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I mini gialli dei dettati 2
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Search-ME - Erickson 1 Cultura
Il documentario sulla vita di Martina Caironi e Piergiorgio Cattani premiato agli Italian Paralympic Awards 2019
Due persone con storie diverse, ma che si trovano entrambe a confrontarsi con un evento sconvolgente, che inevitabilmente incide sul loro percorso di vita. Da una parte, un incidente in moto che porta all’amputazione di una gamba. Dall’altra, una patologia invalidante come la distrofia. Due eventi che potrebbero annientare una persona, ma ai quali i due protagonisti riescono a reagire positivamente, senza chiudersi in se stessi, anzi inventandosi o reinventandosi dei percorsi controcorrente e a trovare una propria, peculiare e felice, realizzazione.   Le due persone in questione sono Martina Caironi, atleta paralimpica con protesi alla gamba sinistra, vincitrice di numerose medaglie alle Paralimpiadi e ai mondiali paralimpici sia nei 100 metri che nel salto in lungo, e Piergiorgio Cattani, scrittore, giornalista e direttore del portale www.unimondo.org, da un po’ di tempo attivo anche in politica.   Dalle loro storie è nato un documentario: “Niente sta scritto” di Marco Zuin, già conosciuto e premiato a livello internazionale per altri lavori di regia. Il messaggio di “Niente sta scritto” è che la vita riserva sorprese, positive e negative, ma che, grazie alle persone, alle relazioni, ai desideri, ai sogni, all’impegno concreto e anche alle difficoltà impreviste, anche un’esistenza segnata da eventi sconvolgenti, come una malattia o un incidente, può dipanarsi secondo i propri desideri. Nulla è scontato, nel bene e nel male, “Niente sta scritto”, come dice Lawrence d’Arabia nell’omonimo kolossal del 1962.   Il documentario “Niente sta scritto” è stato a sua volta apprezzato ed è in attesa di essere premiato giovedì 13 giugno durante la Cerimonia degli Italian Paralympic Awards 2019. Siamo felici, come Erickson, di aver partecipato alla realizzazione di questo progetto.  
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Search-ME - Erickson 2 Autismo e disabilità
Un’esperienza vissuta a Villa Angaran a Bassano del Grappa, nel lavoro di cura di ragazzi con disabilità
Il contesto in cui sono collocabili quasi tutti i nostri «racconti» è formalmente un Centro diurno che gode dell’opportunità di fare parte di un macrocontesto come quello di Villa Angaran San Giuseppe, situato a pochi passi dal centro storico di Bassano del Grappa. Per raggiungere quest’ultimo è possibile sfruttare un meraviglioso sentiero che costeggia il fiume, immerso per un breve tratto nella natura, percorribile esclusivamente a piedi o in bicicletta. In alcune riunioni d’équipe si è molto discusso sul senso della proposta di qualche operatore di cogliere l’opportunità offerta da quell’angolo di ambiente naturale per far vivere ai nostri ragazzi la Bellezza di quel paesaggio. Il gruppo di operatori si è diviso in due «partiti»: i conservatori e i possibilisti. I primi sostenevano che il parco che circonda la Villa era più che sufficiente per dare un’ottima possibilità a tutti di potersi muovere anche in libertà in quanto privo di pericoli. I possibilisti ritenevano che fosse importante interpretare il concetto di vita attiva allargando i rassicuranti confini del contesto ben conosciuto per far vivere ai ragazzi il territorio circostante. Alla fine ha prevalso la proposta di quest’ultimi ma, e ciò è notevole, non solo con l’accordo di tutti ma anche con la disponibilità alla collaborazione nel gestire i ragazzi che rimanevano al Centro in quanto veniva alterato il rapporto ottimale fra chi restava e chi usciva (un piccolo gruppo, composto da 4 ragazzi, di cui uno in carrozzina, e 3 operatori) per cui in servizio sarebbero rimasti molti meno operatori con un numero maggiore di ragazzi. C’erano comunque da affrontare alcuni problemi non secondari: il rischio di possibili emergenze sanitarie (ad esempio crisi epilettiche) in spazi non immediatamente adiacenti al nostro Centro, la probabilità che i ragazzi potessero arrecare danni a oggetti, ferire se stessi o altre persone o ancora l’ipotesi di dover intervenire per contenere atteggiamenti inusuali attirando sguardi e giudizi di chi potrebbe non comprendere. Il progetto e i relativi rischi, oltre che fra colleghi, sono stati condivisi con i familiari che hanno ben compreso il senso dell’esperienza. È la Bellezza del rischio. Ora questo progetto è diventato di routine. Il piccolo gruppo parte il venerdì mattina, ci si veste se fa freddo e si prepara uno zaino (rosso, sempre lo stesso) contenente, oltre al necessario per le emergenze, pezzi di pane raffermo, un thermos con una bevanda e dei bicchieri. La ritualità della preparazione ha consentito agli ospiti coinvolti, dopo poche uscite, di comprendere anticipatamente cosa sarebbe successo: alla vista dello zaino rosso qualcuno si dirige verso l’armadietto per farsi mettere la giacca, o si avvicina alla porta d’uscita. Il percorso è di circa due chilometri con dei punti fissi in cui ci si ferma — li chiamiamo marcatori emotivi-affettivi — per avere dei riferimenti, un po’ per riposare, un po’ per sentire l’acqua che scorre, per osservare le piante e per incontrare animali (in genere uccelli). Fin da subito gli operatori hanno notato sguardi di interesse nei confronti delle anatre che vivono in quel tratto di fiume. È bellissimo far notare come i cambi di stagione offrano occasioni e sensazioni diverse per i colori, il rumore delle foglie sotto i piedi durante l’autunno, la luce che cambia, i profumi, l’adattare i passi ai ciotoli. Rachel e Stephen Kaplan definiscono tali elementi «fascinazione semplice». Secondo questi studiosi delle preferenze paesaggistiche «l’ambiente naturale consentirebbe di diffondere l’attenzione sullo spazio in modo rilassato e rilassante».
