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I mini gialli dei dettati 2
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Search-ME - Erickson 1 Difficoltà di linguaggio
La lettura di testi ricchi di opportunità lessicali e grammaticali strutturati secondo l’approccio della Logogenia® aiuta a superare le difficoltà verbali degli alunni affetti da sordità preverbale
La Logogenia® è un metodo che favorisce il riconoscimento delle informazioni grammaticali, trasmesse dagli elementi funzionali e morfologici della lingua. È stato elaborato per migliorare l’esperienza linguistica dell’italiano degli utenti sordi, ma trova applicazioni interessanti anche nell’esposizione all’italiano come L2. Fare pratica, ad esempio, dell’accordo tra nome e aggettivo o della relazione che lega il pronome clitico al nome che esso va a sostituire arricchisce e potenzia la competenza linguistica dell’utente. Questo allenamento può essere generativo dunque ricadere anche altrove, con effetti positivi di comprensione di analoghe strutture presenti in altri contesti di lettura, a partire dai testi scolastici.  L’esposizione continuativa a brani grammaticalmente ricchi può infatti compensare i limiti dell’esposizione alla lingua parlata e contribuire a sostenere l’acquisizione delle strutture grammaticali dell’italiano nella sua versione scritta. Bruna Radelli, la linguista che ha elaborato il metodo Logogenia®, utilizzava una metafora per motivare la necessità e l’urgenza dell’arricchimento linguistico: l’alunno sordo è come un’auto perfettamente funzionante, ma che non può muoversi se le manca il carburante. L’esperienza di molte e varie strutture grammaticali e lessicali dell’italiano nella modalità della lingua scritta ha dunque lo scopo di reintegrare l’input linguistico della lingua parlata (il carburante) che l’alunno perde a causa del deficit uditivo, affinché possa raggiungere una piena competenza linguistica, nonostante e oltrepassando il deficit uditivo. L’approccio della Logogenia® interpreta in questo modo il concetto di inclusione linguistica, che considera come ampliamento e supporto delle capacità e delle potenzialità grammaticali del bambino sordo, affinché possa accedere ai testi il più possibile in forma autonoma. Come è noto, la sordità profonda preverbale può avere ripercussioni sull’acquisizione delle lingue parlate, come l’italiano, in quanto limita, ostacola o addirittura impedisce del tutto l’accesso all’informazione linguistica uditiva.  Dal punto di vista grammaticale, le ricadute possono coinvolgere la competenza sugli aspetti funzionali (pronomi, preposizioni, articoli, congiunzioni) e morfologici (desinenze di nomi, aggettivi, verbi, articoli), rendendo faticosa la comprensione della frase e, a maggior ragione, del testo. Un’altra area linguistica che risente della condizione di sordità è il bagaglio lessicale, che nei soggetti sordi è spesso di ampiezza minore rispetto a quello dei coetanei udenti. La competenza lessicale e quella grammaticale entrano pienamente in gioco nel compito di comprensione del testo scritto, insieme alla capacità di compiere inferenze per recuperare le informazioni che lo scrittore ha sottinteso. Ecco dunque i tre elementi che formano il «nutrimento» delle potenzialità linguistiche del bambino sordo: l’arricchimento lessicale, l’allenamento nelle strutture grammaticali e il coinvolgimento delle sue capacità inferenziali.
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Search-ME - Erickson 2 Disabilità
Stefano Campa, esperto di accessibilità glottodidattica e membro del CEN di ANILS, e Laura Giordani, autrice, dialoghista ed audiodescrittrice, spiegano le molteplici utilità di un settore meritevole di ulteriori implementazioni.
