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I mini gialli dei dettati 2
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Search-ME - Erickson 1 Adolescenza
Le parole e i gesti che scegliamo per comunicare con gli altri ci rappresentano e rivelano la persona che siamo
Spesso capita di pensare che nella comunicazione ci sia un modo giusto e uno sbagliato di dire le cose o di mostrare i propri sentimenti. Questa idea è figlia della convinzione che ci siano dei comportamenti considerati «universalmente» corretti, ovvero che tutti leggono nella stessa maniera e che quindi non sono fraintendibili. Purtroppo non è così.  Il nostro modo di parlare, di muoverci nella comunicazione e di ascoltare è frutto di ciò che abbiamo imparato fin da piccoli. Per fare un paragone, potremmo dire che siamo tutti convinti di giocare allo stesso gioco, ma alcuni fanno pallavolo, altri basket e qualcuno invece rubamazzetto.  Per capirci tra noi, quindi, dobbiamo smetterla di dare per scontato che l’altro legga il mondo esattamente come facciamo noi. Perché una comunicazione possa esistere, infatti, non basta una persona che parla o scrive (l’emittente), serve anche qualcuno che ascolti o legga il messaggio inviato (il ricevente). L’ascolto è il primo passo per una comunicazione che funzioni: essere capaci di ascoltare con attenzione l’altra persona può fare la differenza in un’interrogazione, quando si chiede un favore e perfino nelle questioni di cuore. Metterci nei panni degli altri a volte è impossibile, non possiamo neppure lontanamente immaginare come pensa, sente e reagisce una persona che ha vissuto una vita completamente diversa dalla nostra. Eppure spesso cadiamo nell’errore di giudicare con il nostro metro situazioni che non conosciamo. Per poter aprire un dialogo costruttivo con una persona molto diversa da noi, serve essere in una situazione più serena possibile.  Se vogliamo che l’altro ascolti quello che abbiamo da dire, dobbiamo «scavalcare» le difese che i suoi pregiudizi gli fanno avere nei nostri confronti. Anche noi, a nostra volta, dobbiamo mettere da parte i nostri e spesso non è facile perché neppure riusciamo a riconoscerli! In psicologia si dice «sospendere il giudizio», ovvero smettere di pensare di essere nel giusto e accogliere il dubbio che l’altra persona possa avere una sua visione altrettanto corretta della nostra. La comunicazione, infatti, è come lo scambio di una palla: ciò che comunichiamo dice all’altro se siamo accoglienti o se rifiutiamo non solo quanto ci viene detto, ma l’intera persona. Un passaggio di palla morbido indica la nostra intenzione a giocare insieme, una schiacciata violenta l’esatto contrario. Essere accoglienti verso un punto di vista diverso dal nostro non mette a repentaglio la nostra vita, ma, se a prima vista ci fa paura, possiamo considerarla come un’esplorazione in un mondo diverso dal nostro. Magari troveremo un tesoro inaspettato! La comunicazione si divide solitamente in tre tipi: verbale, cioè il contenuto del nostro messaggio, le parole che nascono dal nostro pensiero; paraverbale, cioè il «come» diciamo le parole, ovvero il nostro tono di voce e l’intonazione che ci mettiamo; non verbale, tutto ciò che non riguarda le parole o come le diciamo. Le ultime due sono costituite da ciò che non riguarda le parole e neppure da come le pronunciamo. Restano quindi le nostre espressioni, la posizione del corpo, il modo di vestire, il contatto visivo con la persona a cui stiamo parlando. Per riuscire a fare in modo che il nostro messaggio sia semplice e chiaro, dobbiamo accordare questi tre aspetti. Per esempio, è più difficile ottenere l’attenzione di qualcuno se parliamo a bassa voce, teniamo lo sguardo basso e facciamo molti giri di parole. Mentre è facile tenere l’attenzione se guardiamo negli occhi una persona, scandiamo bene le parole e magari gesticoliamo per spiegarci meglio. Allo stesso modo, qualcuno odia essere toccato, altri non amano la vicinanza fisica o si imbarazzano ad essere guardati negli occhi. Quindi, anche se è vero che in media una persona che parla con una postura aperta e lo sguardo sull’interlocutore viene giudicata più espansiva di una persona che tiene le braccia incrociate o che si sdraia su una sedia, non sempre queste caratteristiche sono apprezzate da tutti e non è detto che ti garantiscano sempre un risultato comunicativo ottimo al 100%.Nell’amicizia, come nella buona comunicazione, bisogna sempre ascoltare le esigenze anche dell’altra persona e non dare per scontato che quello che vale per noi valga per tutti.
