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I mini gialli dei dettati 2
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Search-ME - Erickson 1 Didattica
I principi alla base del baskin che lo rendono uno sport aperto e fruibile da tutti
Il nome baskin nasce in origine dall’unione di due termini: «basket» e «integrazione». Il basket è la disciplina ispiratrice e da essa si estrapolano le principali regole e i fondamentali del baskin, nel quale i giocatori con disabilità sono messi nelle condizioni di poter esprimere le proprie potenzialità senza favoritismi e concessioni che non siano previste dal regolamento. Possono, quindi, partecipare persone con e senza disabilità, età e sesso differente. Il baskin è un gioco di squadra basato sulla collaborazione, senza tempi morti, durante il quale ciascun giocatore può realizzare un canestro. Il baskin coinvolge due universi: lo sport, rappresentato dal basket; l’inclusione, volta a perseguire l’inserimento sociale di persone con e senza disabilità in un contesto in cui ognuno, mediante la propria personale crescita, possa contribuire a quella collettiva. Il baskin è uno sport inclusivo perché è concepito idealmente aperto e fruibile da chiunque. Al gioco possono partecipare persone con differenti caratteristiche e abilità, che hanno l’obiettivo comune di svolgere attività motoria nel rispetto individuale, non escludendo l’agonismo, la sana competizione e l’aspirazione alla vittoria. L’attività sportiva comporta, infatti, spirito competitivo, spirito di sacrificio, desiderio di migliorarsi, affermazione individuale e di gruppo, sicurezza psicologica, successo e insuccesso. L’educazione riesce a utilizzare il momento sportivo a fini inclusivi senza perdere di vista le caratteristiche dello sport. Partendo dall’individuo, nel rispetto delle sue caratteristiche, delle sue capacità e dei suoi limiti, lo sport diventa veicolo di valorizzazione e di cultura. Il baskin nasce con l’intento di permettere a un maggiore numero di persone di partecipare al gioco tramite tre principi fondamentali. Il primo principio è l’adattamento delle regole e delle strutture di gioco ai giocatori, affinché ognuno di essi possa esprimersi Nel campo di baskin, i canestri non sono due come nel basket, ma sei con due punti d’attacco e due di difesa. Questa caratteristica porta dinamismo e imprevedibilità: né gli spettatori né i giocatori possono sapere quale canestro sarà utilizzato. Le due zone situate lateralmente a centro campo sono riservate ai giocatori con difficoltà motorie tali da non permettere la corsa, che altrimenti sarebbero esclusi dal gioco. La loro posizione laterale e centrale permette che vengano coinvolti nel gioco con prontezza e tempestività. Queste aree sono riservate ai giocatori nei ruoli 1 e 2, chiamati pivot. Il secondo principio è la differenziazione delle regole in base ai ruoli Un esempio è che i giocatori nel ruolo 5, con le maggiori abilità di gioco, possono effettuare al massimo tre tiri a canestro per tempo. Tale limitazione obbliga il giocatore a riflettere sulle possibili azioni da compiere per sé e per i compagni, sviluppando la capacità di prendere delle decisioni ponderate. Un altro esempio è che solo i giocatori nei ruoli 1, 2 e 3 possono tirare nei canestri laterali a metà campo, tiro che deve comunque avvenire in modo tempestivo senza rallentare il ritmo del gioco. L’ingresso nelle zone protette, ossia le aree dei canestri laterali, dove stazionano i pivot, è consentito esclusivamente per portare la palla ai compagni. Il tiro deve avvenire entro un tempo massimo di 10 secondi senza difesa. Il terzo principio è la libertà di giocare mettendo in campo le proprie abilità e competenze, senza pietismi e regali Il baskin è uno sport vero, in cui tutti hanno il diritto di essere protagonisti, ma devono impegnarsi per esserlo. La potenzialità inclusiva del baskin si percepisce dal fatto che ogni ruolo è esaltato dalla presenza dell’altro. Una squadra è costituita da giocatori molto diversi tra loro, che insieme valorizzano le diverse abilità. Le regole strutturano il gioco di squadra e permettono il pieno rispetto della dignità, rendendo ogni giocatore indispensabile se motivato e allenato.
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Metodo Montessori e anziani fragili Didattica
Fattori pratici come l’ambiente in cui si scrive, gli strumenti utilizzati e la postura possono favorire oppure rendere più difficile l’atto della scrittura.
