Indice
- La nascita del sistema pubblico paritario e il Documento dei Saggi
- Il primo progetto di riforma: Berlinguer e De Mauro
- L’intervento di Letizia Moratti
- Le Indicazioni per il curricolo del ministro Fioroni
- I tagli lineari del periodo 2008-2012
- Dalle Indicazioni del ministro Profumo del 2012 alla legge di riforma n. 107/2015
- L’attuazione delle deleghe della legge n. 107/2015
1. La nascita del sistema pubblico paritario e il Documento dei Saggi
Il complesso degli interventi che sono stati effettuati nell’ultimo decennio del ‘900 ha necessariamente posto la questione di un riordino del nostro sistema di istruzione. In particolare, il nuovo assetto conseguente al dimensionamento degli istituti, all’istituzione dei comprensivi, all’avvento dell’autonomia e al conseguente riconoscimento della personalità giuridica alle scuole e del ruolo dirigenziale ai capi d’istituto, avevano ormai reso obsolete molte delle norme che avevano a lungo regolato la scuola.
Né era bastato il tentativo, all’inizio di quel decennio, di riordinare tutte le norme della scuola in un Testo unico, il D.lgs. n. 297 del 1994, che avrebbe dovuto consentire un adeguamento complessivo e un’armonizzazione delle norme alla nuova scuola.
In realtà, ad apparire obsoleta era la struttura stessa del nostro sistema scolastico, che, a parte interventi settoriali non particolarmente significativi, era rimasta sostanzialmente quella disegnata dal modello gentiliano, con una netta separazione tra l’istruzione e la formazione professionale.
Tale esigenza trovava, poi, una sponda su un’altra questione che ormai si poneva con sempre maggior vigore all’attenzione di tutti i Paesi occidentali: la ricerca di migliorare la qualità della formazione in generale, sia in termini di costi del sistema sia di esiti in uscita per gli utenti. Proprio per questa ultima questione si richiedeva ai sistemi scolastici di porre in atto efficaci strategie di orientamento al successo formativo per tutti e per ciascun utente.
D’altro canto, quella ricerca di modernizzazione era giustificata anche dalle profonde trasformazioni economiche e sociali che i maggiori Paesi industrializzati ormai vivevano, anche in termini di recupero di una propria identità culturale all’interno dei grandi processi della globalizzazione.
Proprio per dare corso a iniziative adeguate, tra il 2000 e il 2020 si sono susseguiti nel nostro Paese ben cinque interventi di riforma, alcuni più significativi, altri meno, ma tutti finalizzati a promuovere la modernizzazione del sistema di istruzione.
A precederli era stata, nella primavera del 1997, un’iniziativa del Ministero che aveva istituito una Commissione di studio, composta da 44 membri ben presto definiti «Saggi», a cui era stato affidato il compito di definire il quadro delle conoscenze irrinunciabili che avrebbero dovuto padroneggiare i ragazzi al termine del loro percorso scolastico. La Commissione aveva prodotto un primo documento di sintesi nel maggio 1997, curato dal coordinatore Roberto Maragliano, e accompagnato da molti materiali di studio. Costituitosi poi un gruppo più ristretto di sei Saggi, era stato redatto un secondo documento intitolato I contenuti fondamentali per la formazione di base, che era stato presentato all’Accademia dei Lincei a Roma il 20 marzo 1998. Sul documento era stata promossa un’ampia consultazione tra gli operatori della formazione e raccolti vari contributi e pareri anche tra docenti, studenti e genitori. Di tutto ciò sarebbe stata redatta una Sintesi poi diffusa a cura del Ministero a tutte le scuole nell’aprile 1999.
Le considerazioni che seguono vanno dunque intese come:
il quadro dei saperi di base che tutti i giovani devono solidamente possedere all’uscita della formazione scolastica obbligatoria, e sui quali poggiare, con la scolarizzazione successiva ed anche con ogni altra iniziativa di formazione, formale o non formale, quelle capacità di adattamento e di cambiamento che sono sempre più richieste dalle trasformazioni in corso in ogni ambito della vita sociale;
il quadro di riferimento comune entro il quale mettere alla prova una nuova modalità di articolazione dei programmi e approdare alla fissazione di standard formativi che abbiano validità per tutto il territorio nazionale e nello stesso tempo costituiscano un passaporto per la circolazione internazionale delle competenze e delle conoscenze;
lo stimolo a promuovere in tutte le sedi possibili (l’editoria scolastica tradizionale e multimediale; l’università e i centri di ricerca; gli insegnanti, nell’ambito dei poteri loro attribuiti dall’autonomia scolastica) un confronto iniziale e un impegno continuo di elaborazione, sul piano culturale e su quello didattico.
La costruzione di un curricolo scolastico presuppone sempre il problema della sua giustificazione. Occorre che ciò che si insegna valga la pena di essere insegnato, tenendo presente due diversi livelli: da un lato, è sempre necessario operare una scelta nella pluralità dei saperi, collegandola all’interpretazione delle esigenze del momento storico, e inevitabilmente si scontenterà qualcuno; dall’altro lato, poiché quanto si insegna deve avere un valore formativo agli occhi sia degli insegnanti che degli utenti della scuola, altrettanto inevitabilmente si avranno dei contrasti legati alla concezione del valore attribuitogli.
I contenuti essenziali per la formazione di base, 1998.
Tali documenti furono alla base del primo progetto di riforma che aprì il XXI secolo e che fu posto in essere dal ministro Luigi Berlinguer e poi dal suo successore Tullio De Mauro. Berlinguer diffuse un provvedimento che nelle sue intenzioni avrebbe dovuto cambiare radicalmente l’intero sistema scolastico italiano, anche in previsione del completamento del ciclo di istruzione a 18 anziché a 19 anni. Era quella la legge n. 30/2000 che delineava un’ipotesi abbastanza innovativa, nella quale, oltre alla scuola dell’infanzia, era prevista la creazione della scuola di base, che avrebbe dovuto assorbire la scuola elementare e la media in un percorso di durata settennale.
Una delle problematiche che tale scelta avrebbe implicato sarebbe stata la riduzione di un anno del percorso precedente e la creazione della cosiddetta «onda anomala»; infatti, la riduzione da otto a sette anni del percorso richiedeva in prima applicazione un eventuale passaggio anticipato di singoli o di gruppi di alunni alle classi successive a quella di ammissione. Il problema rimase irrisolto in quanto il regolamento per i curricoli della scuola di base stabilì che tale operazione sarebbe stata effettuata dalle scuole: in realtà, risultò una soluzione difficilmente praticabile perché avrebbe generato un assetto variabile e instabile delle classi, con un possibile loro sconvolgimento annuale.
Altra fonte di problemi era, poi, la scelta di unificare il ruolo e, quindi, il profilo professionale di maestri e professori che, se da un lato avrebbe dovuto valorizzare la preparazione psicopedagogica dei maestri, dall’altro avrebbe qualificato la competenza disciplinare dei professori della scuola media, nella prospettiva di una scuola che, favorendo lo sviluppo professionale reciproco, sarebbe stata in grado di rispondere ai bisogni differenziati di bambini di sei anni e di preadolescenti di tredici. Quella scelta fu fortemente avversata da maestri e professori, particolarmente da questi ultimi.
Nel frattempo, il 10 marzo 2000, il Parlamento approvava un altro importante provvedimento, la legge n. 62, Norme per la parità scolastica e disposizioni sul diritto allo studio e all’istruzione, finalizzata a riordinare giuridicamente i rapporti tra le istituzioni scolastiche di iniziativa pubblica e privata operanti sul territorio nazionale.
Con tale provvedimento è stato definitivamente costituito il sistema nazionale di istruzione con scuole statali e paritarie, private e degli enti locali, con la Repubblica impegnata a realizzare come obiettivo prioritario l’espansione dell’offerta formativa, anche favorendo la generalizzazione della domanda di istruzione dall’infanzia lungo tutto l’arco della vita.
2. Il primo progetto di riforma: Berlinguer e De Mauro
Il disposto normativo della legge n. 30/2000 era stato finalizzato a promuovere una serie di innovazioni, la prima delle quali riguardava la scuola dell’infanzia; l’intento era quello di collocare tale scuola nell’ambito dell’istruzione comunque obbligatoria, anche accogliendo i cambiamenti dell’ultimo scorcio del XX secolo, prodotti da vari provvedimenti legislativi che avevano modificato la stessa concezione. Della scuola dell’infanzia, infatti, dagli anni Settanta, dopo l’istituzione della scuola materna statale (1968), era stata condivisa l’idea che l’educazione in quella particolare fascia d’età potesse essere considerata come l’estensione di un compito familiare: assistenza, educazione in senso generale, preparazione alla scuola dell’obbligo erano fondamentalmente i motivi ispiratori della legge n. 444/1968. Tale concezione si era arricchita negli anni Ottanta della convinzione molto condivisa nella pubblica opinione di un più chiaro riconoscimento dei bisogni dell’infanzia e di un bambino come soggetto portatore di diritti e di nuove esigenze educative. La Relazione Zoso-Scurati del 1988 e gli Orientamenti del 1991 avevano segnato quel significativo cambio. Negli anni Novanta, sulla scia dell’applicazione degli Orientamenti era stata riconosciuta la centralità non solo pedagogica ma anche istituzionale della scuola dell’infanzia.
La legge n. 30/2000 riconosceva il valore fondante della scuola sul piano istituzionale, auspicando una generalizzazione della sua offerta formativa in un quadro di riordino della scuola di base, dai 3 ai 14 anni.
Art. 2. Scuola dell’infanzia
1. La scuola dell’infanzia, di durata triennale, concorre alla educazione e allo sviluppo affettivo, cognitivo e sociale dei bambini e delle bambine di età compresa tra i tre e i sei anni, promuovendone le potenzialità di autonomia, creatività, apprendimento e operando per assicurare una effettiva eguaglianza delle opportunità educative nel rispetto dell'orientamento educativo dei genitori, concorre alla formazione integrale dei bambini e delle bambine.
2. La Repubblica assicura la generalizzazione dell'offerta formativa di cui al comma 1 e garantisce a tutti i bambini e le bambine, in età compresa tra i tre e i sei anni, la possibilità di frequentare la scuola dell'infanzia.
Legge 10 febbraio 2000, n. 30, Legge Quadro in materia di Riordino dei Cicli dell’Istruzione.
Relativamente alle caratteristiche pedagogiche, educative e didattiche, riprendendo i principi affermati nelle Linee di sviluppo del 1999, essa veniva definita come ambiente di vita, di apprendimento e di relazione.
Con il passaggio di testimone da Luigi Berlinguer al nuovo ministro Tullio De Mauro, avvenuto nella primavera del 2000, era stato confermato l’impianto delineato nelle leggi n. 30/2000 e n. 62/2000. In particolare, si era sviluppato sotto la direzione del nuovo Ministro un intenso lavoro per definire le linee attuative del progetto e nel 2001 era stato emanato il Regolamento recante norme in materia di curricoli della scuola di base, con allegati gli Indirizzi per l’attuazione del curricolo stesso. Si era trattato di un documento molto dibattuto in un confronto aperto tra vari Gruppi di lavoro, nominati dallo stesso Ministro. Al di là di tutto, la legge n. 30/2000 aveva sancito il definitivo riconoscimento del ruolo educativo della scuola dell’infanzia e il suo inserimento a pieno titolo nel sistema educativo nazionale di istruzione e formazione.
