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I mini gialli dei dettati 2
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Metodo Montessori e anziani fragili Didattica
Anche a scuola è importante esercitare il senso critico per rendere bambini e bambine, ragazzi e ragazze cittadini partecipi attivamente della democrazia
Alcuni anni fa un insigne costituzionalista, già presidente della Corte costituzionale, Gustavo Zagrebelsky, segnalava con parole accorate il fatto che l’educazione civica fosse stata gradualmente emarginata. Ribadiva all’opposto che non si dà democrazia se non la si coltiva. In questo senso, la nostra società ha più che mai bisogno di scuola; ha bisogno di un luogo «salvo» - come lo definiva Giuseppe Deiana nel suo libro Insegnare l’etica pubblica - in cui tutti i giovani possano sviluppare la passione del conoscere e del vivere civile e, con ciò, condividere i valori della democrazia partecipata. La democrazia, infatti, è quella forma di governo della cosa pubblica che richiede una diffusa partecipazione dei cittadini in grado di esercitare il senso critico.  L’esercizio del senso critico è fondamentale per distinguere la democrazia da altri modi di organizzazione politica caratterizzati da un coinvolgimento di massa. Il termine «critico» è fondamentale non solo per distinguere la democrazia da sistemi politici totalitari, nei quali colui che dissente è perseguito come nemico della società, ma soprattutto da quelle democrazie che appaiono, per così dire, assopite. In queste ultime la democrazia si è ridotta al semplice principio maggioritario, per il quale chi ottiene la maggioranza dei consensi è legittimato a esercitare il potere, al di là di ogni critica. Educare alla cittadinanza assume invece un’idea di democrazia presa sul serio che non può fare a meno di persone consapevoli di essere portatori di diritti e doveri.  Come creare questa consapevolezza? Nella società rendendo remunerativo il fatto di esercitare i diritti e i doveri della cittadinanza; nella scuola interiorizzando l’ethos della democrazia. Insegnare la democrazia non è riducibile a quelle forme di educazione civica che, in passato, si limitavano a una informazione sommaria sulle istituzioni. Occorre che l’educazione civica si apra all’interiorizzazione di una serie di principi che costituiscono l’ethos della democrazia, che consiste in dedizione alla cosa pubblica e disponibilità a destinarvi le proprie energie. È, quindi, il concetto di cittadinanza attiva che si vuole sviluppare nei vari ambiti in cui si articola e si svolge la vita delle persone. Da un punto di vista educativo l’approccio alla cittadinanza corrisponde all’esigenza di fornire alle nuove generazioni conoscenze e modi di rapportarsi alla realtà globale, ove occorra, con il linguaggio del rischio o dell’incertezza. Si tratta di un lavoro educativo che è indispensabile iniziare dalla scuola primaria, accanto ai cosiddetti saperi di base, per evitare che si fissino strutture mentali persistenti per le quali l’etica pubblica è un «bene» superfluo per l’individuo e per la società.
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Metodo Montessori e anziani fragili Didattica
Fare antropologia a scuola permette di sviluppare uno sguardo consapevole su un mondo che continua a cambiare e imparare ad adattarci ad esso
Nel nostro Paese, il 2017 è stato un anno decisivo per il rapporto tra antropologia e mondo dell’istruzione. In quell’anno, infatti, tale disciplina, poco conosciuta fuori dal contesto universitario o specialistico, è diventata rilevante, in quanto indicata tra i requisiti di base per diventare docenti nella scuola pubblica italiana: improvvisamente l’antropologia è uscita dal suo stato di relativo «anonimato» ed è entrata a far parte a tutti gli effetti delle discipline cardine dei percorsi riguardanti l’istruzione e l’educazione. Questo perché l’antropologia è, senza ombra di dubbio, una delle discipline che maggiormente aiutano a sviluppare uno sguardo critico e consapevole sui mutamenti del nostro mondo. I bambini e i giovani sono i soggetti più sensibili ed esposti ai continui cambiamenti culturali, tecnologici e relazionali che caratterizzano la nostra epoca; e la società globalizzata di oggi esige, in particolar modo da chi in essa si trova a