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I mini gialli dei dettati 2
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Metodo Montessori e anziani fragili Emozioni
Daniela Lucangeli approfondisce il tema della speranza dal punto di vista della psicologia spiegando quanto sia prezioso il suo ruolo, in particolare in questo periodo di pandemia
Durante l’autunno del 2020, mentre cercavo di fare un po’ di luce sulla «mente che sente» in relazione al periodo di pandemia, mi è arrivata una lettera meravigliosa da un signore di nome Giovanni, che mi ha spinta ad approfondire il tema della speranza. «Cara Prof., io sono un anziano disabile, non mentale. Da sempre sono in carrozzina, anzi credo di essere nato con questo mio prolungamento. Non ho mai camminato. L’esperienza del camminare non ce l’ho, eppure io ho fatto tanta strada. Non ho avuto figli ma sono stato maestro per 35 anni e ho accompagnato ogni mio allievo a essere se stesso, a imparare a fare da solo. Oggi purtroppo, ahimè per età, sono solo un osservatore alla finestra. Vedo la vita passare, la vedo inciampare e la vedo perdersi. Allora io, cara Daniela, le regalo la mia analisi: il malessere, il dolore della mente di cui lei parla, io lo conosco bene. L’ho temuto, ne sono scappato tante volte, l’ho affrontato e riaffrontato, ho lottato e ho vinto. Sotto e ancora più sotto, alle fondamenta di questo dolore sta la mancanza di speranza. È lì che si deve cercare la causa del vuoto di luce che ci sta disorientando tutti. Accenda un po’ di consapevolezza nuova sulla speranza!» Ho accolto volentieri l’invito accorato di Giovanni e ho cercato di indagare sull’argomento. Molte sapienze si sono occupate della spes, la parola latina per chiamare la speranza. Nella ricerca scientifica non c’è, invece, una definizione univoca del concetto di speranza. C’è anzi una sorta di diatriba: che cos’è la speranza? Perché noi la proviamo? È un’emozione? Diremmo che ci assomiglia, in effetti; eppure gli studi che se ne occupano da un punto di vista neurofisiologico dicono che non si tratta di una vera e propria emozione, perché non ha le caratteristiche tipiche di attivazione neurofisiologica. Potremmo in un certo senso dire che i sentimenti (come l’amore o l’amicizia) indicano uno stato del sentire che si prolunga per tanto tempo nella nostra vita, mentre le emozioni uno stato del sentire istantaneo. Potrebbe sembrare, allora, che la speranza sia un sentimento. Ma anche ammettendo che sia così, questa classificazione è davvero sufficiente? Negli anni Novanta anche Charles Richard Snyder, esponente degli studi di Psicologia positiva, ha cercato (forse per primo) di fare un po’ di ordine negli studi sulla speranza, lavorando alla Theory of hope. Secondo questo ricercatore, la speranza appartiene al costrutto della motivazione, il che equivale a dire che la speranza è una molla che ci spinge ad agire, ma non come se noi fossimo passivi: ci attrae a sé in maniera proattiva. Secondo Snyder, le due qualità principali della speranza sono l’agentività (io sono agente della mia speranza) e il potere di procedere: io non soltanto agisco per raggiungere la speranza di qualcosa, ma so cambiare strada se vedo che mi sto allontanando dall’obiettivo, perché non posso perdere la speranza. Dopo esserci domandati che cosa sia, dobbiamo chiederci: come ci fa sentire la speranza? Mary, una bambina di sette anni, risponde con queste parole: «Quando le speranze mi finiscono capita che piango di tristezza, ma quando ritornano capita che mi sento guarita». Noi, in sintesi, assumendo un punto di vista psiconeurobiologico, possiamo rispondere affermando che chi spera è più resistente alla frustrazione, è più resiliente, prova meno stress, ha maggiore flessibilità psichica e comportamentale, ha maggiore adattabilità, ha maggiori capacità prosociali ed è più facilmente benvoluto dagli altri, oltre a piacere a se stesso…
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Metodo Montessori e anziani fragili Genitori e figli
Alcuni esperti di psicologia ed educazione, da Franco Lorenzoni a Daniele Novara, da Alberto Pellai a Giuliana Franchini a Giuseppe Maiolo, offrono suggerimenti e spunti di riflessione per affrontare il tema della guerra con i più piccoli