I concetti di Accessibilità e Usabilità Se parliamo di tecnologie, il concetto di accessibilità si riferisce a quanto sia fisicamente facile entrare in contatto con tali tecnologie e quello di usabilità da quanto sia facile, a livello cognitivo, interfacciarsi con esse, una volta che l’utente ne abbia avuto accesso. Tuttavia, l’accessibilità, soprattutto in tempi, come i nostri, di risorse digitali basate sulla comunicazione visiva, non è rivolta unicamente ad un pubblico con disabilità sensoriali (non udenti e ipoacusici, non vedenti e ipovedenti), ma anche e soprattutto all’utenza in età di scolarizzazione per l’apprendimento e/o consolidamento dell’italiano come L1 e delle lingue straniere. Gli studenti (adolescenti e non) si sentono particolarmente a proprio agio con i testi audiovisivi perché sono abituati a fruirne abitualmente nella loro vita reale e padroneggiano perfettamente le regole base del prodotto cinematografico; i giovani adulti, inoltre, sono ormai abituati all’approccio multimodale necessario per poter fruire di un testo multimediale. L’accessibilità Audiovisiva L’accessibilità audiovisiva, per le sue caratteristiche specifiche, si presta perfettamente all’utilizzo non solo finalizzato all’utenza con disabilità sensoriali, ma anche agli utenti che vogliano apprendere o perfezionare le lingue straniere. Per quanto riguarda l’apprendimento e approfondimento della lingua italiana, tra l’altro, le risorse fornite dalla piattaforma Rai Easy Web, il sito di Rai Accessibilità dedicato alle disabilità sensoriali, forniscono, in maniera libera e gratuita, un grande ausilio in tal senso, offrendo una disponibilità pressoché infinita di risorse per le disabilità sensoriali, effettuate da professionisti del settore. I sottotitoli per i sordi Possiamo considerare i sottotitoli per i sordi un mezzo per verbalizzare e rendere visibile la traccia sonora, indirizzato, generalmente, al pubblico sordo o ipoacusico. Il processo di sottotitolaggio (o sottotitolazione) include il passaggio in diamesia del prodotto audiovisivo, ossia la trasposizione dal canale orale al canale scritto. Se ci riferiamo ai sottotitoli per i sordi, nello specifico, essi sono sempre intralinguistici (la lingua di partenza e la lingua d’arrivo corrispondono, ad esempio ITA>ITA). Tendono a presentare una serie di caratteristiche specifiche destinate a rendere più semplice la comprensione del prodotto audiovisivo alle persone con problemi di udito. In termini didattici, l’apprendente può trarne beneficio da una serie di elementi paratestuali (la spiegazione dei suoni, dei rumori, la musica) inclusi nel testo, che possono risultare altamente rilevanti ai fini dell’implementazione dei vari aspetti linguistici. Il sottotitolaggio, realizzato in termini di didattica attiva, è uno strumento potente per aiutare le persone ad apprendere le lingue con facilità ed in maniera amena. I sottotitoli ampliano la dimensione semantica, aiutano ad aumentare il vocabolario dell’alunno e potenziano lo sviluppo delle abilità necessarie a comprendere meglio la L1, la L2 o la LS. Il doppiaggio Normalmente, il doppiaggio viene effettuato per rendere accessibile una lingua non conosciuta o poco conosciuta agli utenti. Viene emesso tramite un canale audio differente dall’originale, con la voce di attori doppiatori professionisti e viene trasmesso nella lingua d’arrivo, che viene previamente tradotta e adattata per essere resa fruibile al pubblico. Il doppiaggio, di norma, avviene in modalità interlinguistica (la lingua di partenza è differente dalla lingua d’arrivo, ad esempio ENG>ITA). Immaginiamo un film in lingua originale inglese che viene doppiato in italiano, per indirizzarlo e renderlo fruibile al nostro pubblico. Si tratta della forma di accessibilità più diffusa, in termini di utenza, considerando che circa il 70% dei prodotti audiovisivi, nel nostro Paese, provengono da produzioni straniere. Senza il doppiaggio, la grande maggioranza del pubblico italiano resterebbe tagliata fuori dalla programmazione cine-televisiva trasmessa in Italia. Nella didattica delle lingue, i vantaggi del doppiaggio (nel nostro caso, intralinguistico) sono noti da tempo, in quanto tale pratica permette un esercizio efficace della pronuncia, accento, durata, ritmo, intonazione, ecc. L’audiodescrizione A cura di Laura Giordani Le audiodescrizioni (per gli amici, AD) sono lo strumento più efficace per garantire a ciechi e ipovedenti l’accessibilità al materiale audiovisivo.  