IT
I mini gialli dei dettati 2
Carrello
Spedizioni veloci
Pagamenti sicuri
Totale:

Il tuo carrello è vuoto

|*** Libro Quantità:
Articoli e appuntamenti suggeriti

Tematica
Argomento
Utile in caso di
Informazione obbligatoria
Informazione obbligatoria
Informazione obbligatoria
Informazione obbligatoria
Informazione obbligatoria
Informazione obbligatoria
Informazione obbligatoria
Informazione obbligatoria
Non vi è alcun filtro disponibile, allarga la tua ricerca per ottenere più risultati
Non vi è alcun filtro disponibile, allarga la tua ricerca per ottenere più risultati
Filtra
Filtra per
Tematica
Informazione obbligatoria
Informazione obbligatoria
Informazione obbligatoria
Informazione obbligatoria
Informazione obbligatoria
Informazione obbligatoria
Informazione obbligatoria
Informazione obbligatoria
Argomento
Utile in caso di
Risultati trovati: 29
Search-ME - Erickson 1 Difficoltà di linguaggio
La lettura di testi ricchi di opportunità lessicali e grammaticali strutturati secondo l’approccio della Logogenia® aiuta a superare le difficoltà verbali degli alunni affetti da sordità preverbale
La Logogenia® è un metodo che favorisce il riconoscimento delle informazioni grammaticali, trasmesse dagli elementi funzionali e morfologici della lingua. È stato elaborato per migliorare l’esperienza linguistica dell’italiano degli utenti sordi, ma trova applicazioni interessanti anche nell’esposizione all’italiano come L2. Fare pratica, ad esempio, dell’accordo tra nome e aggettivo o della relazione che lega il pronome clitico al nome che esso va a sostituire arricchisce e potenzia la competenza linguistica dell’utente. Questo allenamento può essere generativo dunque ricadere anche altrove, con effetti positivi di comprensione di analoghe strutture presenti in altri contesti di lettura, a partire dai testi scolastici.  L’esposizione continuativa a brani grammaticalmente ricchi può infatti compensare i limiti dell’esposizione alla lingua parlata e contribuire a sostenere l’acquisizione delle strutture grammaticali dell’italiano nella sua versione scritta. Bruna Radelli, la linguista che ha elaborato il metodo Logogenia®, utilizzava una metafora per motivare la necessità e l’urgenza dell’arricchimento linguistico: l’alunno sordo è come un’auto perfettamente funzionante, ma che non può muoversi se le manca il carburante. L’esperienza di molte e varie strutture grammaticali e lessicali dell’italiano nella modalità della lingua scritta ha dunque lo scopo di reintegrare l’input linguistico della lingua parlata (il carburante) che l’alunno perde a causa del deficit uditivo, affinché possa raggiungere una piena competenza linguistica, nonostante e oltrepassando il deficit uditivo. L’approccio della Logogenia® interpreta in questo modo il concetto di inclusione linguistica, che considera come ampliamento e supporto delle capacità e delle potenzialità grammaticali del bambino sordo, affinché possa accedere ai testi il più possibile in forma autonoma. Come è noto, la sordità profonda preverbale può avere ripercussioni sull’acquisizione delle lingue parlate, come l’italiano, in quanto limita, ostacola o addirittura impedisce del tutto l’accesso all’informazione linguistica uditiva.  Dal punto di vista grammaticale, le ricadute possono coinvolgere la competenza sugli aspetti funzionali (pronomi, preposizioni, articoli, congiunzioni) e morfologici (desinenze di nomi, aggettivi, verbi, articoli), rendendo faticosa la comprensione della frase e, a maggior ragione, del testo. Un’altra area linguistica che risente della condizione di sordità è il bagaglio lessicale, che nei soggetti sordi è spesso di ampiezza minore rispetto a quello dei coetanei udenti. La competenza lessicale e quella grammaticale entrano pienamente in gioco nel compito di comprensione del testo scritto, insieme alla capacità di compiere inferenze per recuperare le informazioni che lo scrittore ha sottinteso. Ecco dunque i tre elementi che formano il «nutrimento» delle potenzialità linguistiche del bambino sordo: l’arricchimento lessicale, l’allenamento nelle strutture grammaticali e il coinvolgimento delle sue capacità inferenziali.
