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I mini gialli dei dettati 2
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Search-ME - Erickson 1 DSA
Quattro consigli di Paolino Gianturco, dirigente scolastico e formatore dell’Associazione Italiana Dislessia (AID)
Con uno slancio e un entusiasmo che forse soltanto la scuola è in grado di esprimere, il mondo dell’istruzione si è lanciato a capofitto nella didattica a distanza, fin dai primi momenti della sospensione delle attività in presenza. Ciascuno ha intrapreso questa nuova avventura portandosi dietro, oltre a una encomiabile abnegazione, tutto il bagaglio di competenze acquisite negli anni, soprattutto nel campo delle tecnologie. Ma adesso, a quasi due mesi di distanza, sembra arrivato il momento di riflettere - e moltissime scuole lo stanno facendo - sull’efficacia degli strumenti e delle metodologie applicate alla didattica, soprattutto se dall’altro lato dello schermo del pc si trova un alunno con bisogni educativi speciali. Siamo sicuri che gli strumenti che stiamo utilizzando riescano davvero ad attuare quell’inclusione in grado di portare al successo formativo, che è l’obiettivo fondamentale del nostro sistema scolastico? Per provare a dare una risposta a questo interrogativo, dobbiamo affrontare la questione sui due versanti che la caratterizzano: quello delle strategie più propriamente didattico – educative, e quello degli strumenti digitali impiegati nella didattica a distanza. Perché strategie e strumenti possano combinarsi efficacemente, e quindi coinvolgere soprattutto chi ne ha più bisogno, sarà necessario agire in quattro direzioni principali. Primo consiglio: lavorare sul piccolo gruppo La prima leva a cui si può fare ricorso è il lavoro sul piccolo gruppo. In questo caso, la situazione di necessità - la didattica a distanza - potrebbe diventare virtù: se è vero, infatti, che sul piano organizzativo si sono dovuti riadattare tempi e durata delle lezioni ordinarie (più brevi di quelle in presenza e non di rado in fasce orarie anche pomeridiane), è anche vero che molti insegnanti trovano funzionale “incontrare”, o “reincontrare” i propri alunni in orari dedicati e magari per brevi periodi, per puntualizzare, in un piccolo gruppo, alcuni aspetti delle lezioni rivolte alla classe. Una modalità del genere non è sempre esperibile nella didattica ordinaria, dove la gestione del tempo-scuola, specialmente nella scuola secondaria, non facilita la creazione di piccoli gruppi o interventi didattici di recupero anche per frazioni di ora. Nel piccolo gruppo trova maggiore spazio di ascolto chi potrebbe avere delle difficoltà a inserirsi nel gruppo anche quando si trova in classe con i compagni, in presenza; in una videoconferenza a distanza, inutile negarlo, emergono delle criticità che ognuno di noi ha imparato a conoscere bene in questo periodo: possono aversi rumori di fondo, problemi di attivazione dei video, distrazioni domestiche, e la mancanza del contatto visivo diretto del docente, a tenere viva l’attenzione, può essere un serio deficit per chi fa fatica a concentrarsi. L’ideale potrebbe essere affiancare dei brevi interventi didattici sul piccolo gruppo a quello sull’intero gruppo classe. Ciò è permesso sia dagli strumenti sincroni (la videoconferenza) che da quelli asincroni, (come i laboratori che si svolgono nelle classi virtuali), che rendono possibile una discussione partecipata, un coinvolgimento maggiore degli alunni che hanno necessità di essere inclusi e sono messi più agevolmente in grado di elaborare riflessioni metacognitive, strumento essenziale per l’accesso a ogni tipo di apprendimento. Secondo consiglio: lavorare in compresenza (virtuale) La seconda opportunità da cogliere è quella del lavoro in compresenza. Ogni docente sa che la possibilità di condividere insieme a un collega la lezione con il gruppo classe in orario curricolare è stata tolta alla scuola italiana da più di un decennio, e di questo ha sofferto soprattutto la scuola primaria, che per molti anni aveva saputo costruire delle importanti esperienze di didattica in team. In questa fase, quasi paradossalmente, è proprio la difficoltà che stiamo affrontando a fornire una chance inaspettata alle scuole italiane, favorita dalle tecnologie digitali: un ritorno di fiamma per la scuola primaria, ma anche una scoperta che potrebbe rivelarsi interessante, per il suo carattere inedito, per la scuola secondaria di primo e di secondo grado. La sperimentazione, sia pure a distanza, di esperienze di co-docenza, potrebbe far venire alla luce una modalità didattica dall’alto potenziale inclusivo: presentare un argomento (o meglio, un’attività laboratoriale) da diversi punti di vista e con approcci diversi, dà alla lezione un taglio meno settorializzato, trasversale, interdisciplinare come sarebbe giusto, anche senza il lavoro a distanza. L’alunno che ha maggiore bisogno di essere “catturato” nella relazione e nell’accesso all’apprendimento, attraverso un prisma costituito dalle diverse possibilità di risoluzione di un problema, i differenti punti di vista delle varie discipline, focalizza con maggiore efficacia il proprio apprendimento intorno a un macro-argomento, interpretando