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Dobbiamo continuare a credere (e investire) nell’inclusione scolastica 1

Dobbiamo continuare a credere (e investire) nell’inclusione scolastica

Il panorama che siamo, attualmente, in grado di delineare sulla ricerca di settore è circoscritto, per certi versi carente e non esaustivo sia sul lato dei risultati del modello (i benefici e le ricadute positive) che sul lato delle prassi, certamente lontano dalla tradizione dell’Evidence Based Education che vorrebbe selezionare proposte operative efficaci e replicabili. Dovremmo forse per questo saltare alla conclusione che l’inclusione scolastica non funzioni, che non sia realizzabile, che non porti benefici? Assolutamente no! Finiremmo per cadere nel tranello degli inclusio-scettici che costruiscono argomentazioni su dati incompleti, limitati e in alcuni casi addirittura inaffidabili.

Tirando le somme su quanto a nostra conoscenza, sia nel panorama nazionale che internazionale, possiamo affermare che sul lato delle competenze degli alunni con disabilità la scelta inclusiva sembra essere la carta vincente, sia nelle aree curricolari che in quelle sociali. Per i pari, invece, siamo in grado di sfatare un grande mito, quello sui danni all’apprendimento, dal momento che le competenze raggiunte risultano equiparabili nel confronto tra contesti inclusivi e non inclusivi (definiti, peraltro, esclusivamente sulla base della presenza o meno di alunni con disabilità). Inoltre, se davvero vogliamo guardare alla scuola come strumento per la formazione della persona e del cittadino, possiamo riconoscere all’inclusione un ruolo importantissimo, che va ben al di là delle competenze curricolari. In questo la ricerca è piuttosto convincente, mostrando miglioramenti nell’area sociale e degli atteggiamenti (accettazione delle differenze, comprensione e tolleranza, riduzione del livello di ostilità e pregiudizio).

Nella ricerca nazionale i dati sulle opinioni degli insegnanti tratteggiano prospettive ottimistiche e generalmente favorevoli all’inclusione. Anche gli studi che descrivono prassi scolastiche restituiscono in molti casi un quadro positivo.

Siamo quindi nelle condizioni di mettere in luce numerosi elementi a favore del modello, senza negare la presenza di criticità e sfide. Sappiamo, inoltre, su quali temi dobbiamo fare più ricerca per rafforzare il progetto inclusivo: in primo luogo gli apprendimenti curricolari degli alunni con disabilità, il benessere a scuola, e l’efficacia di strategie didattiche inclusive.

La pluralità di idee e posizioni può rappresentare un’occasione di arricchimento e di progressione, un processo dialogico che aiuta a individuare barriere e a progettare congiuntamente soluzioni migliorative. Non può, tuttavia, divenire un pretesto per retrocedere sul piano dei diritti, ignorando o, ancor peggio, strumentalizzando la ricerca. Perché, non dimentichiamocelo, anche nel sistema speciale e separato non mancano i problemi, anzi, proliferano ed è proprio la ricerca a dircelo: stigmatizzazione, ridotte opportunità di apprendimento, sovra-rappresentazione delle minoranze e di alunni appartenenti a famiglie o contesti socio-culturali svantaggiati, percorsi inflessibili che conducono a nuove segregazioni (lavorative e abitative), solo per citarne alcuni. E anche i dati di ricerca che si nominano per supportare le proprie argomentazioni non hanno tutti eguale valore: non si può mettere sullo stesso piano un singolo studio condotto con un campione di dieci insegnanti con i risultati di una meta-analisi, che convoglia oltre 50 studi.

Siamo ben consapevoli che la strada è ancora lunga e il processo in continuo divenire, ma sappiamo anche che la ricerca può essere un valido alleato, specialmente se di qualità e attenta a rispondere agli interrogativi che si sollevano tra gli insegnanti, le famiglie e a livello socio-politico.

Autrici

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