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Search-ME - Erickson 2 Genitori e figli
Gianluca Daffi, esperto sul tema delle difficoltà di attenzione e pianificazione in età scolare, spiega alcune difficoltà che possono celarsi dietro ai comportamenti “non collaborativi” dei bambini.
Una delle frasi che i genitori di bambini con difficoltà nell’autocontrollo tendono a ripetere più spesso è: «Ma quante volte te lo devo dire?». La difficoltà di attenzione e l’impulsività sono spesso associate alla tendenza a ignorare le richieste provenienti dall’esterno e a perseverare in maniera ostinata in quello che si sta facendo. Questo comportamento non è apprezzato dagli adulti e tende a essere etichettato come intenzionalmente irrispettoso. Eppure chi vive quotidianamente a stretto contatto con questi bimbi sa bene che, nella maggior parte dei casi, questa mancanza di attenzione per le sollecitazioni dei genitori non parte dal desiderio di provocarli. Il comportamento dei bambini con difficoltà di attenzione Quello che i genitori di un bambino con difficoltà di attenzione osservano nel loro figlio non è una mancanza di abilità generalizzata nel prestare attenzione, bensì un’incapacità di controllare in modo efficace l’attenzione e di focalizzarla dove il compito lo richiede. Questi bambini possono apparire impegnatissimi in attività che catturano la loro motivazione ma, ahimè, incapaci di ri-orientare l’attenzione stessa per spostarla su una nuova attività se le circostanze lo richiedono. Ecco in che cosa consiste il loro «problema». Se stanno giocando con i dinosauri e i dinosauri tengono in ostaggio la loro attenzione, potrebbero non avere la capacità di spostarla e dirigerla verso le vostre richieste. Non si stanno rifiutando di rispondervi, ma semplicemente sono «bloccati» su altro e potremmo quasi dire che non riescono a «sentire» le nostre richieste. Sebbene il suono delle nostre parole arrivi alle loro orecchie e ne faccia vibrare i timpani, una parte del loro cervello non reagisce, nemmeno se minacciata. Fanno parte di questa categoria i bambini che — troppo presi dal gioco in atto — non si accorgono neppure della nostra presenza e che, interrotto il gioco e obbligati a fissarci negli occhi, non sanno ripeterci nemmeno quello che abbiamo più volte ripetuto ad alta voce. Il comportamento dei bambini con difficoltà di autocontrollo Ci sono bambini che sentono benissimo e magari ci rispondono con frasi del tipo: «Non ora… poi lo faccio… sì, ma dopo». Se hanno difficoltà di autocontrollo, magari in più di un contesto (casa, scuola, centro sportivo, ecc.), è importante che i genitori considerino che fragilità comportamentali di questo tipo spesso si manifestano in associazione a difficoltà di organizzazione e pianificazione, cosa che potrebbe rendere davvero complesso per la maggior parte di loro gestire più richieste contemporaneamente. Come mantenere attive nella memoria le informazioni relative a quello che stanno facendo e allo stesso tempo prestare attenzione a ciò che l’adulto chiede di fare? È un problema che sollecita la memoria di lavoro? Certamente sì, ma non solo. Forse le priorità dei nostri figli non combaciano con le nostre e questo, associato alla loro iperattività e alla loro tendenza a focalizzarsi prevalentemente sulla situazione presente, fa sì che l’adulto si trovi di fronte a continue attese, spesso confuse con una spiacevole mancanza di collaborazione. Il comportamento dei bambini con carenza di motivazione e difficoltà di organizzazione Ci sono bambini che ascoltano, iniziano a rispondere alle nostre richieste ma poi, a un certo punto, sembrano perdere la focalizzazione sulle nostre consegne: si interrompono e iniziano a fare altro, come se il primo compito, quello che avevamo prospettato, nella loro mente non esistesse più. Che cosa fa sì che archivino le nostre richieste ben prima di portarle a termine? Anche in questo caso la risposta non può essere solo la ridotta capacità di attenzione. Probabilmente c’è qualcosa in più che dovremmo analizzare sia a livello della motivazione ad agire, sia rispetto alle competenze legate alla pianificazione e all’organizzazione delle varie attività quotidiane in cui siamo impegnati. Il comportamento dei bambini oppositivi Infine troviamo i bambini con tratti oppositivi, per i quali ogni richiesta proveniente dall’esterno, se non strategicamente formulata, rischia di attivare all’estremo quel meccanismo che Jack Brehm chiama della reattanza psicologica, cioè una tendenza a ribellarsi a qualsiasi cosa limiti la propria libertà. In casi come questi potremmo quasi dire che è l’adulto che, commettendo errori nelle modalità con cui avanza le proprie richieste, provoca reazioni inadeguate in un bambino già predisposto a osteggiarlo e che, probabilmente, ancora non possiede quelle strategie che gli consentirebbero di assecondare la richiesta di collaborazione formulata dall’adulto. Anche tale incapacità andrebbe però ricondotta a una modalità di funzionamento a cui il bambino fatica a sottrarsi e quindi spetta a noi allearci nella ricerca di modalità alternative, piuttosto che attivare risposte polemiche e poco efficaci.
