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I mini gialli dei dettati 2
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Search-ME - Erickson 1 Lingue straniere
Quali sono le possibilità concrete offerte dalla didattica a distanza? Come progettare l’azione docente in modo creativo?
La normale attività scolastica in cui gli insegnanti trovano i propri studenti per “fare scuola” è stata interrotta a causa delle misure imposte per contenere la diffusione del coronavirus. L’emergenza ha spinto gli insegnanti di ogni ordine e grado scolastico a superare la distanza fisica e a sfruttare spazi virtuali per raggiungere le proprie classi e dare continuità in questo modo al programma scolastico.  Si sono trovati, di fatto, catapultati nel digitale. Un salto guidato più dall’intuito e dal desiderio di riprendere l’attività didattica piuttosto che da una scelta ragionata su come entrare nell’ambiente digitale per garantire la continuità della vita e della formazione a scuola. Didattica delle lingue a distanza: sfide e opportunità Valutiamo le possibilità concrete che la didattica a distanza offre e domandiamoci cosa sia possibile imparare da questa emergenza che ci ha spinto a progettare interventi didattici online. Bisogna innanzitutto partire dalla premessa che non è facile riprogrammare la propria didattica in un ambiente virtuale. Ripensare e riformulare la nostra azione docente è però necessario. La prima considerazione da fare: la didattica a distanza richiede come punto di partenza la consapevolezza che l’insegnamento online di una lingua straniera implica il trovarsi in un ambiente di insegnamento e apprendimentodiverso. Un ambiente diverso non solo per la distanza fisica, vale a dire la dimensione “spazio”, ma anche per la dimensione tempo. Questi due aspetti si intrecciano nell’ambiente virtuale e permettono di fatto la progettazione di due scenari di apprendimento. Per quanto riguarda la dimensione “spazio”, è chiaro che per l’insegnamento delle lingue appare irrinunciabile lo scambio comunicativo, sia l’interazione tra insegnante e studente sia l’interazione tra studenti. Domandiamoci però se, per raggiungere i nostri studenti e garantire che lo scambio comunicativo avvenga, sia strettamente necessario vederli. Per ciò che riguarda invece la dimensione “tempo” bisogna porsi un’altra domanda: è solo ed esclusivamente il lavoro in diretta, in tempo reale, a garantire l’ora di lezione? Non è forse pensabile che la condivisione di materiali, le interazioni necessarie per svolgere i compiti linguistici e il feedback dell’insegnante possano avvenire al di fuori dei vincoli dettati dal tempo? Ma, a questo punto, anche dallo spazio? Due sono gli scenari delineabili: uno dove l’apprendimento della lingua avviene in modalità sincrona. Un altro in cui l’apprendimento si svolge in modalità asincrona. Apprendere le lingue in modalità sincrona L’apprendimento sincrono in uno spazio virtuale implica la presenza online in contemporanea di studenti e docente. Si tratta quindi di lezioni in diretta gestite grazie a piattaforme didattiche e servizi di videoconferenza. Quali sono gli aspetti positivi? L’aspetto positivo è che viene garantito il tempo scuola. La partecipazione alle lezioni e il contatto con il proprio insegnante avvengono in tempo reale grazie a strumenti web. L’esposizione all’input linguistico e le interazioni in lingua sono, in teoria, garantite a patto che le connessioni alla rete siano stabili e che gli studenti mantengano un alto livello di attenzione. Nei casi in cui sia l’approccio comunicativo a far da sfondo teorico-metodologico per l’insegnamento della lingua straniera, (con la prospettiva della lingua come strumento di azione), l’apprendimento sincrono permette di dare la parola agli studenti per farli intervenire a proposito di letture o esercizi che si è chiesto di fare, per chiedere loro di analizzare un brano o svolgere un role-play, fare letture, riflettere insieme e fornire feedback. Bisognerà superare alcuni intoppi quali l’inibizione dinanzi allo schermo o i problemi con la videocamera oppure i collegamenti alla rete poco stabili ma, in teoria, la didattica a distanza in modalità sincrona aspira a ricostruire il rapporto fisico con la classe. Quali invece gli aspetti negativi? Pensiamo alla tecnologia: agli insegnanti viene chiesta una conoscenza e una certa abilità con gli strumenti digitali in generale ma, soprattutto con i sistemi di videoconferenza in particolare. Da qui è nata la comprensibile corsa all’app, alla piattaforma di comunicazione, ai marchingegni necessari per poter comunicare in diretta, live, con i propri alunni e il successivo stress per scegliere, imparare ad usare e sfruttare didatticamente questi strumenti. Ancora la tecnologia: L’allacciamento ad internet per tutta la classe attraverso il Wi-Fi domestico è dato per scontato ma non è detto che sia così. Consideriamo ora altri fattori quali le risorse attentive e la stanchezza fisica. Gli studenti, che partecipano dal loro ambiente, sono soggetti alle distrazioni imposte dal luogo in cui si trovano, siano esse legate alla presenza di altri membri della famiglia che si trovano a casa, come alle telefonate o alla messaggistica istantanea. Le loro capacità attentive saranno messe a dura prova. Infine, un altro aspetto da tenere in conto nelle lezioni online in sincrono riguarda la stanchezza che comporta la costante interazione attraverso lo schermo di un computer sia per il docente sia per gli studenti. La