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I mini gialli dei dettati 2
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Educare con filosofia nella natura

La filosofia e l’educazione outdoor trasformano il paesaggio in uno spazio di scoperta nel quale leggere sé stessi e il mondo.

Progettare attività educative all’aperto richiede di immaginare situazioni capaci di favorire relazioni riflessive con l’ambiente circostante, con se stessi e con gli altri, più articolate e più complesse di quelle di cui bambini e bambine sarebbero capaci spontaneamente. Tali relazioni devono essere dapprima stimolate e poi accompagnate da domande, conversazioni ed esperimenti di varia natura, ricordando un principio formulato da John Dewey nel saggio Come pensiamo:«L’origine del pensiero sta sempre in una qualche perplessità, confusione o dubbio».

La conversazione filosofica e l’educazione outdoor possano alimentarsi a vicenda, trasformando il paesaggio attorno alla scuola — dall’eventuale giardino al quartiere fino al paese o alla città di riferimento — in uno straordinario spazio di scoperta, nel quale esercitarsi a leggere se stessi e il mondo.

Perché e in che senso c’entra la filosofia? 

La filosofia c’entra perché essa dà voce e impulso alla relazione riflessiva degli esseri umani con la natura e con se stessi e perché, intrecciandosi fin dalle origini con altri campi del sapere e della creatività umana (dalla letteratura alla scienza, dalla storia all’arte), alimentata dall’emozione della «meraviglia», può ispirare domande, dubbi ed ipotesi che attraversano i tradizionali confini disciplinari.

Per cominciare potremmo prendere in considerazione un filosofo presocratico, Eraclito, proverbialmente«oscuro» per il suo modo di esprimersi. A lui si attribuisce il seguente frammento:«La natura ama nascondersi». Esprimendo in modo tanto sintetico un’intuizione suggestiva, il frammento può suscitare perplessità e una serie di interrogativi: cosa intendeva dire Eraclito? In che senso la natura ama «nascondersi»? Sarà vero?

Non è forse vero, invece, che la natura ama mostrarsi? Non si mostra forse, tutt’attorno a noi, con un’infinita varietà di forme e di colori, di trasformazioni e di fenomeni complessi che coinvolgono tanto gli organismi viventi quanto la materia non vivente? Cosa e quanto c’è allora, di nascosto, oltre a ciò che percepiamo?

La natura, per esempio, ci nasconde le geometrie e la matematica, che secondo Galileo ne costituiscono la lingua e, per così dire, la grammatica. La natura ci nasconde, come aveva intuito Albert Einstein attorno ai cinque anni, le forze che muovono l’ago della bussola, senza toccarlo. Einstein se ne accorse provando meraviglia, la meraviglia che in seguito avrebbe nuovamente provato come scienziato: «questa “meraviglia” — scriveva — si manifesta quando un’esperienza entra in conflitto con un mondo di concetti già sufficientemente stabile in noi.

Grazie alla filosofia è possibile allenarsi a osservare ciò che è nascosto andando oltre ciò che è manifesto, accettando — per così dire — la sfida di una natura che gioca a nascondino con noi. 

Accettando questa sfida gli spazi aperti si trasformeranno in spazi di scoperta preziosi per allenare la percezione, il linguaggio e la capacità di ragionare insieme agli altri, con tutte le competenze di cittadinanza che entrano in gioco quando si affrontano in gruppo enigmi e problemi che portano al confine tra cose già osservate, già dette e già pensate e cose che non erano mai state osservate, né dette, né pensate prima.

Come responsabile del processo di apprendimento, il compito dell’insegnante che introduce all’avventura e all’esplorazione filosofica non sarà quello di suggerire risposte o di rinviare a contenuti già dati, né quello di fare la (propria) morale, bensì quello di accompagnare i gruppi a sporgersi oltre quel che già sanno o pensano di sapere, con il linguaggio di cui dispongono, per mettere in relazione intuizioni, ipotesi e pensieri, con la pazienza di cogliere sintonie e contraddizioni tra le diverse voci e con il gusto di ascoltare idee differenti dalla propria.

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