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Search-ME - Erickson 3 Psicologia
I ritirati sociali, pur avendone l’opportunità, non escono di casa. Che cos’è il ritiro sociale e come si manifesta in bambini e ragazzi
Siamo all’inizio di maggio, il sole e la natura inseguono la primavera, stagione ideale per gite ed escursioni, e noi? Le indicazioni governative ci parlano di fase 2 dell’emergenza Coronavirus, una graduale ripresa delle attività, con prudenza riprenderemo a uscire di casa. Alcuni, finalmente, si scuotono dal torpore dell’isolamento sociale, e, tra mille incertezze, riprendono a considerare il ritorno alla vita sociale e lavorativa. L’essere umano, in generale, non ama essere costretto a vivere in isolamento sociale, è spontaneamente motivato a dirigersi verso gli altri, sia per riprendere le sue abitudini ma soprattutto perchè è animale sociale come ci ricorda il filosofo greco Aristotele (IV sec A.C.) nella “Politica”. Se ciò è consueto per molti, abbiamo chi fa eccezione. Esistono, infatti, persone che pur avendone l’opportunità non escono di casa: sono i ritirati sociali. Una complessa condizione con implicazioni biologiche, psicologiche e sociali studiata da decenni in psicologia evolutiva. Infatti, ci sono bambini che prediligono astenersi dal contatto sociale. Tre possibili profili di ritiro sociale nei bambini Le ricerche ci consegnano almeno tre profili possibili di ritiro sociale nell’infanzia: “Vorrei ma non posso”: ci riferiamo a quei bambini con motivazione sociale che reagiscono inibendosi al contatto con gli altri, oppure, entrano in ansia all’idea di incontrare gli altri. Per anni abbiamo parlato di fobia scolare per definire quei bambini che all’entrare in classe (pensiamo alla materna) iniziano a piangere e chiedere alla maestra di tornare a casa dalla mamma. Esperienza abbastanza diffusa ma che distingue chi, nel tempo, nonostante gli sforzi congiunti di genitori e insegnanti mantiene questo atteggiamento. La timidezza è l’aspetto temperamentale che accompagna queste situazioni, molte delle quali fortunatamente, si risolvono abbastanza presto. “Vorrei ma mi sento inadeguato”: ci riferiamo a bambini con minore motivazione sociale e che al contatto con gli altri si inibiscono, perdendo presto la motivazione all’incontro. Sono più problematici nell’inserimento scolastico e richiedono un adeguato sostegno da parte delle famiglie e degli insegnanti. L’evitamento è l’aspetto comportamentale che li caratterizza, motivo per cui spesso si rifugiano nel gioco solitario, non riuscendo proprio a inserirsi nelle attività di gruppo. La reazione degli altri bambini è spesso di giudizio e di scherno, cosicché questi ragazzi presto imparano il valore semantico della parola diverso, e tali si sentiranno per tutta la vita, attribuendosi così la propria inadeguatezza a stare con gli altri. “Sono solo e... punto”: ci riferiamo a bambini solitari con nessuna motivazione sociale e che si astengono dal contatto con gli altri. Prediligono il gioco solitario, pur seguendo le attività scolastiche proposte e prediligono eseguirle minimizzando i contatti con gli altri. L’anedonia è l’aspetto caratteristico: non provare interesse particolare nel partecipare alla quotidianità e ai rituali sociali. Se queste, ci dicono gli studiosi, sono le condizioni di partenza, quali saranno le traiettorie di sviluppo per questi bambini? Gli studi ci parlano per il primo gruppo di una possibile evoluzione verso quadri clinici di ansia sociale, per il secondo gruppo di quadri clinici di depressione, per il terzo gruppo rimane la curiosità di vedere l’evoluzione di individui asociali non tutti sofferenti di quadri clinici. Ma il clinico spesso perde queste importanti