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I mini gialli dei dettati 2
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Search-ME - Erickson 1 Area morfosintattica e semantico-lessicale
Dalla definizione alla diagnosi
Il DSM-5 - il Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali dell’American Psychiatric Association - ha introdotto il Disturbo Socio-Pragmatico Comunicativo (DSPC) tra i Disturbi della Comunicazione, all’interno del più ampio dominio dei Disturbi del Neurosviluppo. Di cosa si tratta?   Il DSPC è un disturbo caratterizzato da persistenti difficoltà nell’uso sociale della comunicazione verbale e non verbale, in assenza di interessi e comportamenti ristretti e ripetitivi.   Più precisamente, il DSPC è caratterizzato da una difficoltà primaria nell’uso sociale della comunicazione e del linguaggio, come manifestato da deficit nel comprendere e seguire le regole sociali della comunicazione verbale e non verbale in contesti naturalistici, nel modulare il linguaggio in base alle esigenze di chi ascolta e al contesto, nel seguire le regole per le conversazioni e la narrazione e nel comprendere il linguaggio implicito e il linguaggio figurato. Questi deficit comportano limitazioni funzionali in molteplici ambiti, e non sono meglio spiegati da scarse abilità negli aspetti strutturali del linguaggio o nelle competenze cognitive.   La caratteristica più comunemente associata al DSPC è un Disturbo del linguaggio, caratterizzato da una storia di ritardo dello sviluppo linguistico e da compromissione negli aspetti strutturali del linguaggio, pregressi e/o attuali. Le persone con DSPC possono adottare condotte di evitamento delle interazioni sociali. Le difficoltà nella valutazione e nella diagnosi  La valutazione e la diagnosi delle competenze socio-comunicative e pragmatiche costituiscono un’operazione clinica complessa. Queste competenze sono notoriamente difficili da misurare in modi standardizzati, anche perché sono un insieme di comportamenti umani fortemente dipendenti dal contesto, che si verificano soprattutto negli scambi diadici.  Le capacità socio-comunicative e pragmatiche sono anche molto sensibili a variazioni culturali: le regole conversazionali - come l’alternanza del turno, l’interruzione, la scelta di argomenti tematici opportuni... - sono in gran parte determinate da regole culturali e dalla tipologia del rapporto tra gli interlocutori. Infine, a differenza degli aspetti strutturali del linguaggio, per esempio il vocabolario o la sintassi, disponiamo di molti meno dati normativi per tali comportamenti.  Poiché le competenze socio-comunicative e pragmatiche dipendono anche dallo sviluppo del linguaggio, la diagnosi di DSPC è rara nei bambini di età inferiore ai 4 anni. Dai 4 o 5 anni, la maggior parte dei bambini dovrebbero possedere adeguate competenze linguistiche che possono permettere l’identificazione di deficit specifici nell’uso sociale della comunicazione. Forme più lievi del disturbo possono non essere evidenti prima dell’adolescenza, quando il linguaggio, la comunicazione e le interazioni sociali diventano più complesse.
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Search-ME - Erickson 2 Metodologia e Linguaggio funzionale
I principali disturbi affrontati nell’intervento logopedico con l’adulto
Disturbo fonologico, aprassia articolatoria e disartria sono i principali disturbi affrontati a livello logopedico in età adulta. Passiamo in rassegna specificità e caratteristiche che li contraddistinguono. Disturbo fonologico Il disturbo fonologico consiste in una difficoltà nel selezionare e porre in corretta sequenza la stringa fonologica, e si manifesta con parafasie fonemiche (omissioni, sostituzioni, aggiunte e trasposizioni di fonemi), conduites d’approche (approssimazioni ripetute e quasi sempre inefficaci a correggere gli errori fonologici per produrre la parola target), fino ai neologismi fonemici.   Se il danno è localizzato tra l’uscita del lessico di output e il buffer, la produzione è fluente ma gergofasica a causa della presenza massiccia di neologismi fonemici e conduites d’approche, mentre se il danno è localizzato a livello dell’interfaccia tra buffer fonemico e il motor speech programmer, la produzione è caratterizzata da un eloquio poco fluente, con parafasie fonemiche, e visibile fatica da parte del paziente, impegnato a trovare la corretta posizione articolatoria e sequenziare in modo corretto i fonemi.   