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I mini gialli dei dettati 2
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Search-ME - Erickson 1 Genitori e figli
Un momento importante nella relazione tra genitori e figli che può diventare occasione di crescita
Capiterà a tutti i genitori di chiedersi “quando?” e “come?” svelare ai bambini la verità su Babbo Natale. Inutile dire che se esiste la perfetta ricetta dei biscottoni gingerman da mettere sull’albero di Natale non esiste un’altrettanta ricetta per svelare il segreto più grande ai nostri bambini, sono troppe le variabili in gioco. Ma forse ancora una volta, coloro i quali si sono dedicati allo studio della psicologia dello sviluppo, ci possono dare degli spunti di riflessione da integrare con valori e modalità che sono diverse in ogni famiglia. Sembra chiaro, dalle ricerche fatte nell’ambito, che la maggior parte dei bambini scopre gradualmente e da solo la verità su Babbo Natale (circa il 54%). I bambini non sembranoriportare particolari sentimenti negativi dopo la scoperta e sembra che siano propensi a nutrire sentimenti di protezione nei confronti dei bambini che non sanno diventando quindi complici degli adulti nel mantenere il segreto. Dalle ricerche emerge che sono invece i genitori a riportare forti sentimenti negativi di tristezza e malinconia quando annunciano la realtà ai loro bambini. L’interpretazione di questo dato è strettamente di natura psicologica, per i genitori questo evento sembra infatti segnare la fine di un’epoca, la fine della fanciullezza e l’inizio del cammino che li condurrà ad affrontare assieme l’adolescenza prima, l’età adulta poi e quindi la trasformazione della famiglia e del ruolo genitoriale. La dottoressa Nadia Bruschweiler-Stern pediatra e psichiatra suggerisce di vivere il momento della scoperta come un’ennesima fase di confronto genitori-figli, in cui si rafforzano e si costruiscono legami e si condividono valori. La dottoressa consiglia di non negare la realtà quando i bambini pongono domande schiette e precise ma suggerisce di coinvolgerli nel ragionamento, chiedendo loro cosa pensano, quali sono gli indizi che hanno colto e che idea si sono fatti in merito. In questo modo il genitore può rendersi conto se si tratta solo piccoli dubbi e quindi sia magari il caso di posticipare la scoperta o se invece i ragionamenti siano davvero fondati e svelare il segreto risulti a quel punto la scelta più onesta che il bambino si aspetta.  Dire al bambino la verità, con delicatezza, coinvolgimento e intimità può rappresentare un momento significativo per la famiglia, un’opportunità per rafforzare sentimenti di fiducia reciproca. I genitori possono scegliere di accompagnare i propri bambini con il dialogo a vedere attraverso questa storia impossibile, scoprendo i valori che questi personaggi portano ogni anno nelle loro vite. Quell’uomo barbuto e cicciottello, quella donna vecchietta malandata rappresentano valori concreti come altruismo, sorpresa, complicità, importanza per le piccole cose e tempo per l’altro; valori che ci conducono oltre il consumismo che ci affanna permettendoci di trasformare il luccichio della magia in piccole azioni concrete. Con questa visione il Natale si arricchisce di quel senso di direzione che vogliamo poter dare alla nostra vita e alla nostra famiglia, nonostante la presenza di ostacoli che possono bloccarci.  Il benessere psicologico, secondo Winnicott, è legato alla capacità dell’individuo di vivere nel campo intermedio tra sogno e realtà, questo significa crescere in modo creativo e il mese di dicembre po' essere il pretesto per avvicinare anche chi sa al mondo dei sogni.
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Metodo Montessori e anziani fragili Psicologia
L’immaginazione è uno strumento estremamente efficace in terapia poiché permette di elaborare le esperienze difficili passate, le possibili esperienze future e le esperienze riparative.