crescere, capacità critica e disponibilità ad adattarsi tanto alle evoluzioni tecnologiche quanto alle nuove dinamiche relazionali — spesso di tipo conflittuale — tipiche dei molteplici mondi culturali nei quali siamo immersi. Negli ultimi decenni, l’uso massiccio delle tecnologie digitali e dei social network ha modificato le relazioni interpersonali all’interno delle comunità nelle quali trascorriamo il nostro tempo; i ragazzi possono accedere a un vastissimo patrimonio di informazioni, vedere migliaia di immagini e vagliare quantità sterminate di dati servendosi esclusivamente del telefono cellulare. Queste opportunità, agendo in modo sinergico tra loro, hanno determinato e determinano, su più livelli, conseguenze culturali, comunicative e sociali che vanno ascoltate. Attivare percorsi di educazione interculturale nelle scuole di ogni ordine e grado è di primaria importanza al fine di soddisfare un bisogno educativo che spesso rimane inascoltato, di preparare i futuri cittadini a riconoscere le diversità e i valori e a osservare, rilevare e risolvere situazioni di conflitto, di coltivare e promuovere valori di tolleranza e di riconoscimento dei diritti umani universali. Le conseguenze dei fenomeni globali delle migrazioni sulle culture e sui sistemi istituzionali — i quali non sono altro che riflessi della nostra società e del nostro modo di pensare — rappresentano solamente uno dei molti aspetti che l’antropologia aiuta a indagare e analizzare. Esplorare il mondo dell’antropologia è un modo per arricchire il proprio bagaglio culturale e una strategia per uscire dal nostro «guscio» e volgerci alle altre società e alla diversità con uno sguardo più consapevole, preparato e curioso. Oltre a guardare verso l’esterno e verso gli Altri, però, impariamo a guardare noi stessi: fare antropologia è anche sviluppare capacità di autoanalisi, imparare a volare per un po’ al di fuori del nostro io e delle nostre idee e convinzioni e a osservarci con gli occhi di un estraneo che ci incontra per la prima volta.
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Metodo Montessori e anziani fragili Didattica
Le abilità interculturali costituiscono la base delle altre competenze, per questo è importante trovare i giusti strumenti per valutarle efficacemente.
Il problema della valutazione degli alunni nella scuola è di grande attualità. In questi anni più volte sono stati messi in discussione il sistema di valutazione, i criteri su cui si basa e i suoi strumenti applicativi. La valutazione degli apprendimenti delle alunne e degli alunni che frequentano la scuola primaria è stata rivista alla luce di un impianto valutativo che supera il concetto di voto numerico e introduce il giudizio descrittivo per ciascuna delle discipline previste dalle Indicazioni nazionali per il curricolo, educazione civica compresa.  Oltre alle varie competenze disciplinari e linguistiche, uno dei principali obiettivi attesi è lo sviluppo della competenza interculturale. Dal documento pubblicato sulla «Gazzetta ufficiale dell’Unione Europea» il 4 giugno 2018 si evince che, pur essendo le competenze ritenute tutte di pari importanza, «elementi quali il pensiero critico, la risoluzione di problemi, il lavoro di squadra, le abilità comunicative e negoziali, le abilità analitiche, la creatività e le abilità interculturali sottendono a tutte le competenze chiave» (4.6.2018 IT, «Gazzetta ufficiale dell’Unione europea» C 189/7). Le «abilità interculturali», dunque, rientrano tra le basi fondamentali per lo sviluppo delle altre competenze.  A questo punto dovremmo chiederci: come possiamo valutare i nostri alunni in attività di tipo interculturale? Quali strumenti e principi dobbiamo utilizzare? Servono, infatti, soprattutto nuovi strumenti: rubriche valutative che tengano conto del percorso di ciascun alunno, guardando a lui/lei come a un individuo partecipe e attivo nella scuola e nella società. I dati rilevati devono essere confrontati e, in base al giudizio dell’insegnante, va stabilito il livello di acquisizione per ogni componente specifico della vasta competenza interculturale: si tratta, ad esempio, di valutare negli studenti la capacità di pensiero critico, il livello di partecipazione alle attività, i prodotti realizzati, l’interesse dimostrato, l’originalità degli interventi.
