Paule Roberta Yao

Paule Roberta Yao

Mi chiamo Paule Roberta Yao e per parlare del progetto DiMMi di Storie Migranti (https://www.dimmidistoriemigranti.it/), vorrei partire dalla mia esperienza personale.

Sono un’autrice finalista della quarta edizione del concorso tenutasi nel 2019. Nato in Toscana nel 2012 per volontà dell’Archivio Diaristico Nazionale di Pieve Santo Stefano (http://archiviodiari.org/), il progetto DiMMi si è gradualmente esteso a tutto il territorio nazionale grazie alla sua notevole capacità di fare comunità e rete attorno al trattamento inedito del fenomeno migratorio. In effetti, una delle attività principali del progetto si traduce in un concorso indetto annualmente che consente alle persone di origine straniera che vivono o hanno vissuto in Italia o nella Repubblica di San Marino di condividere la propria storia di migrazione in chiave strettamente autobiografica. Giunto alla nona edizione e alla pubblicazione di sei antologie corali a cura della casa editrice Terre di Mezzo, la collana DiMMi (https://www.terre.it/categoria-prodotto/collane/archivio-diaristico/dimmi-diari-multimediali-migranti/) e la netta prevalenza di storie scritte ci interroga sul ruolo centrale della scrittura all’interno del progetto.

Un primo aspetto fondamentale su cui riflettere risiede nel fatto che molte persone scelgono di scrivere per testimoniare la propria esperienza, a volte, prescindendo anche dal fatto che non conoscono ancora bene la lingua italiana e presentando elaborati nella propria madrelingua. La scrittura all’interno del progetto DiMMi si configura come uno spazio di cura autodiretto che dà luogo a momenti di rara potenza catartica in cui l’io scrivente può fare i conti con il proprio vissuto, anche in relazione ai suoi episodi più disfunzionali. Tuttavia, DiMMi non vuole fare l’apologia del dolore né romanticizzarlo ma offrire un mezzo trasformativo funzionale al suo superamento.

DiMMi offre alle persone uno spazio in cui scrivere, utilizzando il materiale grezzo della propria vita per cercare di creare ponti, di raggiungere l’altro a sostegno di nuovi immaginari e modalità di convivenza delle differenze, di integrazione intesa come integrità del sé e rivendicazione del proprio cammino di vita. Si evince quindi l’importanza della raccolta di questi contenuti che costituiscono un impianto narrativo collettivo volto a scardinare i discorsi d’odio, i preconcetti e gli stereotipi che caratterizzano il dibattito pubblico sulle migrazioni. Per sua natura intrinseca, l’esercizio della scrittura crea margini di autodeterminazione e di libertà molto significativi: richiede un’operazione di setaccio in cui si sceglie deliberatamente di rendersi vulnerabili, si decide come e quanto esporsi, cosa raccontare e cosa omettere, in esatta contrapposizione con la rappresentazione cannibalistica delle migrazioni nei media mainstream.

Inoltre, il tempo assume anche un altro valore in quel contesto narrativo in quanto i tempi della scrittura e della vita si scandiscono vicendevolmente ma il primo è per forza dilatato e non deve né può necessariamente corrispondere a quello della vita vissuta. Questa dicotomia racchiude l’essenza di momenti di raccoglimento che hanno una matrice curativa, quasi spirituale in cui la persona si ritrova con se stessa, con il suo bagaglio di vita in un appuntamento con la carta. Non è affatto raro che, durante le giornate del Premio Saverio Tutino (organizzato dall’Archivio Diaristico Nazionale di Pieve Santo Stefano), i membri delle varie commissioni di lettura pongano ai finalisti e alle finaliste domande quali: in che lingua pensi/sogni/scrivi? Sai che ho cercato di immaginare in che momenti della giornata scrivessi? In altre parole, quando avviene questo momento di profondo ritrovamento del sé di cui DiMMi è motore? Se la risposta cambia da persona a persona, ci porta naturalmente al mandato di questa scrittura migrante mossa da una duplice esigenza.