Dal 24 febbraio scorso, attraverso fotografie, video, servizi, la guerra è entrata nei discorsi quotidiani e nei pensieri di tutti noi. Così come è entrata negli occhi e nella mente di noi adulti, è entrata anche negli occhi e nella mente dei più piccoli, ossia di coloro che hanno meno strumenti, sia dal punto di vista cognitivo che da quello emotivo, per difendersi dal dolore e dalla devastazione che un evento tragico come la guerra provoca, anche quando non la si vive direttamente sulla propria pelle. Siamo stati in tanti a chiederci fino a che punto sia giusto parlare di guerra con i bambini e soprattutto come farlo in modo corretto, evitando di spaventarli e turbarli ulteriormente e allo stesso tempo senza dare loro certezze che potrebbero rivelarsi false. In questi giorni vari esperti di educazione, didattica e psicologia si sono espressi su questo argomento. Qui di seguito abbiamo raccolto alcuni dei loro interventi più significativi. Ve li proponiamo in sintesi. Franco Lorenzoni: «È importantissimo parlare di guerra con i bambini, ascoltandoli e dando valore al loro pensiero” Franco Lorenzoni, maestro elementare per quarant’anni e fondatore della Casa-laboratorio di Cenci ad Amelia, non ha dubbi: di guerra con i bambini è importantissimo parlare, perché i bambini «sono in grado di affrontare grandi temi a qualsiasi età». L’importante è “farlo insieme”, dandosi tempo, «ascoltarli con attenzione per poter affrontare le loro ansie e timori e per riuscire a dare valore al loro pensiero, dialogando con loro». Il dialogo e il confronto sono ancora più importanti laddove c’è una paura da affrontare, continua il maestro Lorenzoni: «Proprio perché la guerra è una cosa che spaventa, che fa paura, bisogna cercare di elaborare insieme la paura. Non dimentichiamo mai che la guerra è il modo più osceno in cui si palesa ai loro occhi la follia del mondo adulto che, invece di rassicurarli, li terrorizza». Alla domanda su come rispondere agli interrogativi dei bambini sulla guerra, Lorenzoni suggerisce la strada della sincerità, anche ammettendo di non essere noi stessi in grado di capire certe cose: «Siamo tutti di fronte a qualcosa di difficilmente comprensibile perché anche noi adulti non sappiamo esattamente perché è scoppiata questa guerra e, soprattutto, come andrà a finire. Credo che confrontarsi con il tema dell'incertezza, ammettendo le nostre difficoltà, appartenga a pieno titolo all'educare alla complessità, oggi». L’intervista completa di Franco Lorenzoni a “la Repubblica” è disponibile al seguente link. Daniele Novara: «Parliamo di guerra ai bambini dai 9-10 anni, prima sono troppo piccoli, occorre proteggerli» La pensa in maniera un po’ diversa da Lorenzoni il pedagogista Daniele Novara, che è anche fondatore del Centro psicopedagogico per l'educazione e la gestione dei conflitti, secondo il quale è opportuno iniziare a parlare di guerra ai bambini nella seconda infanzia, a partire dal 9-10 anni: «Prima vanno in qualche modo protetti: la guerra è per fortuna qualcosa di distante dal loro immaginario e bisogna evitare di farla entrare nelle loro emozioni infantili. I bambini non andrebbero esposti alle immagini di distruzione e di morte. Ancor più se soli, abbandonati davanti alla tv senza filtri o protezioni». Un errore importante da evitare di commettere secondo Novara è quello di paragonare i litigi dei bambini ai conflitti bellici: «Creare questa assurda correlazione tra il litigio infantile - un comportamento normale, innocente, naturale, legato al gioco - e un evento così tragico, devastante e irreversibile, come quello della guerra, è l'errore principale che possiamo fare: è terrorismo educativo. Piuttosto è imparando a litigare che si imparano a gestire i conflitti». L’intervista completa a Daniele Novara si può leggere nell’articolo de “la Repubblica” Alberto Pellai: «Anche nei giorni di tempesta noi adulti dobbiamo saper essere base sicura per i nostri bambini» Alberto Pellai, medico psicoterapeuta, ricercatore e scrittore, sottolinea l’importanza di trasmettere un senso di vicinanza e sicurezza ai bambini: «Per i bambini vedere immagini di guerra è destabilizzante e traumatizzante. I piccoli vanno rassicurati e tranquillizzati perché non riescono a proteggersi da soli, sono completamente dipendenti dagli adulti che si occupano di loro. Bisogna mostrare loro un mondo che riesce ad accogliere i bambini in fuga dalla guerra, facendo vedere come in questa parte del mondo i bambini riescono a diventare anche salvatori di altri bambini». Alberto Pellai suggerisce di far diventare la guerra una narrazione attraverso cui si costruisce la pace, perché l’unica educazione a cui hanno diritto i bambini è quella alla pace, come ci ricorda anche Gianni Rodari nella poesia “Promemoria” ( “Ci sono cose da non fare mai, né di giorno né di notte, né per mare né per terra: per esempio, la guerra”). L’intervista