Di solito i ricordi si presentano sotto forma di immagini, come se avessimo una sorta di film in testa o come se potessimo vedere un fotogramma con l’occhio della nostra mente. Talvolta è come se le persone si mettessero a camminare avanti e indietro nella rappresentazione mentale del luogo in cui è avvenuto un determinato evento, al fine di trovare una risposta.  L’imagery può essere di grande aiuto per ricordare gli eventi passati e può aiutarci ad anticipare le situazioni future. Attraverso l’immaginazione possiamo mettere in scena degli eventi futuri affinché il paziente si eserciti nel compiere una determinata azione. Nel lavoro con i bambini è molto importante lavorare con le immagini interne ed esterne. Quando i bambini non sono ancora in grado di scrivere, leggere o ascoltare attentamente per lungo tempo, allora è utile poter fare uso di spunti e supporti visivi. Questo esercizio è proficuo anche nel lavoro con gli adolescenti in quanto i concetti terapeutici e le nuove informazioni possono essere immagazzinati metaforicamente attraverso l’immaginazione. Il cervello umano è preposto alla gestione di due terzi dei processi di elaborazione delle informazioni visive e dei movimenti oculari; pertanto, quello visivo è l’apparato sensoriale più rappresentato nel cervello. I ricordi visivi vengono memorizzati nelle stesse aree della corteccia cerebrale in cui gli stimoli che li hanno prodotti sono stati precedentemente elaborati e integrati. Immaginare un oggetto o una scena attiva le stesse aree del cervello che si attivano quando quell’immagine o quell’oggetto vengono percepiti nella realtà. Queste caratteristiche rendono l’apparato visivo uno strumento estremamente efficace al fine di elaborare le esperienze difficili passate, le possibili esperienze future e le esperienze riparative.  Quando un’immagine (positiva o dolorosa) viene richiamata alla memoria, essa attiva una serie di emozioni associate già presenti nella mente della persona. Immaginiamo per esempio di guardare delle vecchie foto delle vacanze: se queste ci ricordano un viaggio meraviglioso proveremo dei sentimenti positivi, a prescindere dalla scarsa qualità dell’immagine o dalla situazione in cui ci troviamo mentre le osserviamo. Tuttavia è vero anche il contrario: un’immagine colorata ad alta definizione di un luogo bellissimo può causare sensazioni altamente avversive se ci ricorda uno stimolo sgradevole o negativo. Pertanto, i ricordi visivi sono strettamente collegati alle emozioni percepite nel momento in cui essi hanno avuto origine. Questo comporta dei rischi e dei pericoli (ad esempio pensieri intrusivi o flashback nei casi di PTSD - stress post traumatico), ma anche delle opportunità di fornire esperienze emotive correttive per i traumi avvenuti nella prime fasi della vita (ad esempio situazioni che hanno prodotto sentimenti di abbandono e di inadeguatezza). Il lavoro di imagery affonda le sue radici nella tradizione cognitivo comportamentale e nel corso del tempo ha acquisito sempre maggiori prove a suo favore.  Gli esercizi di imagery consentono di modificare le emozioni intense (come trasformare la collera in rabbia appropriata). Ad oggi, non esiste alcuna evidenza diagnosi-specifica per l’uso dell’imagery con pazienti in età evolutiva nell’intervento Schema Therapy; inoltre non sappiamo esattamente quale tipo di imagery sia il più adatto per ciascuna delle fasi dello sviluppo cognitivo. Le capacità di immaginazione aumentano con l’aumentare dell’età: a partire dal secondo anno di vita il bambino è sempre più in grado di riprodurre mentalmente la realtà umana; via via che si avvicina agli anni della scuola primaria, il suo pensiero si fa meno concreto e con l’adolescenza nasce il pensiero astratto. Durante quest’ultima fase si sviluppa anche una maggiore capacità di «pensiero sul pensiero», ovvero di metacognizione. Il prerequisito per poter svolgere degli esercizi di imagery con i bambini è che il giovane paziente disponga di sufficiente stabilità emotiva da poter regolare le proprie emozioni quando queste vengono sovra-attivate.