In una società civile e moderna ogni individuo deve godere senza discriminazioni di alcune opportunità e alcuni mezzi fondamentali; audiodescrizioni mancanti o realizzate in maniera errata rappresentano un grave smacco a questo principio. Si tratta di un ,un processo che trasforma le informazioni visive in parole, il visivo in lingua parlata e che dà completezza alla traccia sonora e ai dialoghi del film. Il visivo reso verbale. Nella scrittura cinematografica il dialogo, la musica e gli altri effetti sonori fanno parte del canale uditivo e sono accessibili anche al pubblico cieco, mentre le immagini e qualsiasi altro tipo di testo verbale che è possibile trovare sullo schermo devono essere necessariamente audiodescritti. Tuttavia, l’audiodescrizione può anche avere un’utilità per le persone senza alcun problema di vista, come per esempio coloro che guardano un film mentre svolgono altre attività, ma anche per un pubblico che si appresta all’apprendimento della L2. Ad oggi, le audiodescrizioni (o AD, dall’inglese Audio Description) rappresentano il miglior supporto di cui uno spettatore cieco o ipovedente può avvalersi per fruire degli audiovisivi, ovvero i prodotti e i servizi offerti dall’industria multimiliardaria impegnata a elaborare mezzi di comunicazione di massa usando componenti uditive e visuali. Trattandosi della più grande rivoluzione del sapere umano dopo l’invenzione della stampa, non potervi accedere comporta un certo livello di emarginazione culturale che, in una società civile e tecnologicamente progredita, non dovrebbe verificarsi. Le regole per produrre testi così utili sono raccolte nelle linee guida italiane e della ITC (Independent Television Commission), che vengono seguite scrupolosamente dai professionisti. Un audiodescrittore è tenuto a fornire una descrizione oggettiva di quanto accade in scena, traducendo in prosa le azioni, il linguaggio del corpo e le espressioni facciali degli attori, nonché l’ambientazione e i costumi, nel pieno rispetto dell’opera originale. Il testo inedito e creativo compilato in ottemperanza a queste norme sarà una descrizione (e non una spiegazione) caratterizzata da un linguaggio semplice ma evocativo che accompagni lo spettatore senza distrarlo. Produrre delle AD vuol dire cimentarsi in un lavoro delicato e complesso, che coinvolge numerosi campi e richiede conoscenze multisettoriali che vanno aggiornate di continuo, nonché un alto livello di preparazione. Inoltre, ogni professionista deve conoscere le necessità del pubblico sensorialmente leso e, nel migliore dei mondi possibili, essere affiancato da un consulente cieco o ipovedente. Purtroppo, la scarsa attenzione nei confronti di questo importante ausilio ne sta rallentando l’evoluzione. Siamo nel 2022 e solo oggi, dopo circa trent’anni di battaglie, la figura professionale dell’audiodescrittore sta per essere riconosciuta nel Contratto Nazionale del Doppiaggio, principalmente grazie agli sforzi di un pugno di professionisti e all’AIDAC, Associazione Italiana Dialoghisti e Adattatori Cinetelevisivi. Perorare la causa per cui l’AIDAC si sta battendo porterà a compensi equi, scadenze meno stringenti, a una migliore qualità e a un maggior numero di AD. Audiodescrittori ignari o improvvisati, fruitori passivi che non si esprimono, società refrattarie a ogni sorta di apertura e produzioni cinetelevisive insensibili all’accessibilità hanno rappresentato finora i più ostinati ostacoli alla crescita di una realtà inclusiva, colma di gioia e opportunità. In qualità di docente preferisco sempre rivolgermi a chi desidera imparare, perché è mia incrollabile convinzione che tutte queste avversità svaniscano di fronte alla conoscenza. Il numero di prodotti e servizi resi accessibili a un pubblico cieco o ipovedente sta aumentando, certo, ma la qualità di queste opere/ausili deve crescere di pari passo o, per lo meno, non scendere sotto uno standard minimo, al di sotto del quale rientrano quelle che potremmo definire vere e proprie beffe ai danni di chi, invece, dovrebbe esserne incluso.
