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I mini gialli dei dettati 2
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Metodo Montessori e anziani fragili Didattica inclusiva
Autonomia e comunicazione sono prerequisiti fondamentali per l’inclusione, oltre ad essere abilità trasversali di cui prendersi cura
La formulazione «assistenza per l’autonomia e la comunicazione» viene utilizzata per la prima volta all’art. 13, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, Legge-quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate. Il comma recita testualmente: «Nelle scuole di ogni ordine e grado, fermo restando, ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616, e successive modificazioni, l’obbligo per gli enti locali di fornire l’assistenza per l’autonomia e la comunicazione personale degli alunni con handicap fisici o sensoriali, sono garantite attività di sostegno mediante l’assegnazione di docenti specializzati». Fin dall’origine, quindi, nelle norme relative all’assistenza per gli alunni con disabilità, è possibile rilevare una confusione tra l’assistenza socio-sanitaria e l’assistenza di supporto all’inclusione, da garantire all’interno della scuola, sia essa materiale e di base sia essa specialistica e educativa.  La mancanza di chiarezza ha riguardato e riguarda anche la distinzione tra le competenze dell’insegnante di sostegno e quelle dell’assistente per l’autonomia e la comunicazione. L’assistenza per l’autonomia e la comunicazione, invocata dalla Legge 104/1992 direttamente derivandola dalle disposizioni contenute nel DPR 616/1977, ha poi subito nel tempo importanti trasformazioni a opera di norme successive che hanno attribuito ad altri diversi soggetti parti delle competenze in origine assegnate in modo esclusivo agli enti locali. L'autonomia e la comunicazione come obiettivi per tutti Nel nuovo PEI ministeriale, così come nel profilo di funzionamento (DLgs 66/2017, DLgs 96/2019, DI 182/2020) si suddivide il funzionamento globale della persona in quattro macro-aree. – Dimensione Socializzazione/Interazione/Relazione– Dimensione Comunicazione/Linguaggio– Dimensione Autonomia/ Orientamento– Dimensione Cognitiva, Neuropsicologica e dell’Apprendimento. Considerato che la dimensione iniziale di socializzazione è frutto e funzione delle abilità, capacità e competenze comunicative, appare evidente che il cuore della progettazione educativa individualizzata risiede nelle abilità legate ai domini dell’autonomia e della comunicazione. Alla base di tutto, quindi, il PEI pone come base teorica, tecnica e operativa della progettazione scolastica inclusiva, l’idea che il saper essere sia il prerequisito del sapere, in ottica di empowerment personale.Si pone qui un primo dilemma che riguarda la funzione formativa/educativa in relazione alla funzione sommativa/didattica, laddove la didattica è intesa sotto forma di valutazione, dal momento che il concetto stesso di funzionamento rimanda a una visione globale di tipo bio-psico-sociale.Laddove queste due funzioni dovrebbero rappresentare l’una il completamento dell’altra, più spesso è in atto un conflitto fra una serie di assunti impliciti, in cui ancora la didattica coincide con la trasmissione acritica e verticale dei saperi e l’educazione a un processo «fluido» e difficilmente determinabile di crescita personale e individuale.Apparentemente, il concetto di «scuola come agenzia del sapere» si viene a contrapporre al concetto di «educazione incidentale» in cui è la relazione contestuale che determina la crescita personale, strettamente intrecciata e interconnessa con il bagaglio culturale che deve essere necessariamente impartito. Si dovrebbe, invece, pensare ai domini dell’autonomia e della comunicazione sia come prerequisiti sia come abilità trasversali di cui prendersi cura. Fare in modo, ad esempio, che uno studente si prenda cura del proprio materiale, permette di organizzare meglio il lavoro dell’insegnante; contemporaneamente, acquisire questa autonomia/abilità permette di sperimentare un senso di autoefficacia e di cura di sé attraverso la cura delle proprie cose.Ecco perché, pur nella specificità di ciascuna professione, è necessario essere consapevoli che il conseguimento delle autonomie e l’implementazione della comunicazione devono essere una priorità dell’intero gruppo educativo e docente, in un’ottica di vera comunità educante, o meglio ancora di un’inclusione che sia un processo ecologico, aperto all’interscambio e alla compenetrazione di esperienze e professionalità.