Sotto il profilo comportamentale, quest’ultima condizione clinica può sembrare simile all’aprassia articolatoria, se non fosse che si accompagna ad altri segni di compromissione del linguaggio (ad esempio deficit di comprensione, alterazioni del linguaggio scritto, ecc.). Aprassia articolatoria L’aprassia articolatoria è un deficit della programmazione articolatoria caratterizzato da una difficoltà a tradurre la sequenza fonologica in un adeguato programma articolatorio o, usando le parole di Darley, il primo che parlò di tale patologia, «nel programmare la posizione degli organi articolatori e la sequenza dell’articolazione». La compromissione maggiore è costituita dalla perdita della capacità di integrare spazialmente e temporalmente l’attività della muscolatura fono-articolatoria che interviene nella produzione dei gesti articolatori. I soggetti con aprassia articolatoria presentano infatti: a) una preservata conoscenza della forma fonologica delle parole che intendono produrre; b) problemi di esecuzione motoria pura non significativa. Fenomeni tipici sono l’assordamento dei fonemi consonantici nei corrispondenti suoni sordi, la sostituzione delle consonanti fricative con consonanti affricate o con le occlusive, la semplificazione dei cluster consonantici. La prosodia può essere alterata tanto da dare l’impressione complessiva di un accento straniero. Spesso si accompagna ad aprassia bucco-linguo-facciale.   Il quadro clinico può derivare da una lesione del piede della terza circonvoluzione frontale sinistra (A44 o area di Broca), da lesioni dell’insula e dei gangli basali, ma sono descritti quadri sintomatologici simili anche per la lesione parietale posteriore. Quest’ultimo dato potrebbe avere una corrispondenza con la dorsal stream prima descritta. Disartria La disartria è un deficit della realizzazione articolatoria di sequenze fono-articolatorie già programmate,ed è la conseguenza di un danno neurologico o chirurgico del sistema nervoso centrale o periferico. La prima classificazione organica delle disartrie risale al 1969 e comprende cinque tipologie di quadri clinici, ciascuno caratterizzato da segni e sintomi tipici della patologia neurologica sottostante.In base alla localizzazione della lesione si differenziano: disartria flaccida, spastica, atassica, ipocinetica, ipercinetica e mista. 
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Search-ME - Erickson 3 Area morfosintattica e semantico-lessicale
Intervista a Luigi Marotta, logopedista IRCSS Ospedale Pediatrico Bambino Gesù e vicepresidente dell’Associazione Scientifica Logopedisti Italiani
Negli ultimi anni, il lavoro del logopedista dell’età evolutiva, così come quello di tutti gli operatori del mondo sanitario, è stato interessato da una serie di cambiamenti importanti, che hanno riguardato sia l’approccio scientifico alla medicina che il sistema organizzativo del Servizio Sanitario Nazionale. Nuove e impegnative sfide attendono la professione del logopedista anche nei prossimi anni. Cerchiamo di fare il punto della situazione con uno dei maggiori esperti in questo settore a livello nazionale. Dott. Marotta, quali cambiamenti hanno interessato il lavoro del logopedista dell’età evolutiva negli ultimi anni? «Il primo è culturale, dovuto alla Medicina Basata sulle Evidenze che ha rivoluzionato il mondo scientifico, tanto nella pratica quanto nella teoria, modificando profondamente sia i principi sia gli orientamenti nel complesso scenario della riabilitazione. Il secondo, strettamente legato alla prima, è rappresentato dalla sempre maggiore specializzazione necessaria nell’affrontare i disturbi del neurosviluppo». Quali sono i disturbi di interesse logopedico più diffusi tra i bambini in Italia? «I disturbi del neurosviluppo più diffusi sono senz’altro quelli di linguaggio e di comunicazione, seguiti dai disturbi specifici di apprendimento e dai disturbi dello spettro autistico. Queste “etichette” diagnostiche, però, racchiudono al loro interno una molteplicità di situazioni patologiche, differenti fra loro per comorbidità (più disturbi presenti contemporaneamente), gravità (livelli differenti di deficit) e pervasività (più tipologie di deficit presenti all’interno dello stesso disturbo). Ciò richiede al professionista una grande competenza e sensibilità clinica per scegliere le priorità e le modalità dell’intervento». Quali sono le principali difficoltà che incontra il logopedista nel suo lavoro con i bambini? «In questi anni la difficoltà principale, a mio avviso, è rappresentata dal cambiamento organizzativo del Servizio Sanitario Nazionale, sempre meno presente a livello territoriale, sia per quanto riguarda la medicina della prevenzione, sia per quanto l’erogazione dei servizi di riabilitazione, che tra l’altro varia da regione a regione e anche all’interno di una stessa regione. Questo ha portato a una frammentazione di quella che doveva essere una “rete” di servizio che garantiva anche una collaborazione tra S.S.N., Scuola e professionisti privati».   Quali sfide si prospettano per la professione nei prossimi anni? «Le sfide saranno senz’altro “culturali” e “sociali”. Innanzitutto riguarderanno l’approccio ai disturbi del neurosviluppo, che non dovrà essere, come a volte accade, incentrato sul “sintomo”.  Dovrà, invece, intervenire sui processi cognitivi che consentono l’apprendimento di un’abilità, tenendo conto e interagendo con i contesti (famiglia, scuola e società) che favoriscono lo sviluppo globale del bambino. Questo richiede un vero e proprio cambiamento culturale e una formazione sempre più scientifica, ma che non perda di vista le caratteristiche intrinseche di una professione legata alla relazione di aiuto come la nostra».
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