tracce evolutive e si affida a quadri clinici già consolidati ma successivi Il ritiro sociale negli adolescenti Prima di questo, e recentemente, ci sono evidenze di forme di ritiro sociale nell’adolescente. Il termine, ormai di casa nei social, è Hikikomori, dal giapponese “hiko” ovvero tirare, e “komoru” ovvero ritirarsi, che descrive individui, spesso giovani, che hanno scelto di isolarsi dalla società, per motivi personali e/o ambientali. Se l’isolarsi, magari per periodi brevi,corrisponde a forme di esperienza che l'adolescente fa rispetto al mondo degli adulti e delle loro consuetudini (anche educative), in questi casi, ci dicono i ricercatori, si va oltre i 6 mesi: le consuetudini e le attività sociali si perdono, si rimane a casa, ci si confina attivamente nella propria stanza e si rimane in contatto con il resto del mondo tramite il PC, Tablet, Smartphone collegato alla rete. Lo studio di queste situazioni, ormai presenti in tutti i Paesi, da parte dei ricercatori e dei clinici, fa sì che i terapeuti stanno ricevendo maggiori richieste di familiari per aiutare i loro figli ad uscire di casa, “possono ma non vogliono” è la frase ricorrente in questi casi. Quando dobbiamo pensare al ritiro sociale come manifestazione di un disturbo psichico? Esistono quadri morbosi dove questo è un aspetto importante e parte della gravità della patologia: psicosi e disturbi dello spettro autistico. Nel primo caso, ci riferiamo, a condizioni in cui la manifestazione dell’esordio psicotico è legata a forme di distacco, anedonia, apatia, piuttosto che a idee deliranti e allucinazioni. La perdita di interesse sociale è spesso una delle manifestazioni iniziali di questi quadri clinici e solo il riconoscimento di questi, insieme ad alcuni sintomi di deficit cognitivi, possono indirizzare alla diagnosi di psicosi. Nel caso dei disturbi dello spettro autistico, le forme tipiche di autismo (perdita del contatto oculare, della comunicazione e comprensione sociale) sono, in alcuni individui, associate a manifestazioni di inibizione nel rapporto sociale, e questo può avvenire sia nell’infanzia sia nella giovane età adulta. Altre manifestazioni del ritiro sociale le possiamo ritrovare in alcuni quadri clinici di depressione come manifestazione connessa sia alla perdita di uno status sociale e di un legame importante a cui non si riesce a reagire, sia alla perdita brusca di interessi perseguiti prima dell’evento morboso. La nostra esperienza clinica ci ricorda anche le forme di ansia sociale, di cui si parlava all’inizio, per alcune situazioni d’esordio in età adulta. Infine, ultimi nella descrizione ma non ultimi per importanza, i quadri clinici di disturbi di personalità. La personalità evitante, così vicina alle manifestazioni del ritiro sociale, ci conduce a individui con costante percezione soggettiva di estraneità nelle relazioni e di non appartenenza sociale: sono coloro che percepiscono sé stessi negativamente (“diverso, inadeguato”) e degli altri temono il giudizio, il rifiuto e l’esclusione dal gruppo. Il distacco sociale è la regola che non gli impedisce di provare una gamma di emozioni (“paura, imbarazzo,rabbia, tristezza”) a conferma di doversi rassegnare a vivere una vita grama. La condizione umana, inoltre, li rende negativi al confronto con gli altri per la minore participazione sociale ma, sopratutto, l’impossibilità di raggiungere, con soddisfazione, gli obiettivi comuni di vita nell’ambito sentimentale, lavorativo, amicale. Il riconoscimento e l’opportuna valutazione del ritiro sociale nei diversi quadri clinici descritti orientano il clinico nell’approntare specifici interventi terapeutici e di gestione migliore del problema: uscire di casa a questo punto sarà possibile.
