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I mini gialli dei dettati 2
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Metodo Montessori e anziani fragili Didattica
L’approccio della didattica aperta per favorire la centralità di alunne e alunni e dare loro libertà di scelta
Nel suo ultimo libro, Ken Robinson sottolinea che lo scopo della scuola è di permettere a studenti e studentesse di capire il mondo che li circonda e i talenti che sono in loro in modo che possano diventare individui realizzati e cittadini attivi e compassionevoli. Per raggiungere questo scopo è importante che la scuola metta al centro del percorso educativo il protagonismo, l’autonomia e la libertà di scelta di alunni ed alunne. Si diventa progressivamente competenti e autonomi se l’offerta didattica ci permette di agire con gradi di libertà progressivamente maggiori, e quindi, solo se il percorso educativo e didattico dà modo ad alunne e alunni di sperimentare un’autonomia che sia al contempo operativa, decisionale, organizzativa e comunitaria.  Si tratta innanzitutto di capovolgere l’impostazione di una didattica centrata sulla lezione frontale in cui l’ambiente è controllato dall’insegnante, che prende tutte le decisioni, e dove alunne ed alunni svolgono compiti uguali e standardizzati e non hanno nessuno spazio per decidere in modo autonomo e personale. Molti Paesi dell’Europa hanno ormai abbandonato la didattica frontale come unica metodologia per condurre una lezione. In Italia, invece, essa rimane la metodologia didattica maggiormente diffusa e utilizzata. In un rapporto di INDIRE del 2021 in merito alla scuola post-pandemia si evidenzia come, ancora, la lezione frontale sia la tipologia ordinaria di metodologia didattica delle classi italiane. Non solo, dai dati emerge proprio l’urgenza di superare questa tecnica trasmissiva poiché penalizza il coinvolgimento degli studenti e delle studentesse, e favorisce, per converso, momenti di noia e mal apprendimento. La didattica aperta è l’approccio che meglio favorisce la centralità di alunni e alunne dando loro libertà di scelta. In autonomia, alunni e alunne prendono decisioni e danno forma, insieme agli insegnanti, al proprio percorso di apprendimento. Attraverso la didattica aperta, alunni e alunne scelgono, si auto-organizzano, si autoregolano, si autodeterminano e partecipano pienamente. L’approccio della didattica aperta si è concretizzato in alcune metodologie, come il lavoro a stazioni, l’agenda settimanale, la didattica per progetti. Anche il metodo del Writing and Reading Workshop (WRW) permette di cambiare in modo radicale l’ambiente di apprendimento, dando ad alunni e alunne un’ampia libertà di scelta e gestione autonoma.  A Didattiche.2022 parleremo ampiamente di libertà di scelta e autonomia di alunne e alunni, soprattutto nei workshop e laboratori che permettono di acquisire competenze metodologiche e strumenti per realizzare in classe una didattica che mette al centro il protagonismo di alunni e alunne. Fonte Landri P., G. R. J. Mangione, G. Cannella, L. Parigi, R. Bartolini, D. Taglietti, E. Grimaldi, A. Milione, A. Tancredi, Nel crepuscolo dell’ora di lezione. La “normalità” post-pandemica nell’immaginario degli insegnanti, Report INDIRE, Firenze 2021.