costante attenzione richiesta durante la lezione online comporta infatti non solo stanchezza mentale ma anche fisica. Da quanto si evince dalle esperienze condivise in diversi contesti scolastici ed extra scolastici, la modalità sincrona è stata abbracciata dalla maggior parte degli insegnanti di lingua ed è stata fortemente voluta dalle famiglie. Bisogna però porsi queste domande: Quanto gli insegnanti si sono sentiti persi nella ricerca di strumenti digitali e quante delle loro energie sono state poi dedicate ad imparare ad usarli e a sfruttarli didatticamente? Quanto la didattica sincrona riesce a raggiungere tutti gli studenti o piuttosto aggrava ancora di più le differenze tra alunni? Quanto è necessario rivedere il concetto di lezione in termini orari? Attenzione e stanchezza incideranno sicuramente sulla durata della lezione. Apprendere le lingue in modalità asincrona Nell’apprendimento asincrono, il docente non è collegato in Internet nello stesso momento degli studenti ma ne segue il processo di apprendimento al di fuori dei vincoli di tempo e di luogo. In questo caso le risorse online sono utilizzate per facilitare la condivisione del materiale di studio, lo svolgimento di attività appositamente create per l’esecuzione individuale, a coppia o in gruppo e la restituzione da parte dell’insegnante attraverso feedback formativo. Non manca quindi la guida a tale processo di apprendimento: la figura docente. Questo approccio trova il suo significato dentro uno sfondo metodologico basato sulla teoria costruttivista che sottolinea l’importanza del lavoro e delle interazioni tra pari. Attraverso la didattica asincrona incentrata sullo studente si combina lo studio autonomo con le interazioni asincrone con altri studenti. Quali sono gli aspetti positivi di questa scelta? Il tempo scuola non coincide necessariamente con l’ora di lezione. L’insegnante individua e programma i contenuti pedagogici e ragiona per argomenti e non per ore di lezione. I contenuti pedagogici avranno un ritmo di presentazione necessariamente diverso che nella lezione in presenza. La flessibilità del percorso poiché lo svolgimento delle attività avviene non in tempo reale ma nella situazione che ogni apprendente ritiene ottimale per sé. La legittimazione del fatto che ogni studente è unico dato che si rispettano i ritmi di apprendimento e i ritmi di lavoro dei singoli studenti. La didattica asincrona pone lo studente in relazione con l’altro e nella condizione di contribuire attivamente al proprio processo di apprendimento Si promuove l’autonomia grazie alle proposte in autoapprendimento e la responsabilizzazione degli studenti Senza dimenticare che parliamo di glottodidattica: le attività che si svolgono in modalità asincrona permettono una maggiore esposizione agli input linguistici poiché audio e video possono essere ascoltati o visti tutte le volte che lo si desidera. Il feedback formativo fornito dall’insegnante acquista un enorme valore per sviluppare strategie metacognitive. Le necessità tecnologiche degli insegnanti si riducono poiché saranno necessari alcuni strumenti per la condivisione di informazioni, materiali e attività e l’elaborazione collaborativa dei compiti. Oltre a questo la produzione di materiali digitali quali video o audio o presentazioni digitali sarà direttamente proporzionale alle reali capacità digitali del singolo insegnante.  Ha maggiori possibilità di raggiungere tutti gli studenti attraverso la condivisone tra pari e l’uso di canali di comunicazioni (live chat, forum web, mail) Quali invece gli aspetti negativi? Il mancato contatto diretto con gli studenti, dal vivo. Il ruolo del docente come guida del processo di apprendimento non cambia, ma la contemporaneità di comunicazione durante le lezioni sì. La troppa responsabilità che ricade sullo studente e il conseguente rischio di procrastinazione.   Quale modalità scegliere?  Ci sono aspetti positivi e negativi in ogni modalità e ciò implica che tutte le variabili che possono incidere sull’insegnamento e sull’apprendimento online vanno necessariamente valutate prima di progettare la nostra azione docente. Ogni modalità, come si è visto, presenta sia vantaggi che svantaggi ma una cosa è certa: ragionare sulla didattica da mettere in pratica nell’insegnamento linguistico in un ambiente virtuale è il vero punto della questione. Se focalizziamo la nostra attenzione esclusivamente sul conservare il rapporto diretto con gli studenti, oltre a correre il rischio di cadere nella didattica frontale, pur di vederli, perdiamo l’occasione di valutare altre alternative per insegnare le lingue. Va sottolineato, per quanto riguarda l’uso delle glottotecnologie, che lo sforzo maggiore deve essere quello creativo: immaginare come gli strumenti esistenti possano essere utilizzati per l’insegnamento. Ecco che allora l’aggiornamento non consiste nel conoscere gli ultimi ritrovati tecnologici ma nel capire come possono essere sfruttati didatticamente. Per approfondire: Barbi, Alda (2014). Ambiente virtuale per un apprendimento reale, in “EL.LE”, vol. 3, n. 1, Marzo 2014. Celentin, Paola (2007). Comunicare e far comunicare in Internet. Comunicare per insegnare, insegnare per comunicare. Università Ca’ Foscari Venezia Pettinari, Eeva-Liisa; Rotta, Mario (2005). Ambienti sincroni in Open Source. Trento: Erickson. Pollicino, Rosaria (2017). Tra sincrono e asincrono: L’insegnamento Online-Blended della lingua italiana, Western University- Ontario, NeMLA Italian Studies.