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Search-ME - Erickson 4 Psicologia
Alcuni suggerimenti pratici per promuovere la resilienza nei bambini e nei ragazzi
Mattia da qualche settimana appare disinteressato, demotivato, non vuole partecipare alle video lezioni, rifiuta il cibo, ha spesso esplosioni di rabbia, lamenta dolori, mal di pancia… mi raccontavano Francesca e Roberto, nel corso della nostra terapia on line, parlandomi di loro figlio. Noi siamo stanchi, lo smartworking ci sta distruggendo, e mantenere la calma non è certo facile, e non possiamo fare nulla per cambiare la situazione, siamo preoccupati per Mattia . Essere genitori è uno dei compiti più ardui e impegnativi. Ed è anche uno dei più importanti perché il modo in cui viene svolto influenza in grande misura l’anima e la coscienza delle future generazioni e non c’è un modo giusto, di essere genitori “si impara mentre lo si svolge“. Oggi, più che mai, in questa fase di emergenza sanitaria, con le scuole chiuse, le attività extrascolastiche sospese, una quotidianità a volte pressante e a una difficoltà a ritagliare spazi individuali, può emergere, in famiglia, un sovraccarico emotivo con il presentarsi di un escalation di conflitti tra genitore-figlio e nella stessa coppia genitoriale. Negli ultimi vent’anni, tantissimi studi, hanno evidenziato, come la presenza di un caregiver, coerente e protettivo - specialmente quando si è in situazione di stress è il fattore che fa la differenza nello sviluppo sano di un bambino" in quanto promuove lo sviluppo di resilienza, la capacità di riuscire ad adattarsi alle avversità. Cosa fare per coltivare la resilienza? Ti propongo alcuni suggerimenti pratici che possono aiutarti a coltivare la Resilienza nei tuoi figli : Crea un ambiente Sano Organizza la giornata con routine fisse , definisci gli spazi (cosa fare dove) e condividi poche regole chiare, sono accorgimenti fondamentali per ridurre il caos e la disorganizzazione che situazioni di stress determinano. Connettiti con i tuoi figli “Connettiti” inteso come esserci nella relazione con i propri figli. Vuol dire lasciare cellulari, e qualsiasi altra attività si sta facendo e dedicarsi completamente a un ascolto attento ed empatico (lo vedo che provi rabbia, ti capsico). Questo permette loro di sentirsi accolti, riconosciuti, potenzia l’autostima e la fiducia in sé. Mostra abilità di autocontrollo La capacità di regolare le emozioni e il comportamento è essenziale per raggiungere successi formativi, lavorativi e per sviluppare e mantenere buone relazioni interpersonali. È fondamentale che il genitore faccia da modeling nell’insegnare al proprio figlio ad autocontrollarsi; esplicitare cosa si fa per controllare le proprie emozioni e i propri comportamenti; mostrare come rispondere efficacemente alla rabbia, fermandosi ad esempio e riconoscendo l’emozione; ingaggiare i bambini in giochi e attività che implicano abilità di autocontrollo sono ottimi modi per sviluppare il self-control. Promuovi il reciproco aiuto I bambini hanno spesso l'idea che è coraggioso chi sa fare da se. È invece molto importante valorizzare “chi chiede aiuto”. Bisogna rimandare loro che essere coraggiosi è anche saper chiedere aiuto quando si ha una necessità, quando ci si sente tristi, quando si ha paura di non farcela, quando si ha bisogno di aiuto per completare un attività. Questo i bambini lo capiranno se i genitori per primi mostrano di saper chiedere aiuto quando hanno necessità. Coinvolgili nella risoluzioni di problemi Spesso il genitore è tentato a offirire soluzioni quando i figli presentano problemi, è invece importante porgli delle domande “come pensi si possa fare? ti viene in mente qualche altra soluzione? pensiamoci” . È necessario stimolare il bambino a produrre soluzioni e a valutare i pro e i contro di ognuno. Coinvolgere i tuoi figli nella soluzioni di problemi potenzia la capacità di pensiero critico, le capacità di pianificazione e rafforza la loro abilità di problem solving. Promuovi lo sviluppo di competenze La competenza descrive la sensazione di sapere che è possibile gestire una situazione in modo efficace. Aiuta i tuoi figli a concentrarsi sui punti di forza individuali; autorizzali a prendere decisioni. Offri loro l’occasione di aiutare gli altri Dall’apparecchiare la tavola, all’aiutare la nonna, a confortare il fratellino che si e fatto male, ad aiutare un compagno a completare