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Search-ME - Erickson 3 Disabilità
Il giornalista, scrittore, politico e attivista Iacopo Melio ci spiega perché il neo-costituito Ministero per le Disabilità non è una buona notizia per chi ha cuore le politiche di inclusione
Con la nascita del governo Draghi, il 13 febbraio 2021, nasce in Italia un nuovo Ministero per le disabilità: non una novità assoluta, per il nostro Paese, che con il primo governo Conte aveva già conosciuto un Ministero dedicato alla disabilità e alla famiglia, ma sicuramente una novità di rilievo, che fa molto discutere sia chi dalla disabilità è toccato da vicino sia chi, a vario titolo, si occupa di questo tema. Nei giorni caldi della costituzione del nuovo ministero, Iacopo Melio, giornalista e scrittore molto conosciuto, da poco impegnato anche come consigliere regionale in Toscana, ha preso in mano carta e penna per indirizzare una lettera aperta al giornale Repubblica. Una lettera dai toni decisi, in cui critica in maniera forte il nuovo Ministero. Lo abbiamo sentito per chiedergli di spiegarci meglio il suo punto di vista. Perché ritiene che il Ministero per le disabilità sia “inutile quanto dannoso” e perché “ci porta cento passi indietro sulla strada dell’inclusione”? «Possiamo dire che si tratta di un Ministero ghettizzante ed esclusivo, proprio perché sottolinea la “specialità” di una precisa categoria, confinandola in un recinto (o, se preferiamo, una caritatevole campana di vetro), e quindi etichettandola in partenza come “diversa”, per appunto definizione e scopo del Ministero stesso. Anziché valorizzare la parità, vero obiettivo dell’inclusione che dovrebbe riguardare ogni minoranza e non solo, garantendo così alle persone con disabilità le stesse risorse che spettano a tutti gli altri cittadini, in questo modo vengono sottolineate le diversità, per giunta con quel velo pietistico e compassionevole di chi vuole “prendersi cura” non in modo naturale, per diritto e dovere, ma con una facciata politically correct in cerca di facili approvazioni». Ci sono, a suo parere, dei modelli “virtuosi” fuori dall’Italia di come trattare la disabilità a livello istituzionale, che potrebbero essere di ispirazione anche per noi? «Sicuramente il Nord Europa è molto avanti in fatto di Welfare, oltre ad alcune zone dell’America che hanno da tempo una sviluppata cultura attivista per contrastare l’abilismo della società. Pensiamo agli stessi disability studies, nati proprio oltre Oceano e importati molto tardi da noi, dove non vengono sufficientemente valorizzati come un po’ tutto ciò che riguarda le scienze sociali. Ciò che salta all’occhio, ad esempio da Paesi come Germania, Francia, Olanda o Svezia, è la quantità di risorse, soprattutto economiche, che vengono mensilmente garantite alle persone con disabilità per poter condurre una vita il più autonoma possibile, a fronte dei nostri miseri 500€ di pensione di invalidità circa, totalmente insufficienti per permettersi un’assistenza adeguata e qualificata». Che tipo di approccio suggerisce, in base alla sua esperienza, al tema della disabilità, a livello istituzionale? «Il giusto approccio, se vogliamo inserire le persone con disabilità nella società senza farle sentire un mondo a parte, è quello più semplice e che più di mezzo secolo di scienze sociali propone (oltre alle linee guide stesse dell’ONU in fatto di inclusione): fare in modo che le politiche di ciascun Ministero tengano conto di tutti, senza lasciare nessuno indietro, a prescindere da chi sia o cosa rappresenti. In sostanza, quando andiamo a fare qualcosa non dovremmo farlo “anche per i disabili”, ma semplicemente “per tutti”. Cambiare questa prospettiva aiuterebbe a costruire quella cultura di cui abbiamo bisogno, quella cioè che non vede la disabilità altrui ma la persona, con pregi e difetti, punti deboli e di forza». Quest’anno la onlus da lei fondata #vorreiprendereiltreno compie 7 anni. Quali sono i traguardi più significativi che siete riusciti a raggiungere? «Sono tantissime le cose che ci hanno riempito di orgoglio in questi anni. Buona parte della nostra attività è online: periodicamente aiutiamo un sacco di persone, come fossimo una sorta Ufficio