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I mini gialli dei dettati 2
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Search-ME - Erickson 1 Metodologie didattiche / educative
Lidio Miato, esperto in psicologia dell’età evolutiva, presenta un modello evolutivo in 5 fasi che illustra gli step attraverso i quali i bambini apprendono la lingua scritta
Impadronirsi della lingua scritta è una tappa importante per lo sviluppo culturale del bambino e nello stesso tempo è un’impresa complessa. L’adulto, attraverso le sue conoscenze, può trovare e proporre le strategie migliori per aiutarlo a impadronirsi di questa competenza, stimolandolo a riflettere e a confrontarsi con i pari, per sviluppare sempre più le proprie capacità e le proprie teorie linguistiche. Le strategie possibili sono molte, ma sta all’intelligenza e alla sensibilità dell’insegnante o adulto in genere scegliere gli strumenti più adatti alla realtà dell’alunno che ha di fronte. Secondo una rielaborazione dei modelli teorici di Ferreiro e Teberosky (1985), Seymour, Aro ed Erskine (2003), Frith (1985), Harris e Coltheart (1986), Cornoldi, Miato, Molin e Poli (1985a) e Miato (2004), la concettualizzazione della lingua scritta si sviluppa attraverso 5 fasi: fase logografica, fase sillabica, fase alfabetica, fase ortografica e fase lessicale. Vediamo queste fasi una per una. Fase logografica La prima fase dello sviluppo della concettualizzazione della lingua scritta è quella logografica, o fase del vocabolario visivo, che si manifesta ancor prima dei 3 anni d’età. È durante questa fase che il bambino si fa un’idea riguardo a cosa serva la scrittura, per arrivare infine a comprendere che essa permette di rappresentare tutte le parole. In questa fase, il bambino intende le parole come «disegni», per cui ne «legge» alcune in modo globale, perché contengono lettere ed elementi che ha imparato a riconoscere, e allo stesso modo le «scrive», disegnandole come se fossero il logo che sta al posto dell’oggetto, con la sola differenza che utilizza segni convenzionali anziché riprodurre le caratteristiche fisiche dell’oggetto. In questa fase dello sviluppo cognitivo, il bambino non ha consapevolezza della struttura fonologica delle parole; generalmente solo dopo i 5 anni giunge a individuare i suoni minimi che compongono le sillabe e ad associare ogni fonema a un simbolo grafico (grafema). Fase sillabica In questa fase il bambino sviluppa una rappresentazione sillabica dal suono della parola e fa corrispondere a ogni sillaba un simbolo grafico, affinando — a livello cognitivo, metacognitivo e percettivo — le capacità che aveva sviluppato nella fase precedente. Si tratta di una fase della massima importanza evolutiva, perché per la prima volta il bambino agisce in base all’ipotesi che la scrittura rappresenti parti sonore della parola. Dato che, in questa fase, il bambino attribuisce molta importanza alle vocali, a volte può esserci un’apparente regressione della scrittura. Bambini che sapevano scrivere in maniera completa il loro nome, ad esempio «NICOLA», potrebbero ridurlo ai corrispondenti sillabici, ad esempio «IOA». Fase alfabetica In questa fase il bambino impara a far corrispondere un suono (fonema) a una forma (grafema), per poi approdare alla fase ortografica, nella quale apprenderà a far corrispondere a un fonema più grafemi e viceversa. Per Ferreiro e Teberosky (1985), il bambino in questa fase entra in conflitto cognitivo tra la sua esigenza interna di far corrispondere a ogni sillaba un segno grafico e la realtà esterna che gli presenta un numero maggiore di grafemi rispetto a quelli necessari secondo l’ipotesi sillabica. Uscirà da questo conflitto abbandonando progressivamente l’ipotesi sillabica per individuare unità sonore più piccole (fonemi). In questo passaggio dalla fase sillabica a quella alfabetica, è interessante notare come, nella lettura, le parole vengano scomposte in parte in fonemi e in parte in sillabe (ad esempio «P A O LO», «F E DE RI CA»). Per aiutare i bambini a elaborare e acquisire l’ipotesi fonetica, è importante l’intervento dell’adulto, in particolare dei familiari e degli insegnanti della scuola dell’infanzia: teniamo presente che la sillaba è un’unità sonora facile da identificare, mentre il fonema, specie consonantico, lo è meno Fase ortografica Nella fase ortografica, il bambino non legge più a livello sequenziale, lettera per lettera, ma per gruppi di lettere che