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Metodo Montessori e anziani fragili Didattica
Differenziazione, personalizzazione e individualizzazione sono le chiavi per impostare una didattica efficace e inclusiva nelle classi ad alta complessità ed eterogeneità
È un dato di fatto che quotidianamente l’insegnante si trova a lavorare con gruppi nei quali bambine, bambini e adolescenti manifestano caratteristiche, comportamenti e bisogni diversi, che condizionano la loro esperienza a scuola, il loro impegno e rendimento scolastico.  In tutte le classi e in ogni grado scolastico sono presenti allievi e allieve con disabilità certificata (3,6% della popolazione scolastica presenta una disabilità certificata secondo la legge 104/92 - oltre 304.016 persone – a.s. 2020-21), o con Disturbi Specifici dell’Apprendimento (5,4% del numero complessivo di alunni e alunne ha un DSA - 326.548 alunni/e a.s.2020-21). Ci sono inoltre persone plusdotate (secondo le stime è plusdotato il 5-8% della popolazione studentesca).  Un ulteriore elemento di complessità è dato dal fatto che ogni bambino, bambina, adolescente ha una propria storia di vita che rende il suo modo di guardare al mondo unico e particolare. Ci sono alunni e alunne con cittadinanza non italiana (10,3% della popolazione scolastica ha una cittadinanza non italiana - 865.388 - a.s. 2020-21), di cui il 66,7% è nato in Italia. Ci sono inoltre significative differenze relative allo status socio-economico, un fattore che influenza in maniera significativa i processi di apprendimento e il rendimento scolastico. Infine, rilevante è il fatto che ogni alunno e alunna ha un proprio modo di apprendere: ha dei tempi di apprendimento differenti da quelli degli altri e delle preferenze verso certi tipi di spazi. Ha un suo personale stile nel reagire a un input, nell’organizzare informazioni e nell’approcciarsi alla risoluzione di un problema.  La sfida per l’insegnante è quella di costruire un clima e una vita di classe veramente inclusivi dove ogni allievo e ogni allieva possa trovare un ambiente ricco di esperienze formative, colmo di proposte efficaci, e dove ognuno possa trovare, con l’aiuto di compagni e compagne, le strade per crescere e imparare. Il gruppo classe è la base di partenza con cui e su cui costruire vera inclusione, attraverso una didattica generale che coniuga differenziazione, personalizzazione e individualizzazione. Allo stesso tempo è importante anche agire per contrastare stereotipi e pregiudizi e promuovere una narrazione e rappresentazione equa che dia legittimità alle differenze e alle molteplici appartenenze di cui ogni persona è espressione.  Proprio per rispondere alle esigenze dell’insegnante che lavora in classi ad alta complessità ed eterogeneità, a Didattiche.2022 parleremo ampiamente di didattica universale e differenziazione. Fonti Ministero dell’Istruzione. Ufficio di statistica. I principali dati relativi agli alunni con disabilità aa.ss. 2019/2020 – 2020/2021, luglio 2022 Caritas Italiana e Fondazione Migrantes. XXXI Rapporto Immigrazione 2022 Sintesi
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Metodo Montessori e anziani fragili Didattica
Accesso universale e qualità dei servizi sono le due sfide principali da affrontare per l’educazione e l’istruzione di bambini e bambine nella fascia d’età da 0 a 6 anni
Il decreto legislativo 13 aprile 2017, n. 65 ha istituito il sistema integrato di educazione e di istruzione dalla nascita ai 6 anni con la finalità di garantire a tutte le bambine e a tutti i bambini pari opportunità di sviluppo delle proprie potenzialità sociali, cognitive, emotive, affettive, relazionali in un ambiente professionalmente qualificato, superando disuguaglianze e barriere territoriali, economiche, sociali e culturali. Per realizzare tali obiettivi il sistema integrato propone una visione unitaria del percorso educativo, articolato in tre tipologie principali di servizio: il nido (o micronido), che accoglie bambini e bambine dai 3 ai 36 mesi di età, e la sezione primavera per quelli tra i 24 e i 36 mesi; i servizi integrativi che, con diverse formule organizzative e progettuali, arricchiscono l’offerta educativa sui territori per la fascia 0-3: servizi educativi in contesto domiciliare (nidi in famiglia, nidi famiglia, Tagesmütter, tate, …), spazi gioco, centri per bambini e famiglie; le scuole dell'infanzia per bambini e bambine dai 3 ai 6 anni. Il decreto 65/2017 considera obiettivi strategici sia l’estensione dei servizi educativi per l’infanzia sia la generalizzazione quantitativa e qualitativa della scuola dell’infanzia.  