Parità scolastica e istruzione parentale

Parità scolastica e istruzione parentale

1. La legge 62 del 2000

La legge 10 marzo 2000, n. 62 (Norme per la parità scolastica e disposizioni sul diritto allo studio e all’istruzione), approvata dal Ministro della Pubblica Istruzione Luigi Berlinguer (1996-2000), può essere annoverata tra le riforme più importanti del nostro sistema di istruzione.

Ha, infatti, regolamentato la questione della parità scolastica, dando attuazione a quanto previsto nell’articolo 33 della Costituzione, nel quale si afferma che

 

L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento. 

La Repubblica detta le norme generali sull’istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi.

Enti e privati hanno diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato.

 

L’iter parlamentare di questa legge ha incontrato non pochi ostacoli, compresa l’opposizione di forze politiche che facevano parte della stessa maggioranza. Le difficoltà di natura politica hanno trovato un punto di equilibrio nell’obiettivo di ampliare le opportunità formative delle famiglie italiane. Infatti, con la legge 62/2000, come recita l’articolo 1, il legislatore ha stabilito una precisa priorità della Repubblica: «l’espansione dell’offerta formativa e la conseguente generalizzazione della domanda di istruzione dall’infanzia lungo tutto l’arco della vita».

Nel comma 2 dell’articolo 1, si afferma che sono paritarie le scuole non statali, comprese quelle degli enti locali, abilitate a rilasciare titoli di studio aventi valore legale. Il servizio offerto deve corrispondere agli ordinamenti generali dell’istruzione, nel rispetto del principio di coerenza con la domanda formativa della famiglia.

Tenuto conto del progetto educativo della scuola, l’insegnamento è improntato ai principi stabiliti dalla Costituzione per l’intero sistema nazionale di istruzione. Pertanto, le scuole paritarie «svolgono un servizio pubblico, accolgono chiunque richieda di iscriversi, compresi gli alunni e gli studenti con disabilità» (art. 1, comma 3).

La legge afferma, in senso oggettivo, la nozione di «servizio pubblico», inteso come ulteriore offerta formativa, comprendente tutte le attività riconducibili a una pubblica finalità.

Naturalmente, tali attività devono essere sottoposte a controllo e a vigilanza da parte della Pubblica Amministrazione «affinché non siano svolte in contrasto con gli interessi pubblici» (Spinosi, 2024).

Come recita l’articolo 33 della Costituzione, la formula «senza oneri per lo Stato» delinea il divieto da parte dello Stato di favorire la nascita di tali scuole con risorse a ciò dedicate. Pertanto, la legge 62/2000 prevede finanziamenti per le scuole paritarie, a sostegno dell’espansione dell’offerta formativa.

2. Le scuole non statali paritarie

Nell’articolo 1, comma 1 della legge 62 si afferma che «il sistema nazionale di istruzione […] è costituito dalle scuole statali, dalle scuole paritarie private e degli enti locali».

Fino all’emanazione di tale provvedimento, nel sistema delle scuole non statali sono stati utilizzati diversi dispositivi previsti dal nostro ordinamento:

  • il riconoscimento legale (per le scuole secondarie);

  • la parificazione (per le scuole elementari);

  • l’autorizzazione al funzionamento (per le scuole materne).

La legge 3 febbraio 2006, n. 27 (Conversione in legge con modificazioni del decreto legge 5 dicembre 2005, n. 250 recante misure urgenti in materia di università, ecc.) ha ricondotto le scuole non statali a due tipologie: paritarie e non paritarie.

Come già sottolineato, le scuole paritarie svolgono un servizio pubblico di rilevante importanza sociale. Possono essere gestite da persone fisiche o da enti con o senza personalità giuridica, senza o con fini di lucro (art. 1, comma 636, legge 27 dicembre 2006, n. 296).

La norma prevede che la parità possa essere riconosciuta sia a singole istituzioni scolastiche sia a complessi scolastici costituiti da scuole appartenenti anche a gradi, ordini o tipologie diversi, operanti in un’unica sede o in un ambito territoriale compatibile con la continuità dei corsi, sempre comunque all’interno della stessa regione.

Il gestore, persona fisica o ente, con o senza personalità giuridica, è garante dell’identità culturale e del progetto educativo della scuola, ed è responsabile della conduzione dell’istituzione scolastica nei confronti degli studenti, delle famiglie, della società e dell’Amministrazione.

