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La formazione dei docenti in CLIL 1

La formazione dei docenti in CLIL

Una proposta delle studiose Carmel Mary Coonan e Elisa Corino per sviluppare meglio la metodologia dell’insegnamento disciplinare in lingua straniera attraverso la formazione dei docenti

Il CLIL (Content and Language Integrated Learning) è un acronimo che approda in Europa negli anni ’90, quando le istituzioni europee (Consiglio d’Europa e Commissione Europea) stavano discutendo attorno alle varie forme di educazione bilingue che, all’epoca, erano in essere solo in aree tradizionalmente bilingui, per valutarne le modalità di estensione in altre aree. In Italia questa sigla compare “ufficialmente” nel 2009 con la riforma della scuola superiore che prevede l’obbligo dell’insegnamento di una disciplina in una lingua veicolare ed entra a tutti gli effetti nella formazione insegnante nel 2010.

Carmel Mary Coonan sottolinea come l’acronimo richiami sia il processo naturale di apprendimento linguistico, che passa attraverso l’interazione con le “cose” del mondo, sia il ruolo di guida dell’insegnante, che deve condurre esplicitamente l’allievo in questa acquisizione perché, a causa delle difficoltà intrinseche alla situazione di lingua straniera, l’apprendimento potrebbe anche non aver luogo. Non ultimo, CLIL ci ricorda anche che la lingua serve per pensare e nell’insegnamento non è possibile separare i contenuti dalla costruzione della competenza linguistica.

La ricchezza del CLIL porta però inevitabilmente con sé anche delle domande cui è necessario cercare risposta se si vuole rendere accettabile la sfida metodologica di alto livello che pone: in che cosa consiste l’apprendimento auspicato in lingua straniera e quali saranno le differenze rispetto ad un insegnamento tradizionale? Qual è il plusvalore dell’opzione CLIL?
Carmel Mary Coonan porta l’attenzione su quello che Vollmer (2006) definisce “plurilinguismo interno” e che consiste nell’acquisizione di nuove varietà d’uso all’interno di una stessa lingua associate alle singole discipline materie di studio. Si tratta in pratica di un’alfabetizzazione scolastica da promuovere attraverso l’intero repertorio linguistico dello studente e che consta di conceptual literacy, cioè la capacità di usare la lingua per chiarire la propria comprensione dei concetti, e discours literacy, quando si è in grado di usare la lingua per esporre i concetti compresi.

Le ricche potenzialità della metodologia CLIL devono però fare i conti con la reale competenza glottodidattica degli insegnanti disciplinari, che spesso non sono consapevoli della dimensione linguistica della propria disciplina e del ruolo che riveste la produzione linguistica nel processo di apprendimento disciplinare, faticando quindi ad elaborare degli obiettivi linguistici che non siano esclusivamente lessicali. Come fa notare Elisa Corino, infatti, spesso il docente disciplinare messo di fronte alle caratteristiche linguistiche della propria disciplina si limita ad osservare le questioni di lessico e non rileva le complessità sintattiche e testuali.

La proposta delle due studiose è quindi quella che vengano inseriti nei programmi di formazione dei docenti di tutte le discipline degli elementi di analisi linguistica e si provveda alla loro sensibilizzazione in termini di competenze (linguistiche, comunicativo-didattiche, metodologico-didattiche), conoscenze e consapevolezze coinvolte nell’educazione linguistica (caratteristiche della lingua della disciplina, lingua come strumento di apprendimento e di pensiero, processi di comprensione e di produzione, ecc.).

In conclusione, vengono riprese le 10 tesi del Gruppo di Intervento e Studio nel Campo dell'Educazione Linguistica (GISCEL) del 1975 ed in particolare il punto A della settima tesi, che si rivela quanto mai attuale, che dice:
«La pedagogia linguistica tradizionale pretende di operare settorialmente, nell’ora detta “di Italiano”. Essa ignora la portata generale dei processi di maturazione linguistica e quindi la necessità di coinvolgere nei fini dello sviluppo delle capacità linguistiche non una, ma tutte le materie, non uno, ma tutti gli insegnanti (Educazione fisica, che è fondamentale, se è fatta sul serio, compresa)».

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