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Andare oltre per una professione docente inclusiva che superi separazioni e deleghe 1

Andare oltre per una professione docente inclusiva che superi separazioni e deleghe

Mozione finale della 14esima edizione del Convegno La Qualità dell’inclusione scolastica e sociale

Il tradizionale Convegno biennale, promosso da Erickson a Rimini, raccoglie come sempre la presenza attiva e dialogante di migliaia di insegnanti, dirigenti, studiosi, rappresentanti e operatori di diversi servizi. Sono giornate intense di confronto e di approfondimento, ma anche di  analisi degli scenari di criticità, che non sempre favoriscono l’inclusione scolastica e sociale dei nostri bambini e giovani  con disabilità.

E, come sempre, si torna a casa e  nelle nostre scuole più ricchi, più motivati e pronti a raccogliere le sfide, e  proseguire un cammino ancor oggi in salita.

Andare oltre

Quest’anno, in particolare, il 14° Convegno Erickson ha il triste dovere di ricordare l’assenza del protagonismo attivo di Andrea Canevaro, per noi padre pedagogico, scientifico e politico dell’inclusione in Italia. ANDREA CANEVARO ci ha lasciato nel maggio dell’anno scorso, creando in noi un senso di vuoto assieme ad una intensa memoria e riconoscenza. Grazie Andrea del dono della tua vita!

In questi giorni, girando tra i corridoi e nelle sale di questo Convegno, più volte ci è sembrato di vederlo apparire, di trovarci ad aspettarlo: “Fra poco entra”.

La sua memoria è per tutti noi fonte di ispirazione e di impegno, soprattutto quel suo messaggio continuo, quel suo invito ad “andare oltre”.

Oltre!

Oltre i luoghi comuni
Oltre le rassegnazioni
Oltre le deleghe, le deresponsabilità
Oltre gli insormontabili e inutili steccati burocratici
Oltre le separazioni professionali e istituzionali
Oltre i rischi dell’assistenzialismo compassionevole
oltre la separazione di fatto attraverso situazioni educative isolanti.

In un’epoca complessa come l’attuale, il suo “andare oltre” è ancora la nostra bussola viva.

Andiamo oltre le miserie che ci assegnano
Andiamo oltre la paura
Andiamo oltre le competenze che abbiamo
Andiamo oltre l’emergenza
Andiamo oltre il nostro sconforto
Andiamo oltre l’essere contro qualcuno

L’educazione ai tempi delle passioni tristi

Questo convegno si celebra in un’epoca complessa, dolorosa, tanto a livello nazionale che internazionale. Dall’epoca del Covid e gli strascichi del 2020 alla guerra ucraina, dalla crisi economica, che sta allargando la platea delle povertà e dei disagi, fino al conflitto israelo-palestinese di questi giorni, questo periodo storico sembra rievocare passioni tristi, portate più al pessimismo della ragione e al disagio, anche esistenziale e sociale, dei nostri giovani verso il futuro.

Al tempo stesso si palesa con sempre maggiore evidenza il calo demografico (segnale non solo statistico, ma sociale, di un cambio di vista del futuro possibile per l’umanità).

E, con preoccupazione, assistiamo di anno in anno ad un aumento di aree deboli sociali. Cresce a dismisura  il numero delle certificazioni di alunni con disabilità, sale il numero di altri vari “disturbi” nell’apprendimento e nelle relazioni.

In poco meno di 20 anni la popolazione studentesca con certificazioni di disabilità è praticamente raddoppiata. Forse dovremmo non accontentarci dal  pensiero che ciò dipenda da una “migliore capacità diagnostica”, quando meglio indagare un fenomeno più complesso, legato all’attuale idea “di malattia e di salute”, fino ai miti transumanisti della perfezione umana e di una “cura medica” per tutto.

Questo tumultuoso e frenetico aumentare di quelle che vengono definite “difficoltà” dei nostri bambini e dei nostri giovani si è correlato ad  un disordinato modo di gestire le risorse del personale docente ed educativo, creando incertezze, improvvisazioni, conflitti permanenti.

