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I mini gialli dei dettati 2
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Search-ME - Erickson 1 Società e cittadinanza
Le sfide urgenti della nostra scuola analizzate dal maestro Franco Lorenzoni
Franco Lorenzoni, maestro di scuola primaria da quarant’anni, insegna a Giove, in Umbria e presso la casa-laboratorio di Cenci ad Amelia, un centro di sperimentazione educativa fondato da lui nel 1980, dove si occupa di formazione per adulti e ragazzi di tutte le età. È anche autore, con vari titoli al suo attivo che raccontano le sue esperienze educative con i bambini. Nella pratica didattica considera centrale il dialogo con i suoi alunni, ponendosi come obiettivo quello di costruire insieme un percorso formativo fatto di domande e risposte, esperimenti e verifiche sul campo. Franco Lorenzoni sarà relatore al convegno “La Qualità dell’inclusione scolastica e sociale” con due interventi sulla necessità di “educare controvento” e di costruire contesti educativi accoglienti. Proponiamo qui un’anticipazione della sua riflessione riguardo alle sfide urgenti che deve affrontare la scuola oggi nel nostro Paese.  «Abbiamo davanti a noi due domande che non possiamo eludere: Come costruire una società aperta e tollerante, capace di accogliere migrazioni di vasta portata con conseguenti trasformazioni culturali? Come comportarci con il surriscaldamento globale che già colpisce vaste zone del sud del mondo, sapendo che “risolvere la crisi climatica è la sfida più grande e complessa che l’Homo sapiens abbia mai dovuto affrontare”, come ripete con efficacia e convinzione Greta Thunberg? All’origine della nostra cultura, nelle prime scuole filosofiche dell’antica Grecia, chi insegnava e studiava non si limitava a elaborare e trasmettere conoscenze, ma cercava di sperimentarle su di sé, nel proprio corpo e nelle relazioni con gli altri. Prima che studio, la filosofia era esercizio, pratica. Nell’educare oggi abbiamo bisogno di una coerenza di comportamenti difficile da realizzare, che possiamo alimentare solo da una ricerca continua e dal metterci in gioco, trasformando in modo radicale i contesti educativi che abitiamo». In un articolo pubblicato da Internazionale ad aprile 2019, Franco Lorenzoni ha approfondito il significato della sfida lanciata da Greta Thunberg alla scuola. «Lo sciopero a oltranza di Greta Thunberg lo scorso agosto e i suoi venerdì di astensione dalle lezioni hanno colpito l’immaginazione di centinaia di migliaia di studenti in tutto il mondo. La ragazza non sta fondando una nuova scuola filosofica ma chiede, nel modo ultimativo che sanno avere gli adolescenti, un cambiamento radicale nel modo in cui la società si relaziona con la conoscenza. Chiede di svegliarci e di agire di conseguenza. Chi crede nella funzione dell’educazione non può non interrogarsi su tutto questo. Forse, nelle nostre scuole dovremmo immaginare di fare qualcos’altro ogni venerdì, provando a ragionare con radicalità e senza bugie su quali pratiche e comportamenti siano compatibili con il futuro di un pianeta abitabile per tutti. È una strada difficile, che appare quasi impossibile percorrere, ma le domande che pone Greta Thunberg sono ineludibili, perché mai con tanta evidenza come in questo caso capire è cambiare. E non cambiare vuol dire non aver capito, alla faccia del gran parlare di competenze».