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Search-ME - Erickson 2 Lingue straniere
Dalla visione formalistica alla prospettiva cognitivo-funzionale
“Se dico “grammatica” tu cosa dici?” Abbiamo posto questa domanda alle insegnanti di scuola primaria che hanno partecipato ad un ciclo di eventi formativi organizzati da Oxford University Press con la collaborazione del Centro Studi Erickson. I partecipanti hanno risposto ad un rapido sondaggio online, indicando le prime 3 parole che venivano loro in mente pensando alla grammatica. Il programma utilizzato consentiva di visualizzare i risultati immediatamente, sotto forma di Word Cloud, indicando con un carattere maggiore le parole più frequenti. Il sondaggio, ripetuto in 6 città (Milano, Torino, Padova, Bologna, Firenze e Roma) ha coinvolto oltre 500 insegnanti. Le associazioni mentali alla parola grammatica Attraverso questo piccolo esperimento sono emerse le associazioni mentali che compiamo pensando alla parola “grammatica”, le quali possono essere rivelatrici della concezione stessa di lingua che abbiamo maturato e le esperienze ad essa associate. Analizzando i risultati del sondaggio, sono emerse quattro associazioni molto forti: Regole: è in assoluto la parola più frequente emersa dal sondaggio; dietro questa associazione può nascondersi l’idea che la grammatica sia un insieme di meccanismi astratti che regolano il funzionamento della lingua, e hanno poco a che vedere con la comunicazione quotidiana. Verbi, aggettivi, nomi, frasi: la grammatica viene spesso identificata quasi esclusivamente con la morfologia e la sintassi, a discapito di altre dimensioni della lingua (ad esempio la fonologia, o la pragmatica), che non ci vengono in mente. Questa associazione non stupisce, se pensiamo all’attenzione quasi esclusiva alla morfosintassi nella didattica dell’italiano, delle lingue classiche, e, almeno in parte, anche delle lingue straniere. Esercizio, memoria, ripetizione, studiare: queste associazioni rivelano l’idea che le regole grammaticali siano qualcosa che precede la comunicazione, e che quindi si interiorizzino attraverso lo studio mnemonico e lo svolgimento di esercizi meccanici. Noia, difficile: questo ultimo nucleo di associazioni fa emergere le sensazioni di noia, demotivazione e frustrazione che spesso riaffiorano pensando al nostro rapporto con lo studio della grammatica, ma che, a ben vedere, riguardano piuttosto l’approccio didattico che abbiamo “subito” a scuola. Questo piccolo esperimento suggerisce che la concezione prevalente della grammatica sia tuttora ancorata ad un approccio di tipo formalistico, che però nella didattica delle lingue straniere poco si concilia con la visione di lingua come strumento d’azione alla base del Quadro Comune Europeo di Riferimento per le Lingue (QCER). Come possiamo concepire la grammatica in una prospettiva più coerente con il Quadro Comune Europeo di Riferimento per le Lingue?  I recenti orientamenti cognitivo-funzionali nell’ambito della Linguistica possono rivelarsi una risorsa importante. Potremmo sintetizzare questa prospettiva in tre assiomi. 1. La grammatica è costruzione. Possiamo immaginare la lingua come un insieme di mattoncini che combiniamo tra di loro; questi mattoncini riguardano tutte le dimensioni della lingua, dai suoni alle lettere, dalle parole alle frasi, fino alla pragmatica e al discorso. La parola “costruzione” deve ricordarci che le combinazioni di questi mattoncini non sono sempre meccaniche, anzi spesso come parlanti possiamo decidere di usare una parola o una struttura al posto di un’altra, e ogni nostra scelta dipende da ciò che vogliamo comunicare. In questo senso, la lingua è anche possibilità di scelta e di creatività. 2.  La grammatica è concettualizzazione. Le nostre combinazioni di mattoncini rimandano a concetti, esperienze e visioni del mondo che vogliamo condividere con i nostri interlocutori. Ogni lingua ha i propri strumenti per aiutarci a descrivere il nostro mondo interiore ed esteriore; alcune lingue possiedono parole che in altre non esistono (ad esempio, la serendipity inglese, la Schadenfreude tedesca) o costruzioni grammaticali diverse (ad esempio, in inglese si esprime nel verbo anche il modo di movimento, come nella frase He walked out of the room). E’ importante ricordare però che le lingue non sono entità astratte; dietro ogni costruzione grammaticale si nasconde un mondo concettuale, e quindi imparare un’altra lingua significa scoprire come è possibile concettualizzare la realtà con “occhi linguistici” diversi da quelli a cui siamo abituati. 3.  