Leggi di più
Metodo Montessori e anziani fragili Didattica
Allenare la motricità fine è importante per imparare a scrivere e per sviluppare molte competenze che aiutano ad andare bene a scuola
Sentiamo molto parlare di motricità fine, soprattutto all’ingresso dei bambini nella scuola dell’infanzia, ma realmente, scientificamente, cos’è? Esistono varie definizioni e descrizioni della motricità fine, ma in generale possiamo affermare che la motricità fine è la capacità di coordinare un gruppo di piccoli muscoli necessari per completare un compito o partecipare a un’attività. In altre parole, è un insieme di movimenti precisi compiuti con le mani e con le dita che sono eseguibili solo avendo acquisito la capacità di controllare il proprio corpo.  In questi movimenti intervengono aree vitali come il cervello, il midollo spinale, i nervi periferici, i muscoli e le articolazioni. Da qui l’importanza di stimolare la motricità fine sin dall’inizio. Sebbene sembrino processi semplici, dobbiamo sapere che, ad esempio, la mano è responsabile della registrazione dei nostri movimenti neuropsicoemotivi ed esegue oltre 5.000 micromovimenti.  Come sostenuto dalla letteratura scientifica, le competenze di motricità fine influiscono molto sull’andamento scolastico del bambino e lacune in quest’ambito possono avere delle ripercussioni dell'allievo stesso.  È molto importante che i bambini abbiano un buon controllo dei muscoli della mano prima di iniziare la scuola primaria: questa capacità è, infatti, essenziale per imparare a scrivere e per svolgere molte attività e lavori che vengono proposti a scuola. La sollecitazione della coordinazione motoria, in particolare oculo-manuale, nell’ultimo anno della scuola dell’infanzia è fondamentale, in quanto l’uso sincronico e combinato dell’occhio con i movimenti della mano è da ritenersi il prerequisito fondamentale per l’apprendimento della scrittura. Le abilità di base implicate nel gesto grafico coinvolgono molteplici aspetti della motricità nel bambino, tra cui: il controllo della postura; la prensione dello strumento scrittorio; il supporto della mano non dominante che va a coadiuvare il processo di scrittura; la coordinazione dei movimenti dell’occhio congiuntamente a quelli della mano, del polso, del gomito e della spalla; la motricità fine, la regolazione della pressione, della traiettoria e della velocità di scrittura. Alcuni studi evidenziano come sempre più bambini e adolescenti faticano a scrivere a mano, presentano scritture disordinate e di difficile comprensione. Secondo l’American Academy of Pediatrics, negli ultimi decenni è cresciuto il numero di bambini che fatica a manipolare oggetti e a interagire con essi per una scarsa manualità, dovuta all’utilizzo eccessivo degli strumenti tecnologici touch screen. Sempre secondo l’American Academy of Pediatrics, la soluzione è ridurre al minimo l’uso della tecnologia per dare ai bambini la possibilità di svolgere attività manuali e di avere sempre un’esperienza diretta con l’ambiente che li circonda.