In particolare, questa “fame” di risorse d’aiuto ha consolidato l’idea che la soluzione centrale sia l’assoluta dominanza di “docenti e personale specialistico”, dedicato ad hoc.

Questa idea colpisce le famiglie, nonostante suggerisca, di fatto, soluzioni che possono produrre forme di scolarizzazione “isolanti” piuttosto che “includenti”.

Non solo. Lo sviluppo di molte tecniche di “riabilitazione e cura”, talora assunte come parallele all’educativo, ha prodotto un fiorire di neo-professioni e neo-tecniche separate, che hanno nel “sintomo” la  centralità dell’intervento, perdendo la dimensione olistica della persona stessa.

Tutto questo sta producendo un caos pedagogico di competenze, di interventi, di differenziazioni territoriali dei servizi, che favoriscono l’isolamento terapeutico e che riducono fortemente quella “inclusione a tutto campo”, che ci appare l’unica via culturale, scientifica, etica e politica, che renda  davvero la singola persona accolta nella società, riconosciuta nei suoi potenziali, secondo la prospettiva dell’«accomodamento ragionevole», facile da dire, ma spesso difficile da concretizzare.

L’inclusione è compito di tutti

L’inclusione è questione di tutta la comunità scolastica: dai docenti ai collaboratori scolastici e agli assistenti educatori, passando per il Dirigente scolastico.

D’altra parte,  il dovere politico e pedagogico dell’inclusione va oltre la questione della persona con disabilità: tocca questioni come la povertà educativa, come i diversi disagi nella crescita. Una platea di questioni per le quali spesso la politica spinge per “inventare” nuove professioni a latere dell’insegnamento o appoggiandosi al cosiddetto “sociale”, con il rischio di creare ulteriori categorie di “professioni speciali”, che sembrano “sottrarre”, nel lungo periodo, i ragazzi coinvolti in interventi speciali, isolandoli dalla normalità della vita eterogenea di ogni nostra classe o gruppo di giovani. Una compassionevole tendenza a confondere l’educazione e la socialità con la cura sintomatica e la separazione apparentemente protettiva.

È giunto quindi il momento di andare oltre, come ci ha insegnato Canevaro

Dobbiamo, quindi, riprendere con forza il tema della professione docente come naturalmente, sotto ogni profilo, riducendo per esempio del tutto lo iato tra “docenti con incarico disciplinare” e “docenti con incarico sul sostegno”, per evitare la delega permanente, l’isolazione sgradevole, il tecnicismo come educazione, la palese e non più tollerabile deresponsabilizzazione.

In sintesi, evitare il rischio di vedere neo-scuole speciali in scuole normali.

Dunque: andiamo oltre gli steccati separativi, per una scuola davvero inclusiva.

Nello scorso convegno del 2021 da questo tavolo abbiamo lanciato la proposta della statalizzazione delle figure addette all’assistenza all’autonomia e comunicazione, come tassello di qualità della scuola inclusiva, ma anche di giustizia verso professioni serie, utili, spesso trattate contrattualmente in modo precario ed economicamente scandaloso. Seguiamo con interesse i percorsi parlamentari attivati in questi anni, augurandoci che si arrivi finalmente ad una maggiore armonia gestionale e professionale di una fascia di professionisti ormai importante.

Ma è necessario provare ad andare ancora oltre, per accentuare una concreta partecipazione diretta di tutti i docenti per una effettiva inclusione; per superare la delega sempre più bruciante, che separa la scuola in deleghe e isolazioni.

Già alcuni anni fa a Rimini abbiamo avuto occasione di riflettere sulle cosiddette “cattedre miste”.

Fu un dibattito acceso, ricco di spunti, vivacemente interessante. Ma su questo punto, è giunto il momento di “andare oltre”.

In primis il rischio che il concetto di misto diventi mera questione meccanica di spartizione di ore e di tempi disciplinari.