La grammatica è comunicazione. Sottesa agli assiomi precedenti vi è, in ultima istanza, la visione per cui la grammatica non è un insieme di meccanismi a sé stanti, astratti e staccati dalla vita quotidiana, bensì uno strumento di comunicazione. In questo senso, coerentemente con il QCER, l’attenzione dell’insegnante dev’essere posta soprattutto sui mattoncini della lingua straniera che dobbiamo saper padroneggiare per comunicare in modo efficace, dalla pronuncia all’ortografia, dal lessico alla pragmatica. E’ importante, in questo senso, dare priorità al lavoro sugli errori che compromettono la comunicazione, piuttosto che su quelli puramente formali. In conclusione, è possibile conciliare lo studio della grammatica con le istanze del QCER solo se ci allontaniamo da una visione formalistica del linguaggio per abbracciare una prospettiva che spiega la grammatica alla luce dei nostri processi mentali e delle nostre esperienze quotidiane. Oltre ad essere più esplicativa e coerente con il QCER, questa prospettiva è senza dubbio più affascinante e, non da ultimo, più motivante. Per approfondire Daloiso M., Jiménez Pascual G. (2017) “Bisogni linguistici specifici e apprendimento della grammatica. Il potenziale glottodidattico della Linguistica Cognitiva”, EL.LE, 6(2). Daloiso M. (2019) Linguistica educativa, linguistica cognitiva e bisogni specifici. Intersezioni, Erickson: Trento.
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La didattica per EAS - Episodi di Apprendimento Situati - facilita un inserimento "naturale" della tecnologia nel processo di insegnamento/apprendimento
L’attivazione della scuola a distanza dettata dall’emergenza Coronavirus ha sollevato numerosi problemi soprattutto in situazioni in cui non vi erano esperienze pregresse di utilizzo delle tecnologie nella didattica. Dopo un comprensibile smarrimento iniziale, molti docenti hanno utilizzato quanto a disposizione per assegnare compiti, esercizi di recupero e consolidamento, pagine da studiare. L’insegnamento dell’inglese spesso è stato affidato a video, giochi online o schede da scaricare. In queste situazioni è prevalsa una visione passiva dell’alunno come mero esecutore ed è stata offerta una didattica di tipo trasmissivo che non concede spazi a forme di interazione e comunicazione necessarie per promuovere apprendimento significativo. In realtà, la didattica a distanza non è solo un problema di tecnologia , ma richiede un ripensamento del proprio agire didattico e la ricerca di strategie che permettano di lavorare in una logica didattica volta a stimolare l’intervento attivo degli alunni e la promozione di competenze. L’insegnamento dell’inglese nella scuola primaria. L’insegnamento della lingua straniera già di per sé richiede un approccio particolare che vede nell’interazione, l’azione e l’esposizione ad input linguistici ricchi e stimolanti i suoi elementi cardine, a maggior ragione nella scuola primaria dove è fondamentale la progettazione di percorsi che accompagnino i bambini alla scoperta e alla costruzione del sapere. Importante, quindi, la costruzione di un ambiente di apprendimento ben strutturato ed una progettazione con obiettivi d’apprendimento circoscritti, rispettosi della gradualità e delle indicazioni della glottodidattica per la fascia d’età con cui si opera. In un quadro così delineato diventano importanti i repertori metodologici adottati dal docente per un accostamento naturale e autentico alla lingua ed un contemporaneo sviluppo di competenze trasversali. Tra i metodi atti allo scopo, utili anche per un inserimento ”naturale” della tecnologia nel processo di insegnamento/apprendimento, ho trovato particolarmente interessante l’accostamento alla didattica per EAS, acronimo di Episodi di Apprendimento Situati. Il metodo, messo a punto dal Prof. Pier Cesare Rivoltella, docente alla Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università Cattolica di Milano e Direttore Scientifico del Cremit, si ispira al microlearning, teoria che focalizza l’attenzione su percorsi di apprendimento basati su piccole e brevi unità formative combinabili tra loro. Lavorare con gli EAS, Episodi di Apprendimento Situati. La caratteristica degli EAS è l’essere “piccole unità di sapere (microcontents) da gestire attraverso piccole attività (microactivities) in porzioni di tempo a loro volta contratte (microtimes)” (P.C.Rivoltella, 2013); ciò consente di costruire per gli alunni esperienze di apprendimento significativo e situato che facilitano l’appropriazione dei contenuti e il loro accomodamento all’interno della propria organizzazione