Leggi di più
Search-ME - Erickson 2 Psicologia
I ritirati sociali, pur avendone l’opportunità, non escono di casa. Che cos’è il ritiro sociale e come si manifesta in bambini e ragazzi
Siamo all’inizio di maggio, il sole e la natura inseguono la primavera, stagione ideale per gite ed escursioni, e noi? Le indicazioni governative ci parlano di fase 2 dell’emergenza Coronavirus, una graduale ripresa delle attività, con prudenza riprenderemo a uscire di casa. Alcuni, finalmente, si scuotono dal torpore dell’isolamento sociale, e, tra mille incertezze, riprendono a considerare il ritorno alla vita sociale e lavorativa. L’essere umano, in generale, non ama essere costretto a vivere in isolamento sociale, è spontaneamente motivato a dirigersi verso gli altri, sia per riprendere le sue abitudini ma soprattutto perchè è animale sociale come ci ricorda il filosofo greco Aristotele (IV sec A.C.) nella “Politica”. Se ciò è consueto per molti, abbiamo chi fa eccezione. Esistono, infatti, persone che pur avendone l’opportunità non escono di casa: sono i ritirati sociali. Una complessa condizione con implicazioni biologiche, psicologiche e sociali studiata da decenni in psicologia evolutiva. Infatti, ci sono bambini che prediligono astenersi dal contatto sociale. Tre possibili profili di ritiro sociale nei bambini Le ricerche ci consegnano almeno tre profili possibili di ritiro sociale nell’infanzia: “Vorrei ma non posso”: ci riferiamo a quei bambini con motivazione sociale che reagiscono inibendosi al contatto con gli altri, oppure, entrano in ansia all’idea di incontrare gli altri. Per anni abbiamo parlato di fobia scolare per definire quei bambini che all’entrare in classe (pensiamo alla materna) iniziano a piangere e chiedere alla maestra di tornare a casa dalla mamma. Esperienza abbastanza diffusa ma che distingue chi, nel tempo, nonostante gli sforzi congiunti di genitori e insegnanti mantiene questo atteggiamento. La timidezza è l’aspetto temperamentale che accompagna queste situazioni, molte delle quali fortunatamente, si risolvono abbastanza presto. “Vorrei ma mi sento inadeguato”: ci riferiamo a bambini con minore motivazione sociale e che al contatto con gli altri si inibiscono, perdendo presto la motivazione all’incontro. Sono più problematici nell’inserimento scolastico e richiedono un adeguato sostegno da parte delle famiglie e degli insegnanti. L’evitamento è l’aspetto comportamentale che li caratterizza, motivo per cui spesso si rifugiano nel gioco solitario, non riuscendo proprio a inserirsi nelle attività di gruppo. La reazione degli altri bambini è spesso di giudizio e di scherno, cosicché questi ragazzi presto imparano il valore semantico della parola diverso, e tali si sentiranno per tutta la vita, attribuendosi così la propria inadeguatezza a stare con gli altri. “Sono solo e... punto”: ci riferiamo a bambini solitari con nessuna motivazione sociale e che si astengono dal contatto con gli altri. Prediligono il gioco solitario, pur seguendo le attività scolastiche proposte e prediligono eseguirle minimizzando i contatti con gli altri. L’anedonia è l’aspetto caratteristico: non provare interesse particolare nel partecipare alla quotidianità e ai rituali sociali. Se queste, ci dicono gli studiosi, sono le condizioni di partenza, quali saranno le traiettorie di sviluppo per questi bambini? Gli studi ci parlano per il primo gruppo di una possibile evoluzione verso quadri clinici di ansia sociale, per il secondo gruppo di quadri clinici di depressione, per il terzo gruppo rimane la curiosità di vedere l’evoluzione di individui asociali non tutti sofferenti di quadri clinici. Ma il clinico spesso perde queste importanti tracce evolutive e si affida a quadri clinici già consolidati ma successivi Il ritiro sociale negli adolescenti Prima di questo, e recentemente, ci sono evidenze di forme di ritiro sociale nell’adolescente. Il termine, ormai di casa nei social, è Hikikomori, dal giapponese “hiko” ovvero tirare, e “komoru” ovvero ritirarsi, che descrive individui, spesso giovani, che hanno scelto di isolarsi dalla società, per motivi personali e/o ambientali. Se l’isolarsi, magari per periodi brevi,corrisponde a forme di esperienza che l'adolescente fa rispetto al mondo degli adulti e delle loro consuetudini (anche educative), in questi casi, ci dicono i ricercatori, si va oltre i 6 mesi: le consuetudini e le attività