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Search-ME - Erickson 2 Cultura
Il documentario sulla vita di Martina Caironi e Piergiorgio Cattani premiato agli Italian Paralympic Awards 2019
Due persone con storie diverse, ma che si trovano entrambe a confrontarsi con un evento sconvolgente, che inevitabilmente incide sul loro percorso di vita. Da una parte, un incidente in moto che porta all’amputazione di una gamba. Dall’altra, una patologia invalidante come la distrofia. Due eventi che potrebbero annientare una persona, ma ai quali i due protagonisti riescono a reagire positivamente, senza chiudersi in se stessi, anzi inventandosi o reinventandosi dei percorsi controcorrente e a trovare una propria, peculiare e felice, realizzazione.   Le due persone in questione sono Martina Caironi, atleta paralimpica con protesi alla gamba sinistra, vincitrice di numerose medaglie alle Paralimpiadi e ai mondiali paralimpici sia nei 100 metri che nel salto in lungo, e Piergiorgio Cattani, scrittore, giornalista e direttore del portale www.unimondo.org, da un po’ di tempo attivo anche in politica.   Dalle loro storie è nato un documentario: “Niente sta scritto” di Marco Zuin, già conosciuto e premiato a livello internazionale per altri lavori di regia. Il messaggio di “Niente sta scritto” è che la vita riserva sorprese, positive e negative, ma che, grazie alle persone, alle relazioni, ai desideri, ai sogni, all’impegno concreto e anche alle difficoltà impreviste, anche un’esistenza segnata da eventi sconvolgenti, come una malattia o un incidente, può dipanarsi secondo i propri desideri. Nulla è scontato, nel bene e nel male, “Niente sta scritto”, come dice Lawrence d’Arabia nell’omonimo kolossal del 1962.   Il documentario “Niente sta scritto” è stato a sua volta apprezzato ed è in attesa di essere premiato giovedì 13 giugno durante la Cerimonia degli Italian Paralympic Awards 2019. Siamo felici, come Erickson, di aver partecipato alla realizzazione di questo progetto.  
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Search-ME - Erickson 3 Società e cittadinanza
Un e-book gratuito, esemplare per chiarezza e fruibilità, per tutte le persone gay, lesbiche, bisessuali e transgender, e per coloro che vogliono supportarle nella loro ricerca del benessere e nella battaglia per l’uguaglianza di diritti.
Che cosa accade e che cosa cambia in una famiglia, in una classe, in un gruppo di amiche e amici in cui una ragazza o un ragazzo comunichi il proprio orientamento omosessuale o la propria identità di genere non conforme? Quali sono le sfide che i giovani gay, le giovani lesbiche, bisessuali e transgender si trovano ad affrontare nel processo di acquisizione della propria autoconsapevolezza come persone integrali che amano persone dello stesso sesso o che non si riconoscono nel genere a loro assegnato alla nascita? Questa guida, realizzata da genitori per genitori e da insegnanti per insegnanti, risponde alle domande di insegnanti, genitori, amici, ma anche, prima di tutto, delle stesse persone gay, lesbiche e transgender, adolescenti e giovani adulti, offrendosi come supporto nella comprensione e nella formazione di una personalità matura e equilibrata proprio perché non gravata da interdetti, pregiudizi e menzogne. Per scaricare e leggere l’ebook clicca qui Chi ha piacere di avere una copia cartacea può contattare una delle innumerevoli sedi presenti sul territorio nazionale il cui elenco si trova al link: https://www.agedonazionale.org/sedi-territoriali-aggiornate
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Search-ME - Erickson 4 Società e cittadinanza
L’impatto del Coronavirus sulla comunità LGBT* è un tema poco discusso ma fonte di un prezioso insegnamento Mindful, che parla al cuore di tutti.
Chiunque noi siamo, possiamo guardare a ciò che ci affligge con gentilezza amorevole e rivelare a noi stessi quel che davvero aspiriamo a diventare, per aprirci a un futuro più vero. Capita, durante questa reclusione forzata e necessaria, di patire forte la mancanza di qualcosa. Talvolta è un’abitudine consolidata: caffè e cornetto a colazione nel bar preferito, il sole che bacia il viso di prima mattina, lo shopping al negozio prediletto, l’aperitivo con gli amici a sera con le chiacchiere e il vino che scintilla nei calici. Talvolta ci manca qualcosa d’altro, qualcosa di remoto che aggancia il corpo ma punta al cuore: il sorriso all'edicolante al mattino appena fuori dalla metropolitana, la stretta di mano al termine di una riunione, l’abbraccio all'amico di sempre, la passeggiata con i cani al parco e le parole scambiate tra i proprietari. Un bacio, uno sguardo celato che allaccia un’intesa segreta; il profumo di un’amante al mattino, dopo una notte in cui abbiamo sganciato i freni. Cose che abbiamo perso d’improvviso. Ovvietà che più di una volta abbiamo dato per scontate e che oggi ci mancano moltissimo, alla luce del cambio forzoso di prospettiva. E così, il mio pensiero corre alla comunità LGBT*, alla quale io devo più di una riflessione e più di un insegnamento.  