mentale. Mentre l’unità didattica si esplica su tempi lunghi, l’EAS lavora su brevi segmenti, e la concatenazione tra un EAS e l’altro permette lo sviluppo del curricolo. Applicato all’insegnamento della lingua inglese, le fasi di sviluppo di un EAS ben si conciliano con la glottodidattica, permettono di lavorare anche con argomenti nuovi, favorendo l’interazione e la cooperazione fra gli alunni, e consentono un utilizzo “naturale” della tecnologia, cosa che li rende particolarmente adatti anche alla didattica a distanza. La struttura degli EAS. La struttura di un EAS prevede tre momenti: una fase preparatoria, una fase operatoria ed una fase ristrutturativa. La fase preparatoria ha funzione di anticipazione: attraverso un video, una canzone o una pagina del testo, accompagnati sempre da un organizzatore anticipato per guidare l’osservazione dell’alunno verso gli obiettivi previsti, il docente attiva le conoscenze pregresse sull’argomento da trattare, mette “in situazione” e prepara il campo al lavoro successivo. In classe, o durante una video lezione a distanza, l’insegnante successivamente raccoglie le osservazioni degli alunni, corregge eventuali misconceptions e fissa il tema di lavoro e i concetti per lui importanti in un breve framework concettuale. A seconda dell’argomento trattato si possono poi prevedere attività di approfondimento individuali, a coppia o in gruppo, magari sfruttando app che permettono il lavoro collaborativo. La fase operativa prevede la realizzazione di un prodotto da parte dell’alunno, un piccolo progetto che permette di mettere in pratica quanto appreso nella fase precedente. In un’attività volta all’apprendimento del lessico della famiglia, ad esempio, l’alunno potrebbe realizzare un piccolo video in cui presenta la propria famiglia in lingua inglese. I prodotti realizzati possono poi essere discussi insieme durante una video lezione. La fase ristrutturativa è il momento metacognitivo dell’EAS, quello che attraverso la riflessione sul processo permette l’appropriazione di quanto svolto. E’ il momento della “lezione a posteriori”, termine mutuato da Freinet, in cui il docente ricostruisce il processo e fissa i concetti importanti da ricordare, costruendo magari una mappa o un’infografica da mettere poi a disposizione degli alunni per successivi riferimenti. Sono diversi gli aspetti che fanno dell’EAS un dispositivo inclusivo: la personalizzazione, la dimensione collaborativa, il “learning by doing”, la classe-laboratorio, la valutazione “diffusa” e, non ultima, la modalità “flipped” che consente un’attenzione maggiore al processo di apprendimento.   Per approfondire: Rivoltella P.C. (2013), Fare didattica con gli EAS, ed. La Scuola Rivoltella P.C. (2015), Didattica inclusiva con gli EAS, ed. La Scuola Rivoltella P.C. (2016), Che cos’è un EAS. L’idea, il metodo, la didattica, ed. La Scuola
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Facciamo il punto sugli studi che hanno cercato di capire se esiste una predisposizione naturale per l’apprendimento linguistico
L’ambito delle lingue straniere e del loro apprendimento, insieme a quello musicale, è uno di quelli in cui maggiormente si tende a credere o addirittura a dare per certo che esista una “predisposizione naturale”, al punto da arrivare a definire alcune persone come inguaribilmente “negate” per le lingue, mentre altre sarebbero magicamente “portate” per le lingue. Se è sotto gli occhi di tutti che alcune persone riescono più facilmente di altre in questo compito, è altrettanto vero che non è stata individuata una componente genetica che favorisca questo apprendimento quanto piuttosto una serie di “tratti individuali” che, unitamente a dei fattori esterni favorevoli, contribuiscono a renderlo più rapido ed efficace. In questo articolo cercheremo di individuarli e di metterli in relazione fra di loro. Cos’è l’attitudine? L’attitudine è un costrutto teorico (Jordan 2004; Carroll 1991; Gardner e MacIntyre1992) che mira a predire il potenziale di riuscita in un compito, cioè la misura in cui si stima che una persona possa riuscire bene in una certa attività prima di averla affrontata. I test attitudinali hanno lo scopo di predire i possibili risultati futuri di una persona e individuare le sue aree di forza per orientarne la carriera o lo studio. Verrebbe da dire che, in generale, le persone con maggiori capacità cognitive progrediscano più rapidamente, anche se, per quanto riguarda le lingue, esistono eccezioni celebri: da un lato vi sono gli idiots savants, poliglotti con ridotte capacità cognitive generali, dall’altro vi sono illustri accademici con difficoltà estreme nell’apprendimento linguistico.  