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Metodo Montessori e anziani fragili Didattica
Esempi di cittadinanza attiva dentro e fuori la scuola per diventare membri consapevoli della comunità
Da quando nella scuola si parla di educazione alla cittadinanza gli insegnanti si sono trovati di fronte una sorta di «materia» sui generis, incerta tra la dimensione disciplinare vera e propria e il costituirsi come esperienza trasversale nella quale s’intrecciano aspetti cognitivi, affettivi, motivazionali e conoscenze, competenze, valori e comportamenti. In modo simile, ciò è accaduto nella lunga storia dell’educazione ambientale e alla sostenibilità. Qual è quindi lo scenario nel quale si trova oggi la scuola che deve formare bambini e ragazzi come cittadini consapevoli?  Credo che il cittadino consapevole sia colui che ha una postura, un modo di essere e di pensare legato al sapersi muovere nello spazio comune: prestare ascolto al mondo che ci circonda, essere vigili su quello che ci accade, interagire con gli altri con empatia, prestando fiducia. Quello che bambini e ragazzi chiedono, in modo sempre più consapevole, è di entrare davvero nell’ambiente di vita quotidiano, con i conflitti reali, le cose che non vanno o quelle che invece sono in buon equilibrio. Questo è l’ambiente di vita che merita di essere preso in considerazione attraverso progetti e azioni dove i bambini siano autenticamente presenti. Prendiamo ad esempio il giardino scolastico o il parchetto pubblico lì vicino, che per i bambini e le bambine è uno spazio importante: per molti di loro rappresenta lo spazio privilegiato per sperimentare l’autonomia nelle relazioni con i compagni e costruire un rapporto positivo, interessato, curioso e consapevole con il mondo naturale che li circonda.  Sono moltissimi i progetti delle scuole che prendono in considerazione i giardini come occasioni didattiche, ma non si tratta solo di pulire le aree verdi o di aggiustare gli arredi urbani. La collaborazione tra persone, enti e istituzioni porta a risultati concreti, che permettono di sperimentare la soddisfazione di aver costruito un servizio utile alla comunità e riqualificato il “bene comune”.  Quello che fa davvero la differenza nei diversi progetti è partire dai bambini, da quello che fanno nei momenti liberi, da quello che scopriamo di loro osservandoli in modo attento e consapevole, metodicamente. Il giardino scolastico Già nel lontano 1999 nelle scuole primarie Ciari e Garibaldi di Casalecchio di Reno (Bo), dopo un lungo lavoro di progettazione e realizzazione partecipata con tutta la comunità scolastica, si è arrivati alla riqualificazione dello spazio scolastico esterno in collaborazione con il Comune, poi aperto a tutti, nell’ottica di gestione del “bene comune”. I bambini hanno così scoperto che per realizzare un sogno condiviso bisogna andare a fondo nella comprensione delle visioni altrui, del buon senso e delle regole, del fattibile e del non realizzabile. La comunità educante Con lo stesso modo di intendere la partecipazione e l’idea di comunità educante, attraverso un Patto di collaborazione gli ospiti di un centro di salute mentale a Ravenna, i famigliari, le tre scuole vicine, la parrocchia e il Comune si sono attivati per trasformare e rendere vitale lo spazio esterno al centro di cura. Nel 2011 è stato poi inaugurato il nuovo Giardino dedicato a Franco Basaglia, rendendo concreta l’idea che contaminando le competenze cliniche con il tessuto comunitario tutto il mondo può diventare terapeutico, e che sia possibile seminare interesse verso l’utilizzo del verde pubblico come tecnica di partecipazione attiva di una comunità alla realizzazione della salute pubblica. Soluzioni condivise per problemi comuni Un’altra grande opportunità di fare educazione civica sono i Pedibus, diffusi a macchia d’olio in moltissime scuole. È stato il caso di un altro progetto nel comune di Cesena, che ha visto coinvolti il Comune, i bambini della scuola, i ragazzi ospiti della casa di accoglienza «La Fenice» e cittadini volontari nella riqualificazione del sottopassaggio che doveva condurre i bambini a scuola.  Il risultato non è stato solo quello di rendere bello uno spazio e rallegrare i passanti: l’esperienza ha rinforzato la coesione, il senso di appartenenza alla comunità e di responsabilità, la collaborazione attiva e la percezione di poter intervenire sulla realtà. Si è messa in pratica quella che Schenetti e Guerra definiscono «un’educazione che parta dai problemi legati al territorio locale, percepiti come rilevanti dai bambini e dagli adulti di riferimento, cercando di mantenere un rapporto continuativo tra scuola e territorio». Per ritrovare una scuola oltre la scuola ogni percorso di apprendimento non può che nascere dal desiderio. È ciò che ci spinge a iniziare qualsiasi cammino ed è ciò ci fa guardare al futuro con maggior fiducia, perché aprire uno spiraglio alla possibilità di immaginare ci fa costruire un ponte verso il futuro. Dobbiamo farci guidare dai bambini: inesauribile fonte di immaginazione e di soluzioni inedite.