Dal punto di vista pedagogico e didattico, veniva confermata l’impostazione degli Orientamenti del 1991; in particolare, erano riproposti i campi di esperienza e i traguardi di sviluppo declinati nelle finalità della maturazione dell’identità, della conquista dell’autonomia e dell’acquisizione di competenze.
Tali traguardi avrebbero dovuto offrire a ogni bambino e bambina la possibilità di esprimere la propria soggettività e, progressivamente, governarla e maturare la propria identità; di interagire e comunicare con gli altri in maniera sempre più efficace e rafforzare la propria autonomia; di sviluppare quelle abilità «sensoriali, percettive, motorie, linguistiche e intellettive che lo impegnano nelle prime forme di riorganizzazione dell’esperienza e di esplorazione e ricostruzione della realtà». Le indicazioni curricolari si articolavano, come già negli Orientamenti 1991, in distinti «campi di esperienza», corrispondenti ai diversi ambiti del fare e dell’agire del bambino e, quindi, a settori specifici di competenza nei quali il bambino conferiva significato alle sue molteplici attività e, acquisendo anche le strumentazioni linguistiche e procedurali, perseguiva i suoi traguardi formativi, nel concreto di un’esperienza che si svolgeva entro confini definiti e con il costante suo attivo coinvolgimento.
Quei documenti avevano prefigurato un sistema di istruzione comprendente la scuola dell’infanzia e la scuola di base a ciclo unico; i maggiori cambiamenti avrebbero, in questo senso, coinvolto soprattutto la scuola elementare e la media, che venivano compattate in un unico ciclo di durata settennale, articolato in un biennio iniziale, un successivo triennio e un biennio finale. Le finalità della scuola di base erano definite nel seguente modo:
2. La scuola di base, attraverso un progressivo sviluppo del curricolo mediante il graduale passaggio dagli ambiti disciplinari alle singole discipline, persegue le seguenti finalità:
a) acquisizione e sviluppo delle conoscenze e delle abilità di base;
b) apprendimento di nuovi mezzi espressivi;
c) potenziamento delle capacità relazionali e di orientamento nello spazio e nel tempo;
d) educazione ai principi fondamentali della convivenza civile;
e) consolidamento dei saperi di base, anche in relazione alla evoluzione sociale, culturale e scientifica della realtà contemporanea;
f) sviluppo delle competenze e delle capacità di scelta individuali atte a consentire scelte fondate sulla pari dignità delle opzioni culturali successive (Art. 3, comma 2. La Scuola di base, Legge n. 30/2000).
Il percorso educativo si sarebbe così sviluppato:
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nel primo biennio era prevista l’articolazione delle attività in tre ambiti, quello linguistico-espressivo, quello matematico-scientifico, quello antropologico-ambientale;
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nel successivo triennio gli ambiti diventavano quattro, quello linguistico-espressivo, quello matematico, quello scientifico-tecnologico, quello geo-storico-sociale;
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nel biennio finale era proposto lo studio delle seguenti discipline: italiano; prima lingua europea moderna; seconda lingua europea moderna; arte e immagine; musica; scienze motorie; storia; geografia; scienze sociali; matematica; scienze; tecnologia; storia, geografia, scienze sociali.
Anche negli Indirizzi si sottolineava che il concetto di disciplina non indicava un settore rigido del sapere, in quanto, si affermava, il progresso della scienza è il frutto della contaminazione di settori scientifici diversi e che l’intelligenza umana affrontava problemi e non studi per ambiti separati. Si rinviava, quindi, alla progettualità degli insegnanti la possibilità di collocare ciascuna disciplina in una rete pluridisciplinare.
La distinzione tra gli ambiti e le discipline le cui attività vengono svolte prevalentemente nell’aula classe, da un lato, e quelli che richiedono ambienti di apprendimento appositamente attrezzati, dall’altro, non va considerata come separazione, ma in un’ottica di continuità e integrazione.
Ministero della Pubblica Istruzione, Indirizzi per l’attuazione del curricolo, Documento del Ministro, 28 febbraio 2001.
Era stato previsto al termine del percorso formativo unitario, in continuità dalla scuola dell’infanzia e alla secondaria, un esame di Stato, anche con funzioni orientative rispetto al prosieguo degli studi.
Per quel che riguardava la scuola secondaria di secondo grado, la legge n. 30/2000, nel confermare la sua durata quinquennale, proponeva un ciclo suddiviso in cinque aree liceali: umanistica, scientifica, tecnica e tecnologica, artistica, musicale, ciascuna delle quali articolata in indirizzi. Le finalità del ciclo secondario erano lo sviluppo di attitudini e vocazioni e il consolidamento di capacità e competenze acquisite dagli allievi nel corso del primo ciclo; si mirava, inoltre, a promuovere processi di responsabilizzazione negli allievi e a favorire il loro accesso agli studi universitari.
L’espletamento dell’obbligo scolastico era fissato al termine del biennio e prevedeva la relativa certificazione da parte della scuola, anche in riferimento a un sistema dei crediti scolastici. Particolarmente interessante era la possibilità per gli allievi, nel corso del primo biennio, di transitare in un altro modulo anche di aree e di indirizzi diversi:
3. Nei primi due anni, fatte salve la caratterizzazione specifica dell’indirizzo e l’obbligo di un rigoroso svolgimento del relativo curricolo, è garantita la possibilità di passare da un modulo all’altro anche di aree e di indirizzi diversi, mediante l’attivazione di apposite iniziative didattiche e finalizzate all’acquisizione di una preparazione adeguata alla nuova scelta (Art. 4, comma 3, Scuola secondaria, Legge n. 30/2000).
Era stata anche prevista la possibilità, su richiesta dei genitori, di realizzare attività complementari e iniziative formative in collegamento con il territorio. Era stata inoltre definita, per gli ultimi tre anni di scuola, la possibilità per gli studenti di inserirsi in realtà produttive, culturali, professionali. L’art. 5 confermava, infine, il disposto relativo all’istruzione tecnica superiore e alla formazione continua.
Mentre era in atto il processo di riforma della scuola, ancora nel 2001 era stata promossa una significativa iniziativa per i docenti che poi non avrebbe avuto seguito e riguardava il tentativo di definire un codice deontologico per tale personale. L’iniziativa si era concretizzata con la nomina di una Commissione con l’incarico di:
definire criteri per un codice deontologico del personale della scuola che consenta alla categoria di veder tutelata la propria dignità, sia personale che professionale, anche al fine di potenziare la qualità del sistema scolastico.
D.M. 2 novembre 2001, Nomina Commissione. Carta dei diritti e dei doveri dei professori.
La Commissione avrebbe concluso i lavori richiamando per la definizione del codice i principi della Carta Costituzionale; erano state anche diffuse una serie di raccomandazioni agli stessi organi di governo per una maggiore attenzione ai profili professionali dei docenti e alla professionalizzazione dell’insegnamento e in questo senso vi era stata nel 2003 anche la condivisione del CNPI (Consiglio Nazionale Periti Industriali). In realtà, proprio la particolare valenza e delicatezza del lavoro dei docenti hanno fatto emergere la consapevolezza che non si può legare la funzione docente alla definizione di una serie di principi valoriali, per quanto universalmente condivisi: essa va riferita alla serietà professionale, all’impegno, all’onestà intellettuale, al senso di responsabilità che ciascun docente deve assumere nel lavoro nei confronti di colleghi, superiori, genitori, allievi, il cui successo formativo dipende molto spesso dall’efficacia delle strategie adottate. Lo stesso CNPI avrebbe dichiarato di non condividere pienamente la stesura in un documento di quel genere, per cui aveva formulato un parere decisamente carico di perplessità:
Il codice deontologico dei docenti, anche per le peculiarità della relazione educativa e le caratteristiche dell’attività didattica, non può con figurarsi come un decalogo prescrittivo di comportamento professionale. Il codice indica valori, orientamento, criteri per le autonome decisioni dei docenti nelle varie situazioni professionali e nelle relazioni tra i diversi soggetti coinvolti nell’attività scolastica.
Parere CNPI. Adunanza 11 settembre 2002.
Poi, il tutto non ha avuto seguito. Nel frattempo, si concretizzava con la legge 10 marzo 2000, n. 62, il passaggio già ricordato del nostro sistema di istruzione e formazione verso quello più articolato di sistema scolastico pubblico paritario, ponendo fine a una questione storica che ha visto a lungo contrapposti i due schieramenti dei laici e dei cattolici dall’inizio dello Stato unitario e che aveva avuto come passaggio determinante l’approvazione della Carta Costituzionale.
Infatti, nell’art. 33 della Costituzione si afferma che
l’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento. La Repubblica detta le norme generali sull’istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi. Enti e privati hanno diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato.
L’art. 33 ha delineato una scuola democratica, aperta a tutti, ispirata a due principi fondamentali, la libertà d’insegnamento e la libertà di iniziativa del docente che svolge una funzione educativa, non omologabile a un ruolo meramente esecutivo. Questi principi hanno a loro volta indotto un altro principio, quello della pluralità dei soggetti educativi che contraddice la visione di un solo modello di scuola, rifiutando quello esclusivo di uno Stato educatore. In realtà, a prevalere per lungo tempo è stata l’espressione «senza oneri per lo Stato» che ha spinto a considerare le spese per le iniziative di istruzione non statali come una questione esclusivamente privata e che non avrebbero dovuto essere sostenute con finanziamenti pubblici.
Dopo che nel corso degli anni le posizioni si sono avvicinate moltissimo rifiutando scelte aprioristiche, è maturata la svolta per la creazione di un sistema pubblico paritario con l’obiettivo da parte dello Stato di ampliare l’offerta formativa, promuovendo la condizione di integrazione dei diversi sistemi e considerando il fatto che è l’alunno il destinatario dell’intervento pubblico sia che frequenti una scuola statale sia che ne frequenti una non statale ma paritaria. Si afferma nel testo della legge:
Art. 1
1. Il sistema nazionale di istruzione, fermo restando quanto previsto dall'art. 33, secondo comma, della Costituzione, è costituito dalle scuole statali e dalle scuole paritarie private e degli enti locali. La Repubblica individua come obiettivo prioritario l'espansione dell'offerta formativa e la conseguente generalizzazione della domanda di istruzione dall'infanzia lungo tutto l'arco della vita.
Legge 10 marzo 2000, n. 62 Norme per la parità scolastica e disposizioni sul diritto allo studio e all'istruzione.
Il riconoscimento della parità scolastica assicura alle scuole private paritarie piena libertà nelle scelte culturali e pedagogico-didattiche; tali scuole svolgono un servizio pubblico per cui sono aperte a quanti chiedono l’iscrizione, compresi gli alunni e gli studenti con handicap. Non hanno carattere di obbligatorietà per gli alunni le attività extra-curriculari che richiedono l’adesione a una determinata ideologia o confessione religiosa.
