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I mini gialli dei dettati 2
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Manifesto pluralità visibili

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Raccontare una storia unica crea stereotipi. E il problema degli stereotipi non è tanto che sono falsi, ma che sono incompleti. Trasformano una storia nell'unica storia possibile. ― Chimamanda Ngozi Adichie

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Che cos’è il Manifesto Pluralità visibili

Erickson promuove una società più equa e inclusiva attraverso i propri prodotti, le proprie iniziative culturali e la partecipazione al dialogo e dibattito pubblico.

“Pluralità visibili” è un progetto di Erickson volto ad assicurare che la nostra comunicazione e i nostri prodotti editoriali, digitali e formativi rappresentino in maniera equa le infinite differenze che compongono la società contemporanea.

Consapevoli che ciò è un obiettivo sfidante, ma necessario per avviare un cambiamento positivo, il progetto include oltre al Manifesto “Pluralità Visibili”, una serie di documenti a uso interno con linee guida e indicazioni operative.

Il Manifesto Pluralità visibili illustra le ragioni, le sfide e gli impegni che vogliamo assumere come casa editrice e centro studi per migliorare la nostra offerta, rappresentando in maniera realistica le pluralità che caratterizzano la società italiana.

Il progetto Pluralità visibili è coordinato e sviluppato dalla Ricerca & Sviluppo Erickson, con la supervisione di Dario Ianes (professore di didattica dell’inclusione presso la Libera Università di Bolzano), Irene Biemmi (specialista in Pedagogia di genere presso l’Università di Firenze) e Sara Bin (geografa e collaboratrice presso l'Università di Padova).

Perché sviluppare il Manifesto Pluralità visibili?

Il Manifesto Pluralità visibili nasce con questi obiettivi:

Promuovere pari opportunità
Ogni persona ha il diritto di essere riconosciuta e legittimata nella sua unicità, indipendentemente dal suo sesso, origine razziale o etnica, appartenenza o convinzione religiosa, disabilità, salute mentale, orientamento sessuale, e ogni altra sua caratteristica personale.

Abbattere disuguaglianze e discriminazioni
Nella nostra società, alcuni gruppi sociali continuano a sperimentare limitazioni nell’accesso a determinate opportunità politiche, culturali, sanitarie…, e a subire discriminazioni in ambito socio-economico, educativo e lavorativo. Tre dimensioni, in particolare, tendono a diventare fattori di discriminazione e oppressione: la disabilità e la salute mentale, l’appartenenza etnica e la provenienza geografica, il genere e l’orientamento sessuale.

Superare stereotipi e pregiudizi
Parole e immagini non nominano semplicemente le cose, ma le creano. Rivelano la nostra visione del mondo, le nostre categorie mentali e le nostre semplificazioni, contribuendo alla costruzione e perpetuazione di stereotipi e pregiudizi che influenzano i comportamenti. Chi crea e veicola stereotipi e pregiudizi ha difficoltà nel vedere o comprendere le informazioni che non corrispondono a essi. Chi li subisce interiorizza il messaggio ‘tu sei diverso/a, non sei di qui, non appartieni, le persone come te non hanno dato e non danno alcun contributo alla società’.

Le 5 sfide per una narrazione e rappresentazione equa delle differenze
PERSONA - Mettiamo al centro la persona!

La persona va posta al centro di ogni narrazione e rappresentazione, prima di enunciare qualsiasi sua caratteristica distintiva. Le caratteristiche di una persona sono numerose e comprendono elementi come etnia, genere, religione, orientamento sessuale, cultura, età, disabilità, salute mentale, aspetto fisico ecc. Queste caratteristiche non definiscono la complessità della persona stessa. È quindi opportuno evitare di etichettare le persone sulla base di queste caratteristiche, enunciandole solo se richiesto dal contesto comunicativo o se risulta necessario per la comprensione dei contenuti.

IN CONCRETO

  • Chiediamo direttamente alle persone con disabilità come vogliono essere nominate. Sono prevalenti due approcci, ampiamente dibattuti, che dipendono dal contesto:
    • Approccio centrato sulla persona (person-first), privilegiato nei contesti istituzionali, pone al centro la persona e specifica, solo in secondo luogo, la condizione di disabilità (es. persona con disabilità, persona nello spettro dell’autismo, alunna/o con BES…).
    • Approccio centrato sull’identità (identity-first), scelto soprattutto da persone disabili e attiviste, per rivendicare la centralità che la disabilità ha nella loro identità (es. autistico, cieco, sordo…).
  • Specifichiamo l’origine etnica di una persona solo se richiesto dal contesto, usando termini specifici relativi alla nazionalità (proveniente dal Pakistan, dal Perù, dal Ghana, …). Evitiamo termini generalizzanti e razzisti (extra-comunitari, stranieri, clandestini, zingaro/a, africano/a …)
  • Usiamo un linguaggio di genere, limitando l’uso del maschile universale, e privilegiando invece formule neutre, lo sdoppiamento o alternando l’uso del maschile e del femminile.
PRESENZA - Rendiamo visibili le persone escluse!

Solitamente, le persone appartenenti a particolari gruppi sociali vengono sottorappresentate, ossia sono completamente assenti dai contenuti. Si tratta spesso di persone con disabilità, sofferenza mentale e di persone di appartenenza etnica/provenienza geografica diversa dal gruppo maggioritario. Rappresentare anche loro è importante. Inoltre, è opportuno includere un’equa e variegata rappresentazione delle differenze tra uomini e donne, dei diversi orientamenti affettivi e sessuali e delle varie identità di genere.