Una tendenza generale che si è osservata nella scuola primaria italiana, a partire dall’introduzione dei nuovi programmi del 1985, è un graduale disinvestimento sugli aspetti formali e strumentali della scrittura, a favore dei suoi aspetti linguistici e di contenuto. L’atto motorio della scrittura ha cessato in molti contesti di essere un esplicito oggetto di insegnamento, trascurando le regole calligrafiche. La conseguenza è che il gesto grafico, appreso spontaneamente, diventa spesso faticoso e fissa degli automatismi errati che richiedono, per essere superati, una ri-educazione, cioè una sorta di decondizionamento. Sul fronte opposto, i dati mostrano che, escludendo i casi patologici, quasi tutti i bambini in fase iniziale di apprendimento scolastico possono imparare a scrivere senza particolari difficoltà esecutive, a fronte di un idoneo insegnamento. Fattori pratici come l’ambiente in cui si esegue il compito, gli strumenti utilizzati e la postura possono favorire oppure portare a un affaticamento e a una distorsione della grafia.  Qual è l’ambiente ideale per scrivere? Specialisti della visione evidenziano come le abilità visive possano rimanere integre oppure deteriorarsi a causa di posture o impugnature scorrette o di un’illuminazione insufficiente. L’uso di una superficie leggermente inclinata comporta un miglioramento di vari aspetti morfologici della scrittura e offre un angolo visivo più favorevole; inoltre, promuove un generale miglioramento della postura, una maggiore stabilità nella prensione della penna e maggiori possibilità di movimento per l’avambraccio. Inoltre la posizione della testa dovrebbe consentire una distanza tra l’occhio e il foglio di circa 30 cm. Tale distanza dovrebbe essere ottimizzata sulla base delle dimensioni del bambino ed è facilmente definibile utilizzando come riferimento la lunghezza dell’avambraccio del bambino stesso con il pugno chiuso, con il gomito del braccio scrivente appoggiato al tavolo in linea con la spalla e il mento poggiato sul pugno. Dove deve stare il foglio? Anche la posizione del foglio è un parametro in grado di influenzare la postura complessiva, il movimento degli arti superiori, la prensione della penna e la libertà di eseguire alcuni tratti. Il foglio dovrebbe essere posto direttamente di fronte al tronco o leggermente spostato sul lato della mano dominante, in modo che la mano possa scorrere liberamente e che la visione sia sgombra. Il foglio dovrebbe essere ruotato di qualche grado in senso antiorario per i destrimani e in senso orario per i mancini, mentre vanno evitate angolazioni estreme. Anche l’utilizzo di fogli troppo grandi impone al bambino di allungarsi eccessivamente per raggiungerne la sommità, per cui sono da preferire fogli più piccoli. Come ci si siede? La postura seduta dovrebbe seguire dalla regola dei tre angoli retti: quello dell’anca, tra la colonna vertebrale e il femore, quello del ginocchio e quello della caviglia, con la pianta del piede ben poggiata a terra. Durante la scrittura il busto dovrebbe inclinarsi leggermente in avanti, staccando la schiena dallo schienale e scaricando una parte del peso della parte superiore del corpo sul piano di lavoro. Tale leggera inclinazione consente agli avambracci di poggiare sul piano di lavoro, facilitando i movimenti di spalla, polso e dita della mano scrivente. La mano che non scrive dovrebbe invece essere poggiata sul foglio, allo scopo di stabilizzarlo. Come si impugna la penna? Per quanto riguarda la prensione dello strumento grafico, la forma ottimale è considerata la prensione a tre dita dinamica in sella palmare. In questa tipologia di prensione, pollice, indice e medio si combinano assieme, permettendo la flessione e l’estensione coordinata delle articolazioni delle dita nell’esecuzione dei movimenti fini, mentre anulare e mignolo forniscono stabilità alla mano. Le dita dovrebbero essere rilassate e tutte le articolazioni parzialmente flesse, reggendo la penna a circa 2 cm dalla punta e con il fusto adagiato al centro della sella palmare. In tale posizione i tre polpastrelli si trovano ciascuno su un lato diverso della penna, formando una figura triangolare: il mantenimento di tale impugnatura è quindi facilitato dall’uso di matite e penne a fusto triangolare. Particolare attenzione va comunque prestata nel caso di bambini con problemi di disprassia o impaccio motorio, in cui l’efficacia della prensione utilizzata può avere un impatto rilevante sul processo della scrittura.