Pare quindi che non esista un legame così stretto fra capacità cognitive e successo nell’apprendimento linguistico, ma piuttosto che esista una specifica, innata abilità di apprendimento linguistico più forte in alcune persone rispetto ad altre a prescindere dal quoziente cognitivo. Quali abilità formano l’attitudine per l’apprendimento delle lingue? Non mancano gli studi che hanno cercato di capire se effettivamente esistano delle basi biologiche di predisposizione per l’apprendimento linguistico. Nell’economia di questo articolo ne vedremo solo alcuni. Il primo e più utilizzato test è stato il Modern Language Aptitude Test- MLAT di Carroll e Sapon (1959), implementato in seguito dal Pimsleur Language AptitudeBattery – PLAB (Pimsleur 1966). L’attitudine è considerata un costrutto complesso, formato da numerose componenti, riassumibili in: abilità di codifica fonemica, ossia la capacità di identificare e, soprattutto, analizzare i suoni della nuova lingua in modo da poterli poi ricordare; abilità di codifica grammaticale, ossia la capacità di riconoscere le diverse funzioni che possono svolgere le parole all’interno delle frasi; abilità di apprendimento induttivo, ossia la capacità di inferire una struttura a partire dagli esempi a cui si è esposti, cioè di operare generalizzazioni sulle regole, che possono poi essere utilizzate a livello di produzione linguistica; abilità di memorizzazione di parole, regole e altri elementi nella nuova lingua. Con il passaggio dall’approccio grammaticale-traduttivo ad approcci più comunicativi nell’insegnamento delle lingue, è venuta mento l’importanza attribuita all’abilità di codifica grammaticale e si è invece enfatizzato il ruolo svolto dalla memoria di lavoro, relativa cioè al processamento attivo dell’informazione (Ellis 2001). Il modello di Snow (1987; ripreso da Corno et al. 2002) è uno dei pochi che non si limita alle abilità ma include aspetti della personalità come la motivazione risultativa, l’assenza di ansia, l’autostima, l’autoregolazione, il temperamento e l’umore, prendendo in considerazione anche I Big Five cioè i cinque fattori determinanti la personalità di un individuo. Per concludere Gli apprendenti di successo non sono necessariamente forti in tutte le componenti dell’attitudine: per determinare l’esito positivo e a volte “eccezionale” dell’apprendimento linguistico sono fondamentali il tipo di esposizione e insegnamento ricevuti. L’attuale interesse per il plurilinguismo porta a mitigare la differenza tra attitudine linguistica e abilità metacognitive, arrivando praticamente a farle coincidere (Modello Dinamico di Multilinguismo di Jessner 2006, 2008). Per concludere, ci preme evidenziare come il concetto di “portati per le lingue” debba necessariamente essere messo in relazione con la definizione di “successo” nell’apprendimento linguistico (pronuncia da madrelingua, naturalezza nell’interagire con i parlanti nativi, capacità di generalizzare gli apprendimenti, velocità nell’eloquio, ecc.) perché “successi” diversi richiedono attitudini diverse. Riferimenti bibliografici Carroll J.B., 1991, “Cognitive abilities in foreign language aptitude: Then and now”, in Parry T. e Stansfield C. (a cura di), Language Aptitude Reconsidered, Prentice hall, Englewood Cliffs, NJ. Carroll J.B. e Sapon, S.M., 1959, Modern Language Aptitude Test, The Psychological Corporation/Harcourt Brace Jovanovich, New York, NY. Celentin P., 2019, Le variabili dell’apprendimento linguistico. Perché non tutti imparano le lingue allo stesso modo, QuiEdit, Verona. Corno L., Cronbach L.J., Kupermintz H., Lohman D.F., Mandinach E.B., Porteus A.W. e Talbert J.E., 2002, Remaking the concept of aptitude: Extending the legacy of Richard E. Snow, Lawrence Erlbaum, Mahwah, NJ. Ellis N.C., 2001, “Memory for language”, in Robinson P. (a cura di), Cognition and Second Language Instruction, Cambridge University Press, Cambridge, pp. 33-68. Gardner R.C. e MacIntyre P., 1992, “A student’s contributions to second-language learning. Part I: Cognitive variables”, in Language Teaching, 25, pp. 211-220. Jessner U., 2006, Linguistic Awareness in Multilinguals, Edinburgh University Press, Edinburgh. Jessner U., 2008, “Teaching third languages: Findings, trends and challenges”, in Language Teaching, 41, 1, pp. 15-56. Jordan G., 2004, Theory construction and second language acquisition, John Benjamins, Amsterdam, Paesi Bassi. Pimsleur P., 1966. The Pimsleur Language Aptitude Battery, Harcourt, Brace, Jovanovic, New York.