ad Alberto Pellai ripresa qui è stata rilasciata nella puntata del 5 marzo 2022 del programma “Le parole” di Massimo Gramellini su RAI3. Giuliana Franchini: «Chiediamo ai bambini come si sentono e stimoliamoli a condividere con noi le loro ansie e le loro paure» Giuliana Franchini, psicoterapeuta infantile, ha pubblicato un video assieme al marito Giuseppe Maiolo, psicoterapeuta a sua volta, per aiutare i genitori ad affrontare il tema della guerra in Ucraina insieme ai propri bambini, evitando di traumatizzarli (“Come raccontare la guerra in Ucraina ai bambini: il video”, pubblicato sul sito del Giornale di Brescia). Secondo la psicoterapeuta, la cosa più importante da fare è non lasciare i bambini da soli a vedere le immagini di distruzioni, sparatorie ed esplosioni diffusi a profusione dai servizi di informazione. Questo perché fino agli 8 anni i bambini non hanno ancora elaborato bene il concetto di morte, perciò non sono in grado di affrontare questi argomenti senza un accompagnamento adeguato da parte degli adulti. Un altro suggerimento della psicoterapeuta è quello di chiedere ai bambini come si sentono, soprattutto se sono taciturni. «Bisogna riuscire a rassicurarli senza appesantirli con i nostri pensieri e le nostre angosce di adulti. Risulta fondamentale accogliere le loro preoccupazioni e il loro dolore, aiutarli ad esprimere ansie e paure, che non sono emozioni negative da tenersi dentro e nascondere, ma sentimenti che vanno elaborati e trasformati».
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Metodo Montessori e anziani fragili ADHD DOP e altri disturbi del comportamento
Come fissare regole efficaci e adeguate per i bambini con difficoltà comportamentali nella prima infanzia
Le difficoltà comportamentali sono spesso solo un piccolo frammento delle sfide che affrontano giornalmente bambini con disturbi nella regolazione del comportamento, mentre sono più significative le ricadute determinate dalle esperienze negative sulla costruzione di se stessi: percezione di inadeguatezza ed esclusione, bassa autostima, identificazione con ruoli negativi. Fin dalla scuola dell’infanzia le caratteristiche di iperattività, impulsività e disattenzione possono interferire con un sereno adattamento al contesto e creare condizioni di disagio.  La situazione può migliorare però quando il bambino coglie la possibilità di autodeterminarsi in un ambiente sufficientemente fermo e supportivo. La strada maestra per promuovere una crescita armonica è la costruzione di un ambiente inclusivo nel quale ognuno abbia il proprio spazio e possa sentirsi valorizzato con una progettazione personalizzata e calibrata. Naturalmente per poter convivere con sensibilità e caratteri molto diversi all’interno del contesto scolastico è necessario stabilire delle regole.  Ma come fare in modo che queste regole vengano rispettate? Le regole aiutano a ridimensionare il senso di onnipotenza tipico di questa età e forniscono un senso di protezione: i bambini necessitano di sapere quali sono i limiti prestabiliti all’interno dei quali possono muoversi e per loro è importante sentire che l’adulto ha il controllo della situazione. Talvolta però i bambini non rispettano le regole perché non le hanno ancora comprese, altre volte invece perché il comportamento è più veloce del pensiero. Già nel momento in cui le regole vengono stabilite è importante che abbiano determinate caratteristiche per rendere possibile ai bambini capire come rispettarle e agli educatori come farle rispettare.  Le regole dovrebbero quindi essere: chiare e visibili: devono essere comprensibili, espresse in positivo e orientate a comportamenti concreti; poche e monitorate in modo sistematico;  fisse e adeguate: se i limiti cambiano costantemente, il bambino si sente disorientato, così come se non rispondono alle sue esigenze; buone: anche le regole possono avere un’anima, impersonate il valore di ogni regola. Intervenire in ciascuno di questi casi senza farsi sopraffare dalle emozioni del momento può non essere facile, ma vengono in aiuto i consigli degli esperti: Non demordete! A volte dobbiamo avere fiducia e insistere con pazienza, perché i piccoli imparano anche con la ripetizione. Rimanete calmi e fermi! I bambini riconoscono nella forza di volontà dell’adulto un modo per rafforzare la loro. Curate i messaggi non verbali! Monitorate i vostri messaggi non verbali per assicurarvi che la regola arrivi ai bambini in modo chiaro e contenitivo. Siate coesi e coerenti! Confrontatevi all’interno del vostro gruppo di lavoro e stabilite regole condivise.