In questa reclusione prolungata, che ci costa fatica e costante riadattamento, a mio parere torna di aiuto proprio l’esperienza di resistenza e di resilienza delle persone LGBT* che ho conosciuto. Amici, colleghi, pazienti che hanno consolidato nel tempo la capacità di mantenersi saldi, riuscendo a immaginare il futuro oltre le incertezze e le paure temporanee. Un futuro maturato dentro un presente spesso difficile, dove la quotidianità non è ovvia ma va espugnata con tenacia e tenerezza. Un bacio furtivo scambiato sotto il sole, una mano intrecciata per qualche istante tra la folla, un bimbo con due mamme, un filo di mascara e la barba fatta di fresco, un tacco dodici dopo un giorno al lavoro in giacca e cravatta. Libertà che costano impegno, valore d’animo e coraggio; che necessitano di pazienza e fiducia, perché non sono gratuite ma guadagnate togliendo spazio al pregiudizio, al preconcetto, alla vita guidata dal pilota automatico, alla supposizione che esista una normalità alla quale la diversità si oppone minacciosamente. Fare spazio, farsi avanti, dichiararsi, uscire allo scoperto: sono azioni che contrappongono alla certezza e alla velocità sociale, lo scoprimento lento e la disposizione d’animo a sopportare i disagi, le contrarietà e trovare il momento giusto per diventare quello che, in silenzio e di nascosto, si è. In questo momento il tempo si è allungato e lo spazio per riflettere, di conseguenza, si è amplificato notevolmente. Così, scrivendo queste considerazioni, ho pensato anche molto all’epidemia di HIV e AIDS degli anni Ottanta e Novanta. Allora, malgrado lo stigma caduto sulla comunità reputata responsabile della diffusione, il comportamento delle persone LGBT* è stato determinante nel contenimento e nell’impegno per la tutela reciproca e la protezione. L’idea di “fare gruppo”, nel senso di creare famiglie elettive di amici nelle case private, dove sostenersi a vicenda, è stata essenziale e risolutiva: come mostra con grande sensibilità e perizia la serie tv Pose. L’esempio dato è stato di onestà e collaborazione: le virtù dell’essere umano come espressione di civiltà, cortesia e correttezza. Questo momento, a mio parere, ha cambiato la percezione che la comunità LGBT* rimandava all’esterno, rendendo possibile lo sviluppo di una politica specificamente LGBT*, volta all'affermazione di diritti di cui, inevitabilmente, oggi beneficiamo tutti. Se ci stiamo chiedendo cosa facciano le persone LGBT* in questo momento e come vivano le difficoltà della clausura, proviamo ad accorciare le distanze. Sono quel medico che si spende in corsia e ha saltato il pasto, l’autista del bus che è ancora di turno, la maestra dei nostri figli che si connette da casa per la lezione, l’imprenditore che è fermo e pensa ai suoi dipendenti, il musicista che fa concerti online, il banchista di farmacia, la barista, l’operaia in cassa integrazione, i vicini di casa che piangono a notte dopo aver coricato i bambini, stanchi e spaventati come noi. E sono anche coloro che un tempo hanno cercato autonomia e deciso di lasciare la propria casa per essere liberi di esprimersi, affrontando viaggi lunghi e distacchi perché vittime di famiglie non accoglienti e di un tessuto sociale discriminatorio. Oggi, alcuni di loro hanno dovuto far rientro a casa: sono giovani e ancora non godono della maturità economica sufficiente a sostentarsi in quarantena senza appoggi. E, perché giovani e dipendenti, sono i più fragili e tornano improvvisamente a essere isolati. Che fare? A chi soffre perché si trova a indossare una maschera, sia la mascherina che protegge dal virus o una maschera di finzione che protegge dall’omofobia e dalla violenza, rispondo con la pratica Mindful della gentilezza amorevole. Abbiamo tutto il diritto e la responsabilità di comunicare a noi stessi ogni sofferenza, ogni fatica, ogni paura. Abbiamo il dovere di proferirci stanchi, di sentirci profondamente soli. Ma non facciamolo con linguaggio della rabbia, del giudizio, dell’accusa o del rancore. Proviamo a farlo con il linguaggio dell’amore. Amore per noi stessi, per primi; accoglienza amorevole per la rabbia che sale, per l’accusa che punta il dito, per il giudizio da accantonare sì, ma con comprensione per il modo in cui sorge e le ragioni per cui ferisce. Proviamo anche a viaggiare con l’immaginazione e pensare al mondo e a tutte le creature che lo abitano come legate da una lunga corda. Cominciamo da un esempio pratico: la mano che ha colto il frutto che ora state mangiando e la vostra sono legate da una corda, così come il sole che