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Search-ME - Erickson 3 Autismo e disabilità
Le persone fragili sono quelle con maggiori difficoltà occupazionali, in particolar modo nei periodi di crisi. Com’è opportuno impostare l’accompagnamento lavorativo per loro?
Per una persona con disabilità, fragile, vulnerabile, svantaggiata, che dir si voglia, a occupabilità complessa, l’inclusione lavorativa e sociale in un ambiente ordinario di lavoro, in azienda profit, in una cooperativa, o in un ente pubblico, è un obiettivo auspicabile ma sempre più difficile da raggiungere. Tra il 70 e l’80% delle persone inoccupate/disoccupate, anche dopo ripetute azioni orientative, formative, di tirocinio e accompagnamento al lavoro non viene assunto e per chi ottiene una occupazione il più delle volte è un part-time, a tempo determinato, per periodi brevi. Il problema si aggrava in periodi di crisi, come il precedente dal 2008 ad oggi e come l’attuale, per emergenza pandemica e concomitante/successiva crisi economica e occupazionale generalizzata, che ci accompagnerà per un lungo arco temporale. In queste critiche circostanze, chi rischia di più, con una permanente estromissione dal mercato del lavoro, sono le situazioni liminali/marginali, ovvero le persone che già in periodi ordinari hanno difficoltà occupazionali per mancanza dei requisiti richiesti dalle aziende. Inoltre, con il cambiamento tecnologico, informatico, robotico dei processi produttivi progressivamente caleranno in quantità e qualità i lavori compatibili per queste persone, verranno generate nuove professioni a più elevata specializzazione, raggiungibili solo da una qualificata minoranza, con un incremento delle persone disoccupate e una maggiore competizione tra coloro che si dovranno contendere decrescenti opportunità e impieghi sempre più degradati, precari, mal retribuiti. Se aumentano i disoccupati e con lo sviluppo tecnologico progressivamente andranno a calare sia il tempo sia le possibilità di lavoro, soprattutto per chi ha una occupabilità complessa, non può essere che sia il vuoto esistenziale, anomico, di perdita di identità, di dignità, di sussistenza del «non lavoro», nella sua accezione negativa, a prevalere. Va allora rivisto e cambiato il «paradigma della centralità del lavoro», risignificando quello che adesso viene considerato «non lavoro». «Risignificare il tempo di non lavoro» per queste persone può volere dire consentire loro di avere una base economica sulla quale fare affidamento per una esistenza dignitosa, promuovendo le stesse persone a coltivare la propria crescita culturale, la propria capacitazione (anche con l’istruzione e la formazione, informale non formale-formale), stimolandole a coinvolgersi in azioni di pubblica utilità, in modo non obbligato, per soggettivo, motivato interesse e impegno socialmente riconosciuto. L’ambito nel quale può avvenire tale conversione di senso, di utilità e di rinascimento sociale, non è il «mercato» né il «profit», che hanno logiche prestazionali, di scambio economico e strumentale, indifferenti alle, quando non espulsive delle, risorse umane non efficienti e convenienti. Non è il «pubblico» che, al di là delle lodevoli «intenzioni equitarie» e di presidio del bene collettivo, non riesce ad accogliere le specificità soggettive con modalità inedite, innovative, personalizzate/individualizzate e si trova in contrazione di risorse, spesso appesantito da logiche burocratiche. Fondamentale invece potrebbe essere la collaborazione del pubblico con il terzo settore. Il terzo settore, infatti, solidale con i più svantaggiati, è l’ambito elettivo più promettente per la conversione auspicata, perché agisce secondo reciprocità, investimento fiduciario, scambio simbolico, nella produzione di beni relazionali e, in prospettiva, con possibilità di impiego retribuito delle persone meno occupabili nel profit tramite l’imprenditoria sociale della economia cosiddetta civile, rappresentata ad esempio dalle cooperative sociali di tipo B (di inserimento lavorativo).