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Search-ME - Erickson 1 Società e cittadinanza
Un e-book gratuito, esemplare per chiarezza e fruibilità, per tutte le persone gay, lesbiche, bisessuali e transgender, e per coloro che vogliono supportarle nella loro ricerca del benessere e nella battaglia per l’uguaglianza di diritti.
Che cosa accade e che cosa cambia in una famiglia, in una classe, in un gruppo di amiche e amici in cui una ragazza o un ragazzo comunichi il proprio orientamento omosessuale o la propria identità di genere non conforme? Quali sono le sfide che i giovani gay, le giovani lesbiche, bisessuali e transgender si trovano ad affrontare nel processo di acquisizione della propria autoconsapevolezza come persone integrali che amano persone dello stesso sesso o che non si riconoscono nel genere a loro assegnato alla nascita? Questa guida, realizzata da genitori per genitori e da insegnanti per insegnanti, risponde alle domande di insegnanti, genitori, amici, ma anche, prima di tutto, delle stesse persone gay, lesbiche e transgender, adolescenti e giovani adulti, offrendosi come supporto nella comprensione e nella formazione di una personalità matura e equilibrata proprio perché non gravata da interdetti, pregiudizi e menzogne. Per scaricare e leggere l’ebook clicca qui Chi ha piacere di avere una copia cartacea può contattare una delle innumerevoli sedi presenti sul territorio nazionale il cui elenco si trova al link: https://www.agedonazionale.org/sedi-territoriali-aggiornate
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Search-ME - Erickson 2 Società e cittadinanza
Un quadro sullo stato di salute generale di bambini, adolescenti e ragazzi nel nostro Paese
Oggi si celebra la Giornata mondiale dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza: una giornata nata per ricordare in tutto il mondo l’adozione della convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza. Si tratta di un documento fondamentale, adottato oggi da quasi tutti i Paesi del mondo, che ha permesso di riconoscere i bambini e i ragazzi come titolari di diritti civili, sociali, politici, culturali ed economici. Per fare il punto di quale sia oggi la situazione dell’infanzia e dell’adolescenza, con particolare riferimento al nostro Paese, abbiamo sentito la voce di tre esperte, intervenute nei giorni scorsi al convegno Erickson “La Qualità dell’inclusione scolastica e sociale”: Arianna Saulini (Advocacy Manager, Save the Children Italia), Maria Luisa Iavarone (docente universitaria Università di Napoli Parthenope) e Rachele Furfaro (fondatrice e dirigente delle Scuole Internazionali “Dalla parte dei bambini” e presidente della Fondazione FOQUS). Ascoltiamo le loro riflessioni. Come sapete quest'anno la convenzione ONU sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza compie 30 anni. Cosa è avvenuto in Italia in questi 30 anni? Abbiamo creato una serie di istituzioni, ora abbiamo un garante per l'infanzia e l'adolescenza, c'è una commissione parlamentare, sono state fatte delle leggi per tutelare e proteggere i minori, ci sono stati miglioramenti in termini di salute e accesso all'istruzione e tante altre conquiste. Il quadro che ci troviamo oggi tuttavia è ancora sfidante sotto molti punti di vista. In Italia oggi un milione e 200 mila bambini vivono in povertà assoluta. Questo vuole dire che vivono in famiglie che non riescono a riscaldare in maniera adeguata i propri appartamenti, che il pasto proteico viene consumato solo a scuola, dove ci sono le mense. I dati ci dicono che dal 2006 al 2017 la povertà è cresciuta per i ragazzi fino ai 17 anni. Inoltre, di fronte a una popolazione minorile sempre in calo per la decrescita demografica, anche la spesa per l'infanzia e l'adolescenza è in calo, con forti differenze regionali. Se guardiamo quanto viene speso per le famiglie, per le misure di sostegno, non siamo tra i primi Paesi nel mondo, e soprattutto abbiamo una forte differenziazione territoriale. La politica si sta accorgendo ora di quanto poco si investa nell'infanzia e nell'adolescenza, e di quanto ci sia bisogno. A febbraio il nostro governo ha incontrato il comitato ONU sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza e una delle raccomandazioni fatte riguarda proprio le differenze territoriali, cioè il comitato ONU ha raccomandato all'Italia