Nel nuovo modello di Pei ministeriale ai sensi del decreto 182/2020 «Adozione del modello nazionale di piano educativo individualizzato e delle correlate linee guida, nonché modalità di assegnazione delle misure di sostegno agli alunni con disabilità», gli obiettivi educativi oggetto della progettazione individualizzata vengono così definiti: dimensione dell’autonomia e dell’orientamento; dimensione cognitiva, neuropsicologica e dell’apprendimento; dimensione della comunicazione e del linguaggio; dimensione della socializzazione e dell’interazione.
Alla definizione di queste dimensioni si accompagna, per ciascuna, la descrizione di barriere e facilitatori.
Il ruolo precipuo assegnato a chi si occupa di assistenza specialistica per l’autonomia e la comunicazione dovrebbe essere quello di collaborare alla progettazione e stesura degli obiettivi educativi nelle aree dell’autonomia e della comunicazione, appunto. Questi domini non rappresentano però compartimenti stagni ma dimensioni che si intersecano e vivono di interdipendenze e correlazioni con tutti gli aspetti globalmente intesi dell’alunno.
Con un'espressione assai efficace, Andrea Canevaro parlava di autonomie portando l'esempio della «psicomotricità dello spazzolino da denti»: nell'apparente semplicità del gesto di lavarsi i denti, sono incluse prensione, propriocezione, coordinazione oculo manuale, la capacità di prendersi cura della propria igiene e della propria salute.
Nel contesto della relazione educativa il nostro compito fondamentale è dare all’alunno gli strumenti per sviluppare una visione di sé e del proprio futuro, il possesso di abilità legate alle autonomie che consenta di possedere l’iniziativa per elaborare ciò che succede e ciò che si apprende, in una concezione di sé permeata di autoefficacia: autonomia significa avere gli strumenti per poter disporre di sé secondo le proprie necessità. Ecco, dunque, che l’autonomia rappresenta la base educativa per il raggiungimento di qualsiasi altro obiettivo pedagogico. La dimensione dell’autonomia può ben dirsi un’area trasversale (psicomotricità, cognizione/metacognizione, educazione socioaffettiva). Non parliamo quindi di autonomia, ma di «autonomie», che partono da livelli più semplici, legati alla cura di sé, per arrivare alla capacità di autogestione nell’organizzare il proprio tempo e la capacità di svolgere compiti anche complessi.
Il lavoro sul raggiungimento delle autonomie è di tipo trasversale e ricorsivo. Si parla di cure ricorsive intendendo che si tratta di attività che riguardano l’organizzazione quotidiana, continua, dall’alzarsi a una determinata ora allo scegliere i vestiti, decidere cosa mangiare, decidere quale lavoro intraprendere, nella consapevolezza che il fine della relazione educativa è sempre il Progetto di Vita. Progettare educativamente significa porre in atto le condizioni per cui la persona abbia la possibilità di: avere delle alternative; possedere la consapevolezza di avere effettivamente scelto.
Per creare queste condizioni, è necessario che il processo di apprendimento delle autonomie sia caratterizzato da un approccio positivo, in cui si dà importanza alla capacità di creare processi partecipati e legami di reciprocità ai fini dell’autodeterminazione. Apprendere le autonomie non è il fine dell’azione educativa ma il mezzo per raggiungere l’autodeterminazione.
La comunicazione rappresenta il secondo «pilastro» del lavoro degli assistenti specialistici educativi, legato strettamente al dominio del «saper essere» e, in particolare, al saper essere con gli altri.
Non bisogna cadere nell’errore cognitivo di ritenere questo dominio come un campo squisitamente tecnico: la comunicazione è la chiave di accesso alla relazione e alla socializzazione, perché, quando comunichiamo (con tutti i canali possibili) offriamo una rappresentazione di un messaggio e di noi stessi, in cui veicoliamo informazioni, ed espressione affettiva, da cui ricaviamo indicazioni previsionali sui possibili comportamenti altrui (feedback) e possiamo regolarci di conseguenza. La comunicazione è primariamente un fatto sociale, tramite cui ci relazioniamo ed entriamo in risonanza sociale con gli altri che ci circondano.
L’assistenza all’autonomia e comunicazione deve costituire, a questo proposito, non solo una base metodologica e tecnica specifica, ma anche una competenza psicopedagogica che si esprime nella capacità di essere ponti comunicativi col contesto, rendere competente il contesto per migliorare la comunicazione non solo dell’alunno ma di tutti i partner comunicativi e del contesto di vita in generale.
Progettare interventi di implementazione della comunicazione significa possedere una visione partecipata e non direttiva in grado di favorire l’inclusione perché si fa del coinvolgimento dell’intero sistema il centro dell’intervento. Quindi, non più e non solo un ruolo ad personam ma una costante attività di costruzione di valori e interessi condivisi sistematicamente in cui il sentimento di identità personale è legato a stretto filo con quello di appartenenza, che, attraverso la comunicazione efficace, può restituire il sentimento di partecipare al gruppo.
Ossia il senso profondo dell’inclusione scolastica.