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Metodo Montessori e anziani fragili Psicologia
La ricerca scientifica ha dimostrato in che modo i bambini reagiscono ai piccoli e ai grandi traumi manifestando sintomi di natura cognitiva, emotiva e fisica
Nel corso del tempo, il termine trauma ha assunto significati diversi a seconda del contesto d’uso e della disciplina scientifica di riferimento. Le definizioni possibili si sono, così, via via moltiplicate e comprendere oggi cosa si intenda esattamente con «trauma» resta un quesito aperto, di non semplice risoluzione. Un aiuto può esserci fornito dall’etimologia della parola, derivante dal greco «τραῦμα», ovvero «ferita». Se ci riferiamo all’area medico psicologica potremmo, quindi, considerare il trauma un evento che in maniera improvvisa e scarsamente prevedibile impatta a vari livelli con la vita delle persone determinando una ferita psicologica, interiore, più o meno profonda, che può avere effetti di maggiore o minore gravità, per periodi di tempo anche prolungati o, addirittura, per l’intera esistenza. Nel peggiore dei casi, il trauma può trasformare la stessa percezione del mondo influenzando profondamente lo stato di benessere personale, il come ci si sente con sé stessi e nella relazione con gli altri. Esistono diverse forme di esperienze potenzialmente traumatiche a cui può andare incontro una persona nel corso della propria vita.  Esistono i «piccoli traumi», ovvero quelle esperienze soggettivamente disturbanti che sono caratterizzate da una percezione di pericolo non particolarmente intensa. Si possono includere in questa categoria eventi, nel corso dell’infanzia, come la derisione o la vittimizzazione da parte dei coetanei o quelle interazioni con le figure di accudimento (genitori, insegnanti, educatori, ecc.) caratterizzate da svalutazione e ipercriticismo.  Accanto a questi si collocano quelli che potremmo definire i «grandi traumi», ovvero tutti quegli eventi che portano alla morte di persone care o che minacciano l’integrità fisica propria o delle persone più vicine. Fanno parte di questa categoria eventi di particolare drammaticità quali, ad esempio, i terremoti o altri disastri naturali, gli abusi sessuali, i maltrattamenti fisici, gli incidenti stradali, ecc. La ricerca scientifica ha dimostrato ampiamente come le persone possono reagire ai piccoli e ai grandi traumi manifestando sintomi di natura cognitiva, emotiva e fisica. Pensieri intrusivi e improvvisi caratterizzati dal ricordo o, meglio, dal rivivere con profonda partecipazione e angoscia quanto accaduto, con la conseguente difficoltà a mantenere le attività quotidiane; problemi di sonno e incubi notturni frequenti; difficoltà di concentrazione; senso di colpa per essere sopravvissuti a un evento che ha invece determinato la morte di persone care; nausea, cefalea, sudorazioni improvvise e senso di profondo malessere, sono solo alcuni esempi dei segni con cui il trauma può manifestarsi a distanza anche di molto tempo. Inoltre, soprattutto nel caso dei «grandi traumi», si può associare un profondo senso di disperazione e scarsa fiducia nella vita. Tutti questi sintomi si manifestano, al netto delle differenze dovute all’età cronologica e alla fase di sviluppo, tanto negli adulti che nei più giovani e qualsiasi esperienza in cui il bambino sperimenta oppressione, paura o dolore unito a una sensazione di impotenza, può essere considerato un trauma infantile. Va detto, a onor del vero, che non tutte le esperienze traumatiche lasciano un segno nella psiche e nelle vite delle persone.  Variabili individuali, biologiche ed esperienziali, modulano gli effetti che il trauma può determinare nello sviluppo psicologico individuale. Il trauma non ha, quindi, lo stesso effetto su persone diverse. Quindi, da un lato possiamo certamente affermare il principio per cui i bambini che sperimentano ripetute esperienze traumatiche presentano un rischio elevato di sviluppare, in età adolescenziale e nella giovane età adulta, disturbi psicopatologici come il disturbo da stress post-traumatico, disturbi d’ansia, disturbo ossessivo-compulsivo e, nei casi più gravi, psicosi o disturbi dell’umore. Allo stesso tempo dobbiamo chiederci perché non tutti i bambini esposti a esperienze traumatiche sviluppano successivamente un qualche disturbo psicopatologico.  Si cerca di rispondere a questa domanda grazie al contributo di psicologi, neuropsichiatri infantili e ricercatori impegnati da tempo nella cura di persone vittime di abusi e maltrattamenti subiti in età pediatrica. Seguendo i princìpi delle più recenti evidenze scientifiche, si possono individuare diversi ambiti di conoscenza del trauma infantile e del loro trattamento.
