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La voce della comunità si fa sentire grazie al Photovoice

Questa metodologia permette di mettere in luce esigenze e criticità di chi spesso si sente messo ai margini

Photovoice è un termine composto da due parti: «photo» (fotografia) e «voice» (comunicare, dar voce). Questa metodologia nasce infatti con l’intenzione di dare voce a gruppi spesso esclusi dai processi decisionali grazie all’utilizzo di fotografie per narrare luoghi, eventi, relazioni che ritengono importanti, rendendo visibile il proprio punto di vista e udibile la propria voce.

Photovoice diventa quindi una metodologia di ricerca e di azione sociale che ha l’obiettivo di approfondire i problemi di una comunità, di stimolare la partecipazione e attivare il cambiamento, coinvolgendo i partecipanti stessi. 

Le immagini in generale e la fotografia in particolare, offrono la possibilità di esprimere un punto di vista, di far emergere una necessità: la fotografia è il risultato della decisione del fotografo di registrare un particolare evento o un particolare oggetto perché venga visto e messo in luce.

Una o più fotografie divengono uno o più punti focali, una mappa di riferimento comune, luogo dove è possibile condividere le rispettive osservazioni e capacità di ascolto reciproco e dialogo.

In chiave di processi collettivi, il photovoice offre, dunque, sia un percorso chetrova nell’immagine un enzima funzionale a sviluppare dialogo, sia un’occasione di attivazione e condivisione di atteggiamenti di mutuo sostegno e di iniziativa, rompendo così il vortice di pessimismo e fatalismo nel quale molte persone ai margini rischiano di sprofondare.

Wang e Burris, che nel 1997 l’hanno messo a punto, sottolineano tre ragioni principali per ricorrere al photovoice:

  1. per dar modo alle persone di documentare e mettere in evidenza le risorse e le criticità del contesto in cui vivono;

  2. per promuovere dialogo critico attraverso l’osservazione e la discussione di fotografie in gruppi di diverse dimensioni, e per condividere conoscenze riguardo alle tematiche che caratterizzano le comunità;

  3. per comunicare con i decisori politici e con chi sia in grado di realizzare cambiamenti.

I numerosi ricercatori che si sono ispirati al lavoro di Wang e Burris, vedono nel photovoice una pratica in grado di mettere in evidenza la «voce» delle persone coinvolte nell’attività e un’opportunità per far ascoltare le loro posizioni, possibilmente contribuendo a trasformare i contesti e le relazioni che il lavoro di photovoice documenta.

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