La parità è riconosciuta alle scuole non statali che adottano i seguenti parametri di qualità:
Art. 1, comma 4.
a) un progetto educativo in armonia con i principi della Costituzione; un piano dell'offerta formativa conforme agli ordinamenti e alle disposizioni vigenti; attestazione della titolarità della gestione e la pubblicità dei bilanci;
b) la disponibilità di locali, arredi e attrezzature didattiche propri del tipo di scuola e conformi alle norme vigenti;
c) l'istituzione e il funzionamento degli organi collegiali improntati alla partecipazione democratica;
d) l'iscrizione alla scuola per tutti gli studenti i cui genitori ne facciano richiesta, purché in possesso di un titolo di studio valido per l'iscrizione alla classe che essi intendono frequentare;
e) l'applicazione delle norme vigenti in materia di inserimento di studenti con handicap o in condizioni di svantaggio;
f) l'organica costituzione di corsi completi: non può essere riconosciuta la parità a singole classi, tranne che in fase di istituzione di nuovi corsi completi, ad iniziare dalla prima classe;
g) personale docente fornito del titolo di abilitazione;
h) contratti individuali di lavoro per personale dirigente e insegnante che rispettino i contratti collettivi nazionali di settore (Legge n. 62/2000).
Nel triennio successivo all’emanazione della legge n. 62/2000, quasi tutte le scuole private, pareggiate e legalmente riconosciute sono entrate a far parte del sistema paritario. Tale operazione è stata condotta con l’emanazione di varie disposizioni, poi raccolte nella Circolare Ministeriale n. 31 del 18 marzo 2003, che ha definito quali scuole paritarie «le istituzioni scolastiche non statali e degli enti locali che, a partire dalla scuola dell'infanzia, corrispondono agli ordinamenti generali dell'istruzione, sono coerenti con la domanda formativa delle famiglie e sono caratterizzate da requisiti di qualità ed efficacia fissati dalla legge medesima».
Il riconoscimento della parità è di competenza dell’Ufficio Scolastico Regionale; esso consente agli alunni delle scuole paritarie un trattamento scolastico equipollente a quello degli alunni delle scuole statali, con la possibilità di conseguire titoli di stato legalmente riconosciuti.
Tale riconoscimento non ha carattere definitivo: gli Uffici Scolastici Regionali devono accertare, almeno ogni tre anni, la conservazione dei requisiti prescritti per la parità, anche revocando, ove questi non sussistano, il precedente riconoscimento.
L’operatività delle scuole paritarie viene definita attraverso due documenti: il Progetto educativo, curato dall’ente gestore e che definisce l’orientamento culturale o religioso e l’indirizzo pedagogico e didattico della scuola; il Piano triennale dell’offerta formativa, che realizza i principi dichiarati nel Progetto e li concretizza nelle attività curricolari e nell’impianto organizzativo.
La Circolare ha previsto la possibilità anche per queste scuole di istituire specifici organi collegiali.
Successivamente, il D.lgs 13 aprile 2017, artt. 2-bis e 2-ter4-bis, ha stabilito che dall'anno scolastico 2023/2024 il personale in servizio presso le scuole secondarie che hanno già o chiedono il riconoscimento della parità deve conseguire l’abilitazione secondo quanto prescritto nel D.lgs 13 aprile 2017, artt. 2-bis e 2-ter-bis. Comunque, in via straordinaria, per gli anni scolastici 2023/2024, 2024/2025 e 2025/2026, per i docenti che hanno chiesto l’iscrizione a corsi di formazione iniziale e di abilitazione all’insegnamento e che non li hanno espletati per mancanza di offerta formativa, viene considerato valido come requisito l’avere prestato servizio presso le scuole paritarie per almeno tre anni, anche non continuativi, nei dieci anni precedenti.
Come tutte le altre, anche le istituzioni scolastiche paritarie sono soggette alla valutazione prevista per il sistema nazionale. Il DPR 28 marzo 2013, n. 80 Regolamento sul sistema nazionale di valutazione in materia di istruzione e formazione ha stabilito che il RAV (Rapporto di Autovalutazione) sia compilato da tutte le istituzioni scolastiche statali e paritarie, prevedendo la pubblicazione di una specifica nota per queste ultime.
Una specifica nota, n. 13483, è stata emanata nel maggio 2022 a cura del Ministero per la definizione dei documenti strategici per il triennio 2022-2025. Nella nota si legge:
Tutte le istituzioni scolastiche paritarie devono prima effettuare l’attività di censimento per potere compilare il Questionario Scuola nella piattaforma RAV. Il censimento deve essere effettuato anche nel caso in cui la scuola paritaria debba confermare la struttura già censita nell’a.s. 2018/19. Sono tenute all’attività di censimento anche le scuole paritarie costituite solo da scuole dell’infanzia. Si evidenzia, infatti, che l’estensione del censimento alle scuole dell’infanzia per l’individuazione degli istituti principali e dei plessi collegati non è solo funzionale alla compilazione dei documenti strategici bensì all’aggiornamento dell’anagrafica delle scuole paritarie.
3. L’intervento di Letizia Moratti
Al governo di centrosinistra nel periodo che va dal 2001 al 2006 era subentrata una coalizione di centrodestra. Per cinque anni consecutivi il Ministero dell’Istruzione sarebbe stato retto da Letizia Moratti che, nel presentare il programma del suo governo il 18 luglio 2001, aveva illustrato le proprie intenzioni:
Al centro va riservata la definizione dei curricoli nazionali, il cui contenuto dovrà rispecchiare la nostra cultura e la nostra tradizione, elementi essenziali per la costruzione e la conservazione dell’identità nazionale. I curricoli nazionali potranno essere integrati dalle Regioni e dagli istituti scolastici, e in questo modo sarà possibile l’apporto delle diversità e delle ricchezze regionali e locali. Serve, altresì, un centro che valuti il funzionamento delle scuole e i livelli di apprendimento degli studenti. Occorre per questo un servizio nazionale di valutazione del sistema scolastico nel suo complesso, autonomo e indipendente, che definisca gli standard di qualità delle scuole e operi sui livelli finali di preparazione degli studenti, al fine di migliorarli costantemente ed in modo omogeneo nel Paese. Gli investimenti sulla docenza vanno concentrati sulla definizione di articolazioni delle funzioni, che si concretizzino nel riconoscimento di un diverso impegno professionale sia rispetto al tempo di lavoro sia in relazione all’arricchimento del profilo professionale con conseguenti riconoscimenti economici. In questo senso, anche alla luce della riforma della dirigenza scolastica, appare opportuno definire, tempestivamente, una separata area contrattuale per il personale docente ed un nuovo stato giuridico coerente con la piena attuazione dell’autonomia delle scuole. Si intende inoltre realizzare, nel confronto con le associazioni delle famiglie e con le organizzazioni sindacali di categoria, codici deontologici flessibili, che consentano alla categoria stessa di tutelare quella dignità che ad essa compete.
Uno dei primi provvedimenti del Governo era stata la sospensione delle iniziative di Berlinguer e De Mauro e la pubblicazione della legge delega per la definizione di norme generali sull’istruzione e dei livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e formazione professionale, legge 28 marzo 2003, n. 53, art. 7, punto 12, che avrebbe avviato una fase di riorganizzazione del sistema completata con la successiva pubblicazione del D.Lgs 19 febbraio 2004, n. 59, che aveva definito le norme generali relative alla scuola dell'infanzia e al primo ciclo dell’istruzione per come ancora oggi sono sostanzialmente in vigore.
Nella Legge delega (Articolo 2), si affermava che
a. È promosso l'apprendimento in tutto l'arco della vita e sono assicurate a tutti pari opportunità di raggiungere elevati livelli culturali e di sviluppare le capacità e le competenze, attraverso conoscenze e abilità, generali e specifiche, coerenti con le attitudini e le scelte personali, adeguate all'inserimento nella vita sociale e nel mondo del lavoro, anche con riguardo alle dimensioni locali, nazionale ed europea.
Sempre all’art. 2, si affermava che sarebbe stato assicurato a tutti il diritto all’istruzione e alla formazione per almeno dodici anni o, comunque, sino al conseguimento di una qualifica entro il 18° anno di età; tale diritto sarebbe stato realizzato in un sistema d’istruzione e formazione professionale garante dei livelli essenziali di prestazione definiti su base nazionale a norma dell’art. 117, secondo comma, lettera m, della Costituzione. Si precisava, inoltre, che tale sistema era articolato nella scuola dell’infanzia, in un primo ciclo che comprendeva la scuola primaria, già scuola elementare, e la secondaria di primo grado, già scuola media, e in un secondo ciclo che comprendeva il sistema dei licei e quello dell’istruzione e della formazione professionale.
Nella Legge di delega, per quanto concerneva la scuola dell’infanzia, si sottolineava l’importanza di tale segmento educativo per lo sviluppo integrale dei bambini e delle bambine e per la promozione delle loro potenzialità di relazione, autonomia, creatività e apprendimento. Si affermava che tale scuola, nel rispetto della primaria responsabilità educativa dei genitori, contribuiva alla formazione integrale dei bambini e delle bambine e, nella sua autonomia e unitarietà didattica e pedagogica, realizzava la continuità educativa con il complesso dei servizi all’infanzia e con la scuola primaria. Veniva assicurata la sua durata triennale e la generalizzazione dell’offerta formativa, prevedendo la possibilità di iscrizione, secondo criteri di gradualità e in forma di sperimentazione, alle bambine e ai bambini che compivano i tre anni di età entro il 30 aprile dell’anno scolastico di riferimento, anche prevedendo l’ingresso di nuove professionalità e modalità organizzative.
Il quadro delineato dalla legge delega venne confermato dal D.lgs. n. 59 del 19 febbraio 2004, nel quale all’art. 1 si stabiliva che
1. la scuola dell’infanzia, non obbligatoria e di durata triennale, concorre all’educazione e allo sviluppo affettivo e psicomotorio, cognitivo, morale, religioso e sociale delle bambine e dei bambini, promuovendone le potenzialità di relazione, autonomia, creatività, apprendimento e ad assicurare una effettiva eguaglianza delle opportunità educative; nel rispetto della primaria responsabilità educativa dei genitori, contribuisce alla formazione integrale delle bambine e dei bambini e, nella sua autonomia e unitarietà didattica e pedagogica realizza il profilo educativo e la continuità educativa con il complesso dei servizi all’infanzia e con la scuola primaria;
2. è assicurata la generalizzazione dell’offerta formativa e la possibilità di frequenza della scuola dell’infanzia.
Il D.lgs. n. 59/2004 stabilì un orario di funzionamento che variava da un minimo di 875 ore annuali (sezioni funzionanti solo in orario antimeridiano) a un massimo di 1700, a seconda dei progetti educativi delle singole scuole, anche tenendo conto delle richieste delle famiglie.
La legge n. 53/2003 introdusse, per la prima volta, la possibilità di accedere alla scuola dell’infanzia per i bambini con un’età inferiore ai tre anni.