Per quanto riguarda i nidi e i servizi educativi per l’infanzia, permangono importanti criticità: una carenza strutturale nella disponibilità di servizi educativi rispetto al potenziale bacino di utenza, una distribuzione disomogenea sul territorio nazionale e vincoli di natura economica in quanto i costi dei servizi limitano l’accesso alle famiglie a basso reddito e a rischio povertà. In base ai dati più recenti, relativi all’anno educativo 2018/19, i posti a disposizione negli asili nidi e servizi per la prima infanzia sono arrivati a 25,5 ogni 100 minori, decisamente inferiori all’obiettivo europeo di 33 posti ogni 100 bambini/e. È necessario un aumento di quasi 300mila posti per raggiungere una copertura pari ad almeno il 33% attraverso asili nido pubblici. Ma è fondamentale, inoltre, ridurre il divario tra i territori. A fronte di un centro-nord che ha quasi raggiunto l’obiettivo europeo (32%) e dove in media 2/3 dei comuni offrono il servizio, nel Mezzogiorno i posti ogni 100 bambini sono solo 13,5 e il servizio è garantito in meno della metà dei comuni (47,6%). La differenza è di 18,5 punti: a Bolzano quasi 7 posti ogni 10 bambini, a Catania e Crotone quasi 5 su 100 bambini. Un’altra frattura è quella tra i maggiori centri urbani dove il servizio è più diffuso e i comuni delle aree interne dove manca una capillare rete di servizi: sono 13,8 i punti di divario tra i comuni polo, baricentrici in termini di servizi, e quelli periferici e ultraperiferici.  A differenza degli asili nido, nel contesto europeo il dato italiano di partecipazione all’istruzione pre-primaria risulta tra i più elevati (94,6% di minori tra i 3 e i 5 anni che è superiore alla media UE e leggermente inferiore al target europeo pari al 96% da raggiungere entro il 2030). Non sussistono significativi divari territoriali in quanto tutte le regioni italiane raggiungono il target europeo minimo del 90% fissato nel 2002, ma non tutte quella del 96% stabilita nel 2021.  Nidi, servizi integrativi e scuole dell’infanzia svolgono un’importante funzione pedagogica e condizionano lo sviluppo cognitivo, emotivo e relazionale dei bambini e delle bambine, con benefici che si manifestano nell’arco dell’intera vita scolastica e lavorativa. Assicurare a tutti i bambini e a tutte le bambine accesso a questi servizi è una priorità per garantire ad ogni bambino il diritto soggettivo all’educazione. Allo stesso tempo, l’accesso non è sufficiente, ed è necessario garantire anche la qualità dei percorsi educativi. Ciò per assicurare che ciascuna bambina e ciascun bambino vengano riconosciuti e accolti nella propria unicità e diversità, vivano esperienze ricche e diversificate, e abbiano l’opportunità di socializzare con coetanei e adulti diversi dalle figure parentali. Un sistema di istruzione 0-6 deve quindi essere fondato su criteri quali l’accessibilità, l’inclusività, la professionalità del personale, l’accurata ed equilibrata progettazione del curricolo, sistemi efficaci di monitoraggio e valutazione e finanziamenti adeguati.
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Metodo Montessori e anziani fragili Didattica
La creazione di un clima scolastico positivo è il presupposto per soddisfare i bisogni di alunne, alunni e insegnanti e promuovere lo sviluppo di competenze
La scuola è un ambiente in cui bambine, bambini e adolescenti possono da una parte sviluppare le competenze necessarie per affrontare le sfide sociali, lavorative, personali della vita fuori dalla scuola, e dall’altra soddisfare i bisogni di appartenenza, accudimento e riconoscimento del proprio valore. Ciò presuppone un clima scolastico positivo e la promozione del benessere socio-emotivo di insegnanti, bambine, bambini e adolescenti, entrambi presupposti necessari per l’apprendimento. Daniela Lucangeli sottolinea che ciò che impariamo si fissa nel cervello insieme alle emozioni: “se un bambino impara con curiosità e gioia, la lezione si inciderà nella memoria insieme alla curiosità e alla gioia. Se impara con noia, paura, ansia, si attiverà l’alert: la risposta della mente trasmetterà il messaggio «Scappa da qui, perché ti fa male». Un clima scolastico positivo è una di quelle cose difficili da definire e misurare, ma tutti, genitori compresi, lo riconoscono quando lo vedono. Lo stato delle strutture scolastiche, il tono delle conversazioni nei corridoi, il modo in cui alunni e alunne interagiscono tra di loro, l'entusiasmo del personale scolastico sono alcuni dei segnali indicativi del clima scolastico. Il clima scolastico influenza il benessere socio-emotivo di alunni e alunni. Per misurare il clima scolastico e il benessere di studenti e studentesse, OCSE PISA usa indicatori che si riferiscono al contesto scolastico, in particolare il clima collaborativo: studenti e studentesse ottengono punteggi più alti in lettura quando c’è cooperazione