meglio le ragioni degli elementi strutturali che sta affrontando e trovando più facilmente le risposte alle proprie domande metacognitive. Terzo consiglio: sfruttare gli strumenti di condivisione La terza leva è quella della condivisione, resa possibile dall’utilizzo di strumenti di interazione tra alunni e insegnanti ma anche tra alunni e alunni. Interagire significa innanzitutto agire, e poi re-agire ai continui stimoli forniti dai propri interlocutori. Difficile nascondersi dietro allo schermo del pc - come in classe si tende a “scomparire” nelle ultime file - quando i docenti o i compagni chiedono non già di stare fermi ad ascoltare, ma di costruire cooperativamente l’oggetto dell’apprendimento. La maggioranza degli strumenti digitali disponibili oggi per la didattica è orientata alla costruzione collaborativa: si organizzano presentazioni multimediali insieme ai compagni, si elaborano testi a quattro e più mani (come fossero sceneggiature cinematografiche), si completa una mappa concettuale iniziata dal docente, si disegna e si compone musica grazie agli strumenti di condivisione in cloud: le possibilità offerte dalla tecnologia spingono a potenziare al massimo la creazione condivisa dell’apprendimento. Questa relazione che attiva i meccanismi attentivi e cognitivi dell’alunno con BES può rivelarsi particolarmente efficace e trova nella didattica a distanza uno dei suoi luoghi di elezione, perché l’inclusione migliore non è calata dall’alto, ma condivisa nelle pratiche quotidiane, oltre che nei principi. Quarto consiglio: utilizzare il rimando Quarto e ultimo (ma non ultimo) strumento, che non può mancare da nessuna relazione didattica, e men che meno dalla didattica a distanza, è quello del ritorno, del feedback. Senza feedback non c’è didattica, ma soprattutto non c’è didattica a distanza. Solo se si garantisce una circolazione a doppio senso delle informazioni, e la si garantisce a ciclo continuo, il discente può apprendere (comprendendo i propri errori) e il docente può valutare. Si tratta di un elemento centrale, senza il quale il castello della didattica a distanza - che è un castello, bisogna ammetterlo, con le sue fragilità - rischia di crollare in poco tempo. D’altronde, se si osservano i docenti al lavoro in questi giorni, si vede un esercito di correttori infaticabili che si sforzano di assicurare la risposta ai propri alunni: perché sanno che in quella risposta sono riposte enormi aspettative da parte dei ragazzi, e non solo sotto il profilo valutativo, ma anche dal punto di vista emotivo-relazionale. Il compito corretto è pur sempre una forma di relazione, se vogliamo surrogata, che va a sostituire quella amata-odiata che si svolge nella vita di classe. Che sia il Registro Elettronico, o una delle tante piattaforme di interazione per lo svolgimento di test, magari sotto forma di gioco, o una classe virtuale, la risposta della scuola può arrivare all’alunno in maniera molto semplice e immediata. E allora, perché non farlo? È anche in virtù del portato psicologico costituito dal feedback dell’insegnante, oltre naturalmente alla sua ricaduta pedagogica, che assicurare la risposta agli alunni significa contribuire ad assicurarne l’inclusione.
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Sabrina Franciosi, dirigente scolastico e formatrice AID, spiega a quali condizioni la Didattica a Distanza è efficace per gli alunni con Bisogni Educativi Speciali
Mai come in questo momento, una soluzione emergenziale come quella della didattica a distanza può rivelarsi un’opportunità per tutti gli alunni e, forse, soprattutto per coloro che vivono la relazione didattico-educativa incontrando delle difficoltà. La prima condizione per la DAD: gli aspetti tecnici Il punto di partenza, inutile nasconderlo, è di carattere tecnico. Per arrivare agli alunni con BES - e non solo - la didattica a distanza deve usare strumenti semplici e metodologie chiare. Questo significa, in primo luogo, che una scuola che rifletta sull’efficacia dei propri interventi dovrà sforzarsi di ridurre al minimo il numero di piattaforme o ausili digitali. La situazione attuale, è vero, ha colto di sorpresa una parte del mondo dell’istruzione, ma non è infrequente imbattersi in alunni grandi e piccoli che, nell’arco della stessa giornata, debbano destreggiarsi tra l’uso del registro elettronico, l’invio delle email, le classi virtuali (magari di piattaforme diverse a seconda del docente) e uno o più strumenti per la videolezione, essendo magari in grado di scansionare compiti e pagine del libro come se facessero la foto al proprio gatto. Non tutte le scuole sono arrivate al momento dell’emergenza con una dotazione unitaria di strumenti per la didattica digitale, già collaudata, per così dire, “in tempo di pace”: e questo in alcuni casi, senza nulla togliere allo straordinario e generoso sforzo dei docenti, ha costretto molti ragazzi a fare i conti con un nuovo tipo di disorientamento, una sorta di sovraffollamento digitale, una specie di “cyber-Babele” davanti alla quale un alunno che ha le sue difficoltà di concentrazione, o che si perde nelle mille differenti procedure - procedure che la scuola, in onore al suo statuto, esige, non dimentichiamolo - può fare i conti con un nuovo ordine di difficoltà. Per questo motivo, anche se questo non è sempre facile da attuare a scuola, il primo consiglio è di unificare e ridurre gli strumenti digitali impiegati per la didattica. Perché quello che stiamo scoprendo sempre di più, anche grazie a questo nuovo modo di fare scuole, è che i cosiddetti “nativi digitali” sono tutt’altro che padroni del mezzo, soprattutto quando sono chiamati a utilizzarlo in maniera attiva, creativa e costruttiva. E qui veniamo al secondo punto: affinché gli strumenti digitali riescano a esprimere al meglio il loro potenziale didattico, devono essere semplici da usare; ma cosa significa “semplici”? Significa che tutti gli utenti - vale a dire alunni, docenti ma anche genitori, specialmente per gli alunni più piccoli - siano adeguatamente formati: e anche in questo caso, se non si è creduto, in passato, nella formazione di tutto il mondo della scuola (docenti alunni e famiglie) all’utilizzo dei nuovi strumenti digitali, che poi tanto nuovi non sono, a dire il vero, questa nuova relazione didattica mediata dal computer può certamente mettere gli alunni con bisogni educativi speciali di fronte a nuove difficoltà. Questa di sicuro è una grande occasione per colmare qualche lacuna in fatto di competenze digitali, e non a caso le opportunità di formazione si stanno moltiplicando, in queste settimane, sempre con una grandissima partecipazione del personale scolastico. La seconda condizione per la DAD: il lavoro sul metodo e sull’organizzazione dello studio Ma veniamo alla seconda condizione. Accanto alle problematiche di tipo tecnico legate all’uso degli strumenti digitali, e forse prima ancora di esse, si pone una questione centrale: che tipo di didattica potrà funzionare per gli alunni con BES, finché la scuola resterà a distanza? Qui ci troviamo veramente davanti a una grande occasione per la nostra scuola: è giunto il momento di lavorare alla costruzione di una didattica leggera, che sia fondata sull’individuazione di contenuti essenziali e competenze di base. Questo è il terreno - progettuale e metodologico - sul quale docenti e dirigenti sono chiamati ad esercitare tutte le proprie capacità per rivedere il curricolo e individuare gli elementi essenziali delle discipline. Lo sforzo richiesto alle scuole, anche in questo caso, non è secondario, soprattutto per quegli istituti che in passato non hanno lavorato in questa direzione. Fare una didattica a distanza che sia efficace per gli alunni con bisogni educativi speciali significa alleggerire molto il carico di compiti a casa, individuare i contenuti di base del curricolo, ma soprattutto fornire feedback: quando si assegna un compito, questo deve essere sempre corretto, perché l’alunno deve avere un ritorno per comprendere meglio quali siano le sue difficoltà, quali concetti ha interiorizzato e su quali apprendimenti invece non ha padronanza e quindi deve insistere. Un altro nodo sensibile riguarda l’organizzazione del lavoro. I nostri alunni facilmente si disorientano, soprattutto i ragazzi con difficoltà sono sensibili e fragili, perdono i punti di riferimento e rischiano di non afferrare più il senso logico degli apprendimenti che vengono proposti. Avrebbero problemi di memorizzazione e di assimilazione a scuola, in presenza, figuriamoci a distanza e senza la possibilità di supervisione ravvicinata da parte del docente. Anche questa è una piega in cui rischia di annidarsi il germe della discriminazione socio-culturale: a nessuno sfugge che, in una relazione a distanza non sufficientemente gestita dalla scuola, una parte significativa del lavoro di organizzazione e gestione (dei materiali di studio come degli argomenti) possa finire per essere demandata alla collaborazione delle famiglie, non tutte dotate degli strumenti necessari per affiancare il proprio figlio. Per questa ragione, in una fase come questa, una scuola sensibile al tema dei bisogni educativi speciali si sforzerà ancora di più di lavorare sul metodo e sull’organizzazione dello studio: come studiare una lezione, come sintetizzarla, come ricavarne una mappa concettuale, come recuperare le conoscenze pregresse e individuare i prerequisiti per i nuovi argomenti. Questi dovrebbero essere gli obiettivi prioritari della didattica a distanza, proprio tenendo come bussola di riferimento quegli alunni in difficoltà che a casa, senza l’apprendimento socializzato dell’aula scolastica, rischiano di fallire ulteriormente. Le occasioni da cogliere con la DAD Contenuti leggeri, dunque, e molto metodo di studio; a cui può aggiungersi un approccio trasversale tra le discipline e che affronti pochi temi: ma sui quali magari si propone quell’approfondimento che nella didattica ordinaria non sempre si ha il tempo di fare, e che invece potrebbe consentire, in questa situazione, una più incisiva fissazione dei contenuti. SI tratta di linee di intervento, in parte richiamate anche dalle Note ministeriali di queste settimane, sulle quali è compito dei dirigenti orientare una riflessione il più possibile condivisa tra tutto il collegio dei docenti. Ma soprattutto, siamo davanti a un’occasione da cogliere per costruire una scuola sempre più inclusiva.
