventa quindi fondamentale la cura di sé di familiare e l’importanza di ricevere un supporto psicologico adeguato finalizzato a metterlo nelle condizioni migliori per svolgere il lavoro di cura. Di fatto la persona con demenza e il caregiver possono essere considerati una diade che si influenza reciprocamente, lo stato dell’uno è percepito dall’altro e ha delle conseguenze sul benessere e sulla qualità di vita.

Tutti questi aspetti rendono importante un lavoro sulla diade. La presa in carico dovrebbe essere di entrambi gli attori della scena.

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