In tutte le società e in tutte le epoche la popolazione più giovane, dall’infanzia all’adolescenza, è stata sempre la più vulnerabile.
La scuola, fin dal suo nascere, ha dovuto interrogarsi su come affrontare le situazioni degli studenti ad essa affidati che si trovavano in una situazione di svantaggio.
Il disagio, la fragilità, la povertà dei ragazzi impattano in modo significativo sulla dimensione formativa della scuola ma, al tempo stesso, la costringono a ridefinire la sua visione antropologica e le conseguenti dimensioni pedagogiche che sono a fondamento dell’azione educativa.
La riflessione sulle varie forme di disagio che colpiscono i giovani è diventata sempre più presente e importante nel mondo dell’educazione ma è sempre stata basata sul presupposto della presenza di una popolazione significativa di ragazzi «normali» con i quali è possibile applicare una didattica sostanzialmente standardizzata e sulla presenza di alcune categorie di studenti per i quali era necessario attuare una didattica personalizzata.
Da circa 5 anni all’interno della scuola è invece sempre più evidente un fenomeno esploso a seguito della pandemia (UNICEF, 2020). Si tratta di una forma di malessere spesso molto grave che incide in modo multidimensionale sulla sfera biologica, psicologica e sociale colpendo in modo diffuso l’intera popolazione scolastica. Si manifesta con attacchi di panico, ansia, fobie scolari, fenomeni dissociativi e psicotici, ritiri sociali, dipendenze da farmaci… che compromettono in modo significativo la vita personale, relazionale e professionale degli studenti.
Non si tratta di una patologia ben definita e pertanto non è spesso presa a carico da nessuno fintanto che non sfocia in psicopatologie più gravi ed evidenti. Anche i servizi territoriali riescono a rispondere solo parzialmente a questo fenomeno che ha una natura complessa e sistemica, difficilmente affrontabile con gli strumenti classici del supporto psicologico.
Questi ragazzi sono i nuovi poveri, spesso invisibili, non presi a carico da nessuno, non tutelati da leggi come avviene per i ragazzi con certificazione, ma soprattutto progressivamente allontanati dalla società, dalle relazioni, dal lavoro. In carico solo alle loro famiglie che non hanno gli strumenti per aiutarli.
Questo fenomeno mette definitivamente in crisi il sistema perché colpisce in modo indifferenziato la popolazione scolastica e rende palese la necessità di un cambiamento paradigmatico del sistema scuola.
Il cambiamento è fortemente richiesto dalle linee guida internazionali e nazionali che chiedono di adottare un modello multidimensionale bio-psico-sociale che permette di interpretare e intervenire per rispondere alle forme di povertà presenti nella scuola e guidare le riflessioni sui possibili interventi (UNICEF, 2022). Il modello è adottato dall’OMS ed è anche alla base delle indicazioni della delibera della Giunta Provinciale di Trento Una scuola che si prende cura. Linee guida per la promozione del benessere psicologico a scuola che chiede alle istituzioni scolastiche di ridefinire i modelli con i quali vengono prese a carico le situazioni di difficoltà.
Il modello pone l’attenzione sulla necessità di mettere al centro di ogni azione educativa il concetto di «salute» intesa come uno «stato di completo benessere fisico, mentale e sociale non determinabile in maniera univoca e monodimensionale» (WHO, 2021). In quest’ottica il concetto di salute richiama la capacità di affrontare i naturali cambiamenti della vita attingendo a tutte le risorse a disposizione nel singolo e nell’ambiente non perdendo il senso finalistico della propria evoluzione. Risorse che afferiscono alla sfera biologica, psicologica e sociale.