È giunto per noi il momento di lavorare intensamente per creare le condizioni affinché l’inclusione impegni e occupi tempo, competenze e azioni operative di ogni docente.

Stiamo quindi lavorando lungo l’idea di ridefinire la formazione l’organizzazione del lavoro degli insegnanti in chiave fattivamente inclusiva, che vada anche oltre stereotipi o luoghi comuni, ma che diventi un “costume etico professionale”, indispensabile per tutti, in quest’epoca altamente complessa e particolarmente

difficile. Quanto meno per evitare il rischio di tanti (inutili) interventi “speciali”, separati dal mainstream della quotidianità didattica, più orientati a creare pericolosi ghetti educativi.

Abbiamo chiamato questa idea di fondo “professione inclusiva” tout court.

In termini dello scolastichese “cattedre inclusive” e secondo prospettive pedagogiche “insegnanti inclusivi”.

La “cattedra inclusiva” per andare oltre

La frequenza degli alunni con disabilità nelle classi comuni delle scuole di ogni ordine e grado ha generato, in oltre mezzo secolo di storia, una crescita nella qualità della progettazione educativa e didattica a favore di tutti coloro che accedono al sistema dell’istruzione del nostro Paese.

Se in una prima fase storica la loro presenza ha sollevato un acceso e intenso impegno per individuare “modi nuovi” di insegnare e stimolare apprendimenti entro la comunità dei pari, oggi questa presenza comunitaria è in crisi. La tendenza attuale rischia infatti prepotentemente forme educative separative e specialistiche. Dobbiamo dunque allargare la riflessione verso la ricerca di una direzione di senso di comunità, quanto mai necessaria in particolare a fronte di percepibili resistenze e di una cultura dell’esclusione camuffata da individualizzazione e dell’abilismo difficili da estirpare.

Per operare quel salto di qualità ulteriore, è necessario promuovere una scelta ancor più radicale in prospettiva inclusiva, attuabile mediante la generalizzazione di un’esperienza che ci piace chiamare “cattedra inclusiva”: con essa, si attuerà una nuova organizzazione che, gradualmente, vedrà tutti i docenti della scuola italiana impegnati in un incarico flessibile e  polivalente, nel quale una parte delle ore di servizio saranno impiegate in attività disciplinari e una parte in attività di sostegno.

La proposta già oggi è impegnata in numerose scuole in forme di sperimentazione e di innovazione, favorite dall’utilizzo intelligente del Regolamento dell’Autonomia, il DPR n. 275/1999, che già rende possibile attuare pratiche di flessibilità didattica e curricolare.

Ma riteniamo ormai necessario che questa proposta di sistema  sia favorita da una specifica azione legislativa in modo che la scuola e i docenti stessi possano essere sostenuti da una serie di garanzie, che riguardano le dotazioni organiche insieme ad un piano straordinario di formazione, fino all’attivazione di nuove strutture costruite dal basso, quali ad esempio un “coordinamento pedagogico”, presso ogni istituzione scolastica e “centri territoriali di servizio”  promossi a

livello di ambito territoriale (riducendo, contestualmente, tutta una serie di strutture, nell’ottica di semplificazione di procedure e strutture.

Un’impostazione, quindi, che pone al centro le singole istituzioni scolastiche, la rete tra loro e gli enti locali, valorizzando l'autonomia organizzativa, didattica e curricolare nello sviluppo di idonee e rinnovate forme di flessibilità.

Questi princìpi, tradotti in un progetto di legge, rimetterebbero la scuola al centro delle politiche inclusive,  affinché l’inclusione costituisca fattivamente:

come scriveva Andrea Canevaro

“… un’occasione straordinariamente utile per accrescere il benessere di giovani che stanno maturando nell’apprendimento e per l’apprendimento, per aiutarli a realizzare il loro progetto di vita. Ciascuno ha il proprio progetto di vita, ma deve essere consapevole che esistono gli altri.”

Andrea Canevaro