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Search-ME - Erickson 1 Disabilità intellettiva
Una sfida educativa per la scuola italiana
Raggiungere l’autonomia nel loro percorso verso l’età adulta è fondamentale per bambini, bambine e adolescenti con disabilità intellettiva. Nello sviluppo di una persona l’autonomia è il prerequisito indispensabile per l’inserimento sociale e per l’accesso al lavoro. Gli alunni con disabilità frequentanti le scuole italiane nell’a.s. 2018/2019 risultano poco meno di 284.000, pari al 3,3% del numero complessivo degli alunni, prossimo a 8,6 milioni. Dai dati emerge che è portatore di disabilità psicofisica il 96,4% del numero complessivo di alunni con disabilità frequentanti le scuole statali e non statali, di ogni ordine e grado; nello specifico il 68,8% presenta una disabilità intellettiva, il 3,2% una disabilità motoria, il 24,4% è portatore di un altro tipo di disabilità, l’1,5% presenta una disabilità visiva e il 2,1% una disabilità uditiva. Questi dati evidenziano che il tema dell’autonomia dei minori con disabilità intellettiva è una sfida educativa importante per la scuola italiana. Raggiungere il più alto grado di autonomia possibile è indispensabile per un minore con disabilità intellettiva però, come ha affermato Anna Contardi, esperta di questo tema, in un’intervista a Raiscuola, “le persone con disabilità intellettiva spesso raggiungono un livello di autonomia inferiore a quello che potrebbero fare” . Contardi individua due meccanismi che ostacolano il raggiungimento dell’autonomia nelle persone con disabilità intellettiva. Il primo è che “troppo spesso nei loro confronti scatta una sorta di esplosione di incapacità”. La persona disabile viene vista incapace di fare una cosa e, invece di essere supportata su quella cosa particolare, viene ‘aiutata’ anche su altre che non hanno nessuna relazione con quello di cui aveva bisogno. Contardi, ci dice: “Provate a pensare a un bambino a scuola che non sa fare le moltiplicazioni e il compagno di scuola gli mette i libri nello zainetto. Non c’è nessuna relazione. Lo abbiamo visto totalmente incapace e ci siamo sostituiti a lui”. Contardi prosegue: “Un altro meccanismo che spesso impedisce l’autonomia è un eccesso di coccole nei confronti della persona con disabilità intellettiva, quasi che l’interlocutore si senta in difficoltà per non poter eliminare la disabilità e vada a compensare questo con più affettività". Però tutti questi meccanismi, sicuramente fatti a fin di bene, non permettono a una persona di raggiungere quell’autonomia che, come abbiamo detto prima, è indispensabile nella vita”. Le persone con disabilità intellettiva devono, quindi, fare i conti con il pregiudizio sociale che le vuole sempre dipendenti da qualcuno; la cultura familiare e sociale ha messo molte persone con disabilità in una condizione di "inabilità da tutto". Ciò mina la loro autostima, limita la possibilità per loro di fare esperienze e sperimentarsi in situazioni diverse, e quindi ostacola il loro percorso verso l’autonomia. Scardinare questi meccanismi richiede da un lato un cambiamento culturale e dall’altro percorsi educativi mirati per minori con disabilità intellettiva. Percorsi