Dall’anno scolastico 2003/2004 fu avviata una prima fase di sperimentazione dell’anticipo riservata ai bambini che avrebbero compiuto i tre anni entro il 28 febbraio 2004, tenendo, però, conto:
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della ricettività delle strutture;
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della funzionalità dei servizi;
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della disponibilità delle risorse finanziarie dei Comuni.
La sua attuazione non fu pertanto automatica, ma dipese dalla presenza delle predette condizioni. L’anticipo sarebbe stato attivato sino al 2006, abrogato nel 2007 e nuovamente introdotto nel 2009 con il DPR del 20 marzo 2009, n. 89.
In realtà, l’elemento più discontinuo rispetto alla tradizione della scuola dell’infanzia fu l’abbandono dell’impostazione degli Orientamenti del 1991 e l’introduzione dei piani educativi, definiti Indicazioni nazionali per i piani personalizzati delle attività educative nelle scuole dell’infanzia.
In quei piani trovarono posto, in sostituzione dei campi di esperienza, quattro macro-aree legate a obiettivi specifici di apprendimento: il sé e l’altro; corpo, movimento, salute; funzione e produzione di messaggi; esplorare, conoscere, progettare.
Nel dettaglio, la struttura delle Indicazioni per i piani personalizzati della scuola dell’infanzia era la seguente:
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obiettivi generali del processo formativo;
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obiettivi specifici di apprendimento;
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obiettivi formativi e piani personalizzati;
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portfolio delle competenze individuali.
Gli obiettivi formativi venivano ricondotti alle finalità degli Orientamenti, identità, autonomia e competenze; quelli specifici di apprendimento riguardavano la responsabilità progettuale delle istituzioni scolastiche. Nell’Allegato A al D.lgs. n. 59/2004, relativo alla scuola dell’infanzia, si affermava che il percorso educativo avrebbe finalizzato gli Obiettivi specifici di apprendimento (OSA) in modo da consentire alle capacità personali di ciascun bambino di trasformarsi in competenze; si affermava che tali obiettivi indicati nei piani personalizzati a livello nazionale,
non hanno perciò alcuna pretesa di validità per i casi singoli, siano essi le singole istituzioni scolastiche o, a maggior ragione, i singoli allievi. È compito esclusivo di ogni scuola autonoma e dei docenti, infatti, nel concreto della propria storia e del proprio territorio, assumersi la libertà di mediarli, interpretarli, ordinarli, distribuirli, ed organizzarli negli obiettivi formativi delle diverse Unità di apprendimento, considerando, da un lato, le capacità complessive di ogni bambino e, dall’altro, le teorie pedagogiche e le pratiche didattiche più adatte a trasformarle in competenze. Allo stesso tempo tuttavia, è compito esclusivo di ogni scuola autonoma e dei docenti assumersi la responsabilità di «rendere conto» delle scelte fatte e di porre le famiglie e il territorio nella condizione di conoscerle e di condividerle.
L’architettura delineata nella legge n. 53/2003 e nel provvedimento attuativo, il D.lgs. n. 59/2004, prevedeva per il primo ciclo di istruzione, una articolazione interna con un anno iniziale e due bienni di scuola primaria, completati da un biennio e un anno finale di scuola secondaria di primo grado, 1+2+2+2+1 (legge n. 53/2003, art. 2 lettera f). «Scuola primaria» diventava la nuova denominazione della scuola elementare, termine peraltro già utilizzato per indicare tale grado scolastico, ma mai istituzionalizzato.
Nei Piani di studio personalizzati della scuola media, si affermava:
successiva alla scuola primaria, la scuola secondaria di primo grado accoglie gli studenti e le studentesse nel periodo di passaggio dalla fanciullezza all’adolescenza (Allegato C, D.lgs. n. 59/2004).
Nell’impostazione morattiana, se la primaria era la scuola del bambino, la scuola secondaria di primo grado era quella del preadolescente; la soluzione della scuola di base di durata settennale di De Mauro avrebbe finito, secondo lo staff che lavorava alle riforme, Bertagna e Chiosso in primis, per elementarizzare tutto il primo ciclo dell’istruzione: per quello la scelta era stata di caratterizzare la scuola primaria come scuola del bambino e la secondaria di primo grado come quella del preadolescente. Veniva ribadita, in sostanza, la necessità di una scuola intermedia tra primarietà elementare e secondarietà articolata in vari indirizzi di studio.
Le finalità della scuola secondaria di primo grado erano delineate nell’art. 9 del D.lgs. n. 59/2004; si affermava che, attraverso le discipline, essa promuoveva le capacità autonome di studio e il rafforzamento delle attitudini all’integrazione sociale, curava la dimensione sistematica delle discipline e sviluppava progressivamente le competenze e le capacità di scelta corrispondenti alle attitudini e alle vocazioni degli allievi.
L’impianto delle Indicazioni nazionali per i piani di sviluppo personalizzati nella scuola secondaria di primo grado riprendeva quelli della scuola primaria, prevedendo:
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obiettivi generali del processo formativo (scuola dell’educazione integrale della persona; che colloca nel mondo; orientativa; dell’identità; della motivazione e del significato; della prevenzione dei disagi e del recupero degli svantaggi; della relazione educativa);
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obiettivi specifici di apprendimento;
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obiettivi formativi;
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unità di apprendimento e piani di studio personalizzati;
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portfolio delle competenze individuali.
Anche la definizione delle unità di apprendimento (UA) era molto simile nelle Indicazioni dei vari ordini di scuola; relativamente alla scuola primaria si affermava che le UA erano costituite:
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dalla progettazione di uno o più obiettivi formativi tra loro integrati (definiti anche con i relativi standard di apprendimento, riferiti alle conoscenze e alle abilità coinvolte);
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dalle attività educative e didattiche unitarie, dai metodi, dalle soluzioni organizzative ritenute necessarie per concretizzare gli obiettivi formulati;
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dalle modalità con cui verificare sia i livelli delle conoscenze e delle abilità acquisite, sia se e quanto tali conoscenze e abilità si fossero trasformate in competenze personali di ciascuno. Allegato B. Indicazioni nazionali per i piani di studio personalizzati nella scuola primaria (D.lgs. n. 59/2004).
L’architettura del primo ciclo di istruzione delineata in quei provvedimenti è a tutt’oggi sostanzialmente invariata.
Per quanto concerneva l’istruzione di secondo grado, erano definite due filiere: la prima dei licei e la seconda dell’istruzione e formazione professionale. Il sistema dei licei, che avrebbe dovuto assorbire anche gli istituti tecnici, si articolava in otto settori specialistici: artistico, classico, economico, linguistico, musicale e coreutico, scientifico, tecnologico e delle scienze umane. Liceo artistico e tecnologico a loro volta si suddividevano in indirizzi. Per i licei era prevista una durata quinquennale, distinta in due periodi biennali e in un quinto anno che si concludeva con l’esame di Stato e con il conseguimento del titolo necessario per accedere all’università e all’istruzione tecnica superiore.
Per quel che concerneva il sistema dell’istruzione e della formazione professionale era previsto il conseguimento di titoli e qualifiche di differente livello, spendibili sull’intero territorio nazionale, purché rispondenti a standard formativi in linea con i livelli essenziali delle prestazioni. La durata degli studi era quadriennale e i titoli e le qualifiche conseguiti consentivano di sostenere l’esame di Stato, previa frequenza di un quinto anno da realizzarsi d’intesa con l’università. Senza il completamento del percorso era preclusa la frequenza universitaria, mentre l’abbandono del sistema poteva avvenire solo con il conseguimento di una qualifica professionale su base triennale.
Il disposto normativo riconosceva pari dignità ai due percorsi, prevedendo anche la possibilità di passaggi tra gli indirizzi dei licei e da questi ultimi all’istruzione-formazione professionale e viceversa. Veniva, infine, aperta la possibilità per gli studenti di effettuare stage, esperienze formative e altro, attestati da certificazioni di competenze rilasciate dalle scuole.
4. Le Indicazioni per il curricolo del ministro Fioroni
Nel 2006 ritornò al governo il centrosinistra per un breve arco temporale; la legislatura, infatti, si sarebbe conclusa anticipatamente nel 2008. In quel biennio, il Presidente del Consiglio dei Ministri Romano Prodi affidò il Ministero dell’Istruzione a Giuseppe Fioroni: l’evento più importante fu costituito dalla pubblicazione delle Indicazioni per il curricolo relative alla scuola dell’infanzia, primaria, e secondaria di primo grado, mentre la struttura morattiana del sistema non fu oggetto di cambiamenti se non per piccoli aspetti.
Le Indicazioni furono presentate in un unico testo, che riguardava tutti e tre gli ordini di scuola, secondo una visione unitaria che interessava la scolarità 3-14 anni. Si intendeva così sottolineare la continuità fra i tre ordini scolastici, accomunati da un documento di apertura dal titolo Cultura, Scuola, Persona in cui venivano delineati obiettivi, finalità e centralità della scuola nel primo decennio del XXI secolo.
Per quanto concerneva la scuola dell’infanzia, si affermava nel Decreto Ministeriale 31 luglio 2007:
La scuola dell’infanzia è oggi un sistema pubblico integrato in evoluzione, che rispetta le scelte educative delle famiglie e realizza il senso nazionale e universale del diritto all’istruzione. Nelle sue diverse espressioni, ha prodotto sperimentazioni, ricerche e contributi che costituiscono un patrimonio pedagogico riconosciuto in Europa e nel mondo. Per ogni bambino o bambina, la scuola dell’infanzia si pone la finalità di promuovere lo sviluppo dell’identità, dell’autonomia, della competenza, della cittadinanza.Indicazioni per il curricolo per la scuola dell’infanzia e per il primo ciclo d’istruzione.
Quelle finalità rilanciavano gli stessi Orientamenti del 1991, con l’aggiunta dell’educazione alla cittadinanza; la prospettiva era quella di:
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Svilupparel’identità, che significava imparare a conoscere se stessi in relazione a diverse forme in cui essa si manifestava: figlio, bambino, compagno, scolaro;
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Promuovere l’autonomia, che comportava l’acquisizione della capacità di realizzarsi in relazione agli altri, ai cambiamenti della propria identità corporea, di imparare e comprendere le regole della vita quotidiana, di assumere atteggiamenti consapevoli e responsabili;
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Maturare competenzee padronanze, che voleva dire sviluppare attitudini, provare curiosità e interesse per le attività che si facevano a scuola e in sezione, riflettere e negoziare significati;
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Sviluppare il senso di cittadinanza, che significava rapportarsi correttamente agli altri, assumere un atteggiamento di apertura nei confronti delle diversità, riconoscere diritti e doveri propri e altrui.
Le Indicazioni del 2007 riproponevano, seppure in parte modificata, la struttura del curricolo legata ai campi di esperienza, come nel testo degli Orientamenti del 1991: il sé e l’altro; il corpo e il movimento; linguaggi, creatività, espressione; i discorsi e le parole; la conoscenza del mondo.