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Metodo Montessori e anziani fragili Motricità
La voglia di riappropriarsi di spazi aperti è cresciuta molto negli ultimi anni. Vediamo in che modo le esperienze di educazione in natura possono integrare le potenzialità della pratica psicomotoria
Negli ultimi anni, soprattutto in questo periodo storico che ha portato i bambini a crescere ancora di più all'interno di spazi chiusi, è andata via via fortificandosi non solo la voglia, ma anche la necessità di riappropriarsi degli spazi ampi e aperti offerti dai contesti naturali. In questo contesto, è interessante pensare alla diffusione che hanno avuto le esperienze di educazione in natura. In Europa, nonostante l'ampia letteratura a riguardo, le scuole di educazione in natura rappresentano ancora un'entità eterogenea, priva di un modello unico e definito. Ciononostante, esse sono accomunate da un approccio che mette il bambino al centro, promuovendo le sue competenze di sperimentazione, di adattamento e sociali. Dal testo Educare in natura di Lucia Carpi, "la filosofia alla base di tutte le scuole nel bosco è che «se conosci ami, se ami proteggi»: l’obiettivo educativo è, allora, favorire nei bambini la conoscenza e l’amore per la natura, affinché, un giorno, possano averne cura; facendo ciò si intende più in generale nutrire il senso di appartenenza all’armonia cosmica di cui ciascun essere umano fa parte e in questo modo si vuole trasmettere l’amore per la vita e per gli altri." Ma cosa accade alla relazione educativa quando si esprime all’aperto e quali cambiamenti possiamo osservare nelle potenzialità psicomotorie di questa dimensione educativa ancora poco esplorata? Se dal punto pedagogico il dibattito è sempre attuale rispetto alla possibilità di una progettualità e dell'efficacia dell'educazione in natura, anche in un'ottica psicomotoria è interessante chiedersi se e come si possano utilizzare le competenze della psicomotricità anche in contesti differenti dal classico setting in cui gli psicomotricisti sono abituati a lavorare.Nel testo Educare in natura, Lucia Carpi fornisce utili spunti di riflessione ad educatori e psicomotricisti per riflettere e trovare risposte a queste domande, sottolineando ad esempio come già di per sé l'ambiente naturale offra delle potenzialità rispetto agli spazi aperti e ampi, ai materiali e alle nuove occasioni sensoriali offerte in maniera spontanea dalla natura ai bambini. Non è difficile dunque pensare a come questi nuovi ambienti possano valorizzare aree di sviluppo come l’acquisizione delle autonomie, l’integrazione personale e quella gruppale. Il ruolo della psicomotricità all'interno dei progetti di educazione in natura L'importanza di basarsi sul sapere psicomotorio nella progettazione di interventi educativi in contesti naturali deriva dal fatto che è proprio della psicomotricità individuare i modi più adeguati per intervenire a supporto di una crescita armonica del bambino nei diversi contesti possibili. Tanto più in un contesto non strutturato come quello naturale, che chiede a gran voce uno sguardo globale ed integrato della persona, e nello specifico del soggetto in età evolutiva, la psicomotricità può fornire una metodologia di integrazione corpo-mente, "lontano dalle logiche della prestazione". La psicomotricità infatti suggerisce i modi attraverso cui facilitare la strutturazione, attraverso il movimento nello spazio ed il gioco spontaneo, la costruzione di un Io in relazione con il mondo circostante. L'idea non è quella di estendere la pratica psicomotoria all'aperto, dove le caratteristiche dell'ambiente e degli strumenti renderebbero il setting di complessa strutturazione; bensì sottolineare l'importanza di includere le conoscenze e gli strumenti relazionali dell'approccio psicomotorio nella formazione degli educatori e nella fase di pianificazione e formulazione di un progetto educativo in natura. Tra gli obiettivi della pedagogia in natura troviamo, in generale nel contesto europeo e nello specifico del panorama italiano:1. fare conoscenza diretta dell’ambiente