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Ascoltiamo bambine e bambini anche con gli occhi e non soltanto con le orecchie 1

Ascoltiamo bambine e bambini anche con gli occhi e non soltanto con le orecchie

L’apprendimento dell’ascolto di bambini e bambine passa anche dall’ascolto da parte degli adulti, per questo è importante che genitori, educatrici e educatori sappiano ascoltare bene e diano il buon esempio

In genere si insiste sul fatto che i bambini e gli adolescenti dovrebbero ascoltare gli adulti. Il problema è molto antico: ne è testimone, ad esempio, Plutarco, filosofo vissuto tra il I e II secolo d.C., che sentì il bisogno di indirizzare al diciassettenne Nicandro uno scritto sull’arte di ascoltare, sottolineando la stretta relazione tra il saper ascoltare bene e il vivere bene. Nicandro aveva l’età nella quale il giovane romano deponeva la toga puerile per indossare la toga virile, momento di passaggio anche simbolico verso l’età adulta, che però esponeva al rischio di presunzione e di confusione: infatti, secondo il filosofo, ci sono giovani che nell’atto stesso di deporre la toga puerile, depongono anche ogni senso di pudore e di rispetto e, sciolto l’abito che li teneva composti, si riempiono subito di sregolatezza.

Plutarco non intendeva sostenere che un ragazzo dovrebbe ascoltare gli adulti perché questi ultimi hanno sempre ragione: al contrario, dal suo punto di vista è necessario imparare ad ascoltare bene, per essere in grado di distinguere in quel che viene detto gli argomenti fondati da quelli infondati. Il presupposto fondamentale è chiaro: i giovani hanno bisogno di ascoltare discorsi assennati, perché «è evidente che un giovane che fosse tenuto lontano da qualunque occasione di ascolto e che non assaporasse nessuna parola, non solo rimarrebbe completamente sterile e non potrebbe germogliare verso la virtù, ma rischierebbe anche di essere traviato verso il vizio, facendo proliferare molte piante selvatiche dalla sua anima, quasi fosse un terreno non smosso e incolto». Richiamando un modo di dire del tempo, Plutarco scrive che la natura ci ha dotato di due orecchie e di una lingua sola, «perché siamo tenuti ad ascoltare più che a parlare».

Da queste premesse consegue che gli educatori dovrebbero esercitare bambini e ragazzi non soltanto ad esprimersi correttamente, ma anche ad ascoltare in modo attento e critico gli altri e, in primis, gli adulti che fanno da maestri. E gli adulti? Non dovrebbero a loro volta impegnarsi per ascoltare ciò che i bambini e i ragazzi pensano e hanno da dire? Sono passati quasi duemila anni da quando Plutarco scrisse il suo trattato sull’arte di ascoltare ed è opportuno porsi anche queste domande che egli non prese in considerazione.

C’è un diritto ad essere ascoltati nella quotidianità che dovrebbe essere tenuto ben presente da tutti gli adulti, e in particolare in famiglia e a scuola. È un diritto che s’intreccia con il bisogno fondamentale d’attenzione e il cui esercizio effettivo permette ai bambini, tra l’altro, di allenarsi a esprimersi con sicurezza e di avere dei buoni esempi di quella pratica d’ascolto che ci si aspetta da loro.

Può sembrare un diritto scontato, ma non lo è se si prende sul serio quel che dicono talvolta bambine e bambini della scuola primaria. Ecco alcune voci, riportate fedelmente parola per parola: «Io a casa comunque ho dei problemi con la mia famiglia con i telefoni: c’è mia mamma che ci sta sempre attaccata, messaggia di continuo, dalla mattina alla sera, e poi mia sorella che chiede sempre il telefono per vedere i video. Alcune volte mi ruba pure la mia console per giocare»; «mia mamma succede che lei mi chiede una cosa, o io le chiedo una cosa, ma siamo incantati davanti allo schermo e io non la sento e lei non mi sente»; «mia mamma sta sempre attaccata al cellulare e poi, quando le dico una cosa, alcune volte si arrabbia perché deve messaggiare con la sua amica»; «i grandi non ti rispondono, perché hanno in mano il cellulare: noi siamo uguali ai grandi, perché quando utilizziamo il computer siamo sempre attratti e loro quando fumano sono sempre attratti dalla sigaretta; loro dicono a noi, però loro sono peggio di noi».

Lo sguardo distratto dagli schermi può impedire di dare l’ascolto di qualità che i bambini si aspettano e offre, al contrario, un esempio di disattenzione che dal punto di vista educativo può incidere e contraddire le eventuali esortazioni ad ascoltare gli adulti: su questo piano l’apprendimento non può che passare attraverso la reciprocità. Elide, una maestra di scuola primaria, mi ha raccontato che i suoi alunni hanno riflettuto sul diritto all’ascolto e hanno attribuito grande importanza al fatto di essere guardati mentre li si ascolta. Se sono arrivati a segnalare il deficit di sguardo come problema, evidentemente non si tratta per loro di una cosa scontata. L’indicazione che hanno dato ai loro genitori merita pertanto di essere inoltrata ai lettori di questo libro: ascoltiamo i bambini anche con gli occhi e non soltanto con le orecchie.

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