Per ogni campo venivano indicati i «traguardi per lo sviluppo delle competenze», che proponevano agli insegnanti spunti per predisporre gli ambienti di apprendimento e creare occasioni per lo sviluppo, in senso unitario e globale, delle competenze del bambino nell’età 3-6 anni. Un aspetto particolarmente evidenziato era quello dell’ambiente di apprendimento. La scuola dell’infanzia, si sottolineava nel testo, si proponeva come luogo «di relazione, di cura e di apprendimento».
L’ambiente di apprendimento è organizzato dagli insegnanti in modo che ogni bambino si senta riconosciuto, sostenuto e valorizzato: il bambino con competenze forti, il bambino la cui famiglia viene da lontano, il bambino con fragilità e difficoltà, il bambino con bisogni educativi specifici, il bambino con disabilità, poiché tutti devono saper coniugare il senso dell’incompiutezza con la tensione verso la propria riuscita.
Indicazioni per il curricolo per la scuola dell’infanzia e per il primo ciclo d’istruzione. Decreto Ministeriale 31 luglio 2007.
L’organizzazione degli ambienti avrebbe dovuto essere caratterizzata, in questo senso, da:
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spazi accoglienti, caldi, curati e orientati al gusto;
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luoghi per l’offerta di un tempo disteso nel quale il bambino potesse giocare, dialogare, effettuare scoperte, ecc.;
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ambienti di intensa partecipazione volta a incoraggiare reciprocità e cooperazione.
L’attenzione all’ambiente di apprendimento sarebbe stata ribadita anche nella parte delle Indicazioni relativa alla scuola primaria e alla secondaria di primo grado.
Il primo ciclo d’istruzione comprende la scuola primaria e la scuola secondaria di primo grado, già elementare e media. Esso ricopre un arco di tempo fondamentale per l’apprendimento e per la costruzione dell’identità degli alunni, nel quale si pongono le basi e si sviluppano le competenze indispensabili per continuare ad apprendere a scuola e lungo l’intero arco della vita (Indicazioni per il curricolo, D.M. 2007).
Il ministro Fioroni riaffidò la definizione del curricolo alle singole istituzioni scolastiche nel Piano dell’offerta formativa, nel rispetto delle «finalità, dei traguardi per lo sviluppo delle competenze e degli obiettivi di apprendimento posti dalle Indicazioni Nazionali». Alla scuola primaria veniva riconosciuta la fondamentale funzione di porre le basi per i futuri apprendimenti; si leggeva nel testo:
La scuola primaria mira all’acquisizione degli apprendimenti di base, come primo esercizio dei diritti costituzionali. Ai bambini e alle bambine che la frequentano va offerta l’opportunità di sviluppare le dimensioni cognitive, emotive, affettive, sociali, corporee, etiche e religiose, e di acquisire i saperi irrinunciabili. Si pone come scuola formativa che, attraverso gli alfabeti delle discipline, permette di esercitare differenti potenzialità di pensiero, ponendo così le premesse per lo sviluppo del pensiero riflessivo e critico. Per questa via si formano cittadini consapevoli e responsabili a tutti i livelli, da quello locale a quello europeo (Indicazioni per il curricolo, D.M. 2007).
Relativamente alla scuola secondaria di primo grado, nelle Indicazioni si affermava che in essa si realizzava l’accesso alle discipline come punti di vista sulla realtà e come modalità di interpretazione, simbolizzazione e rappresentazione del mondo. La valorizzazione delle discipline avveniva pienamente quando si evitavano due rischi: sul piano culturale, quello della frammentazione dei saperi; sul piano didattico, quello della impostazione trasmissiva.
In quel segmento educativo, si doveva favorire una più approfondita padronanza dei quadri disciplinari in un’ottica di un sapere non parcellizzato, ma organico e integrato: in quel contesto risultava legittimo parlare di competenze come capacità di saper utilizzare in modo finalizzato i differenti apporti delle specifiche discipline di studio. Ognuna di esse era corredata dai «traguardi per lo sviluppo delle competenze», declinate in un percorso continuo da 6 a 14 anni, tale di configurare un vero e proprio curricolo verticale dell’intero ciclo ottennale.
Nel corso degli otto anni venivano poste delle tappe intermedie e conclusive al terzo e al quinto anno della scuola primaria e al terzo anno della secondaria di primo grado (Obiettivi di apprendimento); la stessa impostazione veniva ripetuta per tutte le discipline.
Le Indicazioni per il curricolo del 2007 delineavano, rispetto ai Piani di Studio Personalizzati del 2004, un percorso continuo e progressivo meno interessato a distinguere, come nell’impostazione morattiana, la scuola del fanciullo da quella del preadolescente. Veniva, di contro, valorizzata l’educazione alla cittadinanza non come disciplina a sé, ma come forma di mediazione didattica che interessava tutti gli specifici linguaggi disciplinari; le competenze per l’esercizio della cittadinanza attiva erano, in altri termini, promosse continuamente nell’ambito di tutte le attività di apprendimento, utilizzando e finalizzando opportunamente i contributi che ciascuna disciplina avrebbe potuto offrire. Obiettivi irrinunciabili dell’educazione alla cittadinanza rimanevano la costruzione del senso di legalità e lo sviluppo di un’etica alla responsabilità.
Sia per la scuola primaria sia per la scuola secondaria di primo grado, così come per la scuola dell’infanzia, si confermava la grande importanza dell’ambiente di apprendimento e degli spazi di studio e di lavoro, tanto che era proposta una serie di indicatori per la definizione di un adeguato ambiente educativo.
Le impostazioni metodologiche venivano così sintetizzate:
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valorizzare l’esperienza e le conoscenze degli alunni: si metteva l’accento sui saperi acquisiti nei contesti informali;
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attuare interventi adeguati nei riguardi delle diversità: l’integrazione delle differenze restava un punto irreversibile della scuola italiana;
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favorire l’esplorazione e la ricerca: era la sollecitazione a un apprendimento significativo e non meramente mnemonico;
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incoraggiare l’apprendimento collaborativo: si voleva valorizzare la dimensione gruppale e non solo individuale nelle attività di studio;
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promuovere la consapevolezza del proprio modo di apprendere: significava educare gli alunni a essere «imprenditori» del loro percorso formativo;
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realizzare percorsi in forma di laboratorio: si trattava di favorire l’operatività, il «fare della mente» e la riflessione su quanto si realizzava.
Le Indicazioniper il curricolo del 2007 rappresentarono una tappa importante per la scuola secondaria di primo grado, tanto che sarebbero state confermate anche dalle scelte del Ministro successivo, in attesa di un testo coordinato con quelle precedenti della Moratti. La brevità del lasso di tempo del governo Fioroni impedì probabilmente interventi significativi sull’istruzione secondaria che si concretizzarono solo nel ripristino dell’istruzione tecnica e nella riconfigurazione della formazione superiore liceale, tecnica e professionale.
5. I tagli lineari del periodo 2008-2012
Nel 2008 ritornò al governo del Paese il centrodestra con il Dicastero dell’Istruzione, Università e Ricerca che fu assegnato a Maria Stella Gelmini. Le azioni poste in essere nel corso del triennio possono essere ricondotte per tutti i gradi scolastici a tre dispositivi normativi: il DPR n. 81/2009; il DPR n.89/2009; l’Atto di indirizzo del settembre 2009.
In realtà, qualche mese dopo l’insediamento, in relazione al particolare momento che viveva il nostro Paese, il Parlamento avrebbe votato la legge n. 133 dell’agosto 2008, in cui, all’art. 64, vennero definite le misure di contenimento della spesa per l’istruzione.
I parametri di revisione degli assetti ordinamentali del sistema scolastico furono molteplici: accorpamento delle classi di concorso, revisione dei criteri per la formazione delle classi, rideterminazione del numero dei docenti e del personale ATA, ridimensionamento della rete scolastica. I provvedimenti conseguenti si sarebbero tradotti nei cosiddetti «tagli lineari» che, nei tre anni e mezzo di durata del governo, avrebbero portato a una consistente riduzione di tutto il personale del comparto dell’istruzione.
Per quel che riguardò la scuola dell’infanzia, nel DPR del 20 marzo 2009, n. 81, relativo alle norme per la riorganizzazione scolastica, si stabilì che le sezioni sarebbero state costituite di norma con un numero non inferiore a 18 e non superiore a 26 alunni (elevabili fino a 29).
Più articolato risultava il quadro di tale scuola nel DPR del 20 marzo 2009, n. 89, relativo alla revisione dell’assetto «ordinamentale, organizzativo e didattico della scuola dell’infanzia e del primo ciclo d’istruzione». Veniva ripristinata, all’art. 2, la possibilità di anticipare l’iscrizione per i bambini che compivano gli anni entro il 30 aprile dell’anno scolastico di riferimento, norma abrogata dal ministro Fioroni e sostituita con l’istituzione delle «sezioni primavera» per i bambini dai due ai tre anni. L’orario di funzionamento fu stabilito in 40 ore settimanali con possibilità di estensione fino a 50 ore; era confermata anche la possibilità di un tempo ridotto antimeridiano di 25 ore settimanali.
Nell’Atto di indirizzo dell’8 settembre 2009 si ribadirono i caratteri fondativi della scuola dell’infanzia, intesa come luogo educativo intenzionale di particolare rilevanza, in cui le bambine e i bambini realizzavano una parte sostanziale della propria relazione con il mondo. Si evidenziava come nel nostro Paese si fossero raggiunti livelli di qualità molto alti nei servizi educativi 3-6 anni, che avevano permesso di superare l’obiettivo europeo di scolarizzare il 90% di bambini dai 3 ai 5 anni.
Tra le priorità di quel segmento educativo venivano indicate le seguenti necessità:
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dialogare e collaborare con le famiglie e con altre istituzioni per promuovere in modo concreto un’autentica centralità educativa del bambino;
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proporre un ambiente educativo capace di offrire possibili risposte al bisogno di cura e di apprendimento;
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realizzare un progetto educativo che avrebbe reso concreta l’irrinunciabilità delle diverse dimensioni della formazione: sensoriale, corporea, artistico-espressiva, intellettuale, psicologica, etica, sociale;
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fare della scuola un luogo significativo per interventi compensativi, finalizzati alla piena attuazione delle pari opportunità.
Nell’Atto di indirizzo venivano poi richiamate esperienze di particolare rilevanza, quali la «Casa dei bambini» ideata da Maria Montessori, le sperimentazioni dei progetti ALICE, ORME, ASCANIO e il modello educativo di Reggio Children; in quell’ultimo caso si trattava di un patrimonio educativo che era oggetto di attenzione sia in ambito nazionale sia internazionale, del quale si erano interessati anche Jerome Bruner e Howard Gardner.
Ritornando alle «sezioni primavera», la loro istituzione era stata prevista nella legge n. 296/2006 (Finanziaria 2007) e sancita da successivi accordi nella Conferenza unificata Stato-Regioni. L’avvio di tali sezioni si prefiggeva, negli intenti del legislatore, l’obiettivo di estendere i servizi educativi nella fascia da 0 a 3 anni, facendo da ponte tra l’asilo nido e la scuola dell’infanzia.