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Alcune riflessioni e suggerimenti per attivare una didattica a distanza individualizzata
L’emergenza per il Coronavirus ha portato con sé una situazione della quale nessuno di noi aveva memoria e che ci ha colti fortemente impreparati: la chiusura delle scuole e la conseguente introduzione della didattica a distanza. Un sistema nuovo per tutti, insegnanti e alunni, i quali sono stati costretti a misurarsi in breve tempo con strumenti tecnologici prima quasi sconosciuti, ad apprendere il funzionamento di software e l’uso di risorse online, a far proprie procedure e, soprattutto, a relazionarsi attraverso lo schermo di un computer. Come consulente per i disturbi dell’apprendimento e tutor DSA sto continuando a lavorare – anche io rigorosamente a distanza – con i miei clienti abituali, bambini e ragazzi con certificazione di disturbi dell’apprendimento: da loro ascolto ogni giorno le difficoltà e i problemi con i quali devono confrontarsi nella scuola di questo periodo. Vorrei quindi offrire qualche spunto di riflessione sull’applicazione della didattica a distanza agli studenti con disturbi dell’apprendimento, con particolare riferimento alle difficoltà che essa comporta. L’uso delle piattaforme online Spesso gli insegnanti pensano che gli alunni con DSA siano un po’ degli esperti informatici, dal momento che utilizzano quotidianamente il computer e i software compensativi per sopperire alle proprie difficoltà e per studiare in maniera efficace. Non è così, anzi molto sovente imparare a usare tanto il computer in sé quanto una serie di programmi per l’apprendimento rappresenta un primo scoglio non di poco conto, anche se poi sarà il loro aiuto più grande. Il motivo è che la stragrande maggioranza dei ragazzi con disturbi dell’apprendimento fa molta fatica ad apprendere le procedure. Così come per loro è molto complesso ricordare procedure e funzioni nell’uso di un qualunque software, allo stesso modo è stato ed è ogni giorno molto faticoso apprendere, memorizzare e mettere in pratica le numerose sequenze da seguire nella didattica online. La conseguenza è che molti di questi studenti spesso si confondono, si dimenticano, “si perdono”: consegnano i compiti via mail anziché su Classroom, non ritrovano le richieste degli insegnanti tra le tante comunicazioni pervenute nel tempo attraverso canali diversi, sbagliano a compilare i questionari di Google, non riescono a entrare nelle videolezioni su Meet. Pensiamo ai ragazzi certificati e alle loro fragilità nell’orientarsi e nel memorizzare. Pensiamoli alle prese, contemporaneamente, con mail, registro elettronico, Classroom, Documenti Google, Meet; con insegnanti che si servono ora dell’uno ora dell’altro strumento per inviare compiti e materiale; con scadenze e appuntamenti online assai lontani da quelli molto concreti della loro quotidianità. Solo così possiamo capire quante frustrazioni e quanta fatica incontrino in questo periodo. Le videolezioni e l’attenzione È risaputo che i ragazzi con DSA, anche quando non vi sia una diagnosi di ADHD in comorbidità, presentano quasi sempre difficoltà a mantenere l’attenzione per un lungo periodo di tempo: la mente di questi alunni, infatti, si affatica molto più rapidamente di quella dei compagni, dal momento che l’impiego di risorse è notevolmente superiore. Il fatto che si distraggano facilmente, che talvolta vaghino altrove con la mente è quindi del tutto normale e, anzi, addirittura opportuno. A scuola è importante, con questi bambini e ragazzi, mantenere costante il contatto visivo, chiamarli per nome ogni volta che una mosca vola e loro la seguono con lo sguardo, porre loro qualche domanda ogni tanto, così da mantenerli attenti e presenti mentalmente oltre che fisicamente. Ebbene, neppure gli insegnanti più bravi possono riuscirci in videolezione! Se uno studente si distrae durante la lezione su Meet, l’insegnante non se ne accorge; se la mosca vola e lui la segue, le parole del docente volano anch’esse, ma lontano, lontano… e sono perse! E non c’è contatto visivo, non c’è richiamo per nome, non c’è domanda che possa far tornare la loro mente presente, se non quando l’insegnante ne ponga una formale. Il problema dell’attenzione diventa ancor più importante nel momento in cui gli alunni con DSA si trovano a casa propria. Questi ragazzi ottengono enormi vantaggi dall’ambiente scuola per il solo fatto di starci dentro: la presenza degli insegnanti, l’aiuto dei compagni, il continuo feedback offerto dal “circuito” spiegazione-domanda-chiarimento-rinforzo, la possibilità di uscire in gruppo ristretto con l’insegnante in compresenza lo aiutano a “stare sul pezzo” e sopperiscono, almeno in parte, alle sue difficoltà. A casa tutto questo manca, inesorabilmente. Ai problemi di attenzione che il ragazzo ha di suo, quindi, si