tra compagni. In Italia, il 48% dei quindicenni ha riferito che i propri compagni di scuola collaborano tra di loro (media OCSE: 62%). Gli altri indicatori misurati da OCSE PISA includono: sentirsi solo/a a scuola (nel 2018 circa il 12% dei quindicenni italiani ha dichiarato di sentirsi solo a scuola), essere vittima di bullismo (in Italia il 24% dei quindicenni ha dichiarato di essere vittima di bullismo almeno qualche volta al mese), saltare giorni di scuola e arrivare in ritardo (il 21% ha saltato una giornata di scuola nelle due settimane precedenti PISA e il 48% è arrivato in ritardo). OCSE PISA usa inoltre degli indicatori del benessere di studenti e studentesse, che non si riferiscono specificamente al contesto scolastico. Questi indicatori sono comunque rilevanti perché gli adolescenti trascorrono gran parte del loro tempo a scuola e i loro compagni e compagne giocano un ruolo preminente nella loro vita sociale. In Italia il 67% degli studenti e studentesse ha dichiarato nel 2018 di essere soddisfatto della propria vita e il 91% ha riferito di sentirsi felice qualche volta o sempre).  Nella maggior parte dei Paesi, i quindicenni sono più propensi a segnalare sentimenti positivi quando hanno dichiarato un più forte senso di appartenenza a scuola e una maggiore cooperazione. In quasi tutti i sistemi educativi, anche in Italia, le ragazze hanno espresso unapaura di falliremaggiore rispetto ai ragazzi. Nella maggior parte dei sistemi scolastici, chi ha espresso una maggiore paura di fallire ha ottenuto punteggi più alti in lettura, ma ha riferito una minore soddisfazione per la vita, rispetto a chi ha espresso una minore preoccupazione di fallire. Infine, la maggior parte dei quindicenni dei Paesi OCSE ha una mentalità di crescita, cioè ritiene che le loro abilità e la loro intelligenza possa svilupparsi nel tempo (il 59% degli italiani; media OCSE 63%). Nei Paesi OCSE, la mentalità di crescita è stata associata positivamente alla motivazione ad affrontare compiti, all'autoefficacia, alla definizione di obiettivi di apprendimento e alla percezione del valore della scuola; è stata associata negativamente alla paura di fallire. Il benessere degli insegnanti è sicuramente un fattore che influenza la loro soddisfazione lavorativa e l'entusiasmo per il loro lavoro. È correlato alla motivazione, ha un impatto i termini di qualità e rendimento, ed è un fattore chiave che influenza la motivazione e i risultati di studenti e studentesse.  I risultati PISA 2018 evidenziano che studenti e studentesse ottengono punteggi più alti in lettura quando percepiscono il loro insegnante come entusiasta e interessato alla materia. Circa il 74% degli studenti e studentesse italiane è d'accordo o molto d'accordo sul fatto che il loro insegnante mostri piacere nel fare lezione. Il benessere riguarda diversi aspetti della professione di insegnante: il carico di lavoro, le condizioni di lavoro, il senso di sicurezza, il supporto di colleghi, colleghe e dell’istituzione, gli aspetti relazionali con studenti e studentesse, con i genitori e altri soggetti coinvolti nella scuola e, naturalmente, l'apprezzamento della comunità più ampia. Se questi aspetti sono fonte di esperienze negative, l’insegnante può trovarsi in uno stato di esaurimento fisico ed emotivo, di stress e di burnout, e la loro salute mentale e fisica può risentirne. Diversi studi evidenziano lo stress come uno dei fattori che rendono particolarmente difficile la professione di insegnante. Un’analisi di Eurydice del 2021 rivela che in tutta Europa molti insegnanti soffrono di stress sul lavoro (in Italia circa il 35% degli insegnanti della scuola secondaria di I grado, contro una media UE del 47%). L'evidenza sembra indicare che i livelli di stress sono più bassi quando gli insegnanti lavorano in ambienti scolastici che percepiscono come collaborativi, quando si sentono sicuri di sé nel motivare gli studenti e nel gestire il loro comportamento e quando sentono di avere autonomia nel loro lavoro.  Non sono ancora disponibili i dati sull’impatto della pandemia e delle interruzioni scolastiche sul clima scolastico ed il benessere di insegnanti, studenti e studentesse. È ipotizzabile che abbia avuto un impatto negativo.  A Didattiche.2022 parleremo ampiamente di come creare un clima scolastico positivo e promuovere benessere a scuola. Fonti Lucangeli D., Cinque lezioni leggere sull’emozione di apprendere, Trento, Erickson, 2019 OECD, Pisa 2018 Results Combined Executive Summaries Volume I, II & III, OECD 2019 OECD PISA 2018 Nota Paese Italia European Commission/EACEA/Eurydice, 2021. Teachers in Europe: Careers, Development and Well-being. Eurydice report. Luxembourg: Publications Office of the European Union.