Quella nuova opportunità, infatti, si rivolgeva ai bambini di età compresa tra i due e i tre anni. L’obiettivo della legge era di dare una risposta a una domanda sociale di educazione soprattutto in quelle realtà territoriali del Paese nelle quali i servizi nella fascia 0-3 anni erano insufficienti o pressoché inesistenti.
Nell’anno scolastico 2010/11 risultavano autorizzate in totale 1604 «sezioni primavera» così distribuite:
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445 nel Nord Ovest;
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199 nel Nord Est;
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255 nel Centro;
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527 nel Sud;
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178 nelle Isole.
Circa il 60% delle «sezioni primavera» era gestito da scuole paritarie, prevalentemente aderenti alla FISM (Federazione Italiana Scuole Materne), il 20% da istituzioni scolastiche statali, il 13% da Comuni e il restante 7% da soggetti in convenzione con gestori esterni. Sempre nell’anno scolastico 2010/11 erano risultati iscritti alle «sezioni primavera» 23.142 bambini, di cui 102 con disabilità e oltre 800 con cittadinanza non italiana.
Sul piano educativo, l’esperienza di quelle sezioni era stata finalizzata a offrire un servizio a famiglie che chiedevano un ampliamento degli interventi sociali in questa fascia di età. Va però sottolineato anche un altro aspetto presente nelle intenzioni del legislatore, quello, cioè, di garantire a ogni bambino l’avvio di attività di socializzazione e di apprendimento in un momento della vita che risultava straordinariamente ricco di potenzialità.
Quella consapevolezza, insieme al rapido aumento della partecipazione delle donne alla forza lavoro, avrebbe poi spinto a cercare adeguate soluzioni per i bambini nella fascia di età 0-3, ponendo il problema di investire sul miglioramento di quelli per la primissima infanzia sia per conciliare tempi di lavoro e di cura sia per inserire precocemente i bambini in ambienti educativi di apprendimento.
Le novità apportate dal DPR n. 81/2009 per la scuola primaria furono legate soprattutto all’introduzione del maestro unico prevalente, con il definitivo superamento dell’assetto modulare previsto dalla legge n. 148/1990. Per quanto concerneva il tempo scuola, dall’anno scolastico 2009/10 le classi prime avrebbero funzionato con 24, 27, 30 ore settimanali, mentre le classi successive alla prima avrebbero continuato con 27, 30 ore settimanali. Nulla cambiava, invece, per il tempo pieno, in quanto sia per le prime, sia per tutte le altre classi fu previsto il modello delle 40 ore, con il doppio organico e senza compresenze, ma nei limiti dell’organico assegnato per l’anno scolastico 2008/09.
Tale scelta fu confermata nell’Atto di indirizzo del Ministero, emanato l’8 settembre 2009 in attuazione del DPR n. 89/2009, art. 1 comma 3, nel quale il modello del docente unico o prevalente veniva espressamente indicato come modello da privilegiare:
L’insegnante unico/prevalente è “figura di riferimento” che – nell’esercizio di una responsabilità condivisa – assume un ruolo di coordinamento della relazione educativa nei riguardi del singolo alunno e della classe nel suo insieme, nei rapporti con le famiglie, nell’assunzione dell’impegno di istruzione ed educazione. In tal modo, evitando i rischi della frammentazione disciplinare e della secondarizzazione precoce dei percorsi formativi, vengono favoriti l’equilibrio e l’integrazione tra le esigenze della visione unitaria e quelle dell’articolazione dei diversi contenuti dell’apprendimento.
Anche la scuola secondaria di primo grado fu oggetto di alcuni importanti tagli che ridussero drasticamente il tempo prolungato e impedirono la possibilità di completare l’orario di cattedra con ore a disposizione dell’istituto: le 18 ore di cattedra avrebbero dovuto essere svolte unicamente in attività di insegnamento ordinario.
Nel DPR n. 89 del 20 marzo 2009, all’art. 5, l’orario annuale obbligatorio delle lezioni nella scuola secondaria di primo grado fu fissato a 990 ore, corrispondenti a 29 ore settimanali, più 33 ore da destinare ad attività di approfondimento riferite agli insegnamenti di materie letterarie.
Per quanto riguardava il tempo prolungato, nel medesimo articolo si sottolineava che quelle classi a tempo prolungato sarebbero state ricondotte all’orario normale «in mancanza di servizi e strutture idonei a consentire lo svolgimento obbligatorio di attività in orario pomeridiano e nell’impossibilità di garantire il funzionamento di un corso intero».
Le stesse disposizioni furono ribadite nel DPR n. 81 del 20 marzo 2009, in cui all’art. 12 si stabilì che, in assenza di servizi e strutture idonee per lo svolgimento di attività in fasce orarie pomeridiane di un corso intero, non sarebbero state autorizzate classi a tempo prolungato.
L’Atto di indirizzo dell’8 settembre 2009 riprese le finalità assegnate alla scuola secondaria di primo grado:
La ex scuola media non è più, anche in riferimento all’obbligo, scuola terminale; ha il compito di assicurare ad ogni allievo il consolidamento delle padronanze strumentali (lettura, scrittura, matematica, lingue…) e della capacità di apprendere, oltre ad un adeguato livello di conoscenze e di competenze, che formano la piattaforma su cui costruire il successivo percorso.
Nel documento erano sottolineate alcune specifiche criticità di questo ordine scolastico, quali:
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la difficoltà nel passaggio dalla primaria alla scuola secondaria;
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la presenza di un curricolo molto ampio, tendenzialmente enciclopedico e onnicomprensivo;
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l’appannamento dell’esame di Stato, solo formalmente conclusivo di un intero ciclo di istruzione;
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l’elevata dispersione nel passaggio dalla scuola secondaria di primo grado al biennio delle superiori.
A un accurato esame delle criticità non corrispondeva una analoga proposta di soluzioni credibili, tendenti a fare della scuola secondaria di primo grado un solido ponte verso il successivo ciclo d’istruzione.
Importante dell’Atto di indirizzo fu il richiamo alla necessità di armonizzare le Indicazioni di Moratti e Fioroni e di essenzializzare i curricoli:
Il nuovo Regolamento dell'assetto ordinamentale organizzativo e didattico della scuola dell'infanzia e del primo ciclo di istruzione stabilisce ora che - per un periodo non superiore ai prossimi tre anni scolastici – continuino ad applicarsi le Indicazioni suddette, in attesa che si proceda alla loro compiuta armonizzazione.
Rispetto all’istruzione secondaria, il ministro Gelmini riprese le soluzioni dei due precedenti colleghi, definendo:
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sei licei: artistico, classico, linguistico, musicale coreutico, scientifico (con opzione scienze applicate), delle scienze umane (con opzione economico-sociale);
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due settori degli istituti tecnici: economico, con due indirizzi, e tecnologico, con nove indirizzi;
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due settori degli istituti professionali: industria e artigianato, articolato in due indirizzi, e servizi, organizzato in quattro indirizzi.
La riforma delle scuole secondarie di secondo grado della Gelmini sarebbe stata avviata dall’anno scolastico 2010/2011, ma non avrebbe prodotto significativi cambiamenti.
6. Dalle Indicazioni del ministro Profumo del 2012 alla legge di riforma n. 107/2015
Il provvedimento più importante della fase iniziale del periodo è stato certamente il nuovo testo delle Indicazioni Nazionali a cura del ministro Francesco Profumo, pubblicato il 16 novembre 2012 con decreto n. 254, recante il Regolamento recante indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo d’istruzione, a norma dell’articolo 1, comma 4, del decreto del Presidente della Repubblica 20 marzo 2009, n. 89. Si è trattato di un documento di rilevante importanza per le suggestioni culturali e pedagogiche che esso ha evocato: la conferma del paragrafo iniziale, ad esempio, intitolato Cultura Scuola Persona, richiama molti dei valori fondanti della nostra società, affermando la centralità della persona nei processi formativi ed evocando la necessità di affermare per tutti e per ciascuno una nuova cittadinanza, nella prospettiva della riscoperta di un nuovo umanesimo.
Si legge nella lettera di accompagnamento del Ministro:
Le nuove Indicazioni confermano la validità dell’impianto educativo e culturale della scuola di base italiana che si è venuto consolidando nel corso di tanti anni, con le sue vocazioni di accoglienza e di inclusione, ma siamo consapevoli che occorre ripensare a fondo il modo di essere della scuola; che è necessario fare di più per i nostri ragazzi; che dobbiamo garantire in uno scenario mutato, anche dal punto di vista demografico, più solide competenze ai nostri giovani. Ciò a partire dalla padronanza della lingua italiana, dalle capacità di argomentare e di risolvere problemi, dall’incontro con il nostro patrimonio storico, artistico e ambientale, dalle sempre più indispensabili competenze digitali.
Il testo sottolinea la funzione delle Indicazioni nazionali rispetto al curricolo d’istituto e propone gli elementi per definirlo, con gli obiettivi generali, gli Obiettivi di Apprendimento, i traguardi per lo sviluppo delle competenze, il profilo dello studente, mentre resta fondamentale la conferma della scuola come ambiente di apprendimento.
Ci stiamo avvicinando ora, con tutta probabilità, alla rivisitazione del testo e alcuni documenti sono stati già pubblicati in questo senso, come, ad esempio, la nota del primo marzo 2018, n. 3645, con la quale il Ministero ha diffuso il Documento di lavoro Indicazioni nazionali e nuovi scenari, definito dal Comitato Scientifico Nazionale (CSN) per le Indicazioni per il curricolo della scuola dell'infanzia e del primo ciclo d'istruzione, nel quale si sostiene la necessità di guidare le nuove generazioni nel rilancio di un nuovo umanesimo. D’altro canto, anche il Parlamento Europeo ha pubblicato il 22 maggio 2018 una nuova Raccomandazione per le competenze chiave per l’apprendimento permanente, nella quale, accanto alle conoscenze e abilità è apparso il concetto di atteggiamenti, definiti come capacità e mentalità della persona nell’agire verso la realtà.
Ritornando alle riforme, dopo che era partito nel 2012 il Piano nazionale per il recupero del patrimonio edilizio, anche sul fronte della valutazione delle istituzioni scolastiche si è registrato l’avvio del RAV, nel 2015 poi esteso anche alla scuola dell’infanzia. È stato il DPR n. 80 del 2013, Regolamento sul sistema nazionale di valutazione in materia di istruzione e formazione, a definire le quattro priorità per la realizzazione di tale prospettiva: l’autovalutazione delle istituzioni scolastiche, la valutazione esterna, le azioni di miglioramento, la rendicontazione sociale.
Molto significativi sono stati anche gli interventi nell’ambito del digitale. In particolare, la realizzazione del Piano Nazionale per la scuola digitale (PNSD), definitivamente adottato con decreto n. 851 del MIUR il 27 ottobre 2015, ha contribuito in maniera significativa alla modernizzazione del nostro sistema di istruzione, anche nell’ambito della didattica.