aggiungono l’impossibilità di ricevere l’aiuto offerto dal contesto scolastico e l’indubbia distraibilità causata dall’ambiente domestico. Porto esempi concreti tratti dalla mia esperienza lavorativa: so di studenti che seguono le videolezioni e contemporaneamente chattano su WhatsApp o giocano alla PlayStation, altri fanno merenda, altri sono in cucina mentre la mamma prepara il pranzo. E qui sorge un dilemma: è più opportuno che questi ragazzi stiano nella propria camera (o comunque in una parte della casa loro riservata), da soli ma a rischio distrazione, oppure in sala o in cucina, sotto l’occhio vigile dei genitori ma quasi certamente disturbati dalla presenza di questi? Dal mio punto di vista, la prima soluzione è la più opportuna, tuttavia i ragazzi vanno comunque vigilati, responsabilizzati, in modo che possano davvero concentrarsi sul lavoro scolastico, senza rumori e movimenti circostanti, ma anche senza giochi e cellulare! I tempi ristretti Una delle misure dispensative quasi sempre contenute nei piani didattici personalizzati degli studenti con disturbi dell’apprendimento è la concessione di tempi più lunghi per lo svolgimento dei compiti a casa e delle verifiche in classe. Questi sono imposti, innanzitutto, dalla maggiore lentezza che le difficoltà in lettura e scrittura comportano; in secondo luogo, dalla necessità di preparare strumenti compensativi quali schemi, riassunti e mappe concettuali e poi usarli in sede di verifica per recuperare il materiale studiato. La DAD impone invece tempi ristretti: durante la videolezione, nello svolgimento dei compiti e, soprattutto, nella consegna degli stessi – Classroom è inesorabile: se non consegni, lo segnala, e la conseguenza normalmente è un «N.C.» sul registro elettronico –, nella compilazione di una verifica sui Moduli Google; nonché, come dicevo prima, nell’apprendimento di nuove istruzioni e procedure. Invito i genitori a parlare con i docenti, a chiedere via mail tempi lunghi. Un altro esempio a questo proposito: la scorsa settimana una ragazzina che seguo avrebbe dovuto consegnare un elevato numero di esercizi di grammatica italiana; non ce la faceva, ha avuto bisogno del mio aiuto; e anche con il mio aiuto è stato necessario suddividere il compito in due parti. Così, ho proposto ai genitori di scrivere alla docente di italiano, spiegando che la prima parte del compito sarebbe stata consegnata nei tempi richiesti, la seconda qualche giorno più avanti. Così è stato, l’insegnante ha accolto la richiesta e la ragazzina ha terminato il compito con maggiore tranquillità. Gli strumenti compensativi Tutti gli strumenti compensativi, così come le misure dispensative, previsti dal PDP devono essere assolutamente garantiti anche in questo periodo. Dunque, in occasione di verifiche e interrogazioni online i ragazzi devono avere a disposizione gli schemi e le mappe che hanno preparato durante lo studio – e che devono aver inviato agli insegnanti con congruo anticipo, questo è un memo per gli studenti! –, la calcolatrice e quant’altro. In particolare, gli insegnanti dovrebbero prestare molta attenzione al materiale che inviano, ricordando che i ragazzi con DSA devono poterlo usare con gli strumenti abituali. Ieri, ad esempio, lavoravo con un ragazzino che doveva svolgere un compito di inglese: la docente aveva inviato su Classroom una scheda in PDF su cui erano contenuti esercizi di completamento, ma il documento era protetto da password e perciò non modificabile. Il ragazzo, quindi, ha dovuto scrivere ex novo tutte le frasi in inglese su un documento di testo che ha poi inviato. Se la scheda in PDF non fosse stata protetta, invece, grazie al software PDF-XChange Editor l’alunno avrebbe potuto completare gli esercizi direttamente su di essa, con evidente risparmio di tempo e di fatica, dal momento che è disortografico. Sempre ieri, sul computer di un’altra ragazzina non abbiamo potuto installare AnyDesk, grazie al quale io posso vedere lo schermo a distanza, perché il computer in questione è un Chromebook fornito dalla scuola, sul quale a livello amministrativo non è stata concessa la possibilità di installare alcun software, di fatto impedendo a me di lavorare con questa alunna in maniera proficua. Oppure ancora, se l’insegnante invia un testo per una comprensione orale dovrebbe inviarlo in formato PDF, così che un ragazzo dislessico possa leggerlo tramite un software di sintesi vocale come LeggiXme; se, al contrario, invia una foto del testo sul libro, questa opportunità viene negata. Le verifiche e la valutazione Nella maggior parte dei casi gli studenti con DSA hanno diritto ad una diversa valutazione rispetto al resto della classe, che tenga conto delle difficoltà conseguenti ai disturbi certificati e non penalizzi ragazzi che non riuscirebbero a raggiungere i medesimi obiettivi dei compagni. Ciò