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Metodo Montessori e anziani fragili Didattica
Un lavoro su più dimensioni per preparare le giovani generazioni a vivere in un mondo complesso e interdipendente
Al centro dell’attenzione della scuola ci sono persone che stanno crescendo e «imparando a vivere» in un mondo globalizzato, complesso, interconnesso e interdipendente. In questo contesto, l’obiettivo della scuola non è trasmettere delle nozioni, ma preparare le giovani generazioni a navigare questa complessità e affrontare anche gli aspetti più difficili, più “scomodi”, più controversi, ma di fronte ai quali non è possibile chiudere gli occhi. Ciò richiede di costruire competenze di cittadinanza globale, cioè sviluppare le conoscenze, le abilità, i valori e gli atteggiamenti di cui bambini, bambine e adolescenti hanno bisogno per sviluppare una concezione di cittadinanza plurale, che coniuga la dimensione locale con quella nazionale e globale.  Lo sviluppo delle competenze di cittadinanza globale sostiene gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile dell’Agenda 2030, sia fornendo la visione dell'educazione che questi obiettivi richiedono, sia incoraggiando le nuove generazioni ad agire per contribuire a realizzare la visione che gli obiettivi incarnano: Garantire entro il 2030 che tutti i discenti acquisiscano la conoscenza e le competenze necessarie a promuovere lo sviluppo sostenibile, anche tramite un’educazione volta ad uno sviluppo e uno stile di vita sostenibile, ai diritti umani, alla parità di genere, alla promozione di una cultura pacifica e non violenta, alla cittadinanza globale, e alla valorizzazione delle diversità culturali e del contributo della cultura allo sviluppo sostenibile (Obiettivo 4.7) Nel 2018 OCSE PISA ha misurato per la prima volta le competenze di cittadinanza globale. Il report “Are Students Ready to Thrive in an Interconnected World?” esplora la capacità di studenti e studentesse di esaminare questioni di rilevanza locale, globale e culturale; di comprendere e apprezzare le prospettive e le visioni del mondo degli altri; di impegnarsi in interazioni aperte, appropriate ed efficaci tra le diverse culture; di agire per il benessere collettivo e lo sviluppo sostenibile. L’Italia riporta risultati al di sotto della media OCSE in relazione a diversi indicatori. In particolare, significativamente sotto la media OCSE sono la capacità di studenti e studentesse di comprendere e apprezzare le prospettive e le visioni del mondo degli altri: capacità di assumere una prospettiva -0,34, interesse per la conoscenza di altre culture -0,25, rispetto per le persone di altre culture -0,41, atteggiamenti positivi nei confronti degli immigrati -0,22. Al di sotto della media OCSE sono anche la capacità di esaminare questioni di rilevanza locale, globale e culturale e agire per il benessere collettivo e lo sviluppo sostenibile: consapevolezza delle problematiche globali -0.03, senso di autoefficacia rispetto alle questioni globali -0,16, agency di studenti e studentesse nei confronti delle questioni globali -0,10. Rilevante è il fatto che i Paesi più performanti in termini di competenze di cittadinanza globale sono stati Canada, Hong Kong (Cina), Scozia (Regno Unito), Singapore e Taipei cinese. Paesi che sono tra i più performanti anche per quanto riguarda i risultati PISA in matematica, scienze e lettura.  In linea con le indicazioni di UNESCO, sviluppare competenze di cittadinanza globale presuppone un’attenzione e un lavoro su più dimensioni. Innanzitutto, la dimensione cognitiva per facilitare l’acquisizione di conoscenze, capacità di analisi e pensiero critico circa le questioni globali, regionali, nazionali e locali, e l’interazione e l’interdipendenza dei diversi Paesi e dei diversi popoli. Richiede anche di prestare attenzione alla dimensione socio-emotiva, per sviluppare un senso di appartenenza ad una comune umanità, condividerne i valori e le responsabilità, dimostrando empatia, solidarietà e rispetto delle differenze e delle alterità. E, in ultimo, dà rilevanza alla dimensione comportamentale per costruire le competenze per agire in maniera efficace e responsabile a livello locale, nazionale e globale e contribuire ad un mondo più sostenibile, giusto e pacifico.  