e maturare un senso di rispetto per esso;2. esprimersi in modo globale a livello personale e sociale nei linguaggi tipicamente dell’infanzia, ovvero motorio, simbolico, rappresentativo;3. fare esperienze pratiche che coinvolgano pienamente la sensorialità;4. fare esperienza delle dimensioni esplorative e di adattamento al cambiamento e all’imprevisto;5. ruolo maggiormente attivo nell’apprendimento;6. acquisizione facilitata delle autonomie;7. aumento dello stato di benessere psicofisico. Come può la psicomotricità contribuire agli obiettivi della pedagogia in natura? A seconda degli elementi che andiamo a considerare rispetto alla pedagogia in natura, la psicomotricità può dare contributi molto specifici.Il rischio, legato all'imprevedibilità di un ambiente naturale, da un punto di vista psicomotorio diventa occasione educativa quando la sicurezza è garantita dall’adulto, non è un'imposizione normativa, e si esprime come una giusta protezione «che si declini con il giusto spazio di sperimentazione e di esplorazione, che quindi preveda un certo grado di rischio» come afferma Ferruccio Cartacci nel volume Movimento e gioco al nido. Come sottolineato da Lucia Carpi: "Questa visione psicomotoria della sicurezza va quindi ben oltre la sicurezza fisica, così come va oltre anche all’apprendimento cognitivo del rischio stesso; essa mette l’accento sull’indispensabile accoglienza del mondo emozionale del bambino e sulla conseguente necessità di competenze professionali atte all’elaborazione delle emozioni e, senza le quali, l’apprendimento diventa, nella migliore delle ipotesi, esclusivamente mentale e perciò non integrato a pieno." Tutte le riflessioni qui presentate e ulteriori osservazioni che possono nascerne, non devono essere tuttavia riassunte con il concetto che educazione in natura e psicomotricità possono sostituirsi l’una all’altra: se anche fosse possibile, ciò rischierebbe di portare alla perdita di importanti opportunità educative e del mancato ascolto di un diritto profondo dei bambini come quello di essere educati nella pluralità degli sguardi. "Lo sguardo psicomotorio, specializzato nella relazione e nella comunicazione affettiva ha la peculiarità di saper leggere, tradurre e rispecchiare in modo strutturante i significati dei linguaggi della spontaneità infantile." Per questo, l'approccio della psicomotricità può fornire un utile contributo al nuovo modo di osservare e rispondere ai bisogni dei bambini, dal punto di vista dell'educazione in natura, soprattutto negli ultimi tempi.
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Metodo Montessori e anziani fragili Motricità
Il ruolo fondamentale del corpo in età evolutiva e gli strumenti che consentono l’osservazione e la verifica delle competenze psicomotorie di bambine e bambini nell’ultimo anno della scuola dell’infanzia
In psicomotricità dell'età evolutiva, il corpo riveste un ruolo fondamentale. Perché si può affermare che "il bambino è il suo corpo"? Perché egli apprende, conosce, comunica tramite il proprio corpo. È infatti dalle più semplici azioni corporee che il bambino accede a un tesoro di saperi, di esperienze, di interessanti scoperte sul mondo e su di sé. Attraverso il corpo ed il movimento, il bambino non solo comunica manifestando desideri e piaceri, ma esprime anche i disagi, malesseri e sofferenze. Nella società odierna, in particolare, il tempo libero in cui i bambini possono effettivamente sperimentare, apprendere e comunicare attraverso l'utilizzo del loro corpo, nel gioco spontaneo, è drasticamente ridotto, riducendo i momenti in cui essi possono interiorizzare e rielaborare le emozioni e le difficoltà sperimentate durante il giorno, a scuola, in città, in famiglia. Sono numerose le ricerche, gli studi, le analisi di studiosi di discipline diverse a sostenere che il corpo è in stretta connessione con la mente e con le emozioni che attraversano tutti gli esseri umani in ogni momento della loro evoluzione. Come sostiene Morganti nel suo contributo nel volume Il gruppo in psicomotricità, il bambino è in grado di sviluppare precocemente schemi di comunicazione incarnati (embodied) che gli consentono di stabilire con l’altro un dialogo dotato di senso, e allo stesso modo come «il corpo e l’interazione senso motoria con il mondo circostante diano forma alla cognizione».