dei compiti: insegnare a bambini e ragazzi a prendersi cura e ad aiutare gli altri permette lo sviluppo di competenze prosociali, promuove lo autostima e lo sviluppo dell'intelligenza emotiva. Incoraggia pratiche di Mindfulness La mindfulness è una pratica di consapevolezza, caratterizzata dal focalizzarsi sul momento presente. Chiedere ai bambini, ad esempio, di concentrarsi su ciò che possono vedere, sentire, annusare, toccare e persino gustare in quel momento, imparare a fare spazio alle emozioni, anche quelle percepite come spiacevoli, imparare a connettersi con ciò che sta accadendo nel qui e nell’ora piuttosto che pensare al futuro, è un ottimo modo per ridurre lo stress. Bambini e ragazzi hanno straordinarie capacità di rispondere a situazione di difficoltà e ce lo stanno dimostrando in questa Pandemia. È però fondamentale per salvaguardare il loro benessere, farli sentire al sicuro, validare le loro emozioni, mostrare un atteggiamento ottimistico, mantenere routine sane, gestire il loro comportamento con una disciplina positiva, controllare la propria reattività emotiva, per evitare che normali discussioni diventino lotte di potere, o preoccupazioni diventino catastrofiche previsioni.
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Search-ME - Erickson 5 Psicologia
Anna Maria Taroni, arteterapeuta e designer, risponde alla suggestione “Che tipo di insegnamento hai tratto dalla pandemia?”
La pandemia come esperienza traumatica, inaspettata, non prevedibile. Una quotidianità improvvisamente scossa, rovesciata, capovolta. Un’enorme occasione per ricostruire in modo differente ciò che non corrispondeva più alla nostra persona. Grazie anche al lavoro come arteterapeuta, ho potuto raccogliere domande provenienti da tante persone che giravano attorno ad un nodo altrettanto traumatico: quello di incontrar-si. Incontrar-si, nel senso profondo di dire sì a se stessi, incontrandosi, guardandosi, conoscendosi, accarezzando le proprie paure, angosce, fragilità. Con le spalle al muro, immersi in un silenzio assordante, in un tempo sconosciuto e senza certezza alcuna, chiusi fra quattro mura, senza scuse, con gli impegni azzerati, le agende improvvisamente vuote, con le sue pagine spaventosamente bianche, impossibilitati a trovare una via di evasione, ci siamo dovuti guardare allo specchio, senza possibilità di rifuggire. Un’occasione d’oro per rimettere in fila le priorità della vita, prendersi cura di sé, coltivare il proprio giardino interiore, conoscere le sue sfumature, odori e sapori. Giardino che per crescere richiede potature, innesti e semine nuove. Non c’era più la scusa del “non ho tempo”, “devo fare”. Per la prima volta ci siamo trovati ad avere tempo. Siamo stati chiamati a potare, a sporcarci le mani arando la terra, per prepararla al nuovo che verrà. Chi ha avuto il coraggio di sporcarsi le mani, inizia a vedere le nuove piantine che ora crescono. Piante simbolo di progettualità e futuro. Coltivando questo giardino interiore, c’è stata la straordinaria scoperta che non esiste solo un fuori, ma ciò che ci rende preziosi è il nostro dentro, che va conosciuto, attraversato, abitato e non rifuggito.  Abbiamo imparato a stare, ad attendere, ad abitare un tempo dilatato e ad attraversare le grandi domande, a farci domande, abbiamo ritrovato un dialogo interiore. Abbiamo conosciuto ancora meglio chi abita sotto al nostro stesso tetto, abbiamo avuto la possibilità di fare un pezzo di cammino a distanze ravvicinate o in alcuni casi a enormi distanze, alimentando il desiderio dell’incontro. Finalmente le risposte giuste non erano su internet, perché non c’era una risposta giusta e altre sbagliate, ma c'era una ricerca. Improvvisamente ci si è riscoperti soggetti, dove gli oggetti non riuscivano più a tacitare le angosce: l’unico modo era quello di guardarsi e ascoltarsi. Con le spalle al muro, inchiodati nella nostra posizione, abbiamo iniziato a viaggiare fra le nostre terre inesplorate, conoscendoci e anche scoprendoci. La pandemia ci ha offerto la grande possibilità di riprendere in mano la nostra storia. C’è chi questa sfida l’ha accetta, c’è chi l’ha rifuggita perché potare è una scelta, arare la terra richiede cambiamento di prospettiva, piantare un albero impone una visione e progettualità verso il futuro. Tutte azioni che chiedono di uscire dal virtuale per tornare finalmente connessi con la realtà circostante, quella concreta.
