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I mini gialli dei dettati 2
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L’osservazione dei bambini al nido e alla scuola dell’infanzia è fondamentale eppure poco praticata

Una psicologa e formatrice spiega l’importanza dell’osservazione professionale di bambine e bambine durante il nido e la scuola dell’infanzia: un processo che va costruito un po’ alla volta in maniera condivisa

Da vent’anni pongo le stesse domande alle educatrici dei nidi d’infanzia che incontro nei corsi di formazione, e da vent’anni ottengo invariabilmente le stesse risposte. Prima domanda: «L’osservazione è importante per la vostra professione?». La risposta che ottengo generalmente è: «Certo, è una necessità!»; «È evidente!»; «È indispensabile per rispondere ai bisogni dei bambini!». Quindi rivolgo un’altra domanda: «E voi la praticate?». Colpisce il contrasto sonoro tra le riposte ai due interrogativi: silenzio per qualche secondo, cenni con la testa e smorfie… 

Se chiedo: «Chi e che cosa osservate?», la risposta frequente è «Un po’ di tutto… Soprattutto i bambini che non vanno tanto bene, oppure le interazioni fra di loro»; «Quel bambino su cui magari mi sono fatta una domanda, oppure i nuovi arrivati». E se aggiungo: «In che modo li osservate?», spesso la risposta è il silenzio, o espressioni di sorpresa, come se avessi posto una domanda strana. Poi: «Beh, li guardo!». «Prendete anche appunti, qualche volta? O li guardate e basta?» «Ah, no, niente appunti.»

Queste risposte riflettono un paradosso: da una parte, tutte le educatrici considerano l’osservazione fondamentale per garantire un efficace lavoro relazionale e educativo nei confronti dei bambini molto piccoli, ma dall’altra riconoscono di non praticarla molto e di collocarla all’ultimo posto nella graduatoria delle attività da svolgere. Se ne dispiacciono, ma allo stesso tempo si sentono quasi in colpa di dedicarvi un po’ di tempo.

Perché questa ambiguità? Perché riflette una serie di concezioni implicite, ma ben radicate.

  • Lavorare significa fare, e con un gruppo di bambini le cose da fare si inanellano l’una nell’altra a un ritmo vertiginoso. Osservare non è un lavoro in sé, è un surplus a cui dedicarsi se resta tempo. «Ci piacerebbe molto osservare di più, ma è difficilissimo, ci sono troppe cose di cui occuparsi, e spesso manca il personale».

  • A volte l’osservazione è perfino malvista. Fermarsi un momento per osservare può essere considerato negativamente dalle colleghe o dai responsabili.

  • Si avverte la necessità di osservare soprattutto a fronte di un problema.

  • Osservare è una competenza innata, naturale, a cui possiamo ricorrere in continuazione, perché basta guardare. Quindi ce ne serviamo di continuo e non c’è nient’altro da dire. Quando chiedo alle educatrici «Come osservate?», la domanda le sorprende, come se fosse la prima volta che se la sentono porre.

  • Se non si osserva di più, è perché manca il tempo!

Tutte le educatrici sono convinte di dover essere il motore di un lavoro d’équipe che si basa sull’osservazione, e che essa fa parte delle loro incombenze. Osservare meglio e insieme è fondamentale, ma come fare?

Per farlo occorre senza dubbio, e innanzitutto, rinforzare le proprie competenze, ma bisogna anche investire del tempo per convincere gli altri a tentare un approccio nuovo. Le resistenze sono da mettere in conto, poiché anche il lavoro con i bambini si fonda su un insieme di convinzioni implicite che occorre considerare con attenzione e disponibilità, come un humus di base in cui avere fiducia.
Quando si lavora all’interno di un’équipe, bisogna prendersi il tempo di capire qual è il significato che ognuno attribuisce alla parola «osservazione», così da costruire a poco a poco un’idea comune di «osservazione professionale»: un processo preliminare indispensabile per costruire il proprio percorso e per sostenere quello delle colleghe.

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