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Search-ME - Erickson 2 Psicologia
Il CIGI è un metodo da utilizzare in contesti residenziali psichiatrici che si è mostrato efficace nel ridurre l’intensità assistenziale e sviluppare forme di autonomia personale
Il CIGI (Combined Individual and Group Intervention) è un intervento disegnato per un uso nei contesti residenziali psichiatrici a diversa intensità assistenziale che segue le indicazioni dell’OMS sulla riabilitazione psicosociale e sull’empowerment delle persone con disturbi mentali. L’OMS definisce la riabilitazione psicosociale “un processo orientato al raggiungimento di un livello ottimale di funzionamento indipendente in persone con disturbi mentali” che aiuta una persona a “saper scegliere dove vivere, lavorare, studiare con il minimo aiuto professionale, tenuto conto del livello di partenza” e che prevede “sia un lavoro di miglioramento delle abilità personali sia cambiamenti ambientali”. Questi principi sono stati ripresi successivamente nel documento OMS sull’empowerment, nel quale viene ribadito il valore terapeutico della partecipazione dell’utente alle decisioni che riguardano la propria vita, la propria salute e la scelta degli obiettivi da raggiungere. In linea con le indicazioni dell’OMS, il CIGI promuove la partecipazione delle persone con disturbi mentali all’autogestione di una parte dell’intervento riabilitativo, combinando un lavoro con il singolo utente e un intervento di gruppo sul contesto di riferimento. Nel caso di persone che sono ospiti di strutture residenziali, il contesto di riferimento è rappresentato principalmente dagli altri ospiti con disturbi mentali e dallo staff. Le strutture per persone con disturbi mentali in Italia In Italia, in base ai dati del Sistema Informativo Salute Mentale vi sono 2.346 strutture residenziali - pubbliche o private in convenzione con i Dipartimenti di Salute Mentale - nelle quali sono ospitate in totale 32.515 persone. In queste strutture, che ospitano fino a 20 persone con disturbi mentali e bassa autonomia funzionale per una durata media di 816 giorni, possono svilupparsi sia relazioni facilitanti il percorso riabilitativo che situazioni conflittuali, di fatto stressanti sia per gli ospiti che per gli operatori. La presenza continua di personale – il 78% delle persone si trova in strutture ad alta intensità assistenziale con operatori presenti h24 – può in alcuni casi ostacolare l'acquisizione da parte degli ospiti di quelle abilità utili nella vita quotidiana e a lungo andare può rallentare il passaggio a soluzioni abitative più indipendenti e il ritorno a casa degli utenti. Inoltre, lo scetticismo degli operatori in merito alle capacità di persone con disturbi mentali di lunga durata di partecipare a programmi riabilitativi intensivi può portare le equipe a coinvolgere poco gli ospiti nella scelta di obiettivi individuali, aumentando il rischio di attività passivizzanti. Caratteristiche principali del CIGI Il CIGI parte dalla convinzione che anche persone con disturbi mentali associati ad alto livello di compromissione nelle abilità di vita indipendente possano diventare più autonome e raggiungere obiettivi personali importanti dal loro punto di vista, se messe nelle condizioni di decidere su aspetti rilevanti della propria vita ed essere parte attiva nel contesto di riferimento. L’intervento si sviluppa su due livelli da svolgersi contemporaneamente: un livello individuale, che coinvolge il singolo utente con un operatore di riferimento, e un livello di gruppo, che prevede incontri tra ospiti e operatori, riunioni di soli ospiti autogestite e riunioni organizzative/di revisione tra pari dell’equipe. Le principali componenti del CIGI derivano a loro volta da interventi di provata efficacia. La parte individuale è stata sviluppata a partire dal VADO – Valutazione di Abilità e Definizione di Obiettivi (Morosini et al., 1998), mentre la parte di gruppo si basa anche su alcune componenti dell’intervento psicoeducativo familiare (Falloon, 1993). Gli effetti dell’intervento, utilizzato in strutture residenziali e gruppi appartamento del DSM di Modena (8 strutture, N=55) per due anni sono stati molto positivi in termini di riduzione della disabilità e dell’intensità assistenziale richiesta rispetto a quanto osservato in un gruppo di controllo che riceveva un intervento riabilitativo standard (5 strutture, N=41). In particolare, rispetto all’inizio dell’intervento, il 31% delle persone in strutture