che devono essere volti all’acquisizione di competenze, ma anche e soprattutto, di una propria identità di giovani e adulti. Come spiegato da Valentina Cottone in un’intervista alla cooperativa sociale onlus Paim “Per le persone disabili, autonomia non vuol dire solo acquisire alcune competenze, ma riconoscersi adulti e sentirsi tali”. Questi temi verranno approfonditi al Convegno Internazionale di Erickson “La Qualità dell’inclusione scolastica e sociale”, che vedrà ospite Anna Contardi (Associazione Italiana Persone Down), alla Plenaria e al Workshop 7 del 12 novembre. Storie di scuola, di lavoro e di vita indipendente raccontate da persone con la sindrome di Down verranno condivise nella QTalk 4 che vedrà ospiti Carlo Scataglini e Martina Fuga. Infine, Luca Trapanese sarà ospite alla plenaria del 14 novembre. Bibliografia Gestione Patrimonio Informativo e statistica, I principali dati relativi agli alunni con disabilità anno scolastico 2018/2019. Ministero dell’Istruzione, Novembre 2020 Emilia Napolitano, L'autonomia come processo di crescita, Quaderno SAAD n.1
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Search-ME - Erickson 2 Disabilità
Storia di Gio, bambino nato con un cromosoma in più, raccontata dal fratello Jack, al secolo Giacomo Mazzariol
«Gio è uno che balla in mezzo alla piazza, da solo, al ritmo della musica di un artista di strada.  Gio è ...  genuinità e genialità al tempo stesso. Gio è uno che quando si trova in un corridoio corre perché nei “corridoi” ... si corre. Gio è uno che ogni mattina si sveglia e ti chiede se fuori c’è il sole e ogni mattina porta un fiore alle sorelle. E se è inverno e non lo trova, porta loro foglie secche. E quando mi chiedono cos’ha Gio, io rispondo sempre “Mio fratello rincorre i dinosauri”». Gio è un bambino speciale, molto spontaneo e autentico, che fa divertire chi gli è accanto con la sua carica di simpatia e vitalità. Anche perché Gio non si cura molto delle convenzioni  sociali: lui semplicemente è sempre e solo se stesso, in qualsiasi situazione e in qualsiasi contesto si trovi. Gio è un bambino speciale nato con un cromosoma in più.  Questa sua “specialità” però non è proprio facile da accettare, anche da parte del fratello Jack che, da piccolo, questo bambino “speciale” se l’era immaginato tutto diverso, come un supereroe, dotato di  poteri incredibili. Ecco allora la fatica di accoglierlo, di accettare che faccia parte della propria vita, di crescere insieme. Fino a quando, un bel giorno, passata l’adolescenza, Jack arriva a vedere suo fratello con occhi nuovi e a scoprire che Gio alla fine un supereroe lo è davvero e che quindi l’idea iniziale non era poi così sbagliata. Dopo il successo di “Mio fratello rincorre i dinosauri”, bestseller tradotto in più di dieci lingue, ora la storia autobiografica di Jack, al secolo Giacomo Mazzariol, diventa anche un film, che sarà distribuito nelle sale cinematografiche italiane a partire da settembre. Giacomo Mazzariol sarà relatore al convegno “La Qualità dell’inclusione scolastica e sociale” con un intervento dal titolo “Vedere e scegliere di amare. Io e mio fratello con un cromosoma in più”. Per vedere il trailer del film, clicca qui.