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Search-ME - Erickson 4 Disabilità
Le letture consigliate dell’Associazione Italiana Persone Down Onlus
C’è una raccolta di testimonianze che racconta, attraverso la voce dei protagonisti, le piccole-grandi conquiste quotidiane verso l’autonomia. Ci sono le guide pratiche - nate dall’esperienza dei Percorsi di educazione all’autonomia dell’AIPD – nelle quali vengono presentati materiali, attività, esercitazioni per insegnare le abilità fondamentali per l'autonomia ai ragazzi e agli adolescenti con disabilità intellettiva. E ci sono saggi che favoriscono una riflessione più ampia. Sono i 15 libri selezionati dall’Associazione Italiana Persone Down Onlus: testi da non perdere su questo argomento scritti da importanti autori come Anna Contardi, Carlo Scataglini, Martina Fuga, Carlo Lepri, Salvatore Nocera. Libri che possono accompagnare i lettori alla scoperta di ostacoli superati e altri ancora da superare, per continuare la preziosa battaglia per contrastare i pregiudizi nei confronti delle persone con Sindrome di Down portata avanti da quarant’anni a questa parte da AIPD. Scopri i titoli consigliati: .image-carousel-container{ width:60%;} .mondo-erickson .banner-container [class^='banner-lev'] { position: relative; width: 60%; } @media (max-width:767px){ .image-carousel-container{ width:100% !important;} .mondo-erickson .banner-container [class^='banner-lev'] { position: relative; width: 100%; } }
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Metodo Montessori e anziani fragili Disabilità
Per creare una società veramente su misura di tutte e di tutti è necessario comprendere il valore della parola e usare un linguaggio consapevole
Si può dire: «Ci vediamo domani!» a una persona cieca, oppure: «Andiamo a fare due passi?» rivolgendosi a qualcuno in carrozzina. Si può, anzi si deve dire! Normalizzare significa anche parlare liberamente: modificare il linguaggio o censurarsi se si parla o di una persona con disabilità, o quando questa è comunque presente, sarebbe un «riguardo» discriminatorio. Per non incappare in questo tipo di errore è importante tenere a mente quattro semplici promemoria. #1 – La «persona» prima di tutto La disabilità, di per sé, non esiste. La disabilità nasce dall’interazione con un ambiente sfavorevole, per questo è una «caratteristica» come qualunque altra. Non dobbiamo mai evidenziare la disabilità senza anteporre la persona! Un soggetto, anche se disabile, non è rappresentato dalla sua carrozzina o, in generale, dalle sue difficoltà, ma da un nome: è una persona con emozioni e sentimenti, con un carattere fatto di pregi e difetti che non possono essere ignorati, sostituiti o annullati da una cartella clinica o una certificazione. Quindi è sbagliato dire: un disabile / un handicappato / un sordo / un cieco, ma è corretto dire: una persona con disabilità / una persona cieca o sorda. #2 – La disabilità non è una malattia La disabilità è una «condizione» momentanea durante la quale non riusciamo a fare qualcosa: è superabile con i giusti strumenti o facilitatori, come ad esempio carrozzine, ascensori, computer, servizio di assistenza domiciliare, insegnante di sostegno, contributi, sconti e sovvenzioni... Ciò non significa che si debba negare, sminuire o nascondere le patologie, ma accettare il fatto che esse debbano essere distinte dalla disabilità e trattate in modo individuale: d’altronde ci sono persone disabili che non sono malate e persone malate che non hanno una disabilità! #3 – Vietato il politicamente (s)corretto Usare il termine «diversamente» o la negazione «non» non addolcisce niente né migliora certe condizioni, bensì discrimina ulteriormente la persona interessata, girando intorno a un qualcosa che, così facendo, verrà percepito come un ostacolo da superare o che è meglio ignorare, e non come una caratteristica come qualunque altra. Anziché dire «Diversamente abile» è preferibile «Persona con disabilità», oppure anziché «non vedente», «persona con disabilità visiva». Infine ricordiamoci che le persone adulte con disabilità... sono adulte! Perciò basta con l’infantilizzazione e trattiamo chi abbiamo davanti esattamente come tratteremmo una persona sua coetanea «normodotata». #4 – I «disabili» e i «normodotati» non esistono Chi non ha una disabilità evidente non è detto che non sia una persona con disabilità: in fin dei conti ognuno di noi non sa fare qualcosa o può ritrovarsi in una condizione di svantaggio momentaneo in base al contesto sfavorevole in cui si trova. Usare il termine normale implica che tutti gli altri non lo siano, e quello di «normalità» è un concetto impossibile da definire in senso assoluto. Mettere delle semplici virgolette alla parola «Normodotati» può sembrare cosa da poco, eppure è già sufficiente per far capire che si tratta di un termine approssimativo, tecnicamente scorretto, di circostanza.