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Metodo Montessori e anziani fragili Adolescenza
Un romanzo di formazione di Loris Taufer, rivolto agli adolescenti, letto e interpretato in chiave pedagogica da Sara Franch, Ricerca e Sviluppo Erickson
Nel volume “Le radici nascoste – Viaggio filosofico di un adolescente”, definito “un libro ibrido, a metà tra un romanzo di formazione e un saggio di filosofia” (Daniele Benfanti, “Viaggio filosofico di un adolescente. Loris Taufer ritorna sul tema dei giovani”, L’Adige, 25 settembre 2022)l'espediente narrativo è l'incontro tra un adolescente, Leonardo, e un saggio, esperto di filosofia. Molte sono le chiavi di lettura per quest’opera che alterna capitoli filosofici, a capitoli di carattere storico-narrativo. Qui vorrei fornire una lettura pedagogica, e lo farò attraverso alcune parole chiave, alcuni concetti trattati nel libro e che mi sembrano particolarmente rilevanti per la scuola e per i processi di insegnamento ed apprendimento che essa innesca.  Riconoscere di non sapere  Citando Aristotele, il saggio sottolinea come la meraviglia, lo stupore, la curiosità nei confronti delle cose e di ciò che succede siano alla base di ogni atteggiamento di ricerca, e direi anche di apprendimento. Per provare stupore e meraviglia è necessario assumere una distanza dalla realtà, un atteggiamento critico che rende la realtà ‘problema’, questione, davanti alla quale si riconosce di non sapere. La meraviglia è quindi intesa come un atteggiamento di apertura, di ricerca, di disponibilità alla messa in gioco radicale – di sé stessi e del senso comune. Citando Socrate, il saggio dice il sapiente è “chi sa di non sapere, cioè colui che non pretende di essere in possesso, in maniera più o meno dogmatica, di salde certezze sulla vita”. E poi sottolinea, in un passaggio molto bello, la centralità del porsi domande, del non dare tutto per scontato, dell’essere curiosi: sono convinto che l’importante, nella vita, sia saper porsi delle domande; riuscire a formularle nella loro giusta rilevanza, in modo che non venga dato tutto per scontato, in maniera banale e uniforme. Far sì che ciò che accade non scivoli via in modo acritico, come l’acqua piovana che scorre sulle foglie, opporre resistenza, nel senso di sollevare degli interrogativi: questo mi sembra un modo significativo di vivere, esercitando fino in fondo la nostra capacità umana di voler conoscere, di essere curiosi intorno al mondo e alla nostra esistenza (pp. 243-244) Questo atteggiamento, in ambito scolastico, ritengo sia importante sia per studenti e studentesse, ma anche per l’insegnante, che quindi riconosce di non sapere, si interroga, e assume il ruolo di levatrice, che Socrate attribuisce a sé stesso. Come la levatrice aiuta le donne a partorire, così l’insegnante non riempie la testa di studenti e studentesse di nozioni, ma attraverso il dialogo, cerca di stimolarli a indagare, porsi domande, ragionare e riflettere criticamente. Connettere conoscenza e coscienza Una dimensione importante dell’apprendimento è la conoscenza, che secondo il saggio presuppone una dimensione attiva: non è qualcosa che ci cade addosso, ma richiede una dimensione del fare, una prassi. Il saggio illustra come conoscenza e prassi siamo collegate. È importante acquisire e coltivare la conoscenza, la dimensione teoretica, ma è necessario collegarla ad una dimensione pragmatica, relativa all’azione. E poi il saggio fa un ulteriore passo e collega la conoscenza ad una dimensione etica. Conoscenza, prassi e coscienza, nella proposta del saggio, sono quindi strettamente connesse. Facendo riferimento al pensiero di Hanna Arendt, il saggio sottolinea l’importanza del dialogo con sé stessi per sviluppare coscienza e pensiero critico: questo dialogo proprio a partir da sé stessi è ciò che costituisce la nostra coscienza ed è anche essenziale per potersi formare un’opinione personale, non subordinata a verità uniche e metafisiche. Senza quel dialogo e quella coscienza il nostro fare sarebbe qualcosa di irriflesso, obbedirebbe a logiche esterne, a verità rivelate che dovremmo soltanto subire (p. 171) Ritengo che l’insegnante possa creare per i suoi studenti e le sue studentesse spazi di auto-riflessione, di dialogo con sé stessi per aiutarli a sviluppare non solo la propria coscienza ma anche un’opinione personale. Ciò permette di coltivare in loro una resistenza ad accogliere verità uniche, storie uniche, ideologie.  