IN CONCRETO

  • Includiamo nei contenuti, sia graficamente che testualmente, persone di genere femminile e maschile nella stessa proporzione e con medesimo rispetto, dignità e importanza. Includiamo persone con disabilità, e con appartenenza etnica diversa dal gruppo dominante, ritraendole come partecipanti attivi in tutti gli aspetti della vita.
  • Rappresentiamo la pluralità di modelli e tipologie familiari, evitando di proporre un modello unico di famiglia.
  • Dal 2018 insieme a Rizzoli Education sviluppiamo il progetto “Obiettivo Parità” per i testi adozionali della scuola primaria, con il coordinamento scientifico di Irene Biemmi e promuoviamo progetti specifici sul linguaggio inclusivo nei corsi della secondaria di primo grado.
PAROLA – Diamo voce a chi non ha mai la parola!

Le visioni e le prospettive delle persone con disabilità, sofferenza mentale e di quelle che appartengono a gruppi etnici diversi da quello della popolazione di maggioranza sono spesso assenti. Oppure, quando vengono incluse, spesso la voce narrante non è la loro, ma quella di una persona del gruppo maggioritario che parla per conto loro. Risulta importante fare uno sforzo deliberato per cercare queste storie e far udire queste voci mancanti, favorendo lo sviluppo di narrazioni plurali differenti, più ricche e più accurate.

IN CONCRETO

  • Includiamo il pensiero e la voce delle persone con disabilità e sofferenza mentale in qualsiasi intervento o discussione sui temi della disabilità/salute mentale, ma non solo.
  • Includiamo visioni e prospettive diverse da quelle del gruppo dominante per superare l’eurocentrismo e facilitare una maggiore comprensione dei contributi delle persone di differenti appartenenze etniche alla storia e alla conoscenza mondiale.
  • Adottiamo una prospettiva di genere assicurando presenza e visibilità del contributo di bambine, adolescenti e donne.
PROFILO – Rappresentiamo accuratamente, oltre gli stereotipi!

Le persone vanno descritte accuratamente, evitando di rappresentarle usando ripetutamente – come elementi distintivi – caratteristiche, comportamenti, tratti negativi, oppure stereotipi che in superficie possono apparire positivi, ma in realtà sono limitati e limitanti. Le visioni stereotipate – su disabilità e salute mentale, appartenenza etnica e provenienza geografica, genere e orientamento sessuale – vanno sostituite dalla realtà dei fatti, presentando un ritratto accurato di gruppi sociali ed individui.

IN CONCRETO

  • Rappresentiamo le persone con disabilità e sofferenza mentale come attive in diversi ruoli e contesti, evitando di ritrarle come vittime o eroi, solamente a causa della loro condizione, o secondo lo stereotipo comune associato alla loro condizione.
  • Includiamo proattivamente nei contenuti persone di minoranze etniche come modelli positivi e in ruoli che interrompono gli stereotipi, evitando: a) qualsiasi allusione o insinuazione che una caratteristica, un comportamento o un tratto negativo sia unico o caratterizzante un determinato gruppo etnico; b) rappresentazioni folcloristiche dell’appartenenza etnica, o di tratti del carattere o del comportamento, che banalizzano o ridicolizzano persone di minoranze etniche; c) stereotipi apparentemente positivi, ma in realtà limitati e limitanti (es. persone nere ‘naturalmente’ dotate nella musica e nello sport)
  • Rappresentiamo donne e bambine con le stesse capacità, qualità, ambizioni, passioni e gli stessi interessi attribuiti agli uomini e ai bambini e, di converso, evitiamo stereotipi di genere che attribuiscono ruoli determinati e limitati dal sesso biologico di appartenenza o rafforzano gerarchie tra i generi. Usiamo invece anti-stereotipi che propongono rappresentazioni non-convenzionali del femminile e del maschile, evitando però rappresentazioni caricaturali e immagini lontane dalla realtà.
POTERE – Riconosciamo la capacità di agire!

Persone con disabilità, sofferenza mentale o appartenenti a minoranze etniche non sono e non vanno rappresentate come vittime impotenti del loro svantaggio o di determinati ruoli e comportamenti stereotipati. Sono dotate di capacità che non devono essere limitate o negate. Se da un lato è importante non negare la realtà di svantaggio, dall'altro è necessario riconoscere un realistico potere di agire delle persone.

IN CONCRETO

  • Rapportiamoci alle persone con disabilità come se ci rapportassimo con qualsiasi altra persona, evitando di trasmettere l’idea che la loro esperienza di vita si esaurisca all’essere vittima della disabilità.
  • Promuoviamo narrazioni che riconoscano la capacità e il potere di azione delle minoranze etniche, evitando di inquadrare le persone come svantaggiate, oppresse, passive, indifese, incapaci o bisognose di aiuto. Sottolineiamo i fattori situazionali e sistemici che contribuiscono all'esperienza di svantaggio.
L’approccio intersezionale

L’impegno per una narrazione e rappresentazione equa delle differenze si basa su un approccio intersezionale, che descrive come le caratteristiche di una persona (genere, sesso, razza, disabilità…) si intrecciano tra loro. L’intersecarsi di queste caratteristiche determina la posizione sociale di una persona e può essere causa di molteplici forme di discriminazione e oppressione. Per esempio, una donna, nera, può subire una discriminazione duplice, sessuale in quanto donna, e razziale in quanto persona nera.

L’approccio intersezionale educa a non considerare queste caratteristiche separatamente. Affrontandole congiuntamente, permette di contrastare le discriminazioni e le oppressioni multiple. Un approccio intersezionale è quindi fondamentale per comprendere la molteplicità delle identità e sostenere narrazioni eque.