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Scegliere la scuola di psicoterapia: il modello sistemico-relazionale 1

Scegliere la scuola di psicoterapia: il modello sistemico-relazionale

Le caratteristiche distintive di questo approccio e le motivazioni per sceglierlo

Quali sono le caratteristiche di questo approccio?

Con la psicologia sistemico-relazionale il focus dell’attenzione si sposta dai fenomeni intrapsichici, studiati maggiormente in ambito psicoanalitico, ai fenomeni interpersonali e ai contesti in cui essi avvengono. La base teorica di riferimento è rappresentata dalla Teoria generale dei sistemi (ideata ed elaborata da Ludwig von Bertalanffy, biologo) che considera ogni fenomeno nella sua interezza e le parti che lo compongono in continua e reciproca connessione.
La teoria sistemica nasce come linguaggio comune tra i diversi ambiti della conoscenza, dalle scienze fisiche e matematiche alle scienze umane e incrocia la terapia della famiglia negli anni ’50, grazie ad alcuni esponenti della Scuola di Palo Alto (California): Watzlawick, Jackson, Haley, Weakland. Integrando la teoria sistemica con contributi teorici come la cibernetica e il pensiero olistico di Gregory Bateson, propongono un modello che vede la famiglia come un sistema con delle proprie regole di comunicazione e interazione che tende a mantenere uno status quo attraverso dei meccanismi di autoregolazione e dove il disagio psichico dell’individuo viene visto come una distorsione del comportamento comunicativo all’interno della famiglia stessa.

Gli elementi caratterizzanti la psicologia sistemico-relazionale

Importanza della dimensione relazionale
Viene posta particolare attenzione all’individuo e alla sua componente relazionale e interattiva. La famiglia e i contesti interattivi di cui fa parte l’individuo sono considerati dei sistemi; esistono dei collegamenti reciproci e delle regole che caratterizzano le relazioni nel sistema e su questi è possibile intervenire attraverso la relazione terapeutica.

Il sintomo oltre il disagio individuale
Il sintomo non viene più visto come la manifestazione di un disagio individuale ma come risultato di un malessere derivante da un’organizzazione disfunzionale del sistema (nella sua globalità) nella quale l’individuo è inserito.

Terapeuta in rapporto alla famiglia
Il terapeuta sistemico-relazionale deve esplorare le implicazioni della richiesta d’aiuto che coinvolgono i membri significativi della famiglia e della rete relazionale del paziente. Inoltre, deve tenere conto delle diverse posizioni e delle narrazioni circa la richiesta presentata, così da definire il trattamento più adeguato.

Attenzione allo stile relazionale da parte del terapeuta
Un aspetto centrale della formazione e dell’acquisizione delle competenze specifiche del terapeuta sistemico-relazionale riguarda la capacità di riconoscere, modificare, utilizzare le diverse qualità della relazione stabilite con il paziente e con le persone che fanno parte della famiglia e della rete relazionale.

Il lavoro su diverse dimensioni
A seconda degli obiettivi terapeutici, lo psicoterapeuta sistemico-relazionale può utilizzare specifiche tecniche che gli permettono di lavorare su diverse dimensioni: area interattiva (attraverso, ad esempio, prescrizioni semplici, paradossali, interventi sulle abilità comunicative), esperienziale (ad esempio con role playing) e simbolico-metaforica (tramite, ad esempio, il genogramma e le tecniche narrative).

Perché scegliere questo orientamento?

Lo abbiamo chiesto a Pietro Barbetta, Direttore della Scuola Internazionale di Terapia Sistemica a indirizzo Transculturale (Bergamo), che ci ha risposto così:
« La risposta non può che essere personale: da giovane cercavo una formazione psicoanalitica, incontrai uno psicoanalista che criticava la psicoanalisi perché si occupava dei ceti abbienti e intellettuali, insomma i miei non erano ricchi. Negli anni Ottanta mi appassionai, oltre che a Freud e Jung, anche alle teorie della complessità e alle considerazioni cliniche di Gregory Bateson, che trovai geniali. Poi chiesi di entrare nella scuola di Milano di Boscolo e Cecchin e fui folgorato dall’aria di libertà che si respirava, ma anche dalla coerenza e il rigore di un metodo terapeutico che aumentava il numero delle scelte possibili degli allievi, dei terapeuti e soprattutto dei pazienti e delle famiglie che frequentavano le sedute. Per usare la metafora del ristorante: non pontificavano sulla teoria del risotto, non te lo facevano solo assaggiare, ti portavano in cucina e ti mostravano come lo facevano loro, poi ti chiedevano: ti piace? Come lo faresti tu? Non so se sia l’orientamento sistemico relazionale, fu l’orientamento della scuola sistemico-relazionale che frequentai io».

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