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Metodo Montessori e anziani fragili Self help
Una delle più importanti scrittrici britanniche per l’adolescenza dà qualche suggerimento a ragazze e ragazzi per imparare ad accettarsi e stare bene con se stessi
Che tu sia introverso o estroverso, accetta e dai valore alla tua personalità. Ciascuna caratteristica ha dei vantaggi, e nessuna delle due è migliore dell’altra. Ricorda che quasi nessuno è completamente introverso o estroverso, ma è una combinazione dei due opposti. Ecco alcuni vantaggi possibili: Entrambi possono essere amici fantastici: gli introversi sanno ascoltare e sono attenti ai bisogni degli altri; gli estroversi possono migliorare l’umore di chi li circonda e portare un po’ di allegria nel gruppo. Entrambi possono essere bravissimi a parlare in pubblico: gli introversi soppeseranno con cura le parole da dire e saranno ricettivi alle reazioni del pubblico; gli estroversi si sentiranno meno a disagio e potranno esprimere nel discorso la loro energia naturale, riuscendo facilmente a fare ridere il pubblico. Entrambi possono essere ottimi leader: gli introversi possono fare sentire i membri del gruppo ascoltati e rispettati; per gli estroversi può essere più facile fare accettare idee o decisioni problematiche. Entrambi possono essere creativi: gli introversi tendono a trovare le idee migliori quando sono da soli, mentre gli estroversi riescono meglio in gruppo. Se sei tendenzialmente introverso, pensa a dei modi per ritrovare una certa calma e sentirti ritemprato e pronto a lavorare. È importante non scappare via delle interazioni sociali, ma comunque avrai bisogno di momenti di tranquillità. Chiedi il permesso di usare la biblioteca della scuola, che in genere può essere un luogo adatto in cui rifugiarsi e fare una pausa. Tutte le scuole dovrebbero fornire un luogo e dare il permesso per concedersi un momento di calma, dove non vengano richieste interazioni sociali se non le si desidera. Che tu sia più estroverso o introverso, fai chiarezza sulle tue necessità. Se vuoi del tempo per te durante l’intervallo o l’ora di pranzo, o nei fine settimana, spiega ai tuoi amici che non c’è nulla che non va, ma vuoi soltanto un momento per ricaricare le energie o riflettere per conto tuo. Assicurati che capiscano davvero che va tutto bene, così non verranno a disturbarti. Quando rientri a casa da scuola, se vuoi stare da solo per un po’, dillo. Allo stesso modo, se sei piuttosto estroverso e hai disperatamente voglia di contatti sociali, cerca delle persone a cui piaccia stare con altri, organizza spontaneamente una festicciola, un picnic o una serata al cinema durante il weekend, iscriviti a un corso di teatro o altre attività di gruppo. Di’ tranquillamente alle persone che tu hai bisogno di tante attività sociali, ma ti rendi conto che non è così per tutti. Condividi con i tuoi amici queste informazioni sulla personalità introversa ed estroversa. Molti di loro saranno contenti di scoprire qualcosa di più su loro stessi. E potreste divertirvi insieme a fare un test online per «misurare» il vostro livello di introversione/estroversione e iniziare ad apprezzare le caratteristiche degli altri. Sii coraggioso e mettiti alla prova in qualcosa che trovi difficile. Gli estroversi dovranno imparare a stare da soli ogni tanto, e gli introversi dovranno imparare a socializzare e parlare o esibirsi con sicurezza davanti ad altre persone. Sono capacità di cui abbiamo bisogno nella vita, e ci fanno stare bene. Quindi, non scappare. Se hai bisogno di aiuto per fare qualcosa, chiedilo. In genere, per abituarsi a fare qualsiasi cosa, è più facile procedere per piccoli passi e familiarizzare gradualmente con le difficoltà.
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