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Search-ME - Erickson 5 Disabilità
Un ragazzo con sindrome di Down racconta la sua vita e le sue avventure sportive
Marta, Francesco, Ilaria, Pierpaolo, Carolina, Nicolò, Federica, Niccolò, Cristina, Spartaco ed Elena sono le ragazze e i ragazzi con sindrome di Down protagonisti del libro “Giù per la salita” di Martina Fuga e Carlo Scataglini. Nel libro parlano delle loro esperienze a scuola, al lavoro e con gli amici, raccontano le loro passioni, le loro storie d’amore e la loro vita indipendente, dandoci un messaggio straordinario di autonomia, consapevolezza e fiducia verso il futuro. Leggendo i loro racconti ci rendiamo conto che la loro vita può essere più vicina alla nostra di quello che crediamo e che i loro bisogni non sono bisogni speciali, ma bisogni umani, così come i loro sogni.  Ecco un estratto dell’intervista realizzata dall’autrice Martina Fuga a Niccolò Vallese, uno dei ragazzi protagonisti del libro. Niccolò, che importanza ha per te lo sport? Allora, in poche parole, prima io non facevo sport. Adesso lo faccio perché adesso comincia a piacermi. Quando dici «prima non lo facevo» cosa intendi? Fino a che età? Se non mi sbaglio fino a 18 anni. Non hai mai fatto sport? No. Quindi tu non facevi tanto sport fino ai 18. Poi a 18 anni cosa è successo? Poi più avanti… ho conosciuto Alex Toselli, è lui che ha preso questo albergo. Ha preso questo albergo e da lì poi mi ha detto: proviamo a inserire Niccolò sullo sport, facendo le maratone. Mi ha proposto per questo sport, per servire, per capire… Ora vorrei che mi raccontassi della tua avventura alla maratona. La mia avventura della maratona, vabbè a parte andare sempre a New York. Per tre volte di fila…   Com’è allenarsi per una maratona? Molto dura e molto difficoltoso. Però io questa cosa adesso comincio a non pensarlo e cerco di tirare avanti e… poi è anche bello lo sport perché ti distrai. Ti distrai? Da che cosa? Ti distrai e poi ti scarica anche la tensione, mi scarico un po’ di tensione, molta tensione. E quando sei andato a New York come è andata? Raccontami di New York, hai preso un aereo insieme ad Alex e a chi? Vabbè, a parte la compagnia anche lì… insieme ad altri ragazzi. Altri ragazzi che hanno corso con te? Sì, esatto, ero con dei ragazzi Down, ero insieme con loro. Siamo andati su insieme fino a New York, eravamo un bel gruppo. Come ti sentivi prima della partenza? Prima della partenza beh, adesso ero tranquillo ma le prime volte ero talmente agitato! Senti, tu e questi ragazzi che erano con te, avete corso insieme? Sì. Oppure ognuno ha corso al suo passo? Abbiamo corso insieme poi ci siamo separati, ci siamo ritrovati poi il giorno dopo. Hai corso tutti e 42 i chilometri e i 195 metri? Sì. E ho pure migliorato il tempo quest’anno. Davvero? Tre volte di fila. Che tempo hai fatto? Allora, la prima è stata 7 ore e 37, la seconda era meno di 7 ore e 37 e la terza ancora meno, sulle 7 ore e 13 minuti. E non trovi che sia straordinaria questa cosa? Anche io ho corso una maratona ed è stata un’impresa… Sì, adesso ho cominciato a sentirmi veramente speciale. Che significato ha avuto per te fare questa esperienza? Comincio a essere molto diverso su questa cosa adesso. Sul serio. Mi sento molto diverso perché adesso mi sento proprio… che si stanno proprio realizzando i miei sogni. Ti chiedo un consiglio per correre la maratona. Allenarsi! Poi questo è quello che so io. Vabbè, bisogna prima pagare l’iscrizione e tutto quanto. Poi su a New York bisogna andare il giorno prima a ritirare, bisogna prendere il kit con la pettorina e tutto quanto con il numerino. Aspetta, ti faccio vedere le foto…
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