Relazioni, attraverso la nostra grande visibilità mediatica che ci permette, quando raccontiamo una certa storia che vive un determinato problema, di fare abbastanza rumore da sbloccare quella situazione. Credo che questa sia la cosa più bella, perché evidenzia il potere della rete e della community che abbiamo coltivato col tempo, che oggi conta più di 320.000 follower sui social. Altre grandi soddisfazioni arrivano quando, ricevuta una qualche segnalazione riguardante barriere architettoniche, disservizi o problemi di altro tipo, Giovanna, che è la nostra social media manager, interviene contattando i diretti interessati e, cercando di costruire un canale collaborativo, riesce a far correggere l’eventuale errore. Per quanto riguarda il lavoro offline, invece, il traguardo che ho più nel cuore è stato l’aver acquistato, già dopo un anno e con le sole donazioni ricevute da chi ci segue, un’auto accessibile per il trasporto anziani e studenti con disabilità all’interno del mio Comune di residenza. Successivamente abbiamo dato inizio ad altri servizi continuativi: ci appoggiamo ad un’accademia cinofila finanziando ogni anno la pet-therapy in reparti di pediatria della Toscana, abbiamo aperto uno sportello di ascolto psicologico gratuito per ragazzi e famiglie, acquistiamo ciclicamente defibrillatori per le scuole che ne sono ancora sprovviste, e sempre a scuola manteniamo attivi percorsi di musicoterapia. Insomma, le idee non ci sono mai mancate e sono certo che dopo la pandemia la Onlus tornerà più attiva che mai».
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Search-ME - Erickson 4 Concorsi e professioni della scuola
Tutte le informazioni per partecipare all’edizione 2020/21 del premio “Francesco Gatto” che premia tesi di laurea triennale o magistrale sui temi della pedagogia, della didattica speciale, delle tecnologie assistive e sperimentali
L’ I.RI.FO.R. - Istituto per la Ricerca, la Formazione e la Riabilitazione - con la collaborazione delle Edizioni Centro Studi Erickson indice una borsa di studio intitolata a “Francesco Gatto” per incentivare la realizzazione di tesi di laurea triennale o magistrale sui  temi della pedagogia, della didattica speciale, delle tecnologie assistive e sperimentali ovvero sui temi dell’inclusione scolastica e sociale dei ciechi e degli ipovedenti o dei ciechi e degli ipovedenti con disabilità aggiuntive.  Premi e criteri di assegnazione Saranno premiati unicamente i lavori che avranno raggiunto il punteggio minimo richiesto per ogni premio come di seguito specificati. I premi saranno i seguenti: Primo premio 2.000 euro: punteggio conseguito almeno ottantacinque su cento (85/100) e voto di laurea di almeno cento  su centodieci (100/110). Secondo premio 1.500 euro: punteggio conseguito almeno settantacinque su cento (75/100) e voto di laurea di almeno novanta su centodieci (90/110). Terzo premio 1.000 euro: punteggio conseguito almeno sessantacinque su cento (65/100) e voto di laurea di almeno ottanta su centodieci (80/110).  La giuria di valutazione La giuria di valutazione avrà il compito di valutare il punteggio di ogni tesi candidata; sarà composta da quattro membri di cui un tecnico nominato da Erickson, due tecnici non vedenti o ipovedenti nominati da I.RI.FO.R. e sarà presieduta dal Direttore Scientifico dell’I.RI.FO.R. I voti a disposizione di ogni componente della giuria di valutazione andranno da dieci a cento e saranno espressi in modo individuale e in busta chiusa; la media dei singoli voti costituirà il punteggio finale dell’elaborato valutato. Modalità di partecipazione Le tesi dei candidati che non hanno superato i 40 anni di età alla data di laurea, dovranno pervenire esclusivamente in formato elettronico accessibile all’indirizzo archivio@pec.irifor.eu entro il 30 giugno del 2021. Saranno ammesse anche tesi discusse tra il 2018 e la scadenza del presente bando. I candidati devono esprimere per iscritto il consenso alla pubblicazione delle tesi sul web e sugli strumenti di comunicazione degli organizzatori. Assegnazione dei premi I premi saranno consegnati durante il Convegno Erickson “La Qualità dell’inclusione scolastica e sociale” che si svolgerà a Rimini dal 12 al 14 novembre 2021”.