CIGI vs. 0 persone in strutture di controllo dopo due anni risiedevano in strutture a più bassa intensità assistenziale o erano tornate a vivere a casa propria. Anche esperienze successive di uso nella routine – seppure non documentate in modo sistematico – confermano l’utilità dell’approccio nei contesti residenziali e semi-residenziali. Il libro sul CIGI Il manuale “CIGI - Intervento riabilitativo combinato nei contesti residenziali psichiatrici” è centrato sullo sviluppo di programmi riabilitativi empowerment-oriented in contesti residenziali ad alta e media intensità e fornisce inoltre indicazioni per un uso del CIGI in contesti abitativi a intensità assistenziale bassa o quasi assente e nei centri diurni. Una parte specifica del manuale, inoltre, è dedicata alla formazione e all’auto-formazione delle equipe all’intervento. Nel manuale inoltre sono riportati tutti gli strumenti necessari per realizzare l’intervento, liberamente scaricabili dal sito della Erickson utilizzando un codice incluso nel manuale. Completa il volume un’Appendice con esempi d’uso degli strumenti e testimonianze di operatori e utenti. L’intervento CIGI può risultare utile per ripensare gli interventi e le condizioni abitative da garantire alle persone con disturbi mentali, soprattutto a quelle con più bassa autonomia funzionale, e per facilitare la transizione a forme di residenzialità più leggera o del tutto autonoma.
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Search-ME - Erickson 3 Lavoro sociale
Il punto di vista di Lella Palladino, presidente di D.i.Re, sulla nuova legge
A luglio 2019, il Codice Rosso, ossia il piano per la tutela delle vittime di violenza domestica e di genere promosso dal governo Conte, è diventato legge. Tra le novità principali, troviamo l’introduzione di tempi più rapidi per l’avvio dell’iter giudiziario a seguito di una denuncia, l’inasprimento delle pene per i reati sessuali, la previsione di nuovi reati come il revenge porn e lo sfregio al viso. Novità legislative positive, dunque, per le donne vittime di violenza? Secondo Lella Palladino - presidente di D.i.Re, ossia “Donne in rete contro la violenza”, che dal 1991 gestisce 115 centri antiviolenza e 55 case rifugio su tutto il territorio nazionale - in realtà no. Palladino è molto critica per il mancato coinvolgimento nel disegno di legge di tutte le realtà che lavorano in difesa delle donne vittime di violenza (dagli esperti, alle associazioni, al Csm), oltreché per il rigetto di tutti gli emendamenti delle opposizioni. Nel merito, ritiene poi insoddisfacenti molti aspetti del nuovo Codice Rosso.    In un’intervista rilasciata a Repubblica, Palladino sottolinea in particolare il mancato investimento sulla formazione di personale preparato ad ascoltare la donna nel momento della denuncia: «L'importante è che la donna sia ascoltata da chi ha strumenti per capire e purtroppo manca personale preparato in tutti i settori». Dando uno sguardo ai dati della Commissione d’inchiesta sul femminicidio, un quarto delle denunce viene archiviato, mentre il 50% circa dei processi avviati si conclude con un’assoluzione. La presidente di D.i.Re non vede positivamente la previsione dei 3 giorni dalla denuncia per l’ascolto della donna da parte di un magistrato, in quanto teme che questa misura si traduca in un boomerang per la donna, con provvedimenti presi in fretta senza concedere alla donna il tempo di mettersi in sicurezza dalla violenza e senza evitarle la continua ripetizione del racconto - un fatto che si configura come rivittimizzazione secondaria.    Palladino non mostra di apprezzare nemmeno l’aumento dei fondi per la prevenzione della violenza sulle donne, passati da 30 a 37 milioni di euro, in quanto sostiene che i fondi per i centri antiviolenza e per le case rifugio, ammesso che arrivino - poiché spesso finiscono per essere trattenuti nelle casse pubbliche - quando arrivano vengono distribuiti con criteri che si sono dimostrati molto variabili da una regione all’altra o addirittura escludenti per i centri di provata esperienza. Insomma, il lavoro delle associazioni che si occupano di tutelare e accogliere le donne in fuga dal dramma della violenza andrà avanti, ma questa legge non aiuta, o aiuta troppo poco.  AL CONVEGNO "AFFRONTARE LA VIOLENZA SULLE DONNE" Lella Palladino sarà relatrice al Convegno in programma a Trento il 17 e 18 ottobre, dove affronterà il tema del lavoro di rete per attuare un aiuto efficace verso le donne vittime di violenza. 