sociali si perdono, si rimane a casa, ci si confina attivamente nella propria stanza e si rimane in contatto con il resto del mondo tramite il PC, Tablet, Smartphone collegato alla rete. Lo studio di queste situazioni, ormai presenti in tutti i Paesi, da parte dei ricercatori e dei clinici, fa sì che i terapeuti stanno ricevendo maggiori richieste di familiari per aiutare i loro figli ad uscire di casa, “possono ma non vogliono” è la frase ricorrente in questi casi. Quando dobbiamo pensare al ritiro sociale come manifestazione di un disturbo psichico? Esistono quadri morbosi dove questo è un aspetto importante e parte della gravità della patologia: psicosi e disturbi dello spettro autistico. Nel primo caso, ci riferiamo, a condizioni in cui la manifestazione dell’esordio psicotico è legata a forme di distacco, anedonia, apatia, piuttosto che a idee deliranti e allucinazioni. La perdita di interesse sociale è spesso una delle manifestazioni iniziali di questi quadri clinici e solo il riconoscimento di questi, insieme ad alcuni sintomi di deficit cognitivi, possono indirizzare alla diagnosi di psicosi. Nel caso dei disturbi dello spettro autistico, le forme tipiche di autismo (perdita del contatto oculare, della comunicazione e comprensione sociale) sono, in alcuni individui, associate a manifestazioni di inibizione nel rapporto sociale, e questo può avvenire sia nell’infanzia sia nella giovane età adulta. Altre manifestazioni del ritiro sociale le possiamo ritrovare in alcuni quadri clinici di depressione come manifestazione connessa sia alla perdita di uno status sociale e di un legame importante a cui non si riesce a reagire, sia alla perdita brusca di interessi perseguiti prima dell’evento morboso. La nostra esperienza clinica ci ricorda anche le forme di ansia sociale, di cui si parlava all’inizio, per alcune situazioni d’esordio in età adulta. Infine, ultimi nella descrizione ma non ultimi per importanza, i quadri clinici di disturbi di personalità. La personalità evitante, così vicina alle manifestazioni del ritiro sociale, ci conduce a individui con costante percezione soggettiva di estraneità nelle relazioni e di non appartenenza sociale: sono coloro che percepiscono sé stessi negativamente (“diverso, inadeguato”) e degli altri temono il giudizio, il rifiuto e l’esclusione dal gruppo. Il distacco sociale è la regola che non gli impedisce di provare una gamma di emozioni (“paura, imbarazzo,rabbia, tristezza”) a conferma di doversi rassegnare a vivere una vita grama. La condizione umana, inoltre, li rende negativi al confronto con gli altri per la minore participazione sociale ma, sopratutto, l’impossibilità di raggiungere, con soddisfazione, gli obiettivi comuni di vita nell’ambito sentimentale, lavorativo, amicale. Il riconoscimento e l’opportuna valutazione del ritiro sociale nei diversi quadri clinici descritti orientano il clinico nell’approntare specifici interventi terapeutici e di gestione migliore del problema: uscire di casa a questo punto sarà possibile.
Leggi di più
Search-ME - Erickson 3 Difficoltà di linguaggio
Caratteristiche, comorbilità, epidemiologia e decorso clinico di un disturbo che comporta difficoltà persistenti nell’utilizzo sociale del linguaggio e della comunicazione
Definizione e caratteristiche clinico-diagnostiche Il disturbo socio-pragmatico comunicativo, in acronimo DSPC, è un disturbo del neurosviluppo inserito nel raggruppamento clinico dei disturbi della comunicazione, insieme al disturbo del linguaggio, al disturbo foneticofonologico e al disturbo della fluenza con esordio nell’infanzia. Il DSPC è caratterizzato da un deficit primario della pragmatica o dell’utilizzo sociale del linguaggio e della comunicazione. Questi pazienti mostrano difficoltà persistenti nella comunicazione verbale e non verbale. La comunicazione è utilizzata, in modo non adeguato al contesto, per scopi sociali, quali lo scambiarsi informazioni e il salutarsi. È compromessa la capacità di adattare la comunicazione per renderla comprensibile a chi la ascolta, per cui il paziente può parlare nello stesso modo in differenti contesti e con diversi interlocutori; può essere troppo formale in situazioni ludiche o eccessivamente informale in contesti ufficiali. La comunicazione in una palestra con gli amici può essere uguale a quella a scuola o al lavoro. Sono presenti difficoltà nel seguire le regole all’interno di