possono essere una sillaba o anche un’intera parola, se non troppo lunga. Ad esempio, l’identificazione di una parola passerà da una fase sequenziale (P… A → PA, N… I→NI, N… O → NO, →PA-NI-NO→ PANINO) a una strategia di riconoscimento in parallelo, quindi all’analisi contemporanea di più grafemi. Avremo così una lettura direttamente sillabica (PA-NI-NO → PANINO) che, procedendo per «pezzi» (chunk), permette di velocizzarla. Contemporaneamente, il bambino prende crescente consapevolezza delle regole e delle eccezioni che strutturano il linguaggio scritto: ad esempio del fatto che esistono suoni singoli scritti con due grafemi (i digrammi sc, gh, gn, ecc.) e suoni diversi che si scrivono allo stesso modo (la s di «sole» e la s di «casa»). Fase lessicale Quella lessicale è la quinta e ultima fase del modello di apprendimento evolutivo in 5 fasi. In questa fase, il lettore guarda contemporaneamente tutta la parola e la elabora come unità attivando, oltre all’analisi visiva, tutti i processi di ordine superiore (come le inferenze contestuali e i campi semantici) che ne guidano il riconoscimento veloce. Questo permette una lettura ancora più veloce e spedita, perché l’analisi visiva attiva le parole congruenti memorizzate nel magazzino lessicale e spesso sono sufficienti pochi indizi visivi per individuare la parola in questione. Questo effetto, chiamato «superiorità della parola» (Krugher, 2014), evidenzia che nella lettura di parole sono attivate strategie differenti rispetto alla lettura di non parole. La strategia utilizzata dal lettore esperto di fronte a una successione di lettere casuali è quella del riconoscimento sequenziale, mentre la strategia utilizzata nella lettura di una parola è quella del riconoscimento in parallelo di tutte le lettere che la formano. Tuttavia, come spiega il modello del doppio accesso neurale di Coltheart (1978), per leggere sono e rimangono necessarie due vie: accanto a quella del riconoscimento globale veloce, che si acquisisce in questa fase, il lettore in alcuni casi (ad esempio in presenza di parole sconosciute, che ancora non fanno parte del suo bagaglio lessicale) continua a utilizzare in parallelo le strategie dello stadio precedente di conversione sequenziale tra i segni grafici e i suoni.
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Search-ME - Erickson 2 Italiano
La qualità della grafia influenza lo sviluppo di molte competenze e ha ricadute sulla sfera emotiva di bambini e bambine: ecco perché quello sulla corretta grafia è un investimento prezioso
Accade molto spesso che i bambini tentino di riprodurre i modelli grafici, dati dall’insegnante o dal libro di testo, usando schemi motori e strategie poco adeguate e inefficienti, difficili da correggere una volta automatizzate. Questo fa sì che, sempre più frequentemente, si assista a un aumento delle difficoltà nella scrittura a mano. Nonostante il 3-5% della popolazione scolastica sia affetta da un disturbo specifico di grafia (disgrafia), è di circa il 25% la percentuale di quella che ha una grafia poco leggibile e poco fluente, che compromette le abilità di comunicazione e di espressione personale. Questi dati giustificano ampiamente la necessità di prestare attenzione a questo ambito, anche per la ricaduta che ha su altri aspetti dello sviluppo e sulla stima di sé. Varie ricerche indicano, infatti, che la qualità della grafia ha un effetto marcato sulle competenze di scrittura e che un insegnamento che facilita l’acquisizione del corsivo e la fluidità di scrittura ha una ricaduta positiva sull’attenzione, sull’ortografia e sulle abilità di lettura. Riprendo da Tressoldi, Cornoldi e Re (2013) le relazioni tra grafismo e altri aspetti della scrittura. Nei compiti che richiedono più operazioni, una debolezza nell’uno può riflettersi sugli altri attraverso: trade-off, perché se si è deboli nel grafismo occorre indirizzare su questo le proprie energie, sottraendo risorse attentive sugli altri aspetti della scrittura; percezione generale di disagio e insicurezza, perché, quando ci si sente poco autoefficaci in un’operazione richiesta da un compito, questa incertezza si estende anche alle altre; demotivazione, perché le frustrazioni associate all’atto di scrivere inducono una bassa motivazione generale e riducono l’uso spontaneo della scrittura; copertura, perché le incertezze riguardo all’ortografia e all’adeguatezza della propria produzione scritta vengono camuffate