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I mini gialli dei dettati 2
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Come l’arte può aiutare a combattere i pregiudizi

In occasione della Giornata Mondiale della Salute Mentale ricordiamo l’artista Gino Sandri. Talento precoce, nel 1924 – a 32 anni - viene internato in un istituto psichiatrico, dove continua a disegnare. Abbiamo selezionato i 7 ritratti più emozionanti.

Il 10 ottobre ricorre la Giornata Mondiale della Salute Mentale. Una data che è occasione preziosa per sensibilizzare sulla malattia mentale per superare pregiudizi, stigma e paure legati al disagio psichico che ancora oggi sono purtroppo fortemente radicati nella nostra società.

Contrastare stigma e pregiudizi

Un modo efficace per sensibilizzare è portare testimonianze e storie di vita vissuta. Così oggi cerchiamo di contrastare stigma e pregiudizi raccontando un uomo e un artista che ha dovuto fare i conti con stigma e pregiudizi per gran parte della sua esistenza. Parliamo di Gino Sandri, illustratore, pittore e scrittore, la cui vicenda è stata riportata alla luce dal libro La libertà mi sorrida a cura di Paolo Conti. Un testo che presenta un’ampia e inedita raccolta di disegni e scritti di Sandri, offrendo uno spaccato fedele di un’esperienza artistica e umana unica nel suo genere.

«Riportare alla luce il caso di Gino Sandri per alcuni è portare al dominio dell’arte un artista dimenticato perché buttato nelle immondezze dei manicomi; per me è riproporre all’attenzione dell’homo sapiens sapiens il problema di come sia potuto accadere il phénomène humain del manicomio». Con queste parole lo psichiatra Vittorino Andreoli spiega l’importanza di dare visibilità, ai giorni nostri, alla figura e all’opera di Gino Sandri.

Un talento spezzato dal manicomio

Gino Sandri (1892-1959) è stato un disegnatore di grande talento, formatosi all’Accademia di Belle Arti di Brera. Apprezzato illustratore, collabora già a vent’anni con le case editrici Hoepli e Barzini. Nel 1924, per iniziativa delle milizie fasciste, viene internato in un istituto psichiatrico e scompare dall’attenzione di critica e pubblico. Durante l’esperienza manicomiale, Sandri continua comunque a disegnare e a scrivere, scegliendo come soggetti elettivi i volti e le vite di persone ferite dalla malattia e dall’abbandono, vittime, come lui, di un’istituzione emarginante e violenta.

«Il modo in cui l’artista Gino Sandri tratteggia la follia dei degenti negli ospedali psichiatrici è intriso di una dolente pietas: a differenza di altre immagini di pazzi sparse nella pittura italiana fra Ottocento e Novecento, i ritratti di Sandri sono generati da un coinvolgimento diretto e sofferto con la somma tristezza da cui si sentiva circondato e di cui egli stesso era vittima».

Gianfranco Ravasi, teologo

Il disegno lo tiene vivo

La storia di Sandri è controversa, se è vero che, come ricorda il teologo Gianfranco Ravasi nelle pagine introduttive del libro, il regime fascista «amava rubricare come folli i pensatori e gli attori liberi nella scena cupa della repressione». In manicomio, dove Sandri morirà abbandonato nel 1959, il disegno lo impegna, lo tiene vivo. «Il talento artistico – scrive Ravasi – lo difende da un abbrutimento disperato nella segregazione impostagli». E ciò che disegna (e scrive) rappresenta un documento straordinario sull’istituzione manicomiale, che in Italia vedrà la fine nel 1978 grazie alla Legge 180, anche se molti Istituti sono rimasti in funzione fino a metà degli anni Novanta e ancora oggi diverse realtà psichiatriche riproducono modelli manicomiali. Aspetti, questi, che nella Giornata Mondiale della Salute Mentale ci impongono una riflessione e ci devono spingere a non dimenticare la terribile esperienza dei manicomi affinché non si ripeta.

Nella storia italiana del genio e della follia Gino Sandri occupa un posto del tutto particolare: negli anni segnati dal regime fascista fino alla morte avvenuta nel 1959 darà vita a una sorprendente e forse unica galleria di ritratti “dall’interno”.

Giorgio Bedoni, psichiatra e docente all’Accademia di Belle Arti di Brera

In quasi trent’anni di reclusione, sono oltre 500 i ritratti realizzati da Sandri in manicomio (anche se il numero si riferisce solo ai ritratti ritrovati, ed è plausibile pensare che fossero in realtà molti di più). In queste opere Sandri si rivela come una sorta di «anti Lombroso», come fa notare lo psichiatra Giorgio Bedoni. A differenza del padre della criminologia moderna, egli infatti non tratteggia «tipi degenerati, grotteschi criminali e uomini di genio», ma «figure dolenti di vinti perduti alla vita».

Riportiamo una selezione dei 7 ritratti più emozionanti di Gino Sandri, con le note originali segnate dall’autore sul retro delle opere, tutte catalogate con cura certosina da Paolo Conti.

 

Uno scrittore tutto da scoprire

Ma non c’è solo il Sandri pittore e illustratore, al quale è stata tributata negli ultimi anni una certa attenzione, sia pure tardiva, da parte della critica. C’è anche il Sandri scrittore, ancora del tutto sconosciuto e tutto da scoprire. È soprattutto a questo lato che il libro La libertà mi sorrida intende dare visibilità offrendo per la prima volta una selezione, oltre che delle opere, anche degli scritti dell’autore, dai quali emergono una sensibilità acutissima e un’originale capacità introspettiva nel testimoniare la drammatica vicenda degli internati in manicomio.

Ecco alcuni stralci dagli scritti di Gino Sandri:

Infreddolito mi siedo su una panca vuota presso un termosifone spento. Mi avvicina un attempato, tizio furtivo smorto smorto, color diabete, mi sor-ride gentilmente. Gli chiedo: «Quanti anni ha fatto qua?». «Trentacinque» risponde. «Mesi vero? Trentacinque mesi?» chiedo incredulo aver frainteso. «No, no, trentacinque anni! Sono entrato nel 1895, faccia il conto Lei!». Ammutolisco, ma non posso fare a meno di pensare che in quel tempo avevo tre anni, tutto riccioli e letizia… vorrei dire qualcosa ma non so né posso.
Dopo due mesi vedo in un braccio di corridoio un gattino bianco e rosa che mi sbircia a un «ti vedo e non ti vedo» d’albino e guizza in una cameretta abitacolo del paralitico che riapprende a camminare e che scopro a letto col viso di terracotta convulso di catarro. Il micio alza la zampina sotto la coperta immacolata verso il suo Signore e Donno.
Il paralitico mi guarda, guarda il felis e esprime con lentezza categorica: «il gat-to man-gia i to-pi!».
Alla sera il buon tipo sparuto, roso dall’acuta nevrastenia, compare nell’hall sbiancata di luce elettrica in gran tenuta di partenza: impermeabile, valigetta lustra e s’avvia all’uscita premuratissimo. Ci getta sguardi furtivi, sorrisi perplessi, muti cenni, si copre e scopre la calvizia lucente e si ferma stranito, interloquito alla porta chiusa, chissà come, accuratamente chiusa.

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