una conversazione o durante un resoconto narrativo. Il paziente può non riuscire a rispettare l’alternanza del turno (ad esempio, non coglie i segnali del cambio turno) e non è in grado di effettuare una riparazione nella comunicazione (ad esempio, riformulazione della frase) quando ciò che dice non viene compreso correttamente. I segnali verbali e non verbali che regolano l’interazione sono utilizzati in modo inefficace o non sono utilizzati. Lo sguardo, i gesti, le espressioni facciali, la postura, il volume della voce e la prosodia non vengono usati adeguatamente per modulare lo scambio comunicativo. È compromessa la capacità di leggere e inferire in un’interazione gli aspetti impliciti e i significati non letterali, ambigui e molteplici del linguaggio (metafore, frasi idiomatiche, ironia e scherzi, ecc.), che possono essere compresi solo facendo riferimento al contesto. Il paziente ha difficoltà a fare inferenze integrando i segnali non verbali, con quelli verbali e declinandoli in quello specifica situazione comunicativa. Egli potrebbe cercare di spiegare a un gruppo di botanici come coltivare le rose senza considerare la loro competenza in materia o potrebbe non capire metonimie come «leggere Dante» e chiedersi come si possa leggere una persona, non facendo quindi riferimento alla Divina Commedia. I deficit della comunicazione sociale presenti in questi pazienti ne compromettono in maniera significativa il funzionamento interpersonale, scolastico e lavorativo, in quanto interferiscono non solo sulle abilità comunicative ma, a cascata, sulle relazioni sociali, in modo da influenzare tutte le aree di vita dei pazienti. Nel percorso diagnostico bisogna valutare che questa sintomatologia non venga meglio spiegata da deficit cognitivi o disturbi del linguaggio. Comorbilità Il disturbo socio-pragmatico comunicativo può presentarsi in comorbilità con altri disturbi del neurosviluppo, quali i disturbi del linguaggio, la disabilità intellettiva, il disturbo da deficit di attenzione/iperattività e disturbi specifici dell’apprendimento. I dati sulla comorbilità derivano in gran parte dagli studi sul pragmatic language impairment (PLI) e sulla compromissione delle abilità pragmatiche nei disturbi del neurosviluppo, in quanto ad oggi abbiamo poche ricerche che indagano la comorbilità del DSPC. Particolarmente frequente è riscontrare in questi pazienti una storia di ritardo del linguaggio o di deficit nella strutturazione morfosintattica del linguaggio. Un altro caso specifico riguarda il disturbo dell’apprendimento non verbale, che, pur non essendo ancora riconosciuto ufficialmente, evidenzia importanti compromissioni nell’area comunicativo-pragmatica. Inoltre, recenti studi hanno evidenziato come alterazioni pragmatiche caratterizzino non solo i prodromi di alcuni disturbi psicotici quali la schizofrenia, ma anche le loro manifestazioni cliniche. Inoltre, difficoltà dell’area pragmatica si riscontrano nel disturbo ossessivo compulsivo, nell’epilessia e nei disturbi del comportamento. Epidemiologia e decorso clinico Il DSPC può essere diagnosticato a partire dai 4 anni, quando lo sviluppo del linguaggio e dell’eloquio dovrebbe essere sufficientemente stabilizzato da non interferire con gli aspetti pragmatici, consentendo di identificare le alterazioni socio-comunicative specifiche di questo disturbo. Allo stato attuale, non sono ancora chiari i dati di incidenza e prevalenza del disturbo, considerata la recente introduzione dei suoi criteri diagnostici e le definizioni variabili che lo hanno preceduto. Kim e colleghi hanno riportato una prevalenza del DSPC in circa lo 0,5% di un campione di 55.266 bambini coreani tra i 7 e i 12 anni di età. Indipendentemente dalla categorizzazione diagnostica, uno studio su 1.396 bambini della scuola dell’infanzia ha evidenziato che alterazioni della pragmatica possono essere presenti nel 7,5% dei bambini, con un rapporto maschi/femmine di 2,6:1. L’evoluzione del disturbo è molto variabile e appare influenzata dalla precocità dell’esordio e dalla sua gravità. Le forme lievi che esordiscono in adolescenza, con la maggiore complessità delle richieste linguistiche e sociali, appaiono avere una migliore prognosi. Le forme precoci e in cui il deficit è più grave compromettono maggiormente le relazioni sociali e mostrano quindi un decorso peggiore, con il perdurare della sintomatologia in età adulta.