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E se fosse un’opportunità?
L’introduzione della prova INVALSI d’inglese lo scorso anno ha riacceso il dibattito sul senso e l’utilità complessiva dell’INVALSI stesso. Alcuni insegnanti lo percepiscono erroneamente come una valutazione del proprio operato, mentre altri intravedono il rischio del ‘teaching to test’, ossia di finalizzare tutta la didattica al superamento delle prove INVALSI.   Questa critica mette in evidenza, peraltro, ad un livello più generale, uno dei nodi cruciali del nostro sistema educativo, ossia la relazione tra ciò che gli alunni apprendono nelle nostre classi e l’effettiva efficacia delle modalità con cui tali apprendimenti vengono verificati. Sappiamo, infatti, che essere bravi a svolgere un test non è necessariamente un indicatore di ciò che lo studente sa.   L’esperienza quotidiana ci conferma questa affermazione; molte volte, infatti, ci si trova di fronte ad alunni che, pur non essendo particolarmente preparati sui contenuti, riescono bene nei test perché sanno come affrontarli, non si lasciano prendere dal panico, capiscono cosa richiede l’esercizio e attivano le risorse necessarie per rispondere correttamente ecc. È vero però anche il contrario: incontriamo anche alunni che hanno sviluppato competenze significative, che però non emergono in modo ottimale nel momento del test; si verifica così un divario tra la reale competenza e la loro performance effettiva durante un momento di valutazione formale.    L’INVALSI come occasione per prepararsi ad affrontare le prove in lingua straniera Per quanto riguarda le lingue straniere, l’opposizione INVALSI Sì / INVALSI NO appare poco sensata. Per le lingue straniere esiste ormai un sistema di certificazione linguistica, riconosciuto a livello internazionale, basato su prove standardizzate.   Il riconoscimento internazionale del possesso di un dato livello linguistico in una specifica lingua, quindi, passa inevitabilmente attraverso prove formali erogate da enti certificatori quali Cambridge English, l’Istituto Cervantes, la Società Dante Alighieri ecc. Nel corso della loro vita, quindi, gli alunni si troveranno inevitabilmente di fronte alla necessità di sostenere una prova ufficiale di lingua.   In questo senso la prova INVALSI d’inglese può rappresentare un’occasione didattica, per aiutare i bambini a sviluppare sin da piccoli un corredo di test-taking skills, cioè abilità specifiche che consentono di affrontare in modo strategico una prova, gestendo consapevolmente le variabili che incidono sulla performance Le variabili che incidono sulla capacità di affrontare bene un test In particolare, possiamo individuare tre tipologie di variabili che hanno un impatto sulla capacità dell’alunno di gestire in modo più o meno efficiente un test.   Variabili legate alla persona. Nel momento in cui ci si trova di fronte ad una prova di valutazione formale entrano in gioco fattori come l’emotività e l’ansia da prestazione, ma anche l’immagine di sé; in questo senso, gli studenti che manifestano una bassa autostima tendono a sviluppare atteggiamenti di insicurezza e ansia persistenti ogniqualvolta vengono sottoposti ad una prova di verifica. Queste fragilità emotive non si risolvono semplicemente incoraggiando lo studente e spronandolo ad impegnarsi; il senso di sicurezza e auto-efficacia migliora nel momento in cui egli acquisisce familiarità con la prova, sa com’è strutturata, quali difficoltà può incontrare e come gestirle. In altri termini, lavorando sulle test-taking skills si può migliorare il senso di auto-efficacia dell’alunno.   Variabili legate al format. In questa categoria rientrano due aspetti: - le caratteristiche essenziali del format del test: È un test orale o scritto? Di quante prove si compone? Quali abilità vengono testate? Quali tipologie di task troverà lo studente? - le modalità di somministrazione del test (Quanto tempo c’è a disposizione? Cosa deve, può o non può fare lo studente durante la prova?);   Variabili legate alla lingua. Le prove INVALSI d’inglese, al momento, testano le abilità di listening e reading comprehension. La capacità di comprendere un testo orale e scritto mette in campo svariati processi, sia di ordine inferiore (ad esempio nell’ascolto, discriminare i suoni, segmentare le parole nel flusso sonoro, riconoscere la forma sonora di una parola e recuperarne il significato nella memoria) sia di ordine superiore (ad esempio, cercare di cogliere il senso generale e l’argomento del dialogo, focalizzare l’attenzione sulle informazioni rilevanti per completare il task). In una prova di ascolto o lettura l’alunno si trova di fronte ad un testo mai affrontato prima; emergeranno probabilmente difficoltà di comprensione legate alla presenza di parole sconosciute o costruzioni linguistiche non familiari. Qui entra in gioco il bagaglio di strategie che l’alunno sa mettere in atto per affrontare le specifiche difficoltà che può incontrare in un compito linguistico.   