scalda il frutteto, la terra e chi l’ha coltivata. La Mindfulness chiama questa corda interdipendenza: cioè la mancanza di autonomia che lega il mondo e i suoi abitanti gli uni agli altri. L’interessenza è il passo successivo, la comprensione intuitiva e profonda al contempo, che io non esisto se non esiste tutto quello che mi ha portato alla vita e mi trattiene alla sopravvivenza. Ne è espressione questa stessa pandemia, che toglie il respiro ma viaggia nel respiro del mondo, quel soffio prezioso e vitale che ci mette gli uni accanto agli altri di continuo, mentre sediamo su un aereo e raggiungiamo mete sognate, mentre in ogni polo del mondo ascoltiamo la stessa musica, guardiamo le medesime serie tv e seguiamo le tendenze globali della moda. Nessuno è solo, neppure dietro a una maschera. Togliamola quando possibile, nella riservatezza di uno spazio sicuro, e troviamo quiete nel respiro. Con gentilezza amorevole accogliamo quel che c’è, qui e ora. Respiriamo. Come la gemma che promette il fiore, siamo già quello che vogliamo diventare. Il termine LGBT* è l’acronimo internazionale a oggi più utilizzato di “lesbiche, gay, bisessuali, transessuali e transgender”. L’asterisco apposto a destra sottintende tutte le persone con altre identità sessuali, che non sono trascritte per semplice brevità e a cui mi riferisco nei pensieri e nel testo.
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Search-ME - Erickson 5 Lavoro sociale
Per mettere in campo interventi efficaci è necessario l'impegno di tutte le figure che lavorano in questo ambito.
Quando si parla di violenza maschile contro le donne si sentono spesso anche altre espressioni, come violenza domestica e violenza di genere. L’espressione violenza domestica fa riferimento al fatto che, secondo dati a livello globale, le donne subiscono abusi soprattutto tra le mura di casa, ossia in quello che dovrebbe essere il più protettivo e sicuro dei contesti. La violenza di genere fa riferimento alle motivazioni culturali e alle dinamiche relazionali che sono alla base della violenza maschile contro le donne.   L’inclusione del concetto di genere nelle definizioni internazionali di violenza contro le donne è stata una conquista storica. Nella Convenzione di Istanbul – ratificata dall’Italia nel 2013 – si definisce così la violenza contro le donne: «…una violazione dei diritti umani e una forma di discri­minazione contro le donne, comprendente tutti gli atti di violenza fondati sul genere che provocano o sono su­scettibili di provocare danni o sofferenze di natura fisica, sessuale, psicologica o economica, comprese le minacce di compiere tali atti, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà, sia nella vita pubblica, che nella vita privata». QUALCHE DATO SUL FENOMENO Nel mondo, secondo i dati dell'Organizzazione Mondiale della Sanità, 1 donna su 3 (il 35% delle donne della popolazione mondiale) ha subìto nel corso della vita una forma di violenza da parte di un uomo. Un femminicidio su 4 è compiuto dal partner.    In Italia 6 milioni 788 mila donne nel corso della propria vita hanno subìto violenza fisica o sessuale da parte di un uomo (fonte Istat). Il 10,6% delle donne ha subìto violenze sessuali prima dei 16 anni. Nove volte su 10 il crimine non viene denunciato e una donna su 4 non parla con nessuno della violenza subita. Sono 14 mila le donne che ogni anno si rivolgono ai centri antiviolenza italiani: 7 su 10 sono cittadine italiane, così come italiani sono la maggioranza degli aggressori (72%). (Fonte: D.i.Re, www.direcontrolaviolenza.it)   Ogni tre giorni viene uccisa una donna. Secondo il rapporto Eures, nel 2018  sono state uccise 130 donne all’anno. In 2 casi su 3 l’assassino è il partner o l’ex.   VIOLENZA NON SOLO FISICA A differenza di quanto il senso comune suggerisce, non è affatto necessario aggredire il corpo per mantenere qualcuno in uno stato di soggezione. In una relazione caratterizzata dal controllo, la violenza fisica ha un ruolo decisamente marginale, mentre centrali sono strategie più sottili, come, ad esempio, le ingerenze sul modo in cui la vittima affronta la propria vita quotidiana, l’isolamento o altre forme di manipolazione affettiva che includono l’uso di una comunicazione seduttiva e ambigua e l’induzione di idee di incapacità.    Le micro-violenze preparano alle forme più esplicite di abuso. Le percosse compaiono solo se e quando il terreno è stato preparato e rappresentano un’opzione che può anche rivelarsi superflua.   Quel che fa di un legame una relazione d’abuso non è dunque l’alta frequenza di numerosi e variegati comportamenti violenti o la presenza di azioni particolarmente efferate, ma una dinamica di pretesa e di controllo potenzialmente in grado di condizionare la vita della vittima e di danneggiarne profondamente l’autostima.