Da una parte, c’è una dimensione che sembra essere prettamente individuale in cui parlando e scrivendo di sé, si disegna una cornice apparentemente autoreferenziale e unica. Ma questa cornice viene sublimata in una dimensione collettiva quando entra in contatto con altre persone attraverso il meccanismo delle commissioni di lettura. In questo processo di cittadinanza attiva, lo scritto fa leva sui punti di contatto e la storia unica «parla» alla comunità, al suo senso di umanità nel riconoscersi, nell’immedesimarsi nell’altro. Unanime è la voce che è arrivata quest’anno dalle varie realtà che si sono costituite commissioni di lettura per questa edizione del concorso: dal Laboratorio di autore (https://www.facebook.com/p/Laboratorio-dautore-61555664618537/) gestito dalla collega Jasemina Zeqiraj, dalle Biblioteche di Mantova e dal centro di aggregazione romano Casale Podere Rosa (https://casalepodererosa.org/), le persone hanno espresso molta gratitudine per un’esperienza che intesse affetti, legami e visioni comuni, partendo dalle storie. La nostra scrittura fa sì che le persone si avvicinino attraverso la creazione di relazioni intime e di fiducia. Questo è particolarmente vero in tutte le produzioni a più mani che si sono susseguite nell’arco degli ultimi anni. Fioccano gli esempi: dall’insegnante di italiano del CPIA che intercetta un testo di un suo studente e lo sprona a partecipare al concorso aiutandolo a rimodularlo sino al presente contributo che scaturisce da un’amicizia e dalla voglia di intrecciare prospettive diverse su una strada condivisa.

Questa evidente dimensione sociale è anche riconducibile al taglio attivista e politico di una scrittura portatrice di istanze in cui tutti i testi sono accomunati da un fil rouge: quello della testimonianza in un tripudio di J’accuse dei nostri tempi. Basti pensare ai testi di Mouhamadou Lamine Dia (https://www.terre.it/prodotto/il-confine-tra-noi/), un manifesto per la libertà di movimento, di Maria Veronica del Campo che canta un inno al suo Cile martoriato dalla dittatura mentre Vichy Kalev Helvedia Boungou (https://www.terre.it/prodotto/come-alberi-in-cammino/) denuncia apertamente l’afrofobia e il razzismo antinero. Alla stessa maniera, Elona Aliko (https://www.terre.it/prodotto/basta-un-vento-lieve/) racconta la disumanizzazione delle persone rifugiate attraverso la sua esperienza in un campo profughi in Libano, Lilith (https://www.terre.it/prodotto/le-femmine-e-i-cani-non-possono-entrare/) invece narra sotto pseudonimo il suo percorso di fuoriuscita dalla violenza di genere e la giovane e brillante Samanta Amet, con cui ho avuto l’onore di trascorrere una bellissima matinée di testimonianza presso le classi quinte dell’istituto Elsa Morante di Firenze, le fa eco nel resoconto leggero quanto ironico della violenza istituzionale attraverso la cerimonia di acquisizione della cittadinanza italiana, diritto negatole fino al raggiungimento della maggiore età. Infine, Migrante (https://www.terre.it/prodotto/se-il-mare-finisce/), che preservando l’anonimato, restituisce la violenza inaudita della prigionia nelle carceri libiche attraverso una tavola di disegni inequivocabile.

Qui mi soffermo volontariamente su questa fonte disegnata che indica l’assoluta disponibilità ad accogliere e valorizzare una diversità di linguaggi, in assoluta linea con l’altro nome dell’iniziativa DiMMi Diari Multimediali Migranti. Esattamente come avviene con DiMMi, il progetto Ithaca Horizon 2020: Interconnecting Histories and Archives for Migrant Agency: Entangled Narratives Across Europe and the Mediterranean Region (https://ithacahorizon.eu/) ha dato la possibilità alle persone coinvolte di lasciare una traccia che fosse rispettosa del modo in cui si volesse celebrare la propria vita. Rifuggendo da dinamiche elitarie, di esclusione per mezzi intellettuali e materiali delle persone, l’ulteriore ramificazione di DiMMi, confluita quest’anno nell’Ithaca Diary Contest (https://ithacahorizon.eu/ithaca-diary-contest/ ) lanciato a settembre 2023 con l’obiettivo di raccogliere storie in tutta la regione mediterranea ha riscosso un successo strepitoso, portando alla raccolta di ben 47 testimonianze che hanno spaziato tra vari codici.  Così le persone si sono potute avvalere dei canali più variegati fra di loro ai fini della valutazione: dai file audio con semplici testimonianze, a monologhi, canti, brevi documentari e film passando anche da illustrazioni e dipinti.  Pur riconoscendo la centralità della scrittura, la moltiplicazione dei linguaggi vuole farsi specchio della pluralità di punti di vista e di voci, così propria e cara all’identità del progetto DiMMi e ai percorsi paralleli ispirati ad essa. Singolare è la peculiarità di questa scrittura e di tutte le sue forme derivate che non sono mai fini a se stesse, ma, attraverso la loro capacità di essere al contempo metodo, mezzo e strumento di guarigione, sia per l’individuo che per il contesto sociale allargato in cui è inserito, muovono forme terapeutiche di conoscenza di sé e di dialogo con l’altro. Ne abbiamo fatto la nostra cifra per cambiare il mondo, agendo, resistendo «a colpi di storie».