Le lingue dei segni costituiscono sistemi di comunicazione complessi e ricchi, dotati delle caratteristiche necessarie per essere considerate lingue a tutti gli effetti. A sostegno di questa affermazione, è importante notare che le lingue dei segni presentano le medesime peculiarità delle lingue vocali: i) non sono universali, ma si adattano alle esigenze delle comunità in cui si sviluppano; ii) subiscono mutamenti nel corso del tempo; iii) possiedono una struttura organizzativa (fonologica, lessicale e morfo-sintattica) specifica. Se ci concentriamo sulle ricerche più significative condotte in questo ambito, possiamo risalire alla fine degli anni Cinquanta, periodo in cui William Stokoe, attraverso i suoi studi sulla Lingua dei Segni americana (American Sign Language, ASL), dimostrò che essa possedeva le stesse caratteristiche riscontrabili nelle lingue vocali, rivelandone così la natura linguistica.
Un ponte verso la comunicazione
Quando si pensa alle lingue dei segni, si immagina subito una persona sorda che comunica attraverso movimenti delle mani. In realtà, queste lingue possono essere uno strumento prezioso anche per altre persone, come ad esempio bambini con disturbi dello spettro autistico. Infatti, una delle caratteristiche più comuni dell’autismo è la difficoltà a comunicare: molti bambini autistici parlano poco, tardi, o faticano a usare il linguaggio per esprimere emozioni e bisogni. Questo può generare grande frustrazione sia nei bambini che nei genitori, che spessi si trovano a chiedersi come entrare in contatto con loro.
Le lingue dei segni, basate su movimenti delle mani, espressioni del viso e gesti del corpo dotati di significato, possono offrire una risposta e un aiuto in questi casi. In Italia si utilizza la LIS (Lingua Italiana dei Segni), e questa lingua può essere utilizzata con i bambini con disturbi dello spettro autistico che vivono nello spazio linguistico italiano o comunque in un ambiente italofono. Per iniziare ad utilizzarla in questi contesti non è necessario avere un livello di competenza madrelingua: si può partire da un piccolo gruppo di segni funzionali – come “mangiare”, “bere”, “giocare”, “ancora” – utili per favorire una prima forma di comunicazione. Questo approccio, sperimentato anche in contesti come il programma Baby Signs (un approccio comunicativo sviluppato negli Stati Uniti che dà importanza a gesti e segni nella comunicazione e che è utilizzabile coi bambini tra gli 0 e i 24 mesi), è stato adattato con successo ai bambini nello spettro autistico, proprio per la sua immediatezza visiva (Cottini, L., 2020).
Perché i segni funzionano
Molti bambini autistici hanno uno stile di apprendimento visivo: cioè, capiscono meglio tramite il canale della vista che tramite quello dell’udito. Le parole possono essere astratte e difficili da comprendere, mentre i gesti (che però, in un contesto nel quale assumono precisi significati, dobbiamo chiamare appunto “segni”) sono concreti, visibili, spesso più facili da memorizzare. Questo rende le lingue dei segni uno strumento ideale per sostenere il linguaggio nei bambini autistici, riducendo la pressione e favorendo un ambiente comunicativo più rilassato. Usare i segni permette al bambino di esprimersi senza dover parlare, riducendo l’ansia e facilitando la relazione con gli altri. Diversi studi e testimonianze di famiglie mostrano come l’introduzione dei segni abbia portato a miglioramenti significativi: bambini più attivi, capaci di fare richieste, di indicare preferenze, e persino di iniziare interazioni sociali (Goldstein, H., 2002). La cura di questi aspetti non solo migliora la qualità della vita quotidiana di questi bambini, ma rafforza anche il legame affettivo tra loro e i genitori. E contrariamente a un timore diffuso, l’uso dei segni non ostacola lo sviluppo del linguaggio verbale: anzi, può stimolarlo.
Quando il segno è accompagnato dalla labializzazione (cioè, la pronuncia a bassa voce o col solo movimento delle labbra) della parola (“vuoi acqua?”), il bambino ha una doppia opportunità di apprendimento. In molti casi, i segni diventano un ponte verso le parole (Goodwyn et al., 2000).
Una lingua che include
Usare le lingue dei segni non aiuta solo i bambini autistici, ma anche le persone che vivono e lavorano con loro. Genitori, educatori, fratelli e compagni imparano a comunicare in modo più attento e consapevole, a cogliere i segnali non verbali, a valorizzare nuovi canali espressivi. Questo rende la comunicazione più ricca e inclusiva, e contribuisce a costruire un ambiente che accoglie le differenze invece di correggerle o rigettarle. Comunicare, infatti, non significa solo “parlare bene”, significa riuscire a farsi capire. E se per un bambino autistico questo avviene attraverso un gesto, un’espressione o un segno, allora è lì che bisogna incontrarlo. Su questo tema si è concentrata anche la mia tesi magistrale dal titolo “Sign Language as a Tool for Cognitive and Linguistic Development in children with Autism: Neural Differences and Educational Benefits” in cui ho seguito due casi studio: due bambini con disturbo dello spettro autistico con i quali ho utilizzato i segni come strumento principale per attivare e sostenere la comunicazione.
Anche strumenti come la Comunicazione Aumentativa e Alternativa (CAA), che combina immagini, simboli e gesti, possono integrare efficacemente i segni nel percorso comunicativo del bambino (Bondy, A. & Frost, L., 1994). La stessa LIS e le altre lingue dei segni possono essere considerate come strumenti CAA. Ci sono molte attività che possono essere proposte agli studenti per stimolarli e avvicinarli a un processo di apprendimento ec omunicazione dinamico, coinvolgente e interessante. Tuttavia, se ci concentriamo in particolare sull’aiuto che lingue diverse possono offrire per sostenere lo sviluppo dell'espressione di ciascun bambino, le lingue dei segni si rivelano particolarmente efficaci.
Infatti, l'uso di una lingua dei segni in aula, affiancato alla lingua parlata, consente di integrare dimensioni sensoriali spesso trascurate da insegnanti che adottano un approccio tradizionale alla didattica. In Italia, l'impiego della LIS insieme all'italiano durante le lezioni può rappresentare una strategia di grande supporto, non solo per eventuali alunni sordi, ma per tutti gli studenti presenti. Le lingue dei segni hanno dimostrato di poter migliorare le competenze linguistiche e cognitive dei bambini poiché favoriscono la memorizzazione e attivano aree del cervello non specificamente dedicate al linguaggio (Daniels, M., 2001).
Ogni bambino ha un proprio stile, e ogni famiglia può trovare un proprio modo per parlare con le mani, scoprendo che a volte basta poco per cambiare tutto. Un gesto, un segno, uno sguardo: così può iniziare una nuova forma di dialogo.
Bibliografia
- Bondy, A., & Frost, L. (1994). “The Picture Exchange Communication System (PECS)”. Focus on Autistic Behavior, 9(pt. 3), pp. 1-19.
- Cottini, L. (2020). Didattica speciale e inclusione scolastica. Carocci Editore, Roma.
- Daniels, M. (2001). Dancing with Words. Signing for Hearing Children’s Literacy. Bergin & Garvey, Westport.
- Goldstein, H. (2002). “Communication intervention for children with autism: A review of treatment efficacy”. Journal of Autism and Developmental Disorders, 35(pt. 5), pp. 373- 396.
- Goodwyn, S. W., Acredolo, L. P., & Brown, C. A. (200). “Impact of symbolic gesturing on early language development”.Journal of Nonverbal Behavior, 24(pt. 2), pp. 81-103