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Search-ME - Erickson 6 Psicologia
Un grave gap a cui il Governo dovrebbe porre rimedio.
Su Lancet Psychiatry un gruppo di 42 esperti mondiali che hanno formato la International Covid-19 Suicide Prevention Research Collaboration ha recentemente lanciato l’allarme. È facilmente prevedibile, e non credo serva spiegarne i motivi, che ciò che è accaduto e sta accadendo in Italia e nel mondo porti a un rapido incremento nei prossimi mesi di disturbi da stress post-traumatico, ansia per le malattie, disturbi ossessivo-compulsivi, abuso di sostanze, depressione e forse persino tassi di suicidio. Ci troveremo presto di fronte a un’emergenza psicologica senza precedenti, almeno nelle ultime decadi, frutto delle conseguenze dirette del Covid-19, come la paura per la propria e altrui incolumità, i lutti subiti, i traumi a cui è esposto il personale sanitario in prima linea. Ma anche delle conseguenze indirette, quelle che toccano tutti. Basti pensare alla grave deprivazione sociale degli ultimi due mesi, alle pesantissime ripercussioni economiche e occupazionali derivanti dal lockdown, al senso di privazione della libertà personale, alle enormi incertezze sul futuro, ai problemi di coppia che la quarantena ha scatenato, alle difficoltà nel gestire i figli con le scuole chiuse. Il peggio è passato o deve ancora venire? Dal punto di vista psicologico temo purtroppo che le peggiori conseguenze debbano ancora arrivare. Al momento viviamo tutti in uno stato di sospensione, preoccupati primariamente per la salute che passa giustamente avanti a tutto, in attesa della fine di questo periodo così strano e impensabile fino a poco tempo fa, al punto che non riusciamo del tutto a realizzarlo. È come se avessimo premuto il tasto pausa. La nostra vita è bloccata e di conseguenza lo sono anche le nostre emozioni, con cui abbiamo un contatto solo parziale. Per fortuna, direi, altrimenti piomberemmo in uno stato di disperazione che ci renderebbe insopportabile una condizione come quella attuale. Sfruttiamo un meccanismo di difesa psicologico che ci consente di non soffrire troppo per l’assenza dei nostri cari, per la mancanza di attività piacevoli, per l’isolamento sociale. Arriverà un momento, penso e spero a brevissimo, in cui torneremo a una presunta normalità. Quel momento che tutti agogniamo, ma in cui ci renderemo conto che molte cose non sono più come prima, che certi equilibri sono irrimediabilmente rotti. E realizzando davvero ciò che è accaduto e soprattutto le conseguenze che si porta e si porterà dietro, entreremo in contatto con le conseguenti emozioni: tristezza, rabbia, ansia, disperazione, senso di vuoto, angoscia. Da qui a sviluppare una qualche forma di psicopatologia (o al ricadervi se ne avevamo sofferto in passato) il passo è breve. Il bisogno di terapie psicologiche Tutto ciò comporterà un aumento del bisogno di terapie psicologiche che siano in grado di alleviare la sofferenza, facilitare l’adattamento e la resilienza, contrastare i meccanismi che favoriscono la genesi e il mantenimento della patologia psichica. Gli strumenti non mancano, i professionisti neanche. Viviamo in un paese in cui ci sono circa 60.000 psicologi attivi, di cui oltre la metà ha una specializzazione in psicoterapia. Ci sono terapie sufficientemente brevi, con comprovata efficacia, in parte erogabili anche online. Se anche la domanda di cure psicologiche aumentasse esponenzialmente non mancherebbe l’offerta pronta a rispondervi. E la maggior parte delle persone che soffrono di problemi psicologici potrebbe trarne grande giovamento. Qual è allora il vero problema del momento? Che le psicoterapie hanno un costo, poiché si tratta di servizi di alta specializzazione per i quali sono richieste una laurea, un tirocinio, un’abilitazione professionale, un corso almeno quadriennale di