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Search-ME - Erickson 4 Psicologia
Deny Menghini ci racconta il master attivato dall’istituto Rete con Erickson e come si collega allo sviluppo di future professionalità
I disturbi del neurosviluppo comprendono una grande varietà di categorie diagnostiche tra cui: il disturbo di linguaggio e di comunicazione, i disturbi di apprendimento, il disturbo da deficit di attenzione e iperattività, il disturbo del comportamento esternalizzante e internalizzante, il disturbo dello spettro autistico, il disturbo ossessivo-compulsivo, il disturbo della condotta e la disabilità intellettiva. Si tratta di disturbi che fanno il loro esordio nelle prime fasi dello sviluppo di una persona e ne compromettono il funzionamento personale, sociale, scolastico o lavorativo.  Erickson, in collaborazione con l’istituto Rete di Roma, organizza anche per il 2020 un master in neuropsicologia dei disturbi del neurosviluppo, con l’obiettivo di guidare psicologi, medici, logopedisti e riabilitatori nella presa in carico di bambini con disturbo dello sviluppo, con particolare attenzione all’intervento terapeutico. A Deny Menghini, psicologa e psicoterapeuta presso l’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma e docente del Master, abbiamo chiesto di spiegarci come funziona la proposta formativa e quali sono le prospettive professionali per chi sceglie di specializzarsi in questo ambito. Dottoressa Menghini, ci può spiegare quali sono le problematiche che chi lavora con i disturbi del neurosviluppo si trova più spesso ad affrontare e quali sono, durante il Master, le principali metodologie operative consigliate per superarle? I disturbi del neurosviluppo sono un insieme di condizioni che si manifestano nelle prime fasi dello sviluppo. Sono caratterizzati da deficit che causano una compromissione del funzionamento personale, sociale, scolastico o lavorativo. Possono riguardare un solo ambito (ad esempio il linguaggio o gli apprendimenti) oppure essere compresenti, rendendo il quadro più complesso in termini diagnostici e terapeutici. Il professionista ha quindi la necessità di possedere una preparazione specifica sui singoli disturbi ma deve anche essere in grado di svolgere un approfondito ragionamento clinico per valutare le condizioni più complesse. Il master si pone quindi l’obiettivo di favorire il ragionamento clinico per un corretto inquadramento diagnostico e per la definizione dell’intervento più appropriato, utilizzando strumenti valutativi e terapeutici basati sulle linee guida nazionali e internazionali più aggiornate. Quali sono le principali competenze che verranno acquisite durante il Master e come si collegano alle prospettive professionali successive? Il Master guiderà psicologi, medici, logopedisti e terapisti nella presa in carico di bambini con disturbo del neurosviluppo, fornendo le competenze e gli strumenti necessari per inquadrare il disturbo e intervenire secondo terapie e strategie basate sull’evidenza e/o sulla prassi clinica. In particolare, il Master consentirà l’individuazione e la presa in carico di bambini con disturbo di linguaggio e di comunicazione, disturbi di apprendimento, disturbi da deficit di attenzione e iperattività, disturbi del comportamento, disturbo dello spettro autistico, disturbo ossessivo-compulsivo, disturbo della condotta, disabilità intellettiva. Questo master in cosa si caratterizza e differenzia rispetto alle tante proposte alternative esistenti? Il master fornisce una formazione specifica sui disturbi del neurosviluppo, sulla formulazione della diagnosi e sulla pianificazione del piano di trattamento, grazie a docenti di fama nazionale e internazionale che svolgono attività clinica e di ricerca, validata da numerose pubblicazioni. Rispetto ai tanti corsi esistenti, il master non si limita a proporre una serie di strumenti per la valutazione e l’intervento, che troppo spesso vengono applicati senza la visione complessiva del disturbo e un’attenta valutazione clinica del funzionamento del bambino nel contesto sociale, scolastico e familiare. Qui viene invece favorito il ragionamento clinico specifico anche attraverso esercitazioni pratiche che ripercorrono tutti i passaggi che conducono alla diagnosi e alla realizzazione del piano di trattamento. 
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