È proprio l’influenza reciproca e costante fra corpo e ambiente che permette di affermare che il corpo sia da considerare come un ponte che ci mette in contatto e in comunicazione con il mondo in ogni istante della vita e durante tutte le esperienze che la compongono, come detto in Merleau-Ponty, 2003. Il metodo psicomotorio in ambito educativo e di prevenzione del disagio nell’infanzia porta ulteriori riflessioni rispetto al movimento che rivela all'osservatore (insegnante, pedagogista, ecc.) la possibile presenza di un progetto e di un bisogno, ma anche qualcosa relativo alla personalità del soggetto, alle caratteristiche del suo contatto con il mondo, ai segni di un malessere, come nell’“inibizione” o nell’“esuberanza” eccessiva». Questi elementi osservati sono la testimonianza di una presenza al mondo che è garantita da un equilibrio fra i diversi aspetti dell’esperienza: mentale, emotiva e somato-sensoriale. Va inoltre osservato che i dati dell’esperienza non delineano un risultato finito, ma concorrono alla continua modificazione e aggiustamento del processo di crescita e apprendimento. In psicomotricità, tramite numerose e diversificate esperienze motorie, si offre al corpo (e quindi al bambino) la possibilità di cogliere lo spessore del movimento, di organizzarlo, di memorizzarlo in uno schema sempre più ricco e raffinato, in esperienze corporee che vanno a costituire il corpo informazionale.Per questi motivi è importante che gli adulti pongano una necessaria attenzione alla corporeità del bambino, garantendo la possibilità di “esprimersi, sperimentare, evolvere e conquistare sapere attraverso le occasioni programmate da una didattica attiva, che dia spazio alla sperimentazione anche con il corpo, considerato come elemento imprescindibile del processo di conoscenza di costruzione e di realizzazione del sé”. In quest’ottica è stata formulata la scheda SOV-PSM (Scheda di Osservazione Valutativa PsicoMotoria), rivolta ai docenti ponendosi come un articolato e coerente strumento di osservazione e di verifica delle competenze psicomotorie dei bambini, specificatamente per l’ultimo anno della scuola dell’infanzia. Questo momento evolutivo infatti segna un importante passaggio da una scuola dove si promuove la conoscenza partendo dalle esperienze vissute, a un ambiente scolastico orientato all’acquisizione di abilità strumentali attraverso competenze mnemonico-cognitive.La scheda SOV-PSM non solo permette una raccolta dati meramente numerici; le diverse sezioni della scheda ci indicano infatti la direzione delle azioni didattiche e delle occasioni di esperienza da offrire ai bambini per ottimizzare lo sviluppo motorio che è alla base delle competenze necessarie agli apprendimenti della scuola primaria. Per un totale di 29 item, la scheda SOV-PSM è divisa in due sezioni: La prima indaga le competenze psicomotorie funzionali, che vengono suddivise in quattro aree: area della coordinazione dinamica generale, oculo-manuale e dell’equilibrio posturale; area dello schema corporeo, del tono e della dominanza; area dello spazio e del tempo; area della motricità fine; La seconda sezione comprende gli item che indagano le competenze socio-relazionali ed emotivo/affettive dei soggetti, divise in: area della capacità attentiva; area della regolazione emotiva; area emotivo-relazionale. La scheda SOV-PSM è uno strumento osservativo/valutativo valido, verificato e testato su numerosi soggetti, che può essere di supporto per le/gli insegnanti nella loro pratica educativa. La scheda è utilizzabile durante l’ultimo anno della scuola dell’infanzia come utile contributo per orientare la didattica costruendola a misura di bambino, inserendosi in un approccio pedagogico rivolto ad individuare ogni soggetto nella sua specificità, per poter calibrare le proposte in funzione dei bisogni individuali.