Come aiutare i bambini a prepararsi per la prova INVALSI di inglese Sulla scorta di queste considerazioni, per preparare i bambini ad affrontare la prova INVALSI di inglese non è dunque sufficiente somministrare loro dei facsimili di prove per “fare esercizio”; è opportuno, invece, proporre un più ampio percorso di sviluppo delle test-taking skills. In questo senso, le prove INVALSI sono un’occasione per sviluppare strategie metacognitive che i bambini potranno mettere in campo anche in altre situazioni di testing formale (ad esempio, una prova di verifica, l’esame di stato, una certificazione linguistica).
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Search-ME - Erickson 6 Difficoltà di linguaggio
Un ragazzo di 24 anni, laureato in Lingue e Letterature straniere, racconta la sua esperienza personale, a scuola ma non solo.
“Am Matteo Belloni”. Questa è la frase che per quasi vent’anni ho usato per presentarmi nelle lezioni di inglese a scuola. Era scorretta, lo sapevo, ma non riuscivo assolutamente a tirar fuori quel primo suono per dire “I am Matteo Belloni”. Sentivo quella lettera già “inceppata” in mente e la soluzione più congeniale mi sembrava di saltarla direttamente, pagando tutte le conseguenze di quella scelta.Anche se mentalmente il concetto mi era chiaro, ero altrettanto cosciente del fatto che non sarei riuscito a esprimerlo come volevo io! La maggior parte dei bambini inizia a sviluppare balbuzie tra i 2 anni e mezzo e i 3, anche senza nessuna causa evidente, e questo tipo di balbuzie detta “prescolare” può alle volte sparire col tempo senza particolari interventi. L’altra fascia d’età nella quale può apparire questa disfluenza comunicativa è quella della scolarizzazione, intorno ai 6-7 anni; in certi casi invece un trauma può fare apparire il disturbo anche in età adulta. Sebbene sia purtroppo una problematica poco conosciuta e soggetta a tabù di vario genere, la balbuzie colpisce oltre 70 milioni di persone nel mondo con un’incidenza molto maggiore nell’uomo rispetto alla donna (4:1). È proprio nelle aule scolastiche che il bambino balbuziente si accorge di essere “diverso” e, spesso, può cominciare ad essere soggetto di bullismo o autoesclusione sociale. Dalle risate dei compagni a scuola, alle bocciature all’università per “l’apparente impreparazione”, la balbuzie rappresenta una grossa limitazione nella vita privata e professionale di molte persone. Mi ricordo chiaramente alle elementari le prime letture in aula, quando la ripetizione continua di certe lettere o parole suscitava le risa della classe e un mio profondo imbarazzo. Alle scuole medie, con la crescita e nuove sfide, il problema è aumentato tanto da spingere alcuni professori a farmi svolgere prove scritte al posto di interrogazioni orali, con tutte le conseguenze psicologiche ed emotive correlate. Oltre a questa “attenzione non richiesta”, altri atteggiamenti mi mettevano a disagio, come ad esempio la noia che percepivo nel mio interlocutore o la voglia smisurata di anticiparmi e finire frasi e pensieri al posto mio. Le solite inutili frasi del tipo: “Parla piano! Respira! Calmati!” mi facevano sentire tutti gli occhi degli altri addosso e mi rendevano solamente ancora più consapevole della mia comunicazione traballante e insicura. È curioso, inoltre, che nell’intimità della mia camera ho sempre ripetuto a voce alta la lezione del giorno senza problemi, anzi mi piaceva ascoltare i miei suoni; con l’aumentare dell’ansia, ecco il presentarsi di blocchi e disfluenza. Al termine delle scuole medie tanti mi sconsigliarono addirittura di intraprendere il cammino delle lingue straniere, poiché chiaramente la comunicazione sarebbe stata centrale in questo ambito e il disturbo nel frattempo si faceva sempre più evidente. Io invece ho deciso diversamente…
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