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Search-ME - Erickson 3 Disabilità
Utilità e applicazioni della «pratica del prestare attenzione»
Che cos’è la mindfulness? La risposta più semplice a questa domanda potrebbe essere: la pratica del prestare attenzione, sapere dov’è e poter scegliere dove dirigerla. Potremmo anche dire che la mindfulness è una forma di «meditazione di consapevolezza» ampiamente praticata da millenni, anche se negli ultimi anni abbiamo assistito a una vera esplosione dell’interesse e delle ricerche a riguardo. A chi può essere utile? La mindfulness ha molte applicazioni pratiche in cui si dimostra assai utile, compresi i seguenti ambiti: salute mentale: prevenzione delle ricadute nella depressione, ansia, disturbo di panico, stress, regolazione emotiva e promozione dell’intelligenza emotiva, miglioramento della qualità del sonno, disturbi di personalità, dipendenze; neurologico: cambiamenti strutturali e funzioni nel cervello, neurogenesi, miglioramento del funzionamento esecutivo, miglioramento della circolazione sanguigna e possibile prevenzione della demenza; clinico: gestione del dolore, controllo dei sintomi, fronteggiamento di malattie come il cancro, benefici metabolici, alterazioni ormonali e cambiamenti nella funzione e nella riparazione genetica; prestazionale: sport, studio e leadership; spirituale: pace profonda, percezione netta (insight), unità. Come si pratica? La scansione corporea è l’esercizio di consapevolezza più praticato e, in genere, il migliore per cominciare. Consiste nel prendere consapevolezza di ciascuna parte del corpo, partendo dai piedi, e lasciando che l’attenzione resti lì per un po’, percependo tutto quel che c’è da percepire. Altre forme di «meditazione di consapevolezza» includono: l’attenzione al respiro e l’ascolto consapevole. Si può praticare la meditazione di consapevolezza anche con gli altri sensi, compresi il gusto e l’olfatto. Come iniziare? Per chi si accosta alla mindfulness per la prima volta, una buona «dose iniziale» potrebbe essere un esercizio di 5 minuti per due volte al giorno. La durata dell’esercizio può essere portata a 10, poi a 15, poi a 20 fino anche a 30 minuti o più. Per la meditazione raccomandiamo la posizione da seduti, perché in verticale è più difficile addormentarsi. Si può praticare a occhi aperti, ma chiudendoli è più facile far entrare in gioco gli altri sensi, quelli che di solito trascuriamo. Spesso la gente pensa che la mindfulness sia un esercizio di rilassamento poiché, non di rado, quando la si pratica ci si rilassa. Ma in realtà è innanzitutto una pratica di allenamento dell’attenzione, e il rilassamento è più che altro un effetto collaterale. Com’è nata la mindfulness? La pratica della meditazione è stata divulgata per la prima volta in Occidente alla fine degli anni Cinquanta, quando Maharishi Mahesh Yogi introdusse in California la meditazione trascendentale. Nel decennio successivo, Herbert Benson condusse all’Università di Harvard le prime ricerche scientifiche sull’antico fenomeno della meditazione che ora faceva tendenza. Benson capì che la meditazione produce una risposta contraria a quella dello stress e introdusse l’espressione «risposta di rilassamento» nel suo famoso libro sull’argomento, The relaxation response (Benson, 1975).
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Metodo Montessori e anziani fragili Disabilità
Il gioco racchiude rilevanti possibilità abilitative e educative per i bambini con disabilità ed è dunque uno strumento importante nei percorsi di intervento precoce
Il Percorso di Apprendimento Pre-Strumentale (PAPS) è un percorso strutturato volto al potenziamento del funzionamento cognitivo e alla prevenzione degli effetti dei disturbi dell’apprendimento nei bambini in età prescolare, a partire dai 18 mesi d’età. Si colloca nell’ambito degli interventi ispirati alla Pedagogia della Mediazione e richiama alcuni aspetti generali della teoria e del metodo Feuerstein. La scelta di dare avvio a un intervento cognitivo precoce risponde a una serie di esigenze. In primo luogo, permette di dare risposte tempestive alle famiglie dei bambini con disabilità intellettiva e di trarre il massimo profitto dal picco dello sviluppo cerebrale infantile evidenziato dagli studi delle neuroscienze.  In secondo luogo, un intervento precoce consente di strutturare buone abitudini cognitive e prevenire l’instaurarsi di comportamenti cognitivamente disfunzionali, costruendo i prerequisiti all’apprendimento attraverso un approccio ludiforme. In terzo luogo, ciò permette ai bambini di affrontare la scolarizzazione già dotati degli strumenti cognitivi e concettuali necessari per un percorso proficuo e realmente inclusivo alla scuola dell’infanzia e primaria. Nel caso dei bambini con disabilità intellettiva, il PAPS fornisce un percorso abilitativo di carattere educativo che va a integrare e completare gli interventi riabilitativi.  