Il 2015 è stato un anno essenziale per la nostra scuola, anche perché sono state promulgate due importanti norme: la prima è stata la Legge Madia n. 124/2015, che, pur non riguardando direttamente le scuole, ha profondamente mutato l’ambito del pubblico impiego; la seconda è stata la legge n. 107/2015 per il rilancio dell’autonomia scolastica, la quale, oltre a intervenire su alcuni aspetti ordinamentali quale l’assetto giuridico territoriale del sistema scolastico, ha riordinato con i decreti di delega del 2017 molti ambiti della scuola, proponendo un nuovo sistema di formazione per l’infanzia 0-6 anni, rivedendo l’istruzione professionale, rivisitando tutto il diritto allo studio e l’ambito dell’integrazione scolastica, oltre a vari interventi minori.
La legge n. 107/2015 è intervenuta con lo scopo fondamentale di completare il processo di autonomia delle istituzioni scolastiche, prevedendo, tra l’altro:
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l’adozione del PTOF, il Piano triennale dell’offerta formativa, che modifica l’art. 3 del DPR n. 275 del 1999, il Regolamento dell’autonomia e, di fatto, sopprime il POF. Grande rilievo è stato dato al principio della flessibilità;
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l’istituzione dell’organico dell’autonomia, che ha consentito alle scuole di progettare specifici percorsi potendo contare su un organico più ampio di quello per la copertura delle sole classi;
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le funzioni e i compiti dei dirigenti scolastici e degli organi collegiali: ai primi è stato riconosciuto anche un lavoro di concertazione e di indirizzo, mentre ai collegi dei docenti è stato assegnato il compito di redigere il PTOF, ai consigli di istituto di approvarlo definitivamente. Modifiche sono state apportate anche al funzionamento del Comitato per la valutazione, per il quale è stata prevista, in alcuni e specifici casi, anche la presenza di genitori e di studenti. Tale organo interviene per aspetti più generali anche della premialità;
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la revisione dello stato giuridico dei docenti, in particolare del periodo di prova e di formazione iniziale e in itinere, ma anche della premialità.
Con la creazione della titolarità di ambito, il disposto è intervenuto anche sulle regole per la mobilità rendendo almeno triennale la permanenza dei docenti nella stessa sede e istituendo il trasferimento tra gli ambiti.
La Legge Madia, pur non riferita in modo specifico alla scuola, è intervenuta, soprattutto con l’attuazione delle deleghe, su molti aspetti della vita della scuola, con il nuovo Codice dei contratti pubblici (CAD), il regime delle visite fiscali, il Codice di giustizia contabile, il licenziamento disciplinare, il lavoro flessibile.
Non sono, infine, mancati altri interventi anche sul fronte del diritto allo studio; in modo particolare, vi sono stati tre provvedimenti che hanno riguardato rispettivamente:
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le Linee guida per l’orientamento permanente;
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le Linee guida per l’accoglienza e l’integrazione degli alunni stranieri;
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le Linee guida per gli alunni adottati.
Il 2 dicembre 2015 il MIUR ha diffuso le prime indicazioni operative per la lotta al bullismo e al cyberbullismo, pubblicando le Linee di orientamento per azioni di contrasto al bullismo e al cyberbullismo che hanno trasferito le funzioni esercitate dagli Osservatori regionali permanenti ai Centri territoriali di supporto (CTS), richiamando l’attenzione su un fenomeno che è in espansione.
A quel provvedimento ha fatto seguito la legge 29 maggio 2017 n. 71, Disposizioni a tutela dei minori per la prevenzione ed il contrasto del fenomeno del cyberbullismo, che, aggiornando le Linee Guida, è diventato il primo strumento legislativo europeo per il contrasto a questo nuovo, preoccupante fenomeno.
Ancora, nel 2015 erano state diffuse le Linee guida per la certificazione delle competenze nel primo ciclo di istruzione e la sperimentazione di un nuovo modello: sulla valutazione vi sarebbero stati moltissimi successivi interventi.
7. L’attuazione delle deleghe della legge n. 107/2015
La pubblicazione delle deleghe previste dalla legge n. 107/2015 era avvenuta in una fase di incertezza politica caratterizzata dal cambio del governo; i lavori erano ripresi con l’audizione del 17 gennaio 2017, quando il Ministro, nell’illustrare le Linee programmatiche della sua azione, aveva assicurato l’impegno di tutto l’esecutivo per un rilancio della scuola e per la formazione dei giovani richiamando l’obiettivo 4 dell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite del 2015 per un’istruzione di qualità per il miglioramento della vita delle persone e per il conseguimento del benessere personale e collettivo.
L’Ufficio Stampa del Ministero aveva diffuso qualche giorno prima, il 14 gennaio, alcune indicazioni sugli otto schemi di decreto: la nona delega, per il riordino in un testo unico coordinato e coerente delle leggi sull’istruzione era stata fatta decadere per predisporre uno specifico disegno di legge. Gli schemi di decreto erano stati predisposti dal Consiglio dei Ministri e inviati alle Commissioni parlamentari e alla Conferenza Unificata per gli specifici pareri: gli Atti dal n. 377 al n. 384 erano stati assegnati il 16 gennaio alla VII Commissione Cultura, XII Affari Sociali e V Bilancio che si erano espressi entro il termine del 17 marzo 2017.
Raccolti i vari pareri che avevano prodotto alcune modifiche ai testi e consultati circa cento soggetti tra associazioni di genitori, movimenti studenteschi, sindacati, esperti, i decreti erano stati pubblicati il 13 aprile 2017 con i numeri progressivi dal 59 al 66.
Il D.lgs n. 59/2017 modificava radicalmente la formazione iniziale e l’accesso all’insegnamento dei docenti della scuola secondaria di 1° e di 2° grado, lasciando invariata quella per i docenti della scuola dell’infanzia e primaria. Il provvedimento, che mirava anche a valorizzare la professionalità docente, definiva un percorso verticale triennale con concorso pubblico nazionale se in possesso di laurea magistrale a ciclo unico e di 24 crediti formativi, successivo percorso triennale di formazione iniziale, tirocinio e inserimento lavorativo (FIT) differente fra posti comuni e di sostegno, accesso al ruolo.
Finalità generali del decreto n. 60/2017 erano la promozione della cultura e delle arti e la valorizzazione del patrimonio e della produzione culturale, musicale, teatrale e coreutica, cinematografica. Al centro del progetto era posta la creatività dei ragazzi in formazione e per promuoverne lo sviluppo erano individuati i «temi della creatività» in riferimento all’area musicale-coreutica, teatrale-performativa, artistico-visiva, linguistico-creativo. Era delineato un sistema complessivo che coinvolgeva tutti i livelli e gradi scolastici, ciascuno nella sua specificità. Il decreto, che suggeriva la creazione di reti e di poli sul territorio, ridisegnava la stessa governance del sistema, coinvolgendo molti organismi istituzionali e non, il Ministero con le Direzioni Regionali, l’INVALSI, l’INDIRE, l’AFAM, gli Istituti di cultura italiana all'estero, le università, il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo (MIBACT) con i suoi organismi territoriali tutti i soggetti pubblici e privati, soprattutto quelli accreditati.
Il D.lgs n. 61/2017 interveniva per il riordino dei percorsi dell’istruzione professionale (IP) in funzione del superamento degli elementi di sovrapposizione con l’istruzione e formazione professionale (IeFP) e del consolidamento del raccordo tra esse. La sua finalità fondamentale era quella di promuovere la formazione di studenti alle arti, ai mestieri e alle professioni, di facilitarne l’accesso al mondo del lavoro e l’occupabilità. Il sistema delineato era composto dagli istituti statali e paritari dell’istruzione professionale e dal modello dell’istruzione e formazione professionale, con la possibilità di raccordo e di passaggio degli studenti tra IP e IeFP. Tali percorsi avrebbero consentito il conseguimento di diplomi di istruzione secondaria di secondo grado e l’accesso agli studi tecnici superiori, all'università, alle istituzioni dell’alta formazione artistica, musicale e coreutica. Dopo la definizione degli indirizzi che da sei passavano a dodici, nel 2018 sono state pubblicate le relative Linee guida.
Il D.lgs n. 62/2017 delineava nuove norme su valutazione degli apprendimenti e certificazione delle competenze; ribadiva che la valutazione riguardava gli apprendimenti e il comportamento, quest’ultimo riferito alle competenze di cittadinanza. Per il comportamento, la valutazione era espressa con un giudizio sintetico, i cui riferimenti erano lo Statuto delle studentesse e degli studenti, il patto educativo di corresponsabilità e i regolamenti delle scuole. Nel decreto si confermavano i criteri del DPR n. 122/2009, con la valutazione periodica e finale in decimi che indicavano i differenti livelli di apprendimento per gli alunni del primo ciclo di istruzione e per l’esame finale del ciclo, accompagnata da una descrizione del livello di apprendimento corrispondente. Veniva abrogata la norma che prevedeva la non ammissione alla classe successiva o all'esame conclusivo di Stato con un voto in condotta inferiore a 6/10.
Era prevista, in base a criteri definiti dal Collegio dei docenti, l’ammissione alla classe successiva e all’esame conclusivo del primo ciclo d'istruzione con una votazione inferiore a 6/10 in una o più discipline e la non ammissione alla classe successiva, per la scuola primaria all’unanimità dei docenti della classe e per quella secondaria di primo grado a maggioranza da parte dei docenti del consiglio di classe. Si ribadiva che tale operazione era effettuata collegialmente dagli insegnanti contitolari della classe per la scuola primaria e dal consiglio di classe per la scuola secondaria di primo grado; al collegio dei docenti spettava il compito di definire i criteri e le modalità della valutazione, resi pubblici perché inseriti nel PTOF.
Per la certificazione delle competenze, con allegate le Linee Guida del 9 gennaio 2018, n. 312, il Ministero adottava, in ottemperanza al D.M. del 3 ottobre 2017 n. 742, i definitivi modelli di certificazione a livello nazionale.
Il D.lgs n. 63/2017 era finalizzato a garantire il diritto allo studio con la definizione di prestazioni, in relazione ai servizi alla persona, con particolare riferimento alle condizioni di disagio e ai servizi strumentali. Il provvedimento, che avrebbe potenziato anche la carta IoStudio – La Carta dello studente, avrebbe sostenuto la creazione di un sistema di welfare studentesco finalizzato a garantire reali condizioni di apprendimento e l’istituzione presso il Ministero della Conferenza nazionale per il diritto allo studio.
Con il D.lgs n. 64/2017 veniva riordinato tutto il settore della scuola italiana all’estero, compresi il coordinamento e le iniziative di promozione della cultura italiana, gli ordinamenti, le norme per il personale all’estero. Nel nuovo sistema si prevedevano vari modelli:
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le scuole all’estero amministrate dallo Stato, con la potestà del MAECI (Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale), di concerto con il MIUR, di istituirle, trasformarle, sopprimerle, con l’ordinamento della scuola nazionale e con la possibilità di eventuali varianti per esigenze locali;
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le scuole paritarie all’estero, riconosciute dal MAECI di concerto con il MIUR, in possesso di requisiti delle scuole paritarie nel territorio nazionale;
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le altre scuole italiane, con requisiti analoghi a quelli delle scuole non paritarie del territorio nazionale, anche in riferimento a sistemi scolastici e specificità locali, con un ordinamento misto;
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le Associazioni di scuole italiane all’estero, statali e paritarie, per la diffusione e promozione della lingua e della cultura italiana e per la mobilità degli studenti;
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le iniziative triennali per la lingua e la cultura italiana all’estero, per il bilinguismo, per l’inserimento di studenti italiani nei sistemi scolastici locali;
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i lettorati, con l’invio di lettori presso università e istituzioni scolastiche straniere per attività di insegnamento, assistenza agli studenti, ricerca nella lingua e nella cultura italiana.