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Search-ME - Erickson 5 Disabilità
Le strategie didattiche che si possono utilizzare per aiutare i bambini a scuola
Le strategie didattiche che consentono a un alunno con disabilità visiva di vivere un percorso di apprendimento accessibile e inclusivo fanno riferimento a una prospettiva di tipo esperienziale. Infatti, il bambino non vedente costruisce l’apprendimento attraverso le azioni che compie e le riflessioni sui risultati del proprio agire.   Più occasioni vengono date, più le percezioni e il bagaglio di conoscenze del bambino non vedente si arricchiscono. Allo stesso tempo, però, la giusta attenzione va riposta nel non generare una condizione di stress data dall’eccesso di informazioni e spiegazioni. In questo caso il bambino non avrebbe il tempo di collocare ciò che ha appena percepito perché interrotto da nuovi stimoli e potrebbe arrivare a mettere in atto meccanismi di difesa, chiusura e opposizione, difficili da decostruire.   Il bambino va aiutato a scoprire dentro di sé l’intenzionalità del toccare, la motivazione a scoprire il mondo e il piacere della sua conoscenza, tenendo in considerazione che il percorso di acquisizione delle abilità e delle competenze — motorie e cognitive — che gli consentiranno di agire in maniera sempre più autonoma ed efficace prevede tempi lunghi di apprendimento e la necessità di riproporre più volte la stessa sequenza di azioni, posizioni, descrizioni. Per questo motivo le figure educative devono progettare itinerari didattici in chiave ludica — e con una forte connotazione affettiva — che sostengano il bambino, rinforzino la sua autostima e la sua motivazione alla conoscenza e alla sperimentazione.   Nella scuola dell’infanzia un bambino non vedente trova accolte e valorizzate molte delle sue possibilità di apprendimento.   Qui il bambino consolida le abilità sensoriali, percettive, motorie, linguistiche e cognitive, impara a ottenere e classificare le informazioni attraverso i sensi vicarianti (il tatto, l’udito, il gusto e l’olfatto) e le sensazioni vicarianti (la sensazione termica, la sensazione barica etc.). Grazie alla competente attivazione e integrazione delle percezioni sensoriali, egli impara a muoversi autonomamente in ambienti conosciuti e a ricercare riferimenti per orientarsi e organizzare i propri percorsi. La possibilità di agire, descrivere, fare domande e dare risposte «in situazione» rimane il contesto di apprendimento maggiormente favorevole e denso di ricadute cognitive ed emotive.   Con l’inizio della scuola primaria, le richieste — in termini di attenzione e di memoria procedurale — aumentano, mentre diminuiscono il tempo e lo spazio del movimento. Per un bambino con deficit visivo l’attenzione prolungata al compito e l’impossibilità di esplorare l’ambiente circostante sono ostacoli non indifferenti. Le modalità di comunicazione si fanno prettamente verbali e il linguaggio è denso di riferimenti visivi inaccessibili e incomprensibili. Eppure la produzione, soprattutto orale, spesso risulta ricca e impregnata di elementi riconducibili a realtà non direttamente esperite. Negli anni della scuola primaria il bambino, come i compagni, impara a utilizzare linguaggi strutturati e codici simbolici. Per chi non vede ciò significa apprendere il codice Braille, un sistema di lettura e scrittura in rilievo che risponde alle caratteristiche della percezione tattile. La condivisione del codice Braille da parte di tutti coloro che sono accanto al bambino con disabilità visiva (famiglia, insegnanti, compagni) ne favorisce l’accettazione e accresce la motivazione all’apprendimento.