si concretizza con la predisposizione da parte dei docenti di verifiche differenziate: non necessariamente semplificate, ma strutturate in maniera adeguata ai disturbi di ciascuno. Con la didattica a distanza la maggior parte delle verifiche viene svolta sui questionari di Google ed è generalmente uguale per tutta la classe. È un sistema chiuso: se rispondi correttamente ti viene assegnato un punto, se sbagli o non rispondi zero punti. È quindi auspicabile che gli insegnanti, come hanno sempre fatto in tempi normali, predispongano questionari differenziati per gli alunni certificati, cosa peraltro resa più semplice dalla possibilità offerta da Google di duplicare un questionario esistente e poi modificarlo. In conclusione, ritengo importante sottolineare la necessità di una didattica a distanza individualizzata, proprio come deve essere quella tradizionale quando viene applicata a bambini e ragazzi con disturbi dell’apprendimento. In caso contrario, una situazione che già comporta un faticoso adattamento per tutti gli studenti rischia di trasformarsi in uno scoglio insormontabile per chi ha molte più difficoltà, con conseguente sconforto e abbassamento dell’autostima. O, ancor peggio, con la perdita di voglia di studiare perché «tanto saremo tutti promossi», senza pensare che poi, il prossimo anno, sarà tutto in salita. Andrea Mangone, PhD, è Dottore di ricerca in psicologia dello sviluppo e dell’educazione, consulente per le difficoltà nello studio e i disturbi dell’apprendimento, tutor DSA e collaboratore della Sezione di Aosta dell’AID (Associazione Italiana Dislessia)
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Search-ME - Erickson 4 DSA
I consigli di tre ragazzi con DSA attivi all’interno dell’Associazione Italiana Dislessia (AID) ad altri ragazzi con DSA che devono scegliere l’Università o entrare nel mondo del lavoro
Francesco ha 30 anni, è laureato in Scienze dell’educazione e lavora come educatore. Martina ha 23 anni e studia Giurisprudenza presso l’Università di Sassari. Camilla ha 25 anni e, oltre a studiare Giurisprudenza, lavora da alcuni anni nell’ufficio amministrativo di una società che si occupa di forniture mediche. Francesco, Martina e Camilla, a un certo punto della loro vita, si sono trovati tutti e tre ad affrontare lo stesso problema: quello della dislessia. Oggi tutti e tre hanno deciso di dedicare una parte del proprio tempo per cercare di migliorare la condizione di chi, come loro, soffre di questo disturbo, entrando a far parte dell’Associazione Italiana Dislessia (AID). Nel corso di un webinar organizzato dall’AID a cui hanno partecipato, Francesco, Martina e Camilla hanno risposto a molte domande sulla loro esperienza personale con la dislessia. Ne sono emersi spunti e suggerimenti utili, in particolare per studenti universitari e per i giovani che si affacciano per la prima volta sul mondo del lavoro. Ecco, in sintesi, che cosa è emerso nel corso del webinar sui principali argomenti che sono stati trattati. Come si possono affrontare le difficoltà legate allo studio? Molti ragazzi, oltre ad essere dislessici, hanno anche difficoltà di attenzione e iperattività. È perciò importante che ognuno riesca a trovare un proprio equilibrio e delle strategie personali per affrontare questi disturbi. I sussidi tecnologici possono essere molto utili da questo punto di vista, in particolare la sintesi vocale che aiuta a mantenere la concentrazione e scandire bene il tempo, intervallando sessioni di studio non troppo lunghe a momenti di pausa, in maniera tale da non stancarsi troppo e ottenere dei risultati che incoraggino a proseguire. Sul sito dell’AID, poi, si trovano moltissime informazioni sugli strumenti compensativi. È importante che ciascuno studente individui quali sono gli strumenti più adatti alle sue esigenze, cosa che si può capire solo sperimentandone l’uso. Anche la componente psicologica è fondamentale: non bisogna demoralizzarsi perché non si è riusciti a fare ciò che ci si era prefissati, ma provare a riorganizzarsi senza perdere la volontà di raggiungere gli obiettivi. Quali sono i consigli per scegliere il corso di studi universitario più adatto? Soltanto lo studente dislessico può scegliere ciò che più gli è congeniale. Naturalmente è necessario superare i test delle facoltà a numero programmato con una preparazione adeguata, non solo dal punto di vista delle conoscenze, ma più ancora con la consapevolezza di dover affrontare una prova importante e impegnativa per tutti, non solo per le persone con DSA. Quindi non ci si deve demotivare se si viene bocciati al primo tentativo. Nessuna facoltà è preclusa se si è determinati a frequentare un determinato corso di studi. Vista l’estrema eterogeneità dei servizi rivolti agli alunni dislessici nei vari atenei, per scegliere l’Università è importante recarsi