Educare alla cittadinanza in un mondo globale richiede una pedagogia trasformativa, orientata all’azione, che supporti un apprendimento autogestito, la partecipazione e la collaborazione, un approccio alla soluzione dei problemi, l’inter- e la trans-disciplinarietà e il collegamento dell’apprendimento formale con quello non formale e informale. Si sostanzia nella predisposizione e realizzazione di percorsi didattici in cui l’impostazione interdisciplinare ‘per competenze’ viene sviluppata dal corpo docente in partenariato con la comunità locale attraverso strategie didattiche centrate sull’apprendimento esperienziale. A Didattiche.2022 affronteremo diversi aspetti tematici e metodologici connessi all’educare alla cittadinanza in un mondo globale. Fonti: OECD (2020), PISA 2018 Results (Volume VI): Are Students Ready to Thrive in an Interconnected World?, PISA, OECD Publishing, Paris UNESCO. (2018). Educazione alla cittadinanza globale. Temi e obiettivi di apprendimento. Surian, A., Berbeglia, P., Delrio, P., & Vanoni, F. (Eds.). (2018). Strategia Italiana per l’Educazione alla Cittadinanza Globale.
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Ripensare la distribuzione territoriale delle scuole e l’organizzazione degli spazi di apprendimento: le tre dimensioni più significative da curare secondo un gruppo di ricerca del Politecnico di Milano composto da urbanisti e architetti
L’emergenza sanitaria ha prodotto dentro e attorno al mondo della scuola alcuni cambiamenti che hanno modificato prepotentemente non solo la vita quotidiana di milioni di studenti, insegnanti, personale educativo e famiglie, ma anche i modi di pensare la scuola. Come le autonomie scolastiche hanno fatto fronte all’emergenza per rendere possibile il ritorno a scuola, nel rispetto dei vincoli di distanziamento fisico e come gli enti locali hanno gestito e supportato la riapertura? Da alcuni anni ormai, è impegnato su questi temi un gruppo di ricerca del Dipartimento di Architettura e Studi urbani del Politecnico di Milano, composto da urbanisti e architetti, coordinato da Cristina Renzoni e Paola Savoldi, con Cristiana Mattioli, Federica Rotondo, Anna Evangelisti. Se si prova a ricostruire il punto di vista di amministratori e dirigenti scolastici italiani, mai come in questi mesi emerge l’importanza dello spazio fisico delle scuole rispetto a condizioni, tempi e modi d’uso. I luoghi della scuola sono legati a doppio filo con questioni che fanno quotidianamente i conti con lo spazio, in relazione a tre variabili decisive per il funzionamento della scuola: gli stili educativi e il ruolo demandato agli ambienti di apprendimento, dentro e fuori le aule; l’organico della scuola, con la presenza e la disponibilità di personale docente, educativo, amministrativo, tecnico e ausiliario; i confini delle competenze e delle responsabilità riguardo agli spazi. Tutte le soluzioni approntate in questi mesi hanno dovuto confrontarsi con il patrimonio dell’edilizia scolastica: un patrimonio ampio ed eterogeneo (per circa 150 milioni di metri quadrati) che accoglie più di otto milioni di studenti, un milione di insegnanti e 200.000 dipendenti. Tale patrimonio oggi più che mai chiede di essere messo al centro del dibattito pubblico in relazione al mutamento di alcune importanti condizioni strutturali. Fra queste, ad esempio, il fattore demografico (-13% della popolazione italiana tra i sei e i 18 anni nei prossimi dieci anni) che libererà quasi due milioni di metri quadrati. Ciò significa ripensare la distribuzione territoriale delle scuole e l’organizzazione degli spazi di apprendimento in un’ottica di maggiore flessibilità e adattabilità, sicurezza e sostenibilità, con benefici su qualità degli spazi, costi di gestione e benessere di chi quegli spazi li usa. Tre sono le direzioni più significative a cui guardare. 