di porre rimedio alle forti discriminazioni che ci sono nel nostro Paese su base regionale, per cui nascere in un comune o quartiere di una determinata città fa la differenza per un bambino rispetto alle sue possibilità di accedere ai servizi e quindi di poter godere al massimo delle opportunità offerte. Secondo l'atlante dell'infanzia a rischi, di “Save the children”, esiste una stretta correlazione tra condizioni economiche difficili e rischio sociale. Si tratta di una correlazione allarmante, se consideriamo che in Italia oltre 1 milione e 200 mila bambini (12,5%) vivono in condizioni di povertà̀ materiale. Questi bambini hanno, rispetto ai loro coetanei, una maggiore probabilità di fallimento scolastico, di lasciare precocemente la scuola e di non raggiungere i livelli minimi di apprendimento. Oltre la metà di loro non legge libri e più del 40% non fa sport. La povertà educativa è correlata con la dispersione scolastica. Da questo punto di vista, nel nostro Paese le cose sono peggiorate negli ultimi dieci anni. Infatti oggi abbiamo tassi di dispersione scolastica che sono peggiore del 2008. Il prezzo più alto della crisi economica partita nel 2008 è stato pagato da bambini e ragazzi da 0 a 17 anni, che hanno il rischio maggiore di impoverirsi rispetto agli over 65 enni. Questi bambini e ragazzi sono quelli più esposti al rischio di incorrere in condotte devianti. Oggi abbiamo la possibilità di mettere a fuoco i comportamenti pre-devianti dei ragazzi, grazie ai dati che esistono, a partire da quelli di “Save the children” a salire fino all’Istat. Questi dati ci raccontano che i ragazzi che vivono in determinate condizioni ambientali, che hanno determinate appartenenze, genitori con un basso livello di istruzione, che vivono in determinati quartieri, che hanno parenti in continuità criminale, sono tutti ragazzi su cui possiamo formulare un modello predittivo di prevenzione del rischio.  Ed è quello che stiamo cercando di fare con l’associazione culturale ARTUR (Adulti Responsabili per un Territorio Uniti contro il Rischio): contrastare le condotte devianti con la creazione di una anagrafe del rischio. Non abbiamo bisogno di andare a prendere i ragazzi per strada quando sono in giro con il coltello, noi sappiamo già chi sono e dobbiamo andare a intercettarli prima perché quei destini non siano già scritti, e le loro storie già segnate. «Porterò un esempio di vita, che sto seguendo da ormai 7 anni ed è ciò che abbiamo fatto con la fondazione FOQUS nei quartieri spagnoli di Napoli. Quello che abbiamo fatto è stato occupare uno spazio vuoto, un ex monastero di circa 10 mila metri quadrati, che abbiamo trasformato in una comunità produttiva, creativa, di cura e formazione della persona.  In questa zona della città di Napoli vivono in un kmq 50 mila persone che hanno smesso di pensare che un cambiamento è possibile e il 10% dei bambini di tutta Napoli. Qui si registra il più alto rischio di devianza in età precoce, con un’evasione scolastica al 34% nei ragazzi tra gli 8 e i 14 anni e il 30% di delinquenza tra gli stessi ragazzi. Nello spazio che abbiamo raccolto vuoto, abbiamo progettato e sostenuto la formazione di giovani e donne verso esperienze di autoimprenditorialità creando nuova occupazione e nuova impresa. Abbiamo dato il via alla prima esperienza di asilo nido dei quartieri spagnoli, che attrae anche bambini che vengono da altri ambienti sociali e zone della città. Dopo l’esperienza del nido sono nati altri progetti di contrasto alla povertà educativa, con l’obiettivo di ampliare l’offerta dei servizi educativi. Vorrei semplicemente dire che in uno spazio che fino al 2012 era vuoto, oggi tutti i giorni entrano 1.500 bambini e ragazzi. Qui ospitiamo l’accademia di belle arti che ha portato lì due interi corsi per condividere il progetto; abbiamo una scuola notarile; ospitiamo un giornale, il Napolista, una galleria d'arte. In questi spazi abbiamo creato 168 posti di lavoro, nel contesto di una città che non riesce a assicurare lavoro. Lo racconto perché penso che se tanti di noi riuscissero a traslare i principi che si portano nella scuola, in luoghi che sono chiusi e che stanno depauperandosi perché non vengono abitati, se riuscissimo a abitarli credo che potremmo creare molte comunità in tutta Italia inclusive».
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