agli open day o comunque informarsi presso gli uffici preposti. All’università non è previsto un Piano didattico personalizzato ma gli studenti con DSA vengono seguiti da un tutor di facoltà che li supporta nel rapporto con i docenti, sia per la didattica che per lo svolgimento degli esami. Qual è il metodo di studio più efficace per un ragazzo con dislessia? Anche per quanto riguarda il metodo di studio, la cosa più importante è conoscere le proprie modalità di apprendimento per individuare quello più adatto per se stessi. Non bisogna comunque aver paura di sperimentare nuove modalità perché queste possono consentire di migliorare il proprio approccio allo studio e renderlo più efficace, riducendo la fatica, che è il principale fattore critico per le persone con DSA. Le strategie e le modalità di studio possono cambiare a seconda del tipo di esame o della mole di materiale da preparare. Un metodo utile per organizzare il proprio tempo consiste nell’appendere nella propria stanza un planning nel quale inserire la programmazione delle proprie attività giorno per giorno: questo permette di monitorare i propri progressi e di rendere gli obiettivi giornalieri raggiungibili. Anche durante la giornata è opportuno organizzare lo studio dividendo il materiale in piccoli step. Avere piccoli obiettivi consente di raggiungere il risultato e quindi di innescare un circolo virtuoso che porta al successo nello studio. Che suggerimenti potete dare ai ragazzi con DSA per la compilazione del curriculum? È consigliabile utilizzare il modello di curriculum europeo e compilarlo tenendo sempre conto delle richieste dell’azienda cui ci si rivolge. Va dato spazio anche a competenze trasversali come hobby, viaggi o attività di volontariato. Negli anni scorsi, AID ha avviato un progetto sperimentale di counseling chiamato “Dyslexia@work”, il cui obiettivo è quello di aiutare sia i giovani con DSA in cerca di lavoro sia coloro che vogliono trovare una nuova occupazione più aderente ai propri desideri. Nell’ambito di questo progetto, i ragazzi hanno ricevuto una formazione generale sulle difficoltà che può incontrare un giovane dislessico nel mondo del lavoro e sulla normativa vigente. Inoltre hanno messo a fuoco i propri punti di forza e le proprie aspirazioni attraverso colloqui individuali, hanno imparato a scrivere un curriculum efficace e a sostenere un brillante colloquio di selezione. Nel prossimo futuro, una volta conclusa la fase sperimentale, AID valuterà se offrire questo servizio di counseling ai propri soci. Come approcciare lo studio delle lingue straniere, in particolare dell’inglese? Indubbiamente le lingue straniere, e in particolare l’inglese, sono una vera e propria bestia nera per molti dislessici. Ci sono tuttavia molte app che consentono di imparare nuove parole attraverso dei giochi, rendendo divertente e meno faticoso l’apprendimento. Un altro approccio consiste nel guardare film in lingua originale per calarsi completamente nella lingua. Quest’ultima attività può essere fatta attraverso un approccio graduale che consiste nel guardare il film prima in italiano, poi in lingua originale con i sottotitoli in italiano e dopo con i sottotitoli in lingua originale. In questo modo si riesce a seguire bene il film e la comprensione è più semplice. Per quanto riguarda le certificazioni che attestano il livello di conoscenza delle lingue, è importante seguire un corso di preparazione, in modo da arrivare già allenati e con un bagaglio di conoscenze utile ad affrontare le prove. Quale ruolo hanno gli adulti nella vita di un ragazzo con DSA? Gli adulti giocano un ruolo fondamentale nel sostenere i ragazzi nei momenti di difficoltà perché non si scoraggino e comprendano l’importanza della scuola e la necessità di affrontare la fatica e anche gli insuccessi. Non è facile per un ragazzo con DSA tenere sempre presente l’obiettivo da conseguire e trovare la motivazione quando si presentano difficoltà che possono sembrare insormontabili. Per questo, avere almeno un adulto di riferimento è spesso indispensabile per raggiungere la mèta prevista. Con l’età arriva la consapevolezza delle proprie capacità, ma non si dimenticano gli insegnamenti ricevuti. Com’è possibile, per ragazzi che frequentano la scuola secondaria di primo o secondo grado, entrare a far parte del Gruppo Giovani dell’Associazione Italiana Dislessia? Non tutte le sezioni dell’Associazione Italiana Dislessia hanno un Gruppo Giovani, e non tutti i gruppi esistenti hanno le stesse caratteristiche e partecipanti con la stessa fascia di età. Bisogna rivolgersi alla sezione di appartenenza per sapere se sul proprio territorio esiste un Gruppo Giovani. Molto utile può essere poi, per tutti, il servizio Help-line di AID che risponde quotidianamente sia via mail che telefonicamente a tutti coloro che ne hanno bisogni.
