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L’aula di sostegno esiste ancora ed è una realtà tutt’altro che inclusiva

Annamaria Giarolo, pedagogista e formatrice, spiega come l’aula di sostegno, ancora molto diffusa nelle scuole italiane, sia spesso legata a sentimenti di esclusione, sia per gli alunni che per l’insegnante, anche laddove utilizzata in piccolo gruppo

L’auletta di sostegno, diversamente chiamata a seconda delle scuole, degli insegnanti, dei contesti più o meno attenti agli aspetti della relazione e della comunicazione, al di là del nome, rimane ed è una realtà presente in buona parte delle nostre scuole. Resta il fatto che quell’auletta tutto è fuorché inclusiva. Anche quando la si utilizza con il «piccolo gruppo», soprattutto se quell’insieme ridotto di alunni è formato solo da chi è in difficoltà, rimane una modalità che separa e non include affatto.
Spesso accade che si tratti di veri e propri ripostigli, a volte anche di spazi antibagno, sottoscala, corridoi o atrii di passaggio, a volte, quando va meglio, sono aulette, sempre di dimensioni ridotte rispetto all’aula, attrezzate con strumenti e arredi particolari, con lavagna, banchi e scaffali. A volte questi spazi sono condivisi da più alunni in momenti diversi, a volte rigorosamente riservati, con tanto di cartello sulla porta d’ingresso che ne impedisce l’utilizzo a chi non è «speciale».

C’è chi ha pensato di superare il problema denominando l’aula VSP «Very Special People», costruendo una vera e propria aula alternativa frequentata soltanto da tre o quattro alunni, presi da classi diverse, seguiti dall’insegnante di sostegno. Ha quindi formato un piccolo gruppo con tempi che vanno dall’intera mattinata scolastica ai tre quarti delle ore di lezione previste. Gli insegnanti di classe talvolta non si ricordano nemmeno più di avere in elenco anche quegli alunni e, dal canto loro, gli alunni «VSP» si rifiutano di ritornare nelle loro classi di appartenenza. Accade anche che l’insegnante di sostegno, orgogliosa, esibisca tanto successo nell’aver creato un gruppo dove gli alunni con disabilità stanno così bene con lei!

Certo, abbiamo narrato una situazione limite che, purtroppo, riflette una realtà ben diffusa nelle nostre scuole, dall’Infanzia alla Secondaria. I conti poi vanno fatti anche con i genitori degli alunni con disabilità, soprattutto con quelli che non hanno una gravità, che, al passaggio di scuola, non vogliono più l’insegnante di sostegno perché vivono sulla pelle dei loro figli quel senso di emarginazione sociale che si ripercuote poi nella solitudine alle feste di compleanno, alle gite scolastiche, ai tornei sportivi. Ogni cosa si riversa nei contesti di vita e diventa un’etichetta ingestibile oltre che indelebile. Eppure, l’indicazione di allestire un’auletta a parte per le attività di sostegno non la troviamo in nessun articolo della Normativa italiana, tantomeno nelle direttive che riguardano l’inclusione di alunni con Bisogni Educativi Speciali.

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