Decentrarsi nella complessità La complessità della realtà richiede la capacità di decentrarsi, tenere assieme le contraddizioni e la pluralità dei punti di vista. Il saggio incoraggia Leonardo a cercare, nelle sue riflessioni, di non mettere al centro solo sé stesso, ma anche i punti di vista degli altri, dell’altro con cui ci si confronta. Lo stimola ad avere un atteggiamento di apertura verso idee che all’apparenza sono in contraddizione tra loro. Attraverso la trattazione del pensiero di Hannah Arendt, illustra poi l’importanza di assumere un atteggiamento attento alle differenze e alla pluralità, che tiene insieme le contraddizioni e rende “più debole la certezza ideologica del proprio punto di vista”: bisogna mettere fra parentesi l’assolutezza delle proprie posizioni ideologiche e riconoscere realmente, e fino in fondo, la diversità delle differenti opinioni politiche. E non solo. Si tratta inoltre di capire che la pluralità è “insita in ogni essere umano” (p. 133) La scuola può giocare un ruolo nello sviluppare in studenti e studentesse un atteggiamento che tiene assieme punti di vista diversi, che non prende subito delle prese di posizione precise, unilaterali, ma mira a cogliere la complessità del reale, la ricchezza che sta nella pluralità dei punti di vista. Questo è fondamentale data la complessità del mondo contemporaneo. Interesse per le questioni del mondo Connessa alla capacità di decentrarsi è il sentirsi responsabili di ciò che accade nel mondo, nella comunità in cui si vive innanzitutto ma anche a livello più ampio, più globale. Il saggio stimola Leonardo a riflettere sulla nostra dimensione politica, sul nostro io sociale che ci caratterizza e completa come esseri umani. Ho trovato molto interessante il passaggio in cui il saggio spiega a Leonardo che per capire che cosa sia la politica è necessario fare i conti innanzitutto con una dimensione prepolitica fatta di sentimenti, emozioni, valori, ideali, sogni, utopie. Lo chiama un substratum, che è alla base del nostro essere e agire come cittadini e cittadine all’interno di una collettività, di una comunità. Il saggio evidenzia sia la dimensione individuale sia quella comunitaria della politica. E ciò rimanda all’etica e alla morale. Secondo il saggio, infatti, “la politica non può fare a meno di intrecciarsi con la dimensione etica”. Mi è piaciuto molto un passaggio in cui il saggio spiega a Leonardo perché è importante per i giovani come lui interessarsi di politica e occuparsi dei problemi degli altri, della collettività di cui fanno parte, sia essa la comunità locale in cui si vive o il mondo intero. Lo fa raccontando l’esperienza dei movimenti del ’68 e degli anni successivi: l’esperienza da me fatta in quegli anni … mi ha lasciato qualcosa di fondamentale: la capacità di indignarsi contro le ingiustizie, senza alcuna stanchezza o rassegnazione, e il senso di responsabilità verso la comunità a cui appartengo e verso il mondo….Per me la politica è fare i conti, in maniera empatica e progettuale, con il destino degli uomini e delle comunità; si caratterizza anche per il suo aspetto utopico da una parte e realistico dall’altra (pp. 133-134) La scuola, attraverso l’educazione alla cittadinanza, impostata come disciplina trasversale, può svolgere un ruolo importante nel coltivare in studenti e studentesse, indignazione di fronte alle ingiustizie, senso di responsabilità, e capacità di agire nelle comunità di appartenenza.  In conclusione, leggendo il libro ho pensato che l’approccio filosofico proposto potrebbe proprio caratterizzare l’insegnamento di tutte le discipline, non soltanto la filosofia. E ho provato a sintetizzare l’approccio in quattro dimensioni: comunità di apprendimento didattica maieutica abilità di pensiero cittadinanza globale Comunità di apprendimento Il saggio crea una relazione con Leonardo, coinvolgendo anche altre persone. Di fatto crea una comunità di apprendimento. La creazione di un clima di classe favorevole e di sostegno, di una comunità, è un prerequisito cruciale dell’apprendimento. Ciò significa creare un ambiente in cui bambine, bambini e adolescenti possano soddisfare i bisogni di appartenenza, accudimento e riconoscimento del proprio valore. Dove si sentano sicuri, accettati, inclusi. Significa anche creare un ambiente sicuro ed equo dove si può discutere liberamente, si può esprimere il proprio pensiero, la propria opinione. Ma dove si riconosce anche che la libertà di parola deve essere temperata dal rispetto per i diritti dell’altro.  