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Metodo Montessori e anziani fragili Didattica
Corporeità e dimensione ludica sono le chiavi per la costruzione di contesti educativi equi
Abbiamo ripetuto quanto il gioco sia il canale di comunicazione preferenziale per il bambino: è il suo modo di aprirsi agli altri e di trasformare il mondo. Ogni essere umano, qualunque sia la condizione socio-economica o il background culturale, conosce la dimensione del gioco: si tratta di un bisogno primario dell’uomo. Come insegna Huizinga: «Si possono negare quasi tutte le astrazioni: la giustizia, la bellezza, la verità, la bontà, lo spirito, Dio. Si può negare la serietà, ma non si può negare il gioco». Per questo acquisire competenze intorno al senso e al significato delle manifestazioni spontanee del gioco è un atto democratico, di apertura  verso ogni individuo: qualunque bambino, se accompagnato nell’esplorazione del proprio gioco, può maturare competenze e, soprattutto, riconoscere una dimensione di benessere per sé stesso, con gli altri.  Essere consapevoli delle qualità educative del gioco è una importante azione di contrasto alla povertà educativa che dovrebbe essere patrimonio di educatrici/educatori, insegnanti, operatori sociali e genitori.  Le Indicazioni nazionali ci dicono che «l’educazione alla cittadinanza viene promossa attraverso esperienze significative che consentano di apprendere il concreto prendersi cura di sé stessi, degli altri e dell’ambiente e che favoriscano forme di cooperazione e solidarietà» (Comitato scientifico nazionale per le indicazioni nazionali del Ministero dell’istruzione, 2012, p. 6). Che cosa meglio del gioco spontaneo e cooperativo si muove verso questa direzione già a partire dall’infanzia?  Se si parte fin da piccolissimi a valorizzare le specificità di ciascuno in un’ottica di possibile fioritura futura delle risorse di tutti, potremo dire che da educatori avremo contribuito a diminuire lo svantaggio sociale di partenza da cui alcuni bambini partono fin dalla nascita. In quest’ottica si può strutturare un intervento con approccio psicomotorio in un servizio 0-6 anni, nella convinzione che corporeità e dimensione ludica, capisaldi della filosofia psicomotoria, siano chiavi rivelatrici per la costruzione di contesti educativi equi. I contesti di deprivazione non solo materiale ma anche educativa possono essere causa di disagi di vario tipo nei bambini.  Lavorando in quartieri di marginalità ci è capitato di notare come alcuni educatori individuino molto precocemente fragilità particolari in bambini che vivono situazioni di povertà materiale ed educativa. Capita che i genitori di questi bambini vengano immediatamente indirizzati ai servizi sanitari del territorio per una prima valutazione neuro-psichiatrica. Si parla di bambini che nella maggior parte dei casi non verrebbero presi in carico dai servizi pubblici di neuropsichiatria a livello terapeutico è risaputo inoltre quanto i servizi di neuropsichiatria siano in grande sofferenza a livello nazionale con lunghissime liste d’attesa per la presa in carico. In situazione di deprivazione economica e socio-culturale la soluzione dovrebbe risiedere in offerta di stimoli educativi continuativi a questi bambini, prima che le fragilità si trasformino in disagi persistenti, a partire dalla scuola e aprendosi alle opportunità che sempre più il Terzo settore cerca di costruire sui territori. Parliamo ad esempio di bambini esposti a più di due lingue ma in una situazione non adeguatamente monitorata che generalmente mostrano immaturità dal punto di vista linguistico. Come psicomotricisti ci siamo molto interrogati su questo tema e dalla nostra prospettiva professionale riteniamo che un adeguato accompagnamento allo sguardo psicomotorio dentro la scuola possa sostenere educatrici ed educatori ad aumentare le risorse professionali per rispondere prontamente a bambini in difficoltà a causa di ipo-stimolazione a livello sociale, educativo, culturale. Quali sono quindi gli obiettivi della proposta psicomotoria a scuola? Accrescere competenze di educatrici ed educatori a scuola nel riconoscere segnali predittivi di possibile disagio educativo (scuola dell’infanzia). Accrescere la competenza di dialogo con il territorio per il sostegno di bambini ipo-stimolati: se stimolati correttamente, è possibile prevenire il futuro manifestarsi di disagi di vario tipo. Attivare uno sguardo particolare sul lavoro di raccordo tra scuola dell’infanzia e scuola primaria. Supportare il collegio nell’ottimizzare le risorse già presenti nel corpo docente. @media (max-width: 576px){ .me-text ul li { font-size: 19px !important; line-height: 28px !important; } .me-text ol li { font-size: 19px !important; line-height: 28px !important; } } .me-text ul li { font-size: 22px; line-height: 34px; } .me-text ol li { font-size: 22px; line-height: 34px; }