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Search-ME - Erickson 5 BES DSA e ADHD
Perché è importante l’utilizzo di strumenti funzionali all’apprendimento, nel caso di alunni con difficoltà ma anche per tutta la classe
L’apprendimento è un processo basato sul successo, e il successo genera motivazione. Il compito di uno strumento compensativo dovrebbe essere, quindi, quello di favorire il successo nella prestazione scolastica, aggirando le difficoltà dello studente. L’esperienza della scuola primaria colloca lo studente in un mondo di aspettative. Il bambino, nella maggior parte dei casi, comincia il proprio percorso con entusiasmo. È ben disposto a imparare a leggere, a scrivere e ad apprendere le basi della matematica. Tuttavia, già nel corso dei primi anni, alcuni studenti iniziano a sperimentare un senso di insuccesso: percepiscono, ad esempio, che leggere con la stessa correttezza e/o velocità dei propri compagni può essere difficile, spesso impossibile. Il bambino può accorgersi di non riuscire a imparare le tabelline, o di non riuscire a memorizzare alcune sequenze elementari come i giorni della settimana o le stagioni. Le indagini di ricerca relative alle prestazioni atipiche hanno messo in evidenza, però, «che circa il 20% degli alunni (soprattutto nel primo biennio della scuola primaria), manifestano difficoltà nelle abilità di base coinvolte dai disturbi specifici di apprendimento. Di questo 20%, tuttavia, solo il tre o quattro per cento presenteranno un DSA». Perché è importante usare strumenti funzionali all’apprendimento Per questo motivo è auspicabile che, soprattutto nella scuola primaria, vengano attivati dei percorsi didattici in cui gli tutti gli studenti possano sentirsi liberi di utilizzare strumenti funzionali agli apprendimenti. Si prendano in considerazione, ad esempio, la linea dei numeri o la tavola pitagorica: si tratta di supporti potenzialmente utili per tutti. La differenza relativamente alla loro funzionalità sta nel fatto che lo studente che in una fase iniziale mostra una difficoltà nelle operazioni di calcolo, una volta consolidate le relative competenze, a un certo punto del proprio percorso non ne avrà più bisogno. Lo studente che manifesterà un DSA continuerà, invece, a utilizzarle con successo e soddisfazione. Rispetto a eventuali difficoltà nella scrittura manuale, invece, risulta fondamentale procedere con estrema cautela. È possibile che la fatica percepita nel tracciare le lettere e gli scarsi risultati impediscano allo studente il raggiungimento del successo nella prestazione. Tuttavia le competenze legate alla scrittura a mano devono rimanere uno degli obiettivi prioritari dei primi segmenti del percorso scolastico: l’avviamento all’utilizzo di strumenti digitali, come ad esempio il computer, in queste fasi dello sviluppo, potrebbe risultare controproducente.
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La campagna Erickson - AID per approfondire le conoscenze sulla dislessia e sugli altri DSA.
Lo sai che… Mika, stella del pop, conosce 7 lingue (!!!), ma non sa leggere l’orologio? Non legge nemmeno lo spartito musicale, ma canta meravigliosamente e suona molti strumenti musicali! E Jennifer Aniston, da piccola, non era molto brava a scuola, ma è diventata un’attrice famosa. Il regista Steven Spielberg a scuola faticava a leggere e ha sviluppato una grande immaginazione. Immaginando, ha creato personaggi come il simpatico extraterrestre E.T. e film sui dinosauri come Jurassic Park! Che cosa hanno in comune questi personaggi, così diversi tra loro? Sono tutti dislessici… scopri le loro storie e quelle di molti altri, e come la dislessia ha cambiato, a volte in meglio, la loro vita.     Lo sai che… ci sono diversi modi di leggere e di imparare? Ognuno di noi ha il suo stile di apprendimento e le sue caratteristiche, così come qualcuno può essere più alto, più basso, biondo o bruno, bravo a giocare a basket o a suonare il piano. Anche nell’apprendimento ci sono delle peculiari caratteristiche che distinguono un individuo dall’altro e nessuna è più o meno giusta di un’altra, così come non è più corretto avere gli occhi blu o verdi, portare o meno gli occhiali.   Fra queste caratteristiche ci sono anche i DSA, ovvero i disturbi specifici dell’apprendimento. Si chiamano specifici proprio perché riguardano solo alcune difficoltà del sistema dell’apprendimento. Una peculiarità dei DSA è l’intelligenza, infatti uno dei parametri per la loro valutazione è proprio che il quoziente intellettivo sia nella norma o superiore alla norma.   Le persone con DSA, nonostante siano intelligenti e non abbiano problemi a capire le cose, hanno delle difficoltà proprio nelle aree della lettura, del calcolo e della scrittura, perché la loro caratterista è di non riuscire ad automatizzare i processi che stanno alla base di queste abilità specifiche. Questo non vuol dire che non riescano proprio a leggere o a scrivere, ma che per farlo devono fare molta fatica, usare tante energie e impiegare tanto tempo.   Per le persone con DSA è quindi necessario usare delle strategie di apprendimento che gli permettano di superare le difficoltà in questi compiti in modo da non ancorarsi sui loro punti deboli e poter sfruttare al massimo i loro punti di forza. Fra le strategie ci sono anche degli strumenti compensativi, ad esempio i software di sintesi vocale che consentono di “leggere con le orecchie” i testi, la calcolatrice per fare i conti o il computer per scrivere. Lo sai che…? si può imparare a valorizzare il potenziale di ciascuno, al di là delle difficoltà? In Italia la dislessia è ancora poco conosciuta. Secondo le recenti ricerche, i disturbi di apprendimento colpiscono circa il 3-4% degli alunni italiani. Questo significa che in una classe di 25 studenti è altamente probabile trovare un bambino o un ragazzo che manifesti una considerevole difficoltà negli ambiti della lettura, del calcolo e della scrittura. Un disturbo dell’apprendimento non è una difficoltà scolastica, che può essere temporanea, un disturbo dell’apprendimento pur non essendo una malattia, non è guaribile… rimane stabile nel tempo. Ci sono però diversi modi, come l’apprendimento di strategie utili e di metodi di studio funzionali, che possono essere adottati per aiutare le persone con DSA, valorizzando e tenendo conto di tutte le diversità in classe, con gli amici o a casa.
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