attraverso una scrittura poco leggibile; combinazioni con l’espressione scritta, perché la lentezza di scrittura impedisce di stare dietro alle idee che si vorrebbero scrivere e porta a produrre testi brevi e poveri di contenuto; combinazioni con le rappresentazioni ortografiche e con la capacità di segmentazione richieste dall’ortografia, perché lentezza e difficoltà nel recuperare la rappresentazione ortografica di una parola ne rallentano la scrittura. Un elaborato scolastico eseguito con una grafia chiara ottiene voti migliori a prescindere dai contenuti espressi. Al contrario, una cattiva scrittura, oltre a rendere la lettura faticosa anche in fase di autocorrezione, influenza negativamente il giudizio del docente che parte con un’aspettativa preconcetta di fronte ai possibili risultati di profitto. La cattiva qualità della grafia ha, inoltre, delle ricadute negative sul rendimento scolastico anche nelle classi più avanzate, tale da essere significativo predittore della riuscita degli studi. Questi dati ci sostengono nella scelta di dedicare un tempo adeguato al corretto insegnamento del corsivo. La ricerca scientifica sostiene, inoltre, l’importanza di identificare il più precocemente possibile, già a livello di scuola dell’infanzia, le difficoltà di controllo grafo-motorio, con interventi mirati alla prevenzione, alla valutazione e al recupero didattico e/o riabilitativo. La quantità di tempo rivolto a questi aspetti assume un valore relativo: investire sulla corretta grafia vuol dire investire, per alcuni aspetti, sul «futuro scolastico» dei bambini e, di sicuro, su una positiva immagine di sé.
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Search-ME - Erickson 3 Metodologie didattiche / educative
Qual è il percorso che porta un bambino a imparare a scrivere
Per scrivere il bambino deve riuscire a utilizzare processi che si situano a diversi livelli di funzionamento: dal coordinare tutti i movimenti legati al gesto grafico, al conoscere le regole che permettono di convertire i suoni delle parole in segni grafici convenzionali e all’aver sviluppato processi e conoscenze che gli permettono di comunicare a qualcuno un messaggio scritto in modo efficace. In questo articolo ci occuperemo principalmente del gesto della scrittura in corsivo. Il percorso che porta un bambino a imparare a scrivere inizia molto precocemente ed è supportato dall’interesse per fogli, penne, colori e da come li vede utilizzare dai fratelli più grandi oppure dagli adulti. Il vedere che si può lasciare una traccia sul foglio è così d’impatto per il bambino che, fin dalla primissima infanzia, dedica al disegnare una grande quantità di tempo. Facendo esperienza con pastelli, colori a matita, pennarelli, ma anche con colori a dita e colori ad acquarello, il bambino sviluppa quelle abilità di coordinazione fine-motoria necessaria poi alla scrittura in codice alfabetico. Il bambino solitamente passa da un’impugnatura palmare, in cui tiene il pastello con tutta la mano, a un’impugnatura in cui utilizza generalmente tre dita. Questo passaggio permette al bambino di tracciare segni sempre più precisi. Un altro passaggio importante è quello legato al movimento di spalla, gomito e polso, che in un primo momento sono rigidi e consentono cambi di direzione grossolani, per poi divenire più fluidi e permettere, quindi, un movimento più armonioso di tutti i distretti corporei coinvolti nella scrittura. Nel disegno poi il bambino impara anche che può rappresentare con dei segni gli elementi del mondo circostante in modo sempre più convenzionale. Si formano così le basi fino-motorie della scrittura manuale: la coordinazione dei movimenti è sufficientemente raffinata da permettere i gesti necessari alla scrittura di grafemi e il bambino ha capito che i segni scritti rappresentano qualcosa, sono quindi dei simboli. Un altro traguardo cognitivo importante è quando il bambino o la bambina capiscono che il suono delle parole è rappresentato da segni particolari (grafemi) e che questo processo segue delle regole di composizione. La scrittura in corsivo richiede sicuramente l’esecuzione di movimenti fini, in rapida successione, con frequenti cambi di direzionalità, entro spazi delimitati, rispettando le convenzioni a essa associate. Se pensiamo a questi movimenti, però, salta all’occhio come siano in continuità con quelli utilizzati dai bambini nel disegno.
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