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Search-ME - Erickson 2 Genitori e figli
Due esperti di psicologia spiegano quali sono gli indicatori da prendere in considerazione per valutare la qualità dell’esperienza sportiva dei propri figli
Quando un genitore sceglie di far praticare al figlio il gioco del calcio, solitamente è mosso da qualche ragione specifica: a volte personale, a volte legata al bambino. Nel corso della stagione, un genitore può chiedersi se sia stata la scelta migliore e se l’esperienza possa essere positiva per il figlio e per la sua crescita; diviene dunque necessario osservare tutti gli indicatori utili a valutare la qualità dell’esperienza. Il genitore dovrebbe considerare prima di tutto gli obiettivi fissati dalla società per il gruppo di atleti dove giocherà il bambino. A nostro avviso gli obiettivi di tipo educativo-morale dovrebbero essere in cima alla lista, in quanto prima che di calciatori in erba si parla di persone, di bambini in fase di crescita, ai quali è opportuno trasmettere alcune regole di base. Dopo aver appreso gli obiettivi, sarebbe opportuno che il genitore verificasse se effettivamente questi vengono raggiunti e in che modo. Perciò bisogna in primo luogo osservare lo stile relazionale del mister e il tipo di attività e di esercizi che propone in campo. Occorre prestare attenzione al modo in cui l’allenatore comunica. È inoltre importante il tipo di attività proposta: gli esercizi o giochi devono essere divertenti e al tempo stesso stimolare specifici processi mentali e motori. È necessario che siano divertenti affinché i bambini siano coinvolti attivamente e spinti a migliorare. Devono anche essere adeguati allo sviluppo psicofisico degli allievi. Anche l’atmosfera che si respira tra i bambini e gli adulti presenti è un valido indicatore della qualità dell’esperienza che il bambino vive. Osservare il clima che si crea in campo durante allenamenti e partite permette di capire come vengono gestite alcune dinamiche. L’allenatore ha il compito di creare le condizioni affinché la delusione non diventi frustrazione o, peggio, rabbia nei confronti dei compagni. Esprimere le emozioni negative tramite il dialogo, invece, consente al bambino di creare uno spazio di pensiero e di autocontrollo utile a prevenire la creazione di relazioni disfunzionali. I momenti «fuori dal campo» sono altrettanto indicativi dell’atmosfera che i bambini sperimentano: le dinamiche che si formano con i compagni nello spogliatoio, il ritrovo prepartita o altri ritrovi destrutturati, se opportunamente osservati, ci possono dare un’idea di come i bambini e il mister gestiscano le relazioni interpersonali. Per capire se il bambino vive positivamente il calcio potrebbe essere utile anche monitorare il suo atteggiamento nei confronti dell’attività: osservare se non vede l’ora di andare agli allenamenti e alle partite, se parla del calcio, dei compagni e del mister con entusiasmo e passione, e soprattutto se mostra dei progressi nella crescita psicologica e atletica. Nell’arco della stagione sportiva un genitore potrebbe accorgersi di alcuni miglioramenti a livello di tecnica e tattica in campo, di relazioni con i compagni e con altri adulti, della cura e gestione di sé e del materiale e nella regolazione delle emozioni. Per il genitore di un giovane atleta, porre attenzione alla motivazione e al desiderio del bambino di partecipare agli allenamenti e alle partite è particolarmente utile: dietro una carenza di desiderio di allenarsi e giocare potrebbero nascondersi pensieri ed emozioni negative nei confronti dei compagni o dell’allenatore. Il campo da gioco è un ambiente importantissimo per i bambini, che perseguono il loro obiettivo di giocare e di divertirsi sotto la supervisione attenta di un mister pronto a sostenerli nelle difficoltà. I genitori dovrebbero adottare lo stesso stile di supporto: tanto le vittorie quanto le sconfitte possono essere occasioni di crescita. A volte capita che il supporto genitoriale si trasformi in un coinvolgimento eccessivo, soprattutto nei casi in cui il genitore proietta aspettative di successo sul bambino. Se è vero che il figlio necessita del supporto e dell’incoraggiamento del genitore, non ha però certo bisogno di un ultras irrispettoso che usa l’attività calcistica come valvola di sfogo per la propria emotività e rabbia latente. Il primo modello educativo di un bambino sono i genitori, per cui è fondamentale che questi non perdano mai di vista l’obiettivo autentico dell’esperienza calcistica, che è una crescita psicologica e fisica il più completa possibile.
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