1. Conoscere gli spazi delle scuole In primo luogo, abbiamo assistito a una rapida accelerazione nel censimento accurato degli spazi delle scuole. Si tratta di una dimensione molto importante. Sebbene sia già stata avviata la messa a sistema di alcune basi di dati, è possibile acquisire competenze e segnare progressi nella direzione di forme di ricognizione più mirate. Ma quali sono alla scala comunale i dati georeferenziati disponibili relativi all’edilizia scolastica? Quali sono le informazioni spaziali accessibili, anche tenendo conto delle esigenze più recenti? Uno degli aspetti emersi con più evidenza a chi ha supportato amministrazioni comunali e istituzioni scolastiche ha riguardato la necessità di integrare nello spazio, alla scala territoriale, due fondamentali tipi di dati: da un lato il numero degli studenti iscritti per ognuno dei plessi scolastici, organizzati entro l’architettura istituzionale degli istituti comprensivi; dall’altro il disegno planimetrico dei singoli plessi, comprensivo degli spazi edificati e degli spazi aperti. Mettere a punto un metodo di lavoro possibile, in parte già testato su alcuni territori italiani, è uno degli obiettivi che il nostro gruppo di lavoro sta perseguendo. 2. Amministrare e regolare accordi per un uso esteso degli spazi In secondo luogo, in alcuni contesti si è assistito a importanti sperimentazioni nell’organizzare un ampliamento istituzionalizzato degli spazi scolastici, ospitati in spazi di diversa natura. Ciò ha comportato cambiamenti significativi rispetto a due aspetti: a) il riconoscimento nello spazio urbano di luoghi e relazioni tra luoghi, a partire dal punto di vista dell’istituzione scolastica e alle pratiche di vita quotidiana degli studenti; b) il coordinamento tra enti e soggetti nella costruzione di accordi e procedure per regolare diverse condizioni d’uso scolastico di spazi non scolastici. È una dimensione importante rispetto alla praticabilità delle sperimentazioni avviate. Gli accordi hanno assunto nella gran parte dei casi una doppia forma pattizia: a) il patto educativo di comunità che regola accesso ed uso degli spazi ed è sottoscritto da tutti i soggetti coinvolti (amministrazione comunale, enti ospitanti, istituzioni scolastiche, azienda sanitaria locale); b) il patto di corresponsabilità tra istituzioni scolastiche, genitori e studenti, uno strumento in vigore da tempo, i cui contenuti sono definiti e aggiornati dalla singola autonomia scolastica. , non tanto perché possano essere letteralmente replicati, ma perché se ne possono cogliere e socializzare contenuti, razionalità e soluzioni amministrative. 3. Trasformare gli spazi in relazione al territorio In terzo luogo, il lavoro preliminare alla riapertura delle scuole ha aperto talvolta a un approccio di sistema entro il quale la scuola costituisce una variabile influente su provvedimenti che riguardano altre dimensioni e campi di politiche pubbliche, alla scala urbana (e metropolitana): dalla regolazione del trasporto pubblico locale a forme innovative di regolazione dell’uso di alcuni spazi pubblici e, in una prospettiva di più lungo termine, l’individuazione di priorità e strategie di intervento in relazione a processi di rigenerazione di quartieri o aree fragili, assumendo la scuola come luogo fisico e sociale da cui partire. Ciò può accadere attraverso un programma urbanistico di ampio respiro, così come a partire da strumenti operativi specifici, quali ad esempio bandi mirati a promuovere l’innovazione degli ambienti di apprendimento. In che modo bandi orientati a trasformare gli spazi interni alla scuola possono avere implicazioni alla scala della città? In alcune esperienze recenti ciò è avvenuto introducendo meccanismi di valutazione che includessero alcune variabili di contesto. È il, caso ad esempio, di indicatori relativi alla segregazione scolastica, ma, come è ovvio, a seconda dei territori e dei loro caratteri, è possibile individuare gli indicatori più opportuni. Queste le sfide, ma anche i terreni di sperimentazione già avviati a cui vale la pena prestare attenzione, affinché gli spazi di apprendimento, dentro e fuori le scuole, continuino ad avere la centralità che i più autorevoli contributi della pedagogia da tempo hanno riconosciuto.
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