In questo contesto, fornisce una possibile piattaforma condivisa per coordinare le figure professionali che compongono l’équipe educativo-riabilitativa, necessaria per sviluppare un autentico progetto di vita. All’interno del quadro proposto, i genitori occupano un posto centrale, attorno al quale strutturare l’alleanza tra coloro che hanno la responsabilità della cura e del benessere dei bambini. Ciò è finalizzato a raggiungere una reale condivisione delle strategie, alla base del successo del percorso educativo e funzionale all’impostazione di un intervento efficace. Come si inserisce il gioco nel Percorso di Apprendimento Pre-Strumentale? Sebbene dare un’esaustiva definizione di gioco risulti piuttosto complesso, è possibile definirlo operativamente sulla base di una serie di caratteristiche comuni. Tra queste, il gioco è un’attività libera, non vi è cioè gioco se non c’è spontaneità. Giocare, oltre a essere la principale attività dei bambini, è anche un diritto irrinunciabile e svolge un ruolo fondamentale nello sviluppo intellettivo, affettivo e motorio.  Con la mediazione dell’adulto, il gioco favorisce il graduale consolidamento di competenze cognitive e socio-emozionali indispensabili anche per il successo scolastico. La capacità di giocare compare però con difficoltà nella disabilità intellettiva, come anche in altre forme di disabilità, a causa di deficit nello sviluppo cognitivo, sociale, motorio e linguistico. Tali difficoltà interferiscono con la possibilità dei bambini di fare esperienze di gioco piacevoli, significative e con una valenza educativa, e rappresentano un grave ostacolo allo sviluppo di un repertorio adeguato di abilità ludiche. Nell’affrontare l’intervento in caso di disabilità intellettiva diventa dunque necessario riflettere su come considerare e utilizzare il gioco: se esso debba essere considerato esclusivamente come un momento libero, de-finalizzato e vissuto dai bambini senza l’interferenza dell’adulto o se possa anche essere uno strumento regolamentato e strutturato per permettere l’acquisizione di abilità cognitive e contenuti specifici. Il gioco non dovrà comunque mai essere considerato come mero strumento riabilitativo, ma dovrà mantenere la sua natura di esperienza coinvolgente e ricca, capace di accompagnare i bambini in uno sviluppo il più possibile armonico, e non costringerli a esercizi noiosi e ripetitivi. Nella prospettiva della disabilità, particolarmente significativo appare quindi il concetto di attività ludiformi: si tratta di attività che presentano molti degli elementi caratteristici del gioco, come il suo essere imprevedibile, regolato, fittizio e automotivante; non si tratta però di giochi in senso stretto, dato che presentano un fine esterno al gioco, stabilito dall’adulto, che persegue intenzionalmente un obiettivo educativo.
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Search-ME - Erickson 4 Disabilità
Le letture consigliate dell’Associazione Italiana Persone Down Onlus
C’è una raccolta di testimonianze che racconta, attraverso la voce dei protagonisti, le piccole-grandi conquiste quotidiane verso l’autonomia. Ci sono le guide pratiche - nate dall’esperienza dei Percorsi di educazione all’autonomia dell’AIPD – nelle quali vengono presentati materiali, attività, esercitazioni per insegnare le abilità fondamentali per l'autonomia ai ragazzi e agli adolescenti con disabilità intellettiva. E ci sono saggi che favoriscono una riflessione più ampia. Sono i 15 libri selezionati dall’Associazione Italiana Persone Down Onlus: testi da non perdere su questo argomento scritti da importanti autori come Anna Contardi, Carlo Scataglini, Martina Fuga, Carlo Lepri, Salvatore Nocera. Libri che possono accompagnare i lettori alla scoperta di ostacoli superati e altri ancora da superare, per continuare la preziosa battaglia per contrastare i pregiudizi nei confronti delle persone con Sindrome di Down portata avanti da quarant’anni a questa parte da AIPD. Scopri i titoli consigliati: .image-carousel-container{ width:60%;} .mondo-erickson .banner-container [class^='banner-lev'] { position: relative; width: 60%; } @media (max-width:767px){ .image-carousel-container{ width:100% !important;} .mondo-erickson .banner-container [class^='banner-lev'] { position: relative; width: 100%; } }
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