Didattica maieutica Il saggio dialoga con Leonardo, lo stimola a mettere in relazione la conoscenza con la sua esperienza. Di fatto mette in atto una didattica maieutica. A scuola è importante adottare pratiche di insegnamento partecipative ed incentrate su chi apprende. Rendere i temi che vengono trattati in classe rilevanti per alunni e alunne e pertinenti alle loro vite. Adottare metodologie che valorizzino l’esperienza e le conoscenze pregresse.Offrire occasioni e strumenti per la riflessione individuale e collettiva in modo che studenti e studentesse esaminino le proprie opinioni, i meccanismi con cui si creano, ma anche i propri valori, le proprie emozioni, i propri sentimenti. Suscitare interesse reciproco e sviluppare la capacità di cogliere i punti di vista degli altri. Facilitare lo sviluppo di capacità discorsive e argomentative. Elementi chiave di una didattica maieutica sono: Indagine: adottare un modello di insegnamento basato sull'indagine, che stimola studenti e studentesse a formulare domande, ad investigare, piuttosto che fornire risposte alle domande dell’insegnante; Dialogo: dare spazio alla discussione, strutturata come dialogo, piuttosto che dibattito. Nel dialogo, l'obiettivo è ascoltare, imparare dal punto di vista degli altri e capire più a fondo. Il dibattito invece tende a polarizzare in quanto si concentra sul dimostrare che si ha ragione e che l'altra persona/gruppo ha torto.  Auto-riflessione: strutturare spazi ed occasioni per assumere ed allenare un atteggiamento riflessivo e autocritico, capace di mettere in discussione le proprie prospettive e posizioni Abilità di pensiero Il saggio stimola Leonardo a fermarsi, a riflettere, ad approfondire, e di fatto tenta di affinare le abilità di pensiero di Leonardo. Dare l’opportunità ad alunni ed alunne di sviluppare abilità di pensiero risulta fondamentale per una scuola che assolve alla funzione di educare. La scuola che insegna a pensare offre ad alunni e alunne l’opportunità di sviluppare ed allenare quattro tipi di pensiero: 1. Il pensiero attento, cioè la capacità di ascoltare in modo concentrato e attento, di valorizzare e apprezzare il contributo di altre persone (dimostrare interesse e sensibilità verso le opinioni, le esperienze ed i valori degli altri); 2. Il pensiero critico, cioè la capacità di porsi domande e interrogarsi, ragionare, collegare, valutare (ricercare significati, ragioni, evidenze, elementi distintivi, giudizi validi); 3. Il pensiero creativo, cioè la capacità di collegare e mettere in relazione concetti e idee, suggerire e immaginare (fare comparazioni, esempi, proporre spiegazioni o idee alternative); 4. Il pensiero collaborativo, cioè la capacità di comunicare, rispondere, supportare e conciliare (costruire sulle idee degli altri, mediare, dare forma a posizioni condivise).  Cittadinanza globale Il saggio stimola Leonardo ad occuparsi di politica, ad interessarsi alle questioni del mondo. Di fatto ad esercitare la cittadinanza. Al centro dell’attenzione della scuola e delle altre realtà educative ci sono persone che stanno crescendo e «imparando a vivere» in un mondo globale, interconnesso e interdipendente. La pandemia da Covid 19 e la guerra in Ucraina ci hanno reso oggi più consapevoli che mai che uno shock o una crisi in una parte del mondo ha ripercussioni dirette ed indirette a livello planetario, sulla vita di persone a migliaia di chilometri di distanza. Il locale e il globale sono intrecciati e i processi globali influenzano tutte le comunità. Tutto ciò suona molto moderno ed attuale. Eppure, più di 50 anni fa, Martin Luther King l'aveva già capito. La Vigilia di Natale del 1967, pochi mesi prima del suo assassinio, disse: “tutta la vita è interconnessa. Siamo tutti presi in una rete ineluttabile di mutualità.... prima che tu finisca di fare colazione al mattino, avrai fatto affidamento su più di metà del mondo”. Ecco, quindi, che capiamo come la nostra vita quotidiana, a partire da un semplice atto come il fare colazione al mattino, sia intrecciata alla vita di persone che vivono a migliaia di km da noi. Di fronte a ciò la scuola ha un ruolo nell’educare alla cittadinanza globale, formando cittadine e cittadini che comprendono le questioni globali, regionali, nazionali e locali e sono consapevoli dell’interazione e interdipendenza dei diversi Paesi e dei diversi popoli. Cittadini e cittadine con una mentalità globale, che sentono di appartenere ad una comune umanità, dimostrano rispetto per le differenze e l’alterità e sono consapevoli dei modi in cui loro e le loro nazioni sono implicati in problemi locali e globali. Cittadini e cittadine che credono nella giustizia sociale, nell’equità e nella sostenibilità e sono disposti ad impegnarsi per costruire relazioni etiche all’interno di comunità a livello locale e globale, salvare e proteggere il pianeta e portare il proprio contributo alla realizzazione di un mondo più equo, giusto e sostenibile.  .me-text ul li { font-size: 22px; line-height: 34px; }
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Partendo dalla nota metafora di Gianni Rodari, un progetto ludico con tre attività da provare con bambini e ragazzi
Avete mai provato a gettare un sasso in uno stagno? E a lanciarlo con la giusta angolatura? Cosa accade? Immaginate. La metafora del sasso nello stagno è uno dei passaggi più rappresentativi di quel grandissimo inventore di storie che è stato Gianni Rodari. Si trova nella sua Grammatica della fantasia, miniera stracolma di giochi e idee per inventare storie, per entrare dentro le parole o sorridere delle connessioni più strane, per dare libertà al pensiero. L’idea che proponiamo qui è semplice: trasformare la metafora di Rodari in un progetto ludico, partendo dalle sue parole. «Un sasso gettato in uno stagno suscita onde concentriche che si allargano sulla sua superficie, coinvolgendo nel loro moto, a distanze diverse, con diversi effetti, la ninfea e la canna, la barchetta di carta e il galleggiante del pescatore. Oggetti che se ne stavano ciascuno per conto proprio, nella sua pace o nel suo sonno, sono come richiamati in vita, obbligati a reagire, a entrare in rapporto tra loro [...]. Non diversamente una parola, gettata nella mente a caso, produce onde di superficie e di profondità, provoca una serie infinita di reazioni a catena, coinvolgendo nella sua caduta suoni e immagini, analogie e ricordi, significati e sogni, in un movimento che interessa l’esperienza e la memoria, la fantasia e l’inconscio». Questo è il punto di partenza per la nascita di una storia, un’improvvisa origine creata da connessioni impreviste, un ricordo, un sapore, ma anche un gioco continuo di rimandi e di ricerche, basti pensare a tutto il lavoro di ricerca dell’OuLiPo, con Perec, Queneau e Calvino in prima linea È anche molto utile riflettere sul fatto che il nostro cervello si è evoluto in modo tale da essere sollecitato dalle narrazioni, dalle storie che in qualche modo riescono a coinvolgerci anche emotivamente. Ascoltare un semplice elenco di informazioni attiva principalmente le aree dove si elabora il significato delle parole, mentre quando le stesse informazioni sono narrate il nostro cervello si comporta come lo stagno di Rodari: crea un numero di connessioni maggiori e attiva anche le aree connesse alle emozioni. Tre attività da provare In questo percorso esperienziale e ludico proponiamo tre attività che abbiamo scelto attivando la procedura rodariana, cioè evocando nella nostra mente giochi, ricordi, emozioni che possano raccontare il sasso e lo stagno. Rimbalzello Iniziamo in modo letterale e scientifico con il «rimbalzello», un classico da fare all’aperto e dinanzi a uno specchio d’acqua. Si tratta del lancio che, invece di far affondare il sasso, lo fa rimbalzare più e più volte sull’acqua. Quante volte l’avete provato? Esiste anche un record del mondo di oltre 50 balzi. Una sfida che mette alla prova i partecipanti, sia verso se stessi che verso gli altri. Quanti rimbalzi farà il sasso? Vince chi raggiunge il numero più alto. Il rimbalzello però è anche un gioco utile da approfondire perché si trasforma in un’esperienza scientifica da raccontare. È infatti l’approccio scientifico che ci spiega che l’acqua, se viene «colpita» da un oggetto a grande velocità, tende a comportarsi come un solido. Nel caso del sasso che rimbalza, però, oltre alla velocità è necessario che l’impatto crei un angolo tra i 20° e i 45°, altrimenti il sasso affonda, e naturalmente conta anche la forma e il peso. Tutte queste informazioni trasformano il gioco in esperimento, l’esperienza ludica diventa fondamentale perché attiva la curiosità, la ricerca e la narrazione scientifica. Tornando a Rodari, il sasso che rimbalza rappresenta la parola che si sposta da una