Leggi di più
Search-ME - Erickson 4 Autismo e disabilità
Una selezione di proposte editoriali sull’autismo per i nostri lettori in occasione della Giornata mondiale della consapevolezza dell’autismo
Se fino a non molto tempo fa si riteneva che l’autismo fosse una «malattia incurabile», oggi sappiamo invece che si tratta di un disordine neuropsichico, che può comportare gravi problemi nella capacità di comunicare, di entrare in relazione con le persone e di adattarsi all’ambiente. Grazie ai progressi della ricerca, la credenza che chi ne è affetto debba rinunciare a una vita significativa e produttiva non ha più ragion d’essere. Molta strada rimane però ancora da fare per conoscere meglio questo disturbo, o per meglio dire di questi disturbi, data la grande variabilità che li caratterizza, e per migliorare la qualità di vita delle persone che ne sono toccate. In occasione della Giornata mondiale per la consapevolezza dell’autismo, proponiamo una selezione di titoli del nostro catalogo dedicati a questo argomento. Scopri i titoli consigliati: .image-carousel-container{ width:60%;} .mondo-erickson .banner-container [class^='banner-lev'] { position: relative; width: 60%; } @media (max-width:767px){ .image-carousel-container{ width:100% !important;} .mondo-erickson .banner-container [class^='banner-lev'] { position: relative; width: 100%; } }
Leggi di più
Search-ME - Erickson 5 Autismo e disabilità
I principi-guida su cui dovrebbe basarsi l’intervento educativo nell’autismo e l’importanza dell’individualizzazione dell’intervento in base alle caratteristiche del bambino
Non esiste ancora l’intervento abilitativo che risponda alla complessità dell’autismo. La pervasività del disordine, la molteplicità dei quadri clinici e la cronicità del disturbo richiedono l’integrazione di vari metodi in un approccio multidisciplinare: il programma abilitativo deve necessariamente essere individualizzato sulle caratteristiche di ciascun bambino, in base al livello cognitivo, all’età, al funzionamento neuropsicologico, alle abilità presenti e potenziali e, non da ultimo, ai bisogni espressi dalla famiglia. Il modello di intervento abilitativo al momento più validato dalla letteratura internazionale è quello psicoeducativo con approccio cognitivo-comportamentale. Il programma di intervento viene stabilito dai servizi specializzati, dagli insegnanti e educatori, in accordo con la famiglia, in relazione alle caratteristiche peculiari del singolo bambino: è auspicabile la piena collaborazione degli operatori del territorio, degli insegnanti e degli educatori per integrare il programma specifico con le attività di insegnamento-apprendimento previste per il gruppo classe attraverso l’utilizzo di metodologie e strategie tipiche di integrazione (ad esempio, apprendimento cooperativo, tutoring, metodologie attive, riorganizzazione degli spazi e dei tempi, ecc.). I principi guida per l’intervento nell’autismo L’intervento deve essere individualizzato, basato sui punti di forza e di debolezza della persona, individuati attraverso una valutazione accurata del profilo di sviluppo realizzata dal Centro di competenza. Le strategie di intervento devono essere basate sulle abilità e sugli interessi della persona: partendo dagli interessi specifici di ogni bambino è possibile infatti proporre nuovi apprendimenti che gli possano essere utili nel vivere quotidiano. È necessario che tutti gli operatori conoscano in maniera approfondita le caratteristiche dell’autismo ma anche quelle dello sviluppo tipico. È necessario individuare obiettivi a breve, medio e lungo termine, che siano fruibili nella vita quotidiana del bambino, tenendo presente che, in generale, la finalità di un progetto psico-educativo deve essere quella di favorire l’adattamento del soggetto al suo ambiente naturale e di garantire una soddisfacente qualità della vita al bambino/ragazzo e alla sua famiglia. Perciò sarà necessario prevedere, accanto ad attività di tipo cognitivo, lavori specifici sulla comunicazione (utilizzo funzionale di strategie convenzionali o alternative per la comunicazione sia in comprensione che in produzione), sulle abilità sociali e sulla gestione/organizzazione autonoma del proprio tempo libero. È fortemente consigliato l’utilizzo di pratiche supportate da evidenze scientifiche di efficacia. È fondamentale che vi siano coerenza e collaborazione tra tutte le persone (operatori e famiglia) che si occupano del bambino.
Leggi di più
;