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Search-ME - Erickson 6 Disabilità
Non è facile spiegare come “vede” una persona cieca, ma Roger Olmos lo fa con la maestria che si addice ai veri artisti. Una mostra alla Libreria Erickson di Trento
È mattina, vi alzate, fate colazione, vi vestite e vi preparate per la giornata di scuola o lavoro: la marmellata sempre nello stesso posto, i vestiti presi al volo dalla cesta delle cose da stirare, la cartella preparata la sera prima. Sono gesti automatici, che eseguiamo senza pensarci come degli automi con gli occhi ancora impastati di sogni. Ora facciamo un gioco: immaginate di rifare tutto questo, ma senza vedere. Non potete usare la vista per cercare la marmellata se qualcuno l’ha spostata, per abbinare la maglia ai pantaloni o per scegliere i libri della materia giusta. Dovete fare affidamento su tatto, udito e una certa dose di quello che potrebbe essere il sesto senso, quello dell’immaginazione. È quello che fa Lucia, una bambina non vedente che si muove tra le pagine magnificamente illustrate da Roger Olmos (Logos). Il senso a cui si affida Lucia è proprio quello della fantasia che le permette di andare oltre la tirannia delle apparenze e vedere il mondo che la circonda con gli occhi del cuore. Il risultato sono delle immagini oniriche, colorate ed emozionanti: nel tragitto da casa a scuola la vediamo volare su un’altalena appesa al cielo, trasformare le aste di un cancello nelle canne di un organo dalla altisonante melodia, salutare l’albero del parco con una carezza come un amico fedele.  A scuola riconosce la risata di ciascun compagno e vede l’anima buona del suo nuovo compagno di banco: Lucia non giudica ma osserva - a modo suo - le caratteristiche di ciascuno, ne coglie gli aspetti più nascosti che spesso si celano dietro la patina delle apparenze. Non è facile spiegare come “vede” una persona cieca, ma Roger Olmos lo fa con la maestria che si addice ai veri artisti, compiendo un’opera di empatia che tutti noi dovremmo sperimentare. Dopo un periodo passato a immedesimarsi nella vita di una persona non vedente e a documentarsi, Roger Olmos capisce quanto la quotidianità di una persona con disabilità visiva sia piena di ostacoli, ma di certo non insormontabili.  “Con Lucia – dice l’autore – ho scelto di colorare e dare vita al variegato mondo che abita il presunto buio in cui vive un cieco; ho voluto mostrare come possono diventare le cose che ci circondano se chiudiamo semplicemente gli occhi, immaginandole e basta.” Olmos parte infatti dalla speranza nel raccontare la storia di Lucia, nella convinzione che l’inclusione per le quali lavorano tutte le associazioni che in vario modo intervengono nella vita delle persone non vedenti, sia un orizzonte possibile. Tutti noi in un certo senso siamo “disabili”: abbiamo bisogno dell’aiuto degli altri per stare bene e riuscire nelle piccole azioni del quotidiano. Il nostro tatto, il nostro udito e il nostro senso dell’orientamento sono spesso atrofizzati, messi in secondo piano dal senso della vista. Inclusione significa quindi condivisione degli spazi, integrando i diversi modi di vivere il mondo, facendo emergere tutta la ricchezza che da ciò ne deriva. “Questo è un libro per bambini, - continua Olmos - un libro che sogna di integrare il mondo dei non vedenti al nostro, che nella disabilità vede solo la diversità.” IL LIBRO DI LUCIA IN MOSTRA ALLA LIBRERIA ERICKSON Il libro di Lucia è diventato una mostra in esposizione alla Libreria Erickson di Trento. Una mostra che circonda, coinvolge e ammalia con i suoi colori, l’intensità della sua storia e la consapevolezza del suo intento. Le tavole ci fanno ripercorrere la storia della piccola protagonista, immergendoci nel suo mondo di fantasia, tanto che si è tentati di chiudere gli occhi per vedere se davvero il buio può essere così colorato.
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