mente all’altra, creando sia cerchi concentrici e connessioni in un cervello, che connessioni tra i vari cervelli. Stagno in casa La seconda attività che vi proponiamo è lo «stagno in casa», che associa ricerca e narrazione attraverso una rappresentazione fisica delle onde concentriche. Ogni partecipante prepara un grande foglio di carta su cui disegna un centro e intorno cinque cerchi concentrici ben distanziati. Si sceglie un oggetto comune a tutti da porre al centro del foglio, ad esempio un bicchiere, e si inizia la ricerca. L’obiettivo è quello di trovare, a casa, dei piccoli oggetti che possano essere collegati l’uno all’altro seguendo i cerchi: ad esempio si potrebbero prendere degli occhiali, che colleghiamo al bicchiere perché sono entrambi di vetro; l’oggetto successivo si deve collegare agli occhiali. Ogni oggetto deve stare sopra un solo cerchio, rispettando la sequenza. Le connessioni possono essere dettate dalla logica, ma possono anche attraversare momenti personali, ricordi, esperienze. Completata la ricerca si fa una foto allo stagno in casa e si passa alla narrazione e all’invenzione delle storie. Ogni partecipante condivide la propria immagine con gli altri, che potranno interpretarla e raccontare le connessioni che vedono, creando legami spesso diversi da quelli originari, con libertà d’invenzione e immaginazione. Alla fine il giocatore potrà, se vuole, raccontare la storia originaria delle sue connessioni. Catena di parole Per la terza proposta vi facciamo una domanda: che relazione c’è tra le parole storie e roseti? Prima di andare avanti, coprite la pagina per un minuto e cercate la soluzione. Bene ora siamo pronti per spiegare le regole della «catena di parole», un gioco legato al mondo dell’enigmistica. Ogni giocatore crea una sequenza di parole in modo che ognuna sia collegata alla successiva perché modifi cata attraverso un cambio lettera, un’aggiunta di lettera, una lettera in meno, un anagramma o altri cambi enigmistici. Successivamente fa vedere le parole agli altri giocatori, evidenziando la prima e l’ultima parola e mischiando le altre: lo scopo è quello di ricostruire la sequenza esatta, vince chi riesce per primo. Provate anche voi con queste parole: sasso, sconto, contro, scosto, mosso, scosso, scontro, masso, smosso, tronco. Le parole di ogni sequenza possono poi essere utilizzate per creare una storia, con il solo vincolo che devono comparire poco per volta, seguendo la successione esatta della catena. Tre diversi modi per osservare da punti di vista il sasso nello stagno: quello della scienza che diventa esperienza, gioco e narrazione; poi quello delle relazioni, dei ricordi, delle connessioni personali e della loro interpretazione; infine, quello più logico enigmistico, che può dare vita a una storia finale. Tre attività che hanno al centro le parole, i loro usi, la loro forza, e che, per finire, ci fanno pensare a una frase fondamentale di Gianni Rodari: «Tutti gli usi della parola a tutti non perché tutti siano artisti, ma perché nessuno sia schiavo». Questo articolo è tratto dalla rubrica “Gioco da maestro” pubblicata sul numero di novembre 2020 della rivista DIDA
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Letture consigliate a bambini, ragazzi e adulti per conoscere meglio il web e renderlo un posto più sicuro
Il secondo giorno della seconda settimana di febbraio, ogni anno, ricorre il “Safer Internet Day”: una giornata che ha l’obiettivo di promuovere un utilizzo più sicuro e consapevole del web, incoraggiando, in maniera particolare, i giovani di tutto il mondo ad avere un ruolo attivo e responsabile per fare di Internet un posto sicuro e positivo. Quest’anno il “Safer Internet Day” cade il 7 febbraio. In occasione di questa giornata, diamo il nostro contributo all’impegno per una rete più sicura con una selezione di libri dal nostro catalogo: letture rivolte sia ai ragazzi che agli adulti, che possono aiutare a comprendere meglio i meccanismi della Rete e sensibilizzare tutti per un utilizzo del web più consapevole e positivo. Scopri i titoli consigliati: .image-carousel-container{ width:60%;} .mondo-erickson .banner-container [class^='banner-lev'] { position: relative; width: 60%; } @media (max-width:767px){ .image-carousel-container{ width:100% !important;} .mondo-erickson .banner-container [class^='banner-lev'] { position: relative; width: 100%; } }
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