Non rientravano nel sistema le scuole europee e le istituzioni intergovernative con sezioni linguistiche dipendenti dalla Rappresentanza Permanente dell'Italia Presso L'Unione Europea frequentate dai figli dei funzionari europei e da altri alunni.
1. Il sistema della formazione italiana nel mondo favorisce la centralità del modello educativo e formativo della scuola italiana nella società della conoscenza in contesti multiculturali e pluralistici, fondato sui valori dell'inclusività, dell’interculturalità, della democrazia e della non discriminazione.
2. Il sistema della formazione italiana nel mondo ha come obiettivo fondamentale la diffusione e la promozione della lingua e della cultura italiana all'estero in un sistema valoriale europeo ed in una dimensione internazionale e persegue prioritariamente gli obiettivi formativi cui si ispira il sistema nazionale di istruzione e formazione in conformità con la legge n. 107 del 2015. Art. 2 Obiettivi del sistema della formazione italiana nel mondo.
Decreto legislativo 13 aprile 2017, n. 64. Disciplina della scuola italiana all'estero, a norma dell'articolo 1, commi 180 e 181, lettera h), della legge 13 luglio 2015, n. 107.
Successivamente, con il decreto ministeriale dell’8 gennaio 2018, n. 2501, Insegnamenti obbligatori delle scuole statali all'estero, sono state definite le regole per gli insegnamenti obbligatori nelle scuole italiane all’estero. Per quel che riguardava l’organico delle scuole, fu fissato su base triennale con un massimo di 674 unità, comprensive di 10 docenti per il sostegno per alunni con disabilità e di quelli per il potenziamento dell’offerta formativa, con la riserva di 50 docenti per l’insegnamento della cultura musicale, dell’arte, del cinema, delle tecnologie. Lo stato giuridico del personale era analogo a quello nazionale, compresi l’orario di lavoro e il sistema disciplinare.
Per la governance, erano state chiarite le forme di coordinamento nella gestione del sistema e le specifiche competenze del MIUR e del MAECI, anche con l’assegnazione di 35 unità di personale, dirigenti, docenti, amministrativi. Era stata, infine, prevista la creazione di una Cabina di Regia, già attivata con Decreto interministeriale n. 1535 il 7 agosto 2017, ed era stata avviata la procedura per i 35 comandi di dirigenti scolastici, docenti e personale amministrativo «per gestire, coordinare e vigilare il sistema della formazione italiana nel mondo», come da nota n. 1212 del 29 maggio 2018 – Procedura selezione 35 unità personale scuola estero.
Un decreto particolarmente significativo per le prospettive che ha delineato è stato il D.lgs n. 65/2017 attuativo della delega al punto e), che ha definito il nuovo sistema 0-6 per l’educazione e l’istruzione infantile con il superamento delle prospettive assistenziali dei servizi a favore di quelle educative.
1. Alle bambine e ai bambini, dalla nascita fino ai sei anni, per 3 sviluppare potenzialità di relazione, autonomia, creatività, apprendimento, in un adeguato contesto affettivo, ludico e cognitivo, sono garantite pari opportunità di educazione e di istruzione, di cura, di relazione e di gioco, superando disuguaglianze e barriere territoriali, economiche, etniche e culturali.
2. Per le finalità di cui al comma 1 viene progressivamente istituito, in relazione all'effettiva disponibilità di risorse finanziarie, umane e strumentali, il Sistema integrato di educazione e di istruzione per le bambine e per i bambini in età compresa dalla nascita fino ai sei anni. Le finalità sono perseguite secondo le modalità e i tempi del Piano di azione nazionale pluriennale di cui all'articolo 8 e nei limiti della dotazione finanziaria del Fondo di cui all'articolo 12.Art. 1 Principi e finalità.
Decreto legislativo 13 aprile 2017, n. 65. Istituzione del sistema integrato di educazione e di istruzione dalla nascita sino a sei anni, a norma dell'articolo 1, commi 180 e 181, lettera e), della legge 13 luglio 2015, n. 107.
La legislazione italiana aveva previsto per la fascia di età 0-3 anni un sistema di interventi regolato dalla legge n. 1044/1971, con l’istituzione di asili nido non statali, per lo più comunali o convenzionati con privati o cooperative, affidati a Regioni e Comuni. Alla fascia 3-6 di età il nostro sistema, definito con la legge n. 62/2000 pubblico paritario, aveva consentito nel tempo la diffusione sul territorio delle scuole dell’infanzia, gestite da vari soggetti, dallo Stato, ai Comuni, ai privati, comprese le meno diffuse sezioni primavera per la fascia di età 2-3 anni.
Con il D.lgs n. 65/2017 è stato riorganizzato l’intero settore, prevedendo un sistema organico in grado di garantire a bambine e bambini nella fascia 0-6 pari opportunità educative, istruttive e di crescita. Il sistema ha previsto per i servizi educativi per l’infanzia di prima fascia, la cui gestione diretta o indiretta rimane agli enti locali o di altri enti pubblici e privati e per le sole sezioni primavera è di competenza dello Stato, l’articolazione in: nidi e micro-nidi, per la fascia da 3 a 36 mesi; «sezioni primavera» per le fasce di età 24-36 mesi; servizi integrativi, con spazi gioco, per bambine e bambini da 12 a 36 mesi di età; centri per bambini e famiglie, per bambine e bambini dai primi mesi di vita; servizi educativi domiciliari per la fascia da 3 a 36 mesi. Per la seconda fascia, ha confermato le scuole dell’infanzia, statali e paritarie con il loro assetto ordinamentale.
Il decreto ha anche definito la possibilità di istituire Poli per l’infanzia, veri laboratori permanenti di ricerca educativa, che accolgono in un unico plesso più strutture di educazione e di istruzione per l’età 0-6 anni. Infine, ha modificato alcuni aspetti della governance, prevedendo l’azione sinergica coordinata dal Ministero dell’Istruzione di Stato, Regioni, Province autonome di Trento e di Bolzano, enti locali.
Nel dicembre 2017 è stata infine pubblicata la delibera del Consiglio dei Ministri del Piano di azione nazionale pluriennale per la promozione del Sistema integrato di educazione e di istruzione.
Il D.lgs n. 66/2017 aveva definito, superando il disposto della legge n. 104/1992, nuove norme per l’inclusione scolastica degli studenti con disabilità, con l’intento di garantire una scuola sempre più accogliente anche valorizzando la formazione in servizio del personale scolastico.
1. L'inclusione scolastica: a) riguarda le bambine e i bambini, le alunne e gli alunni, le studentesse e gli studenti, risponde ai differenti bisogni educativi e si realizza attraverso strategie educative e didattiche finalizzate allo sviluppo delle potenzialità di ciascuno nel rispetto del diritto all'autodeterminazione e all'accomodamento ragionevole, nella 4 prospettiva della migliore qualità di vita; b) si realizza nell’identità culturale, educativa, progettuale, nell'organizzazione e nel curricolo delle istituzioni scolastiche, nonché' attraverso la definizione e la condivisione del progetto individuale fra scuole, famiglie e altri soggetti, pubblici e privati, operanti sul territorio; c) è impegno fondamentale di tutte le componenti della comunità scolastica le quali, nell'ambito degli specifici ruoli e responsabilità, concorrono ad assicurare il successo formativo delle bambine e dei bambini, delle alunne e degli alunni, delle studentesse e degli studenti.
Art. 1 Principi e finalità. Decreto legislativo 13 aprile 2017, n. 66. Norme per la promozione dell'inclusione scolastica degli studenti con disabilità, a norma dell'articolo 1, commi 180 e 181, lettera c), della legge 13 luglio 2015, n. 107.
Il decreto aveva rivisto le modalità e i criteri di certificazione della persona con disabilità, introducendo il modello bio-psico-sociale della Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della salute dell’O.M.S. (ICF, 2001) nell'ambito del Profilo di Funzionamento. La sua elaborazione è stata prevista a cura dell'Unità di Valutazione Multidisciplinare, composta da coloro che hanno in carico la persona con disabilità, prevedendo la partecipazione della scuola e della famiglia e delle associazioni di riferimento: tale profilo ha sostituito la diagnosi funzionale e il profilo dinamico funzionale, definendo tipologie delle misure di sostegno e risorse necessarie per la piena inclusione scolastica. È stato previsto che il Profilo di funzionamento, documento propedeutico alla predisposizione del Progetto Individuale e del PEI, per l’inclusione scolastica, deve essere aggiornato al passaggio di ogni grado di istruzione, a partire dalla scuola dell’infanzia, o nel caso di nuove e sopravvenute condizioni di funzionamento della persona.
Novità importante è stata la definizione del Progetto individuale che deve essere redatto dall’Ente locale in base al Profilo di funzionamento, mentre le prestazioni e i servizi devono essere definite anche in collaborazione con le scuole. È stato stabilito che le scuole per definire il Piano per l’inclusione facciano riferimento all’apporto dei Gruppi per l’inclusione scolastica:
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il Gruppo di lavoro interistituzionale regionale (GLIR), presso l’Ufficio scolastico regionale (USR), con compiti di consulenza, con particolare riferimento alla continuità, all’orientamento, ai percorsi integrati scuola-territorio-lavoro;
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il Gruppo per l’inclusione territoriale (GIT), per il supporto alle reti di scuole per la progettazione e la realizzazione dei Piani di formazione in servizio del personale della scuola;
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Il Gruppo di lavoro per l'inclusione (GLI), composto da docenti curricolari, docenti di sostegno e, eventualmente, da personale ATA.
Alla pubblicazione dei decreti ha fatto seguito nel periodo successivo l’emanazione di altri provvedimenti che hanno completato i vari settori. Tra i più rilevanti va ricordato il D.lgs n. 96/2019 che ha definito disposizioni integrative e correttive per il D.lgs n. 66/2017, introducendo modifiche che hanno riguardato: una maggiore attenzione al principio di accomodamento ragionevole per l’utilizzo delle risorse per il sostegno; l’adozione dell’ICF anche all’accertamento della condizione di disabilità, la modifica delle commissioni mediche per l’accertamento della disabilità e dei partecipanti alla stesura dei documenti per l’Inclusione; l’introduzione, a livello di singola istituzione scolastica, del Gruppo di Lavoro Operativo (GLO) per la progettazione per l’inclusione dei singoli alunni con accertata condizione di disabilità; il riconoscimento istituzionale dei Centri Territoriali di Supporto e delle Scuole Polo.