specializzazione post-lauream, oltre a continuo aggiornamento, formazione e supervisione. Inoltre, come per ogni prestazione sanitaria erogata in ambito primariamente privatistico, la psicoterapia costa tanto di più quanto maggiore è la qualità del servizio offerto e l’esperienza del professionista a cui ci si rivolge. Dunque, chi desidera un aiuto professionale e qualificato deve mettere in conto un importante esborso, peraltro continuativo (non una-tantum) e neanche coperto dalla maggior parte delle assicurazioni sanitarie. È possibile accedere a servizi di psicoterapia gratuiti? In questo momento particolare molti professionisti offrono le proprie prestazioni di assistenza psicologica a titolo volontario. Recentemente la Protezione Civile stessa ha lanciato un numero verde per il supporto psicologico ai cittadini, coordinando una rete di volontari messi a disposizione da alcune società scientifiche di psicoterapia. Si tratta tuttavia di servizi temporanei, che offrono la possibilità di effettuare un numero molto limitato di colloqui, forse utili a contenere l’emergenza, ma che non possono certo sostituirsi a un effettivo percorso di cura, che richiede continuità nel tempo per mesi, talvolta anni. Una volta terminati i colloqui gratuiti, i colleghi che ravvisano segnali di una conclamata forma di psicopatologia non potranno far altro che suggerire a chi li ha contattati di proseguire un percorso di psicoterapia a pagamento. Idealmente la psicoterapia dovrebbe essere tra le prestazioni offerte dal Servizio Sanitario Nazionale. Ma purtroppo gli investimenti pubblici su questi servizi sono stati drasticamente ridotti soprattutto negli ultimi vent’anni. Cosa ne consegue? Nei prossimi mesi probabilmente avremo un aumento importante della forbice tra il bisogno di terapie psicologiche e la capacità di coloro che ne abbisognano di potersele permettere. Le principali conseguenze del Coronavirus saranno infatti di ordine economico. In molti dovranno metter mano ai propri risparmi, ammesso che ne abbiano. Le spese superflue, che però garantivano un margine di benessere (es. vacanze, sport, vestiti, ecc.) subiranno una inevitabile contrazione. Molte attività non riapriranno i battenti o si ridimensioneranno e di conseguenza molte persone perderanno il lavoro. Tutti elementi che potrebbero contribuire a incrementare la sofferenza psicologica, soprattutto in soggetti predisposti. Da qui il paradosso: le difficoltà economiche saranno sia una delle cause del malessere psicologico, sia il principale motivo per cui alcune persone non potranno permettersi di spendere per ottenere l’aiuto necessario a recuperare il proprio benessere. La soluzione? Tenendo conto che gli psicoterapeuti sono dei professionisti, spesso altamente qualificati, che hanno investito e investono molto per la propria formazione, i servizi di psicoterapia di qualità non potranno mai essere gratuiti o “low cost”, tranne in casi eccezionali e di emergenza come questo, per brevi e circoscritti periodi. Non appena l’emergenza sanitaria sarà cessata, le psicoterapie torneranno giustamente ad avere un costo analogo a quello di qualunque altra prestazione medico-specialistica. Ma probabilmente sarà proprio quello il momento in cui ce ne sarà più bisogno. Sarebbe quindi importante non fare affidamento soltanto sui servizi psicologici, temporanei e su base volontaria attivati in fase di emergenza, facendo leva sul senso civico dei nostri colleghi. Piuttosto, così come ci si sta giustamente ponendo il problema dell’urgenza di reclutare personale medico, infermieristico ed educativo, occorrerebbe destinare fondi adeguati al Servizio Sanitario Nazionale per assumere un significativo numero di psicologi ed esser pronti a rispondere alla grande richiesta di psicoterapie che ci sarà nei prossimi mesi e anni.
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