Il riconoscimento della parità garantisce ai cittadini:

  • l’equiparazione dei diritti e dei doveri degli studenti ivi frequentanti;

  • le medesime modalità di svolgimento degli esami di Stato, senza differenziazioni e in conformità all’art. 33 della Costituzione;

  • l’assolvimento dell’obbligo di istruzione;

  • l’abilitazione a rilasciare titoli di studio aventi lo stesso valore legale dalle scuole statali, senza differenze formali.

3. L’iter procedimentale della parità

L’istanza di riconoscimento della parità è presentata dal soggetto gestore o, nel caso di ente pubblico o privato, dal rappresentante legale all’Ufficio scolastico regionale (USR). La concessione della parità da parte dell’USR è regolata dall’articolo 1, comma 4 della legge 62/2000.

A sua volta il decreto ministeriale 29 novembre 2007, n. 267 (Regolamento recante Disciplina delle modalità procedimentali per il riconoscimento della parità scolastica e per il suo mantenimento) riepiloga le modalità con cui può essere richiesto e mantenuto il riconoscimento della parità.

Il gestore o il rappresentante legale deve dichiarare, sotto la propria responsabilità, che l’istituzione assicura le seguenti condizioni:

  • i dati relativi al proprio status giuridico e il possesso dei requisiti previsti dall’articolo 353 del decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297 nel quale si afferma che «le scuole non statali possono essere aperte al pubblico e gestiti soltanto da cittadini italiani che abbiano compiuto il trentesimo anno di età e siano in possesso dei necessari requisiti professionali e morali»;

  • la presentazione di un progetto educativo coerente con i principi della Costituzione, comprensivo del piano dell’offerta formativa conforme agli ordinamenti vigenti;

  • l’adozione un bilancio pubblico e accessibile della scuola. Il bilancio deve indicare chiaramente l’eventuale finanziamento parziale da parte dello Stato;

  • l’impegno a istituire nella scuola organi collegiali improntati alla partecipazione democratica;

  • l’applicazione delle norme vigenti in materia di inserimento di studenti con disabilità, con difficoltà specifiche di apprendimento o in condizioni di svantaggio;

  • l’iscrizione alla scuola per tutti gli studenti i cui genitori ne facciano richiesta, purché in possesso di un titolo di studio valido per l’iscrizione alla classe che intende frequentare;

  • l’organica costituzione di corsi completi, fatta eccezione per le scuole dell’infanzia. Non può essere riconosciuta la parità a singole classi;

  • l’impegno a utilizzare personale docente munito del titolo di abilitazione prescritto per l’insegnamento impartito;

  • l’impegno a utilizzare un coordinatore delle attività educative e didattiche in possesso di titoli culturali o professionali previsti;

  • l’impegno a stipulare contratti individuali di lavoro per il coordinatore delle attività educative e didattiche e contratti di lavoro individuali conformi ai contratti collettivi nazionali di categoria per il personale docente della scuola;

  • la qualificazione giuridica del soggetto gestore della scuola paritaria con la precisazione relativa all’essere un soggetto giuridico «con fini di lucro» o «senza fini di lucro».

Il Direttore dell’Ufficio Scolastico Regionale competente per territorio conclude il procedimento, adottando motivato provvedimento di riconoscimento della parità o di diniego della stessa, entro il 30 giugno dell’anno scolastico precedente. Inoltre, l’USR si occupa di verificare periodicamente il permanere dei requisiti necessari alla parità.

Anche alle scuole paritarie si applica il calendario scolastico definito da ogni Regione.

Il 10 ottobre 2008 la ministra del Miur (Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca), Mariastella Gelmini, ha adottato il decreto n. 83 contenente le Linee guida in cui vengono riepilogate le modalità procedimentali per il riconoscimento della parità scolastica e per il suo mantenimento.

4. I finanziamenti alle scuole paritarie

Secondo i dati diffusi dal Ministero dell’Istruzione e del Merito (MIM), relativi all’anno scolastico 2024-2025, le scuole paritarie nel nostro Paese sono 11.715, così suddivise:

  • scuole dell’infanzia: 8.166;

  • scuole primarie: 1344;

  • scuole secondarie di primo grado: 628;

  • scuole secondarie di secondo grado: 1637.

Esse sono frequentate complessivamente da 790.460 alunni distribuiti come segue:

  • scuola dell’infanzia: 433.583;

  • scuola primaria: 155.248;

  • scuola secondaria I grado: 69.345;

  • scuola secondaria di II grado: 132. 284.

I docenti che operano nel sistema paritario superano di poco i 23.000.

Come si evince dai numeri di cui sopra, dopo l’emanazione della legge 62/2000, quasi tutte le scuole dell’infanzia sono entrate nel sistema paritarie. Si tratta, in larga misura di istituzioni religiose, curate da persone giuridiche quali: diocesi, parrocchie, ordini religiosi, ecc.

Non si configurano come scuole confessionali, pur ispirandosi a un orientamento cristiano, ma istituzioni che, in quanto paritarie, svolgono un servizio pubblico.

Infatti, l’interesse della Repubblica, come più volte sottolineato, è quello di ampliare le opportunità di formazione dei ragazzi. Lo Stato, anche prima dell’approvazione della legge 62/2000 interveniva con risorse economiche a favore di alcune tipologie di scuole non statali, in particolare nei confronti delle scuole materne e di quelle elementari «parificate» sulla base di apposite Convenzioni.

L’attuazione della legge 62/2000 ha implicato che il finanziamento al sistema paritario fosse più cospicuo, con particolare attenzione alle scuole dell’infanzia e ai costi dovuti all’inclusione degli alunni con disabilità.

Le annuali leggi di bilancio provvedono a definire l’ammontare delle risorse accordate soprattutto alle scuole paritarie «senza fine di lucro». In base al D.M. 25 maggio 2015, n. 313, la tipologia di queste scuole, che costituiscono la quasi totalità, fa riferimento a:

  • imprese sociali;

  • enti locali;

  • cooperative sociali;

  • associazioni riconosciute;

  • associazioni non riconosciute;

  • fondazioni;

  • enti ecclesiastici di confessioni religiose con cui lo Stato ha stipulato intese.

Il D.M. 313/2015 definisce criteri e parametri per l’assegnazione dei contributi alle scuole paritarie per l'anno scolastico 2014/15. Tali contributi sono erogati «al fine di sostenere la funzione pubblica svolta dalle scuole paritarie nell'ambito del sistema nazionale di istruzione».

Tali contributi sono destinati alle scuole dell'infanzia, primarie e secondarie di primo e secondo grado, in possesso del riconoscimento di parità. I contributi sono erogati alle scuole paritarie che, in quanto componenti del sistema nazionale di istruzione, forniscono e aggiornano tutte le informazioni richieste dal Sistema informativo del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca. Le scuole primarie e le scuole secondarie di I e II grado sono tenute a inserire i dati degli alunni nell'Anagrafe nazionale degli alunni.

5. L’istruzione parentale

Scrive Paola Serafin su Repertorio 2025 che

 

talvolta indicata con i termini di scuola familiare, scuola paterna, home schooling o home education, l’istruzione parentale rappresenta un fenomeno in continua espansione anche nel nostro Paese (Serafin, 2025).

 

L’espressione corretta è «istruzione parentale», così definita nell’articolo 1, comma 2, lettera f) del D.M. 8 febbraio 2021, n. 5, (Esami integrativi ed esami di idoneità nei percorsi del sistema nazionale di istruzione):

 

l’attività di istruzione svolta direttamente dai genitori ovvero dagli esercenti la responsabilità genitoriale o da persona a ciò delegata dagli stessi.

 

Le espressioni di «scuola familiare», «scuola paterna», ecc., confluiscono tutte nell’unica «categoria amministrativa» che è, per l’appunto, quella di istruzione parentale; in essa si evidenzia una specifica responsabilità dei genitori o di persone dagli stessi delegate di provvedere autonomamente alla formazione dei propri figli.

Tale principio si iscrive nella libertà educativa delle famiglie, stabilito nell’articolo 30 della Costituzione in cui si afferma che «è dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori del matrimonio».

In altri termini, l’orizzonte a cui tendere, nel nostro sistema di rapporti etico-sociali, di cui alla Carta costituzionale, è quello dell’istruzione e dell’educazione. L’istruzione parentale e la scuola sono gli strumenti ammessi al loro perseguimento.

Pertanto, la responsabilità educativa è intrinsecamente legata alla funzione genitoriale, sia come diritto insopprimibile sia come dovere imprescindibile.

Al principio sancito dalla Costituzione si richiama l’articolo 111 del decreto legislativo del Testo Unico del 16 aprile 1994, n. 297 (Approvazione del testo unico delle disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione, relative alle scuole di ogni ordine e grado), nel quale si afferma che l’obbligo scolastico si adempie con la frequenza delle scuole elementari e medie statali o le scuole non statali abilitate a rilasciare titoli di studio riconosciuti dallo Stato.

Nel comma 2 del medesimo articolo viene sancito quanto segue:

 

I genitori dell’obbligato o chi ne fa le veci che intendono provvedere privatamente o direttamente all’istruzione dell’obbligato devono dimostrare di averne la capacità tecnica od economica e darne comunicazione anno per anno alla competente autorità.

 

Queste disposizioni trovano conferma nell’articolo 1, comma 4 del decreto legislativo 76 del 2005 (Definizione delle norme generali sul diritto-dovere all’istruzione e alla formazione) e più recentemente nel D.lgs. 13 aprile 2017, n. 62 (Norme in materia di valutazione e certificazione delle competenze nel primo ciclo ed esami di Stato), attuativo della legge 107/2015.

Nel D.lgs. 76/2005 si riprende integralmente quanto contenuto nel Testo Unico del 1994, precisando che i genitori, o chi ne fa le veci, esercitano il diritto-dovere dell’educazione e dell’istruzione dei figli e che se lo fanno direttamente devono sottostare ai controlli dell’autorità competente.

Più articolato risulta l’articolo 23 del D.lgs. 62/2017 nel quale si afferma che

 

in caso di istruzione parentale, i genitori dell’alunno o dell’alunno, della studentessa o dello studente, ovvero coloro che esercitano la responsabilità genitoriale, sono tenuti a presentare annualmente la comunicazione preventiva al dirigente scolastico del territorio di residenza. Tali alunni o studenti sostengono annualmente l’esame di idoneità per il passaggio alla classe successiva in qualità di candidati esterni presso una scuola statale o paritaria, fino all’assolvimento dell’obbligo di istruzione.

 

Dunque, pur riconoscendo alla famiglia piena libertà educativa,

 

il legislatore ha ritenuto necessario prevedere strumenti di verifica annuale, garantendo così un bilanciamento tra l’autonomia genitoriale e il diritto del minore a ricevere un’istruzione adeguata (Serafin, 2025).

 

In merito all’istruzione parentale, nella circolare annuale sulle iscrizioni del 12 dicembre 2023, n. 40055 (Iscrizioni alle scuole dell’infanzia e alle scuole di ogni ordine e grado per l’anno scolastico 2024-2025), vengono richiamati gli adempimenti a cui sono tenuti sia le famiglie che le istituzioni scolastiche, in primis il dirigente.

6. Gli esami di idoneità

Nel momento in cui la famiglia decide di esercitare l’opzione per l’istruzione parentale e ne dà comunicazione alla scuola, il dirigente ne prende atto senza svolgere alcuna valutazione in merito a tale decisione. L’istituzione scolastica ha il compito di registrare la scelta effettuata dai genitori, in modo da assicurare un tracciamento amministrativo delle modalità di assolvimento dell’obbligo scolastico.

Spetta altresì al dirigente scolastico informare i genitori circa i successivi adempimenti che la famiglia è tenuta a rispettare.

Nel D.M. 8 febbraio 2021 n. 5 (Esami integrativi ed esami di idoneità nei percorsi di istruzione del sistema nazionale di istruzione) vengono riepilogate le modalità di svolgimento dell’esame di idoneità relativamente agli alunni che frequentano percorsi corrispondenti al primo ciclo di istruzione. Nella nota si riafferma che

 

gli alunni in istruzione parentale sostengono annualmente l’esame di idoneità per il passaggio alla classe successiva, presso una istituzione scolastica statale o paritaria, ai fini della verifica dell’assolvimento dell'obbligo di istruzione.

 

I genitori di questi alunni o coloro che esercitano la responsabilità genitoriale presentano, entro il 30 aprile di ciascun anno, la richiesta di sostenere l’esame di idoneità al dirigente dell’istituzione scolastica statale o paritaria prescelta, unitamente al progetto didattico-educativo seguito nel corso dell’anno.

Devono essere assicurati, nello svolgimento dell’esame di idoneità, per gli allievi con disabilità o disturbi specifici di apprendimento, le misure dispensative o gli strumenti compensativi previsti dalla normativa vigente (legge 104/1992 e legge 170/2010), indicati nel Piano educativo individualizzato e nel Piano didattico personalizzato.

Per gli esami di idoneità alle classi di scuola primaria e alla prima classe di scuola secondaria di primo grado la commissione è composta da due docenti di scuola primaria ed è presieduta dal dirigente scolastico o da suo delegato.

Per gli esami di idoneità alle classi seconda e terza di scuola secondaria di primo grado la commissione è composta da docenti corrispondenti al consiglio di classe dell’anno di corso per il quale è richiesta l’idoneità ed è presieduta dal dirigente scolastico o da suo delegato.

L’esame di idoneità alle classi della scuola primaria e alla prima classe della scuola secondaria di primo grado si articola in una prova scritta relativa alle competenze linguistiche, in una prova scritta relativa alle competenze logico matematiche e in un colloquio.

Nel caso di alunni con disabilità la commissione è integrata con un docente per le attività di sostegno. L’esame di idoneità alle classi seconda e terza della scuola secondaria di primo grado si articola nelle prove scritte di italiano, matematica e inglese, nonché in un colloquio pluridisciplinare.

Le prove d’esame sono predisposte dalla commissione tenendo a riferimento il progetto didattico-educativo dell’alunno nonché, nel caso di alunni con disabilità o disturbi specifici di apprendimento, il Piano educativo individualizzato o il Piano didattico personalizzato.

L’esito dell’esame è espresso con un giudizio di idoneità/non idoneità. I candidati il cui esame abbia avuto esito negativo possono essere ammessi a frequentare la classe inferiore, a giudizio della commissione esaminatrice.

7. Istruzione parentale e istruzione domiciliare

Istruzione parentale e istruzione domiciliare vengono spesso sovrapposte. Invece, si tratta di due istituti che sono tra loro nettamente distinti.

Come esplicitato nei paragrafi precedenti, la prima rappresenta una libera scelta della famiglia e non è subordinata a particolari motivazioni. Tale scelta rientra, infatti, nelle prerogative della potestà genitoriale come affermato nell’articolo 30 della Costituzione.

Diverso è il caso dell’istruzione domiciliare regolata dall’articolo 16 del D.lgs 13 aprile 2017, n. 66 (Norme per la promozione dell’inclusione scolastica degli studenti con disabilità), attuativo della legge 107/2015. L’articolo 16 così recita:

 

Le istituzioni scolastiche, in collaborazione con l’Ufficio scolastico regionale, gli Enti locali e le aziende sanitarie locali, individuano azioni per garantire il diritto all’istruzione alle bambine e ai bambini, alle alunne e agli alunni, alle studentesse e agli studenti per i quali sia accertata l’impossibilità della frequenza scolastica per un periodo non inferiore a trenta giorni di lezione, anche non continuativi, a causa di gravi patologie certificate, anche attraverso progetti che possono avvalersi dell’uso delle nuove tecnologie.

 

Per attivare il servizio di istruzione domiciliare, la famiglia deve presentare una richiesta formale all’istituzione scolastica, corredata da una certificazione medica che attesti l’impossibilità del minore a frequentare la scuola per un determinato periodo. L’alunno continua a rimanere iscritto alla scuola, che è tenuta a organizzare un percorso educativo personalizzato.

Nel caso di tratti di allievi con disabilità, l’istruzione domiciliare può essere supportata dall’intervento di un insegnante di sostegno, in coerenza con il Piano Educativo Individualizzato predisposto per l’alunno.

In sintesi, come sottolinea Paola Serafin.

 

mentre l’istruzione parentale rappresenta una scelta autonoma dei genitori per l’educazione dei propri figli e una loro responsabilità, l’istruzione domiciliare è un servizio messo a disposizione dall’istituzione scolastica per rispondere a situazioni eccezionali legate a problemi di salute. Le due modalità, pur condividendo l’obiettivo di garantire il diritto all’istruzione e prevedendo l’attività didattica all’esterno degli spazi scolastici, si distinguono per presupposti, regolamentazione e modalità di attuazione (Serafin, 2025).

 

Un caso a sé è invece la presunzione dei genitori di ritenere che l’educazione e l’istruzione dei figli sia unicamente un loro esclusivo problema. A questo proposito, il Consiglio di Stato con la Sentenza 1491/2024, pronunciata in sede giurisdizionale, ha rigettato il ricorso di due genitori che intendevano rinvenire nel nostro ordinamento una categoria specifica di istruzione familiare (dipendente esclusivamente dal Sindaco e non dall’istituzione scolastica), distinta da quella parentale.

In tema di esercizio della responsabilità sui figli minori, viene sottolineato nella Sentenza, la legge consente ai genitori di scegliere di provvedere direttamente alla loro istruzione, senza che i medesimi frequentino istituti scolastici, ma sotto il controllo delle autorità competenti, cioè dell’istituzione scolastica nella figura del dirigente dell’istituzione scolastica della quale egli è il rappresentante legale.

Il Consiglio di Stato, sulla scorta anche di pronunciamenti di diversi tribunali amministrativi regionali, ha rigettato la presunzione che la responsabilità educativa dei genitori nei confronti dei figli minori possa essere relegata ad «affare privato».

8. Scuole non statali e non paritarie

Ai sensi della legge 3 febbraio 2006, n. 27 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 5 dicembre 2005, n. 250, recante misure urgenti in materia di università, beni culturali ed in favore di soggetti affetti da gravi patologie, nonché in tema di rinegoziazione di mutui), sono scuole non statali e non paritarie (rubricate come «non paritarie») quelle che svolgono un'attività organizzata di insegnamento e che presentano le seguenti condizioni di funzionamento:

  • un progetto educativo e relativa offerta formativa, conformi ai principi della Costituzione e all'ordinamento scolastico italiano, finalizzati agli obiettivi generali e specifici di apprendimento correlati al conseguimento di titoli di studio;

  • la disponibilità di locali, arredi e attrezzature conformi alle norme vigenti in materia di igiene e sicurezza dei locali scolastici, e adeguati alla funzione, in relazione al numero degli studenti;

  • l'impiego di personale docente e di un coordinatore delle attività educative e didattiche forniti di titoli professionali coerenti con gli insegnamenti impartiti e con l'offerta formativa della scuola, nonché di idoneo personale tecnico e amministrativo;

  • alunni frequentanti, in età non inferiore a quella prevista dai vigenti ordinamenti scolastici, in relazione al titolo di studio da conseguire, per gli alunni delle scuole statali o paritarie.

Le scuole non paritarie sono iscritte in appositi elenchi affissi all’albo dell’Ufficio scolastico regionale, aggiornati ogni anno. Non fanno parte però del sistema scolastico nazionale.

Lo stesso Ufficio vigila sulla sussistenza e sulla permanenza delle condizioni di cui ai punti elencati, il cui venir meno comporta la cancellazione dall'elenco. Qualora le sedi e le attività d’insegnamento non presentino le condizioni di cui sopra, non possono assumere la denominazione di «scuola» e viene meno il requisito dell’assolvimento del diritto-dovere all’istruzione e alla formazione. Per le scuole dell'infanzia non paritarie si prescinde dalla finalità correlata al conseguimento di un titolo di studio.

Gli studenti devono sostenere un esame di idoneità non al termine di ogni anno scolastico, come nel caso dell’istruzione parentale, ma alla fine di ogni percorso scolastico oppure nel momento in cui vogliono trasferirsi in una scuola statale o paritaria.

Tali scuole non possono assumere denominazioni identiche o comunque corrispondenti a quelle previste dall'ordinamento vigente per le istituzioni scolastiche statali o paritarie e devono indicare nella propria denominazione la condizione di scuola non paritaria.

La frequenza regolare di questi istituti rappresenta il requisito dell’assolvimento dell’obbligo scolastico, anche se non rientra nella loro potestà il rilascio di titoli di studio aventi valore legale né intermedi né finali.

Domenico Trovato sottolinea che tra le scuole non paritarie figurano quelle montessoriane e steineriane, anche se in qualche caso hanno optato per la parità.

Relativamente alla loro diffusione,

 

il MIM rimanda agli elenchi predisposti dagli Uffici Scolastici Regionali. Ad esempio per l’a.s. 2024/2025 l’Albo Regionale del Veneto segnala 21 scuole, in Lombardia se ne contano 51, nel Lazio 27, in Sicilia n. 11 (Trovato, 2025).

 

Pur non raggiungendo numeri particolarmente elevati, si tratta di realtà educative presenti in tutte le regioni.

 

Bibliografia di riferimento

Serafin P. (2025), Istruzione parentale, Repertorio 2025, Napoli, Tecnodid.

Spinosi M. (2024), Parità scolastica (elaborazione del testo originario di Giancarlo Cerini), Repertorio 2024, Napoli